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Autore: hiromi_chan    26/12/2014    10 recensioni
“Non temere, piccoletto,” disse Arthur, accarezzando distrattamente l'uovo adagiato sulle sue gambe. “Non permetterò mai che mammina ti metta nome Norberto, fosse anche l'ultima cosa che faccio.”
Merlin alzò un sopracciglio, fulminandolo con un'occhiataccia. “Mammina?”
“Non posso farla mica io la donna, ti pare?” disse il Grifondoro, oltraggiato.
Merlin si strizzò il ponte del naso tra le dita.
E il preside pretendeva anche che lui salvasse l'osso del collo di quell'individuo.

HP!AU in sei capitoli.
[Prima classificata al contest "AU- Wherever we are" indetto da Emmastarr sul forum di EFP.]
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merthur a Hogwarts'
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Note

Perdonate il ritardo, o meglio, il mancato aggiornamento della settimana scorsa. Il periodo natalizio è infernale, davvero. In ogni caso, buone feste a tutti (?)!

Per correttezza nei confronti del giudice del contest a cui la fiction partecipa, vi informo che questi ultimi due capitoli presentano delle lievi modifiche rispetto alle versioni che le ho inviato e che sono quindi in gara.

 

 

 

 


 

V. Sesto anno – La caduta

 

 

 


“Qui dice che ogni mezz'ora va somministrato al piccolo drago un secchio di brandy mescolato a sangue di pollo,” disse Merlin. Nonostante si trovassero nella sezione dei libri proibiti a un'ora piuttosto sconveniente, il suo tono di voce non fu sommesso; da quando il mago aveva scoperto l'incantesimo Muffliato, la vita era parecchio migliorata.

Stava seduto per terra, una pila di libroni tutta intorno a lui.

Arthur era alla sua destra, con la bacchetta alzata. Il suo Lumos aveva rischiarato una piccola bolla di luce che li circondava dolcemente.

Merlin aveva l'odore della pergamena antica nel naso e per qualche ragione si sentiva piuttosto felice.

“Non mi fido a lasciare l'uovo con quell'idiota del tuo amico,” decretò a un certo punto il Grifondoro, deconcentrandolo.

Lui alzò la testa dal libro solo per poterlo guardare storto. “Per tua informazione, Will è una tata fantastica. Non ti piace solo perché ti odia.”

Solo,” sottolineò Arthur, ironico.

Merlin ignorò il commentino per ribattere con qualcosa di più pratico. “Avremmo dovuto lasciare il nostro ovetto alle cure dei tuoi compagni di squadra? Ti ricordo che la settimana scorsa Percy stava per usarlo al posto della Pluffa.”

“Già, forse non avrei dovuto portarlo con me all'allenamento,” disse Arthur, facendo sovrappensiero una smorfia tanto onesta quanto buffa.

Merlin chiuse direttamente il volume con un piccolo tonfo. In ogni caso sarebbe soltanto riuscito a leggere continuamente la stessa riga, poiché Arthur aveva l'oscuro potere di far convergere verso di sé tutta l'attenzione di Merlin.

“Certo che non avresti dovuto portalo al campo,” lo rimproverò, scuotendo la testa. Poi aggiunse, una mano che era volata sul petto: “Mi è quasi venuto un colpo quando ho sentito la corda.”

La corda: era così che, quasi per tacito accordo, avevano preso a chiamare quella sensazione che stringeva i loro cuori ogni qualvolta uno dei due o l'uovo si trovava in difficoltà.

“Errore mio,” borbottò Arthur, alzando le braccia. “Quando la finirai di rinfacciarmelo?”

Merlin, che era molto stupido ma che non sapeva resistere alle ammissioni di colpa di Arthur, gliela diede vinta senza neanche lottare sul serio. “Domani offrimi una burrobirra e siamo pari. Verrai subito assolto da ogni tuo peccato,” proclamò.

Arthur abbassò lentamente la bacchetta, le iridi chiare che brillavano nella penombra. “Domani,” ripetè, quasi assente.

“È sabato, no?” chiese conferma il Serpeverde. “Possiamo andare a bere qualcosa a Hogsmeade.”

Il biondo sbatté più volte le palpebre come se gli fosse andato un granello di polvere in un occhio, e annuì un paio di volte. “Se vuoi,” disse, piano piano e quasi reclutante.

“Altro che il Principe del Quidditch... Sei il Principe dell'entusiasmo, tu,” lo punzecchiò Merlin, dandogli una leggera gomitata sulla spalla.

Ne seguì uno dei loro soliti battibecchi, ormai così consueti per il Serpeverde da avere su di lui una sorta di effetto rassicurante. Quella notte, quando si rannicchiò tra le lenzuola, si addormentò subito, tranquillo e soddisfatto.

 

 

Gwen gli stava sistemando in testa il cappello viola di lana da cinque minuti buoni. “No, Merlin, mettilo un po' più indietro, così...”

Quando lui tentò di aggiustarselo da solo, l'amica lo scansò con dolcezza. “Ah, lascia fare a me,” propose, tutta seria. “Bisogna farlo bene. Ecco, da questa parte, in modo che sbuchino un po' fuori i capelli e le orecchie... Sei adorabile!”

Il Serpeverde la guardò come se gli fosse andato di traverso qualcosa. Avrebbe preferito di gran lunga restare con la sua divisa, ma Gwen aveva insistito per farlo cambiare, ricordandogli che avevano il permesso di indossare abiti casual fuori dalla scuola.

“Sarebbe uno spreco lasciarsi scappare questa occasione,” l'aveva informato.

Così Merlin aveva finito col ritrovarsela davanti alla porta della sua stanza, le braccia cariche di vestiti dalla dubbia provenienza. Gwen aveva tirato fuori dal nulla un suo sogno segreto che aveva qualcosa a che fare con il diventare una stylist, e ora Merlin poteva annoverare nel suo curriculum il maggior numero di cambi d'abito avesse mai sperimentato.

Alla fine, la Tassorosso si era decretata soddisfatta dalla combinazione maglioncino-pantaloni stretti infilati negli stivali alti-montgomery blu.

“Sei il mio capolavoro personale,” affermò con fierezza, abbandonando il cappello per scrutarlo dall'alto in basso. “Arthur non saprà cosa dire.”

“Certo che lo saprà. Dirà che sono un damerino,” replicò subito Merlin. E poi, più confuso: “Aspetta, ma cos'avrebbe a che fare Arthur con il modo in cui sono vestito?”

Gwen sorrise con quel suo sorriso stile mamma. “Andiamo disopra, dai. I ragazzi ci staranno aspettando,” disse, spingendolo fuori dalla porta.

