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Autore: Snow_Elk    26/12/2014    3 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

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Episodio III- Incontro Inaspettato


Continuava a piovere, ma quella sinfonia di gocce e freddo, di tuoni e lampi si era fatta più taciturna, un leggiadro sottofondo a quell’incontro inaspettato.
Si strinse nella giacca scura, i vestiti fradici attaccati alla pelle la stavano facendo tremare come una foglia e quello che aveva appena passato, insieme all’aver bevuto senza alcun contegno, di certo non l’aiutava. Anzi, il mal di testa peggiorava solo le cose, ogni singolo pensiero diventava una spina che si conficcava nella sua povera testa.
- Come ti senti?- sentiva le gocce d’acqua scivolare dai capelli bagnati fino alle guance, alcune fino al collo, e ognuna di loro era un brivido che faceva gelare il sangue nelle vene.
Strinse ancora di più la giacca, abbassò lievemente la testa e sospirò: ormai in quella notte di tempesta non riusciva più a distinguere cosa fosse reale e cosa fosse frutto dell’immaginazione.
- Alice, come ti senti? -  nell’udire il suo nome alzò lo sguardo e incrociò quegli occhi ambrati, circondati da una cornea nera come la notte stessa.
Erano inquietanti, ma al tempo stesso affascinanti, tenere testa a quegli occhi richiedeva uno sforzo immane, era come trattenere il respiro sott’acqua. Vuoi forse annegare?
- Non bene… - balbettò -… sono stanca- aggiunse, con la vista annebbiata e una stanchezza in corpo che non aveva mai provato in vita sua, nemmeno dopo la più cruenta delle battaglie.
- Che cosa ti è successo? – la sua voce era calda, anche sotto la pioggia.
- Non lo so, dannazione, non lo so!- esclamò, frustrata, allentando la presa sulla giacca, sentendo salire le lacrime. L’uomo rimase in silenzio, si sentivano solo le gocce di pioggia che si infrangevano contro la superficie dell’ombrello.
Fu lei a rompere quel silenzio, con un filo di voce:
- Chi sei? – chiese.
- Ora non ha importanza, devo portarti via da qui o ti beccherai un accidenti- rispose, fulminandola con lo sguardo, lei avrebbe voluto controbattere ma le forze la stavano abbandonando, mentre il freddo l’avvolgeva nella sua morsa di ghiaccio.
Vide l’uomo chiudere l’ombrello, sentì di nuovo la pioggia bagnarle il viso, e l’osservò stupita mentre si inginocchiava per prenderla in braccio: le posò un braccio dietro le spalle e l’altro sotto le gambe, vicino alle ginocchia, con la stessa delicatezza che si può riservare ad un neonato o ad una bambola di cristallo.
Lei gli circondò il collo con le braccia, quasi involontariamente, e posò la testa sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi. La sollevò con una facilità inumana.
Ignorando la pioggia battente, si lasciò cullare dai suoi passi per abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. L’ultima cosa che vide furono le sue labbra incresparsi in un mezzo sorriso, un fulmine squarciò il cielo e poi ci fu solo il buio.
 
                                                             […]
 
Bloccata. Non riusciva a muoversi, sentiva qualcosa che le serrava i polsi e le caviglie, qualcosa di freddo, metallico. Catene? No, non poteva essere, non voleva crederci.
Provò ad aprire gli occhi, ma non riuscì a vedere niente, se non un’oscurità macchiata di rosso.. L’avevano bendata? Chi? E perché? Sentì salire l’ansia e la paura quando tentò di dimenarsi senza grandi risultati. Bloccata, era davvero bloccata, ogni tentativo di movimento era vano e contribuiva solo a rendere la presa delle catene più persistente e ossessiva, una prigionia che le stava lacerando la pelle e le carni, se non l’anima stessa.
Era coricata su qualcosa di morbido, forse un letto, ma non aveva importanza perché ciò che la spaventava di più era la sensazione di essere completamente nuda e, con ogni probabilità, lo era. Rabbrividì.
- Liberatemi!- urlò, presa dal panico, si era sempre reputata pronta a tutto, ma mai avrebbe immaginato qualcosa del genere, mai.
- E’ forse paura quella che percepisco nella tua voce?- le chiese una voce familiare. Profumo di petali calpestati, di animanera appena versato.
- Debran? Sei tu? Che cosa mi hai fatto?- la confusione e la paura la stavano divorando come due avvoltoi famelici. L’esser bloccata e il non poter vedere la faceva sentire terribilmente fragile, tanto che una semplice carezza avrebbe potuta spezzarla.
- Io? Io non ho fatto nulla. Questa è tutta opera tua, mia piccola Alice-  ogni singola parola rappresentava una fitta al cuore, un respiro in meno, si sentiva mancare e non poteva fare nulla per impedirlo.
- Non è vero, io… io non potrei mai… - si interruppe, sentiva che era vicino, molto vicino, ma ancor più che qualcosa dentro di lei le impediva di negare quella sorta di accusa sottintesa e ciò la inquietava.
- La parte più profonda della tua anima reclama tutto ciò, mia piccola Alice, io l’ho sentita urlare, sta bruciando di desiderio. Mi capisci, non è così? – doveva trovarsi ad un soffio da lei, lo percepiva, e quando sentì le sue fredde mani accarezzarle il corpo nudo, fino a giungere ai seni, sussultò, facendo tentennare le catene.
- Lasciami andare, lasciami andare! – urlò a squarciagola in preda a qualcosa che oscillava tra il terrore più puro e la rabbia più oscura. Debran rise di gusto, continuando a sfiorarla per il solo diletto di vederla rabbrividire ogni volta. Le si avvicinò con le labbra all’orecchio, smuovendo l’aria quel tanto che bastava a farle capire che era vicino, troppo vicino.
- Non posso, mia piccola Alice, perché sei mia… solo mia! – le morse l’orecchio e lei  urlò, alzandosi di scatto da quella prigionia