“Vuoi dire che pure tu vieni a Hogsmeade? Con Lance, magari?”

Lei arrossì. “L'ho invitato ieri sera, così, tanto per fare, e lui mi ha colto di sorpresa rispondendomi di sì. È che è troppo educato...”

Il mago scoppiò a ridere, la voce che rimbombava per i corridoi gocciolanti dei sotterranei. “Già, è talmente educato che vuole chiederti di uscire da tre anni ma ha aspettato che lo facessi tu. Buon per voi che tra i due sia tu a indossare i pantaloni, Gwen.”

Arthur e Lancelot li stavano attendendo davanti al portone principale. Quando Lance vide Gwen si trasformò di colpo in una creatura balbettante e scoordinata. Era uno spettacolo talmente carino che Merlin, per ammirarlo, si perse l'occhiata che gli lanciò il biondo.

“Sembri un damerino,” disse poi Arthur, che anche con un piumino addosso pareva un nobile altezzoso dal sangue blu.

“Vostra Altezza,” lo salutò Merlin, inchinandosi.

I quattro si diressero quindi a Hogsmeade, chiacchierando e ridendo. Merlin notò che non erano gli unici ad andare in paese: in mezzo alla neve arrancavano un paio di piccoli gruppetti come il loro, anche se per la maggior parte c'erano delle coppie.

A pochi metri di distanza, il Serpeverde adocchiò perfino il professor Tristan e la professoressa Isolde passeggiare mano nella mano. Lui, di riflesso, si infilò i palmi in tasca.

Stava ridacchiando da qualche minuto con Gwen quando Arthur lo tirò indietro per il colletto del cappotto.

“Dio, sei proprio idiota,” soffiò il Grifondoro. “Lasciar loro un po' di privacy è un concetto troppo astruso per te?”

Merlin notò che Lance si stava avvicinando timidamente alla ragazza, adesso che erano rimasti soli. Le braccia di entrambi oscillavano in modo un po' goffo nella palese ricerca di contatto tra loro.

“Ooh...” disse il Serpeverde.

“Già, ooh,” gli fece il verso Arthur, antipatico come sempre.

Arrivarono a Hogsmeade che aveva appena iniziato a nevicare. C'era qualcosa di diverso dal solito, in paese, che Merlin non riuscì bene a individuare: le vetrine dei negozi rimandavano luci soffuse e invitanti e nell'aria volavano le note delle ballate romantiche delle Sorelle Stravagarie; l'atmosfera era... ovattata.

Con la coda dell'occhio, Merlin notò che Gwen, ormai avvinghiata al braccio offertole da Lance, aveva imboccato la via che portava da Madama Piediburro. Seguirli nel covo delle coppiette felici non suonava tanto una buona idea.

“Andiamo ai Tre Manici di Scopa, allora?” sferzò Arthur. Per qualche motivo sembrava scocciato e nervoso, ma il naso rosso per il freddo e il labbro inferiore all'infuori gli davano più che altro un'aria un po' ridicola.

Merlin gli sorrise a trentadue denti e poi la realizzazione lo colpì: possibile che... gli avesse dato fastidio vedere Gwen in compagnia di Lance? Arthur era forse geloso?

Le labbra del Serpeverde scivolarono miseramente verso il basso.

 

 

Anche ai Tre Manici di Scopa c'era qualcosa di strano.

Il locale, già in genere molto frequentato, era affollatissimo. Erano stati piazzati in qualche modo il doppio dei tavoli normalmente presenti. Gli avventori strizzati sulle sedie erano costretti, per potersi guardare, a fare lo slalom con la testa tra...

“Puttini appesi al muro con un cordino?” domandò ad alta voce Merlin.

A una seconda occhiata, Merlin si avvide che il problema non si limitava solo agli angioletti che svolazzavano sopra ai malcapitati clienti, distribuendo ogni tanto spruzzate di coriandoli sui loro capelli; le pareti erano state dipinte di una tonalità vagamente rosea e su ogni tavolo erano esposti degli inquietanti portatovagliolo a forma di cuore.

“Madama Piediburro si è trasferita qui?” commentò ancora il Serpeverde, confuso.

Arthur lo spinse forte da dietro. “Piantala di fare l'idiota e non rimanere sull'uscio. Sto congelando!”

Merlin individuò un tavolino miracolosamente libero, incastrato tra il bancone e una colonna di legno. Si fece strada tra la gente, inciampando sulle borse che le ragazze avevano appoggiato a terra (Arthur sbuffò uno dei suoi “sei ridicolo”).

Riuscì comunque a raggiungere la meta e si sedette con circospezione, guardandosi intorno. Riconobbe subito Gwaine dallo scoppio improvviso della sua risata. Stava di schiena di fronte a Elena Godwin di Tassorosso, che tentava maldestramente di sbattere le ciglia e bere una burrobirra con la cannuccia in modo elegante.

“Mi sento strano,” disse Merlin, corrucciando le sopracciglia.

“Ah, sì?” fece Arthur. La faccia era nascosta dietro un lungo menù di carta.

“Gaius è la persona di cui mi fido di più, a Hogwarts. Però è la prima volta, a parte durante le lezioni, che nessuno di noi tiene con sé l'uovo per l'intero pomeriggio...”

“Ah... quello,” brontolò il Grifondoro, riemergendo dal menù. Aveva ancora le guance arrossate per il freddo. “Be', è un po' strano anche per me, in realtà. Ma non ti preoccupare, non avremmo potuto lasciarlo a un padrino più affidabile.”

Merlin gli sorrise automaticamente. Anche lui era sicuro che non avrebbero trovato un altro sostituto migliore di Gaius, che era un buon compromesso tra i tutti i loro amici. Tuttavia, sentire che Arthur la pensava allo stesso modo ebbe il potere far svanire il lieve senso di colpa per aver lasciato a scuola l'uovo.

A quel punto un fischio fastidioso si levò per l'ambiente, e chi altri avrebbe mai potuto essere stato se non Gwaine? “Ehi, guardate un po' chi c'è!” disse a voce troppo alta. “La coppia d'oro!”

La totalità dei presenti si voltò all'unisono verso di loro e Merlin, sorridendo nervosamente, pensò che la cosa si stava ripetendo un po' troppo spesso, da quando aveva iniziato ad avere a che fare con Arthur.

Quest'ultimo, dopo che alcuni Grifondoro ebbero battuto le mani e due ragazze ebbero strillato istericamente, sprofondò sulla sedia di legno. Era più a disagio di quanto Merlin non l'avesse mai visto.

Stava per fare una battuta sciocca per veder scomparire le linee tese intorno ai suoi occhi e alla sua bocca, quando si accorse di un dettaglio sconcertante. “Ma... perché ci sono quasi solo coppiette?”

Le sopracciglia di Arthur si sollevarono con lentezza. “Non lo sapevi?” disse, una microscopica ombra di tentennamento nella voce. Nel giro di mezzo secondo, però, la sua espressione virò decisamente ai livelli estremi di irritazione. “Merlin, i-d-i-o-t-a, solo tu potevi dimenticarti che oggi è San Valentino!” ringhiò.

Il Serpeverde avvampò. D'improvviso, molte cose acquistavano un senso. “Be', sì, mi è passato di mente, e allora? Anche tu, però, da fuori non hai fatto caso alle decorazioni, o non avresti scelto un posto tanto diabetico!”

“Ovviamente. Per chi mi hai preso?” disse Arthur, masticando le parole. Però non lo guardava negli occhi e aveva l'aria di essere stato mortalmente oltraggiato.

Una vocina interiore suggerì a Merlin di non farci molto caso, visto che l'amico tendeva ad essere piuttosto melodrammatico – per non parlare di quella vena del suo carattere tendente al medievale... Se provocato, Arthur avrebbe potuto benissimo procurarsi da qualche parte un guanto e lanciarlo contro il suo oppositore in segno di sfida.

Il problema era che il suo orgoglio veniva ferito così facilmente che Merlin spesso non aveva idea di cosa avesse scatenato i suoi malumori; anche questo era il caso.

Forse Arthur era semplicemente nervoso per via di Gwen. Aveva avuto le attenzioni della strega per molto tempo e ora era chiaro che non fosse più così. In fondo, si diceva che si capisse il valore di qualcosa solo quando non la si possedesse più.

“Non è giu-u-u-u-sto!” ululò in quella una ragazza.

Merlin non riuscì a vedere chi fosse, perché aveva il viso tra le mani ed era per metà coperta da una cascata di capelli biondi. Le sue spalle erano scosse da singhiozzi e le amiche sedute accanto a lei tentavano di consolarla. “Cr-cr-credevo di avere una speranza! Cr-cr-credevo che, se non si fosse messo con me, sarebbe almeno rimasto single per sempre-e-e-e,” balbettò, piangendo forte.

Merlin si sentì molto in pena per quella poverina. Venire scaricati proprio il giorno di San Valentino non doveva essere una cosa tanto piacevole.

Poi, la ragazza alzò la testa di scatto, andando a fissare direttamente lui. Il movimento fu così improvviso e il suo trucco era talmente scolato che il Serpeverde saltò sulla sedia per la sorpresa.

“Cos'ha quello lì più di me? Perché Arthur ha scelto proprio un tipo così?” disse, guardandolo dritto in faccia e... stava per caso riferendosi a lui?

Merlin si indicò il petto con aria interrogativa.

Una delle amiche della strega, che lui riconobbe come Sophia di Serpeverde, la prese per le spalle per voltarla dalla sua parte. “Non dargli la soddisfazione di vederti così, Vivian,” disse con un tono fin troppo udibile – non prima di aver trapassato Merlin con un'occhiataccia.

Sconvolto, lui si girò verso l'amico; Arthur, scuro in volto, pareva contento come a un funerale.

“A quanto pare ti ho strappato dalle braccia del tuo fanclub personale guadagnandomi il loro odio eterno,” disse, tamburellando le dita sui centimetri del tavolino liberi dalla tovaglietta di pizzo. “Dimmi una cosa, essere bionde è un prerequisito fondamentale per entrare a farne parte?”

“... Quella di Serpeverde è rossiccia,” disse sommessamente Arthur. Dopo qualche secondo, si passò le mani sulla faccia in un gesto stanco, come se in quel modo avrebbe potuto liberarsi di tutti i suoi problemi.

“Se vuoi vado al loro tavolo per spiegare che si tratta di un malinteso,” propose Merlin, dispiaciuto. Non credeva che l'imminente fidanzamento di Gwen e Lance avrebbe stressato tanto Arthur.

Forse, uscire con una fan disposta a blandirlo avrebbe rinvigorito il suo gigantesco ego...

“Non so, magari fai ancora in tempo a passare la giornata con una di loro,” aggiunse il Serpeverde, a scanso di equivoci. Si alzò senza aver ricevuto una risposta per evitare nuovi imbarazzi ad Arthur, ma fece in tempo a fare solo mezzo passo che si sentì il polso avvolto in una tiepida morsa: Arthur l'aveva fermato.

“Non mi piacciono le bionde,” disse, la voce stretta.

Dunque gli piacevano le more? Gwen?

Merlin si lasciò ricondurre al suo posto dal debole strattone del Grifondoro, che depositò poi le loro braccia sul tavolino, tese.

“Sei geloso di Guinevere e Lancelot,” sparò Merlin.

Il problema andava affrontato di petto, giusto? Non voleva che Arthur rimanesse ancorato nello stadio del rimorso... Aveva già talmente tante preoccupazioni che lo affliggevano. Un moto di protezione gli strizzò con prepotenza lo stomaco.

Arthur intanto lo stava fissando come se fosse stato pazzo. “Perché mai dovrei essere geloso?”

“Be', sai, stanno per diventare una coppia... Mi sembra piuttosto chiaro,” disse Merlin, chiedendosi se tanto valesse abbandonare la delicatezza ed optare per una verità dolorosa ma terapeutica.

“Non so di cosa tu stia parlando,” scandì il Grifondoro.

Lui allora avvicinò la sedia più che poté e sottrasse il polso alla sua stretta solo per afferrargli il palmo. “Senti, Arthur, sarò onesto con te,” disse, guardandolo dritto negli occhi. “Sei arrivato tardi. Quello che tu adesso desideri, una volta, fino al terzo anno, sarebbe stato possibile... Ma ora non è più così. La gente cresce e cambia e...”

Il Serpeverde perse progressivamente slancio poiché il volto di Arthur, a ogni parola, cadde sempre più giù.

“Mi dispiace,” concluse. Era sincero; si sentiva veramente triste per lui.

“Capisco,” disse il Grifondoro, dignitosamente. Lo sguardo però era puntato al pavimento e aveva ritirato la mano con una mossa incerta, nascondendola alla vista.

Altro che la corda... Vederlo in quel modo gli spezzò il cuore.

Proprio in quel momento, per ironia della sorte, un puttino volante fece piovere sulle loro teste una cascata di coriandoli luminosi. Una montagnetta di cuoricini e porporina si depositò sui capelli di Arthur facendogli da cappello, e lui tossicchiò seccamente.

Merlin si alzò su di botto, toccandogli la spalla. Non avrebbe permesso ad Arthur di rotolarsi nei suoi dispiaceri.

“Andiamo a berci le burrobirre fuori, dai,” propose per distrarlo. “C'è troppo miele nell'aria.”

 

 

Gli spogliatoi di Grifondoro erano in preda all'adrenalina; i giocatori si caricavano cantando sguaiatamente come sotto l'effetto di litri di burrobirra e provocando l'avversario assente. Gwaine, spalmato addosso a Percy, stava soffocando dal troppo ridere – e lui sì che si era scolato qualche bottiglia di troppo.

“Tutto questo testosterone nell'aria vi farà diventare pazzi, prima o poi,” soffiò Merlin, allacciando gli stivali di Arthur.

Lui lo fissò dall'alto con distacco. “È la finale del secolo. Grifondoro contro Serpeverde, i migliori uomini dei Cavalieri contro uno schieramento di Serpi di tutto rispetto. Sentito? Ho detto che quelli della tua Casa sono organizzati in una formazione rispettabile, Merlin. Non sono forse dannatamente giusto e imparziale?”

“Siete d'animo nobilissimo, mio signore,” borbottò il moro, fissandogli i parastinchi con uno strattone.

“Ed inoltre,” aggiunse Arthur, per il quale la forza fisica di Merlin non era qualcosa di considerabile, “questa sarà l'ultima partita con Lance come nostro capitano. Dobbiamo assolutamente vincere per rendergli omaggio. Per Lancelot!” Le ultime parole le disse ad alta voce, guadagnandosi un'eco entusiasta in risposta.

Merlin vide Lance lanciargli uno sguardo divertito e, alla fine, si lasciò coinvolgere dalla loro euforia. Ma giusto un pochino.

“Ti comporti già come se fossi tu il capitano,” constatò, rimettendosi in piedi per sistemare la maglia di Arthur.

“Mi esercito, ma direi che è una predisposizione naturale,” annuì lui. Poi aggiunse, più piano: “Tu farai il tifo per me, anche se giochiamo contro i Serpeverde.” Parlò con sicurezza; era assolutamente convinto di ciò che aveva detto.

“Lo sai benissimo che non me ne importa un'accidente del Quidditch.”

Lui doveva averla presa come una conferma, perché alzò un pugno e annunciò, “Merlin farà il tifo per noi!”

“Who-ooo!” esultò Owaine.

“La coppia d'oro non si smentisce,” fece Percival.

Lance, prestando fede alla sua carica, contribuì a mantenere alto lo spirito: “Siamo così forti che abbiamo anche convertito un Serpeverde!”

“Fatti baciare, Merlin,” disse Gwaine. Quindi lo afferrò da dietro per i fianchi, lo voltò e procedette a schiaffargli con decisione le labbra umide sulla guancia.

Tutti scoppiarono a ridere – tutti tranne Arthur, che recuperò il Serpeverde tirandolo per il colletto del mantello. Si accorse che sorrideva e lo guardò con aperta disapprovazione, l'immancabile smorfia in bella vista.

Merlin si strinse nelle spalle. Da quando Valiant si era ritirato da Hogwarts in seguito ad un colloquio segreto con gli Auror, la squadra di Grifondoro gli andava molto più a genio.

 

 

“Merlin!” lo richiamò Gwen, agitando il braccio per farsi vedere.

Il mago si fece largo tra la gente assicurandosi la teca addosso (una finale di Quidditch era un evento troppo movimentato per portare l'uovo in giro senza protezioni).

“Scusate... ehm... permesso...” disse, evitando con scarso successo di pestare i piedi alla fila di Grifondoro che lo guardavano in cagnesco.

Gwen lo tirò a sedere accanto a lei. “Sante fate,” soffiò, “la tensione sugli spalti è alta.”

“Tranquilla,” la rassicurò Merlin. “Non mi diranno nulla anche se mi sono messo qui ... sto insieme alla ragazza del capitano, in fondo.”

Lei arrossì in modo adorabile e sorrise. “Non ti darebbero fastidio in ogni caso, a meno che qualcuno non provi il desiderio di farsi spaccare la mascella da Arthur.”

Merlin ebbe appena il tempo di squadrarla confusamente prima che una voce amplificata si levasse.

“Prova... prova... è accesa?” disse Will, parlando alla punta della bacchetta dalla torretta che ospitava i commentatori.

“Tipico di lei, Williamson, non riuscire nemmeno a controllare un semplice Sonorus,” sferzò il Professor Muirden accanto a lui.

Will lo ignorò con una certa classe. “Signori e signore... e professori e tutto il resto, ovviamente,” aggiunse di malavoglia, “siamo finalmente giunti alla resa dei conti. Ancora qualche minuto e assisteremo alla finale tanto attesa. Chi vincerà la coppa, quest'anno? Il legame di sangue è forte, quindi ci si aspetta che io tifi per la mia Casa. Vi ricordo, però, che i Serpeverde hanno perso l'opportunità di avere nelle loro file un ottimo portiere, non selezionandomi per ben tre volte, dunque-”

“Non deve fare il tifo per un bel niente, Williamson. I cronisti dovrebbero mantenere l'imparzialità, ce la fa a comprendere il concetto?”

“... Il risentimento è comunque di breve durata, visto che dall'altra parte ci sono quei Grifoidioti che si fanno chiamare i Cavalieri. Ma per favore! Forza Serpi!”

Un boato si levò e Merlin e Gwen ridacchiarono. La squadra di Serpeverde fece il suo ingresso in campo subito dopo.

Mentre Will annunciava i nomi dei giocatori, Merlin scandagliò il pubblico presente sugli spalti. La magia gli venne in aiuto e lui percepì gli occhi brillare e la vista amplificarsi. In questo modo riuscì a individuare Morgana, seduta rigidamente tra i suoi compagni di Casa.

Se prima era stato strano vederla senza Nimueh al suo fianco, l'effetto era raddoppiato da quando anche Morgause era scomparsa. Dopo la loro disavventura nella Foresta Proibita, al ritorno dalle vacanze il preside aveva annunciato il trasferimento di Morgause in un altro istituto – senza specificare di che tipo di istituto si trattasse.

Da allora Merlin si era impegnato a tenere sotto controllo Morgana; non si fidava affatto di lei ed era la più probabile candidata nella lista degli affiliati dei Druidi. Era passato quasi un anno senza che combinasse nulla, era vero; anche il Natale si era rivelato inaspettatamente tranquillo (lui e Arthur erano rimasti di nuovo a scuola e avevano giocato una partita all'ultimo sangue di scacchi magici che sarebbe rimasta negli annali della storia). Tuttavia, il Serpeverde non aveva dimenticato le passeggiate furtive che aveva visto spesso compiere intorno al campo al trio delle streghe. Non avrebbe potuto fidarsi di Morgana; il ricordo del Bolide andato fuori controllo al terzo anno l'aveva messo sulle spine più che mai.

Ogni volta che aveva tentato di sollevare la questione con Arthur, però, lui non aveva voluto saperne di starlo ad ascoltare. Per quanto si sforzasse, Merlin non capiva questo suo atteggiamento. Morgana era pericolosa. Non importava che fosse la sorellastra di Arthur.

“Ed ecco scendere in campo i Grifoni,” annunciò Will senza entusiasmo. “Apre la fila il capitano e Cacciatore Lancelot Du Lac, seguito dai fratelli Leon e Owaine Knight, Battitori. Quello che si agita come un pazzo è il Cacciatore Gwaine Green, con il Portiere Percival Mighty al suo fianco. Chiude la fila il giovane Cercatore Mordred Jordan.”

Il professor Muirden si schiarì la gola.

“Ah, già, c'è anche Pendragon, un altro Cacciatore,” aggiunse Will, annoiato. “Eccolo che si allunga per afferrare il bacio volante soffiatogli dalla stupenda Vivian – che spreco, signori, che grandissimo spreco.”

“Non mi piace, quella Vivian,” disse Gwen, scuotendo la testa con disapprovazione.

Merlin emise un suono neutro e un po' gutturale. “Tanto durerà poco. È già la terza in tre mesi... Se Arthur continuerà con questo ritmo, ci liberemo presto anche di lei,” commentò piattamente.

L'amica arcuò un sopracciglio. “Come sei cinico.”

“Perché? Sto solo dicendo la verità.”

Esattamente una settimana dopo San Valentino, Arthur aveva dato inizio a un processo che aveva accesso di speranza i cuori di molti membri del suo fanclub, spezzandone altrettanti. Le sue “fidanzate” erano in realtà brevi flirt in cui lui si buttava, Merlin credeva, per dimenticare la ferita all'orgoglio che Gwen gli aveva inflitto senza saperlo.

“Le ragazze che frequenta lo distraggono. Non stanno molto simpatiche neanche a me,” (in realtà lo irritavano tremendamente... e per fortuna che ad Arthur non piacevano le bionde!), “però sono utili, in un certo senso.”

“Ma Merlin! Poverine...”

Lui fece spallucce. Se servivano ad Arthur per sentirsi un po' meglio, le avrebbe accettate, mettendo da parte le antipatie personali.

“Oh! Il professor Tristan ha liberato le palle!” osservò la Tassorosso.

“La partita ha inizio!” esclamò Will.

Merlin tese i sensi, proponendosi di tenere d'occhio Arthur e Morgana come si era abituato a fare ogni qualvolta si accorgeva della presenza della strega nei paraggi.

I Cercatori di entrambe le squadre schizzarono in alto come mosche, mentre i Grifoni si disponevano a triangolo, Arthur avanti a tutti. Presto presero il controllo della Pluffa, passandosela tra loro in un perfetto esempio di lavoro di squadra.

“Dai, Cavalieri!” urlò Gwen, alzando le braccia.

Lance, Arthur e Gwaine facevano volare la Pluffa tra loro con dei passaggi veloci e precisi, avanzando verso gli anelli della squadra avversaria. Leon e suo fratello li difendevano dai Bolidi, facendo ruotare le mazze.

“Mi dà fastidio ammetterlo, ma i Grifoni si muovono bene sul serio. Avanti, Serpeverde, fategli vedere di cosa siete capaci!” disse Will.

“Jordan vira verso il basso e Pratchett lo segue a ruota,” intervenne Muirden, parlando come se stesse leggendo la lista della spesa. “Se magari intercettano subito il Boccino la finiamo prima.”

Merlin approfittò del fatto che l'attenzione di tutti fosse puntata sui Cercatori per sincerarsi che Morgana non stesse tramando nulla. Arthur aveva detto che il secondo tradimento ci sarebbe stato un ventiquattro Dicembre, quindi il pericolo era ormai scampato per quell'anno, ma era impossibile averne la certezza.

E, come se avesse parlato troppo presto, sentì tirare la corda. Allora affilò lo sguardo e vide che Morgana aveva un'aria sospetta: le mani giunte sul grembo, gli occhi fissi verso l'alto, la sua bocca si muoveva appena, quasi stesse recitando un incantesimo.

Il Serpeverde cercò subito Arthur.

“Pendragon si avvicina agli anelli,” lo aiutò Will con la sua cronaca. “Difendete questi cavolo di anelli, per tutti i Troll!”

Morgana strinse la morsa delle mani, le labbra che si muovevano più freneticamente, e Merlin si alzò in piedi.

“Ehi, siediti, idiota!” gli urlarono da dietro.

“Merlin?” lo chiamò Gwen. “Che succede?”

“Dorian e Jacobson respingono i Grifondoro – wow! Attento, Dorian! Ci siamo andati vicino, con quel Bolide! Green e Du Lac riguadagnano terreno approfittando della distrazione e la Pluffa torna in mano a Pendragon... Pendragon si avvicina agli anelli, ma Dorian lo blocca, le scope quasi si scontrano! Di nuovo un Bolide verso Dorian, anzi no, è verso Pendragon, che lo evita come un fulmine, diamine... ma... il Bolide torna indietro?! Va sempre lì, ma che caz-”

“Sì, c'è qualcosa che non quadra. Grazie per il brillante suggerimento, Williamson, ce n'eravamo accorti da soli.”

Merlin tentò di evocare dentro di sé tutta la sua magia.

“Pendragon è a un passo dagli anelli!”

Protego, Protego, Protego,” mormorò, puntando la bacchetta verso il biondo.

“Merlin? Che – che facciamo?”

“Ehi, ti ho detto di sederti, stronzetto di un Serpeverde!”

“Fermate la partita!” ordinò Muirden e, nello stesso momento, Morgana alzò le palpebre, gli occhi che si infiammavano d'oro rosso, e Merlin gridò con quanto fiato aveva “Protego!”

Gli incantesimi si scontrarono in aria come bombe, esplodendo in scintille colorate. Il panico si diffuse in un istante, un Bolide cadde a terra ma l'altro fu semplicemente deviato e finì per schiantarsi con violenza sulla coda della scopa di Arthur, mandandolo fuori controllo verso la torretta dei commentatori.

Poi, il terribile rumore sordo di qualcosa che cozzava contro un ostacolo.

“Cazzo!” esclamò Will, scosso. “Mandate in fretta i medimaghi, Pendragon si è... Dio mio. Merlin? Che diavolo fai?!”

Ma Merlin non lo ascoltava, non ascoltava nessuno; nella frazione di tempo in cui tutti erano rimasti attoniti, lui aveva allungato la teca a Gwen e si era precipitato giù dagli spalti, scavalcando il muretto di protezione. Non c'erano suoni intorno a lui, non c'erano pensieri nella sua testa, solo un vuoto incredibile e, sotto, una morsa che premeva per venire fuori, ma che la razionalità gli imponeva di reprimere.

Corse, corse, corse. Avanti, scartando gli altri giocatori che gli si stagliavano in mezzo, spingendo via chissà chi, fatemi passare, via, fatemi passare, Arthur...

Arrivò da lui prima di chiunque altro. Arthur era a terra sotto la torretta, la scopa a tre metri di distanza. Metà faccia era insanguinata, il labbro spaccato, il naso storto, un braccio visibilmente rotto. Merlin gli precipitò accanto in ginocchio tastandogli le costole, due dita premute sul collo per sentire il battito.

“Emrys, levati,” disse qualcuno col fiato corto (il professor Tristan?).

Merlin si scrollò dalla spalla la sua mano, aprendo i palmi all'altezza del petto di Arthur. Le magie curative che aveva iniziato ad apprendere da Gaius... Sì, avrebbe usato quegli incantesimi e sarebbe andato tutto bene.

“Merlin, amico, Arthur sta bene? Tu stai bene?”

“Emrys...”

Le palpebre di Arthur erano abbassate su una fessura di bianco, i capelli erano impastati di sangue e terra.

Guardami, Arthur. Torna da me, guardami.

“Merlin,” e questo era Gaius. “Non ce la farai mai, adesso, non sei ancora abbastanza preparato per magie di guarigione di questo livello. Lascia fare a me.”

Le dita nodose del padrino non le scansò. Si voltò, consapevole che qualcosa si fosse spezzato nella sua espressione. “Gaius...” boccheggiò. “Che... che devo fare?”

La sua voce era quella di un bambino piccolo che aveva perduto la strada di casa.

“Per ora, solo spostarti,” disse il Guaritore, facendo un cenno con la testa agli altri giocatori.

Gwaine e Leon presero Merlin per le ascelle, sollevandolo e aiutandolo a stare in piedi.

Gaius esaminò velocemente Arthur e poi lo fece levitare verso l'infermeria mentre il professor Tristan allontanava gli studenti.

“Seguimi, ragazzo. Oggi impariamo un po' di nozioni di base con un'esercitazione pratica.”

Il Serpeverde obbedì al suo padrino, la gola stretta e i palmi sudati. Alzò brevemente la testa verso gli spalti, ma Morgana era già sparita.

 

 

Arthur si risvegliò solo a notte fonda. Merlin lo guardò tornare in sé nel silenzio dell'infermeria, il viso cinereo illuminato appena dalla candela sul comodino; Arthur sbatté le palpebre, perplesso, e al primo tentativo di movimento soffiò per una fitta di dolore.

Il Serpeverde rimase sul seggiolino accanto al letto, immobilizzato.

Arthur si voltò, accorgendosi di lui. Non disse niente ma lo guardò a lungo... e Merlin, finalmente, crollò: il petto tremò in un sospiro, i denti affondarono nel labbro inferiore, le lacrime già erano sul punto di uscire perché quella faccia, quella stupida faccia... c'era mancato poco che non la vedesse più.

Fu un singulto trattenuto troppo a lungo che sciolse le sue difese. Merlin si coprì il volto mentre Arthur rimetteva insieme i pezzi. Non lo vide toccarsi le bende che gli fasciavano la testa, né fissarlo a metà tra lo smarrito e il seccato. Lo sentì, però, mettersi seduto a fatica contro la spalliera del letto. Avrebbe voluto aiutarlo, ma era troppo impegnato a tentare di ritrovare il fiato tra i singhiozzi silenziosi che gli scuotevano le spalle.

Dio, non credeva di aver avuto tanta paura. Era arrivata di colpo e tutta insieme solo dopo aver scongiurato ogni possibilità che Arthur fosse ancora in pericolo.

Se non avesse avuto il naso pieno di muco e non fosse sembrato completamente ridicolo, ne avrebbe dette quattro a quell'asino. Era tutta colpa sua... Rischiare così per una stupida partita!

“Stai esagerando,” disse piano il Grifondoro, i polpastrelli che sfioravano il gomito di Merlin. “Nemmeno una ragazza avrebbe reagito in questo modo,” aggiunse, ma le sue parole furono ammorbidite dal tono provato. Anche la sua solita vena tagliente era risultata piuttosto fiacca.

Merlin lo scansò, ingoiando le lacrime. Fece un profondo respiro per calmarsi, contando fino a dieci prima di parlare. “Se mi fai prendere un altro spavento simile, la prossima volta che tentano di ucciderti e non ci riescono, lo farò io,” disse, asciugandosi il naso su una manica.

La smorfia disgustata di Arthur si tramutò in un sobbalzo trattenuto; medimagia o no, quando precipitavi metri e metri d'altezza gli effetti te li portavi dietro per un po'.

Il momento della caduta ritornò vivido nella memoria di Merlin: il Bolide che colpiva la coda della scopa, Arthur che spariva dal suo campo visivo, il rumore dello schianto...

Il Serpeverde si sedette sul bordo del letto accanto ad Arthur. La stanchezza era evidente sul volto di entrambi e così, inutile nasconderlo, anche lo spavento. Si avvicinarono l'uno all'altro a scatti, piano piano. Con attenzione, per non fargli male, Merlin appoggiò la testa sulla sua spalla. D'improvviso aveva bisogno di toccarlo – per rendersi conto che stava bene ma anche solo per sentirselo accanto.

“Guarda che non mi rompi mica! Non sono un fiore delicato,” sbottò il Grifondoro, tirandosi Merlin completamente addosso.

Lui non poté fare altro che scavarsi un posticino lì, tra il suo collo e il petto. Sospirò e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal calore rassicurante che il corpo di Arthur irradiava.

“L'uovo?” disse il biondo dopo qualche minuto di silenzio. Il suo tono era basso e stranamente morbido.

“Con Will,” bisbigliò Merlin. “Ti sento quando metti su quel broncio, sai.”

“Pff.” E poi: “Che è successo?”

“Sei caduto dalla scopa da un'altezza impressionante andando a sbattere di faccia contro la torretta dei commentatori,” riassunse il Serpeverde, secco.

“Altre cose che non siano ovvie?”

“Mmh...” valutò Merlin. “Il braccio sarà tornato a posto domani, il setto nasale è stato ricostruito e le ferite superficiali si sono rimarginate alla perfezione,” disse, lasciando un leggero buffetto prima sull'avambraccio di Arthur, poi sulla linea forte del naso, poi in mezzo alla fronte. “Non ti resteranno nemmeno le cicatrici... quelle le ho sistemate io, sai?”

“Mi hai messo le mani addosso tu? Allora è un miracolo che io sia vivo.”

Il Serpeverde si tirò su, il volto fermo e la voglia di scherzare del tutto scemata. “È un miracolo, sì. È stata Morgana a farti del male fino a questo punto, Arthur.”

“Cosa?” disse il Grifondoro, esasperato e incredulo insieme. “Merlin, no.”

Ecco che tornavano ancora lì.

“Sì, invece. Ascolta... devi ascoltarmi, stavolta,” disse Merlin, duramente. Sapeva che non sarebbe stato piacevole per Arthur, ma non poteva più fingere che Morgana non rappresentasse una minaccia per lui. “L'ho vista con i miei occhi. Ti stava chiaramente lanciando un incantesimo addosso.”

“No,” ribadì Arthur, categorico. “È la mia sorellastra, non lo farebbe mai.”

“L'hai detto tu che avrebbe preferito vederti morto piuttosto che pranzare insieme a Natale. Magari si è portata avanti con la tabella di marcia.”

Lui lo incenerì con un'occhiataccia. “Non andiamo d'accordo, è vero, ma non arriverebbe mai a tanto. La conosco,” disse, strizzando le lenzuola nei pugni chiusi. La mascella era tesa e le labbra tirate. Merlin non sapeva se credesse sul serio a ciò che stava affermando o se volesse solo disperatamente convincersi dell'innocenza di Morgana.

“Non è facile portare il cognome dei Pendragon,” disse Arthur. Dietro ogni sillaba c'era tanto dolore, ben nascosto ma abbastanza visibile da far male perfino a Merlin. “Anche lei è sottoposta alle mie stesse pressioni, non lo leggi il Profeta?”

Lui non rispose. Cosa avrebbe potuto dire a quel punto? Voleva che il Grifondoro aprisse gli occhi ma, allo stesso tempo, non voleva infliggergli altre sofferenze.

“Senti... mio padre...” iniziò Arthur, portandosi le mani sulla faccia. La sua schiena era come piegata dal peso di una vita; Merlin voleva solo allungarsi e abbracciarlo forte.

“La madre di Morgana era una strega e mio padre l'ha scoperto solo dopo la nascita di Morgana stessa. Lui non ha mai superato quella rivelazione... Della magia non si è mai fidato, forse proprio per quello. Nel nostro mondo non ha riconosciuto Morgana come sua figlia. La madre l'ha inserita subito all'interno della comunità magica; Morgana Pendragon per i Babbani non esiste.”

Il Serpeverde registrò quelle informazioni senza fare una piega. Gli dispiaceva – gli dispiaceva moltissimo, in realtà. Esistevano tanti tipi di discriminazione, troppi; lui sapeva cosa si provava a subire la diffidenza e il giudizio altrui, e non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico di vivere nell'odio.

Nessuna attenuante, però, avrebbe potuto giustificare quello che Morgana aveva fatto ad Arthur.

“Io... capisco cosa la mia sorellastra possa provare,” aggiunse il Grifondoro, lo sguardo puntato alle proprie nocche. “Mio padre non è il migliore degli uomini, ha commesso molti errori. Al posto suo, anche io lo odierei e odierei il figlio riconosciuto da tutti.”

“Commovente, sul serio,” intervenne una voce femminile.

Merlin si alzò di scatto portando la mano alla bacchetta; appoggiata allo stipite della porta c'era Morgana, le braccia incrociate severamente al petto. La sua bellezza algida era incrinata solo da una lieve ruga in mezzo alle sopracciglia. “Abbassa la bacchetta, Emrys,” disse con aria di sfida. “Sono di ritorno da un colloquio col preside, mi ha permesso lui di venire qui – a proposito, grazie per aver fatto la soffiata.

“Ho fatto quello che dovevo,” disse lui, appropriandosi delle parole rivoltegli dal preside nella Foresta Proibita.

Merlin...” disse Arthur, stancamente. Venne ignorato da entrambi.

“Scommetto che ti sarai sentito importante, credendo di aver colto con le mani nel sacco un'adepta dei Druidi mentre tentava di eliminare il suo bersaglio,” disse Morgana. Sorrideva, ma sembrava sforzarsi molto per trattenersi; era sul punto di esplodere. “Peccato che io, invece, Arthur lo stessi proteggendo con degli incantesimi scudo.”

Il Serpeverde rizzò la schiena, guardingo.

Morgana sospirò, strofinandosi un palmo sulla fronte con un gesto malfermo. “Ho avuto una visione... più di una, a dire la verità. Molte più di una,” disse amaramente. “Ho visto in sogno che qualcuno avrebbe attentato alla vita di Arthur durante la partita. Sono anni che sogno cose terribili, anni che questi incubi mi tolgono il sonno...” La sua voce s'incrinò orribilmente, e la ragazza dovette tapparsi la bocca, spaventata da ciò che si era lasciata scappare. Era palese che stesse cercando in tutti i modi di controllarsi.

“Morgana,” disse Arthur, un ordine a proseguire e una ruvida carezza insieme.

Merlin non poté che abbassare la bacchetta.

“Non so chi sia stato,” disse la strega, ingobbendosi appena. “Arthur... sei un idiota, ma lo so che sei un pochino più intelligente di lui... e che mi credi.” A quel punto alzò la testa, smarrita come Merlin (e forse come nessuno) l'aveva mai vista. “Non è vero che mi credi?”

Il Grifondoro rimase immerso nel silenzio grave, la lotta nelle pieghe vulnerabili della sua espressione. Alla fine si decise, tornando fiero e sicuro. “Merlin, lasciaci da soli,” disse.

Il Serpeverde lo guardò. Fu una comunicazione silenziosa fatta di occhiate intense:

Ti posso lasciare? Non mi fido di lei.

Fidati di me.

Merlin annuì quasi impercettibilmente. Lasciò i due fratellastri ma rimase fuori dalla porta, pronto ad agire nel caso qualcosa fosse andato storto. Non sentiva, dopotutto, la stretta familiare della corda; se Morgana in quel momento avesse rappresentato un vero pericolo, un segnale l'avrebbe già avvertito.

All'inizio, Arthur e la strega parlarono sommessamente. Nel giro di pochi respiri, però, il tono si alzò fino ad approdare a una vera discussione accesa.

“... Non hai mai capito-”

“-dato la possibilità...”
“Siete uguali!”

Fu quando le grida cessarono di colpo che Merlin dovette usare tutta la forza di volontà di cui disponeva, per non rientrare. Non resistette e guardò attraverso la fessura della porta: Morgana era tra le braccia di Arthur, scossa dai singhiozzi. Lui le accarezzava la testa goffamente, le dita sepolte tra i suoi boccoli neri.

 

 

La strega lasciò il letto del fratellastro dopo mezz'ora.

Merlin la stava aspettando alla fine del corridoio, appoggiato al muro e semi nascosto nell'ombra.

La vide asciugarsi gli occhi, pallida e triste, ma sempre altera nella sua aura di superiorità. Lei lo notò e fece per passargli oltre, ignorandolo.

“Io non sono Arthur e non ti credo,” disse Merlin, bloccandola con le sue parole. “Prova anche solo ad alzare un dito su di lui, prima o seconda volta che sia, e non risponderò delle mie azioni,” promise freddamente.

Gli occhi di Morgana lampeggiarono nel buio come quelli di un gatto. “Cosa sei diventato, Emrys?” disse. Non c'era ribrezzo nelle sue parole... piuttosto, curiosità e, forse, un sottilissimo velo di ammirazione.

Lui non disse nulla.

Le labbra della strega si piegarono in un sorrisetto, come se avesse ottenuto la risposta che desiderava. “Questo è il mio ultimo anno a scuola,” proseguì, “e non potrò più proteggere quello stolto del mio fratellastro quando sarò fuori da Hogwarts. Apri bene le orecchie, perché i miei sogni mi hanno rivelato dell'altro e sarai l'unico a poter fare qualcosa: l'anno prossimo, Arthur sarà in pericolo più che mai... Non riuscirà nemmeno a diventare capitano della squadra di Quidditch. E tu, Emrys... per salvarlo, arriverai a uccidere.”

Merlin sgranò gli occhi, incassando il colpo.

“Meglio che inizi ad abituarti all'idea,” mormorò Morgana prima di sparire oltre l'angolo.

Rimasto solo con i propri demoni, Merlin giunse presto alla conclusione che, dopotutto, non sarebbe stato molto difficile abituarsi.

Gli avevano quasi portato via Arthur, e lui avrebbe fatto qualunque cosa perché ciò non accadesse... anche a costo di stritolare i suoi nemici. Anche a costo di comportarsi come una vera Serpe.

Quell'incubo, ormai, non faceva più così tanta paura.

 

 

Merlin riuscì a mandar via Vivian e la sua amica Sophia solo con la complicità di Gaius, che annunciò che l'orario delle visite era terminato.

“E allora perché lui può restare?” protestò la fidanzata di Arthur, alzando il mento verso il Serpeverde.

“Perché sono l'apprendista del Guaritore,” rispose prontamente Merlin. Nel momento in cui pronunciò quelle parole, si accorse che gli piaceva molto il modo in cui suonavano. “Inoltre, Arthur si è addormentato, come vedete. Meglio lasciarlo riposare tranquillo.”

Vivian girò i tacchi, indignata, ma Sophia temporeggiò, lanciando prima uno sguardo da cucciolo verso Arthur e poi uno da Acromantula assassina a Merlin. Il mago fu colpito dall'idea che la ragazza fosse la prossima nella lista delle possibili fiamme di Arthur, e questo spiegava molte cose.

Alla fine riuscirono comunque a rimanere in pace.

Il Serpeverde si rannicchiò premendo i piedi contro lo sgabello e tirò fuori i suoi appunti di Aritmazia. “Puoi pure smetterla di fare finta, adesso,” commentò.

Arthur, che non stava affatto sonnecchiando, grugnì qualcosa di indistinto e si voltò su un fianco. “Stavo pensando...” iniziò dopo un po'.

Aveva messo su l'espressione determinata e onesta che faceva sì che tutti i suoi compagni di squadra eseguissero i suoi ordini anche se non era ancora capitano.

“Non sforzare troppo il cervello. Sei in convalescenza,” disse senza alcun briciolo di cattiveria Merlin (e con qualcosa di molto simile all'affetto, in realtà).

“Ah, ah, divertente... Pensavo a quello che mi è successo, comunque, al motivo per cui mi hanno fatto questo. Se qualcuno è capace di arrivare a tanto, il disagio dev'essere davvero forte. La paura per ciò che potrebbe rappresentare la nascita del nostro drago è davvero radicata in molti maghi, Merlin, e non me n'ero mai accorto. Mi ci è voluto questo per arrivare a capire.”

Il Serpeverde lo ascoltò solennemente, gli appunti già dimenticati che scivolavano placidi a terra.

“Però credo... che si possa trovare un modo per conciliare tutto. Alla base dell'odio c'è una concezione sbagliata... Tutta questa paura...” balbettò Arthur. “L'odio per chi è diverso genera solo altro odio,” decise alla fine. “E io lo so, perché non sono una persona migliore dei Druidi che hanno pensato di eliminare alla radice il problema, convinti di evitare per i loro simili maggiori sofferenze future. Fino a poco tempo fa, anche io vivevo nel pregiudizio. Avevo semplicemente creduto a quello che mi era stato insegnato.”

“Me lo ricordo vagamente,” scherzò il Serpeverde.

Arthur però era serio. “Vorrei che non fosse così. No – mi impegnerò affinché non sia così, affinché la situazione cambi. Non so come, non so se ne ho davvero la forza, ma ci proverò con tutto me stesso,” disse, quasi avesse bisogno di parlare a voce alta per convincersene. “Finora non avevo mai pensato davvero alla profezia dell'uovo di drago, ma... L'unione di due mondi, Merlin. Integrazione.” A quel punto cercò il suo viso, improvvisamente smarrito. “Credi... che sia possibile?”

Era così bello, tutto acceso nelle sue convinzioni, che Merlin non riuscì nemmeno più a ricordare perché mai non avrebbe dovuto credergli. Se Arthur diceva che l'avrebbe fatto, l'avrebbe fatto. Gli ci voleva solo una spintarella di incoraggiamento.

“Certo che sì,” annuì, sincero. Se quello era il sogno di Arthur, Merlin avrebbe fatto di tutto per farlo avverare, poiché intimatene sentiva che era diventato anche il suo, e in modo immediato.

“Tu puoi fare qualunque cosa, Arthur,” gli assicurò. Poi ci pensò un po' su. “Be'... Puoi fare qualunque cosa, sì, ma sempre che io sia al tuo fianco, stando a quanto avevi detto l'altra volta.”

Il Grifondoro gli scompigliò i capelli con uno sbuffo e, se la sua mano indugiò appena un po' più del normale tra i suoi riccioli scuri, Merlin non se ne lamentò.

 

 

In quell'esatto momento, l'uovo, immerso tra due cuscini imbottiti di piuma d'oca, oscillò. Will non se ne accorse, impegnato com'era nel tentare di stendere un saggio decente per il professor Muirden.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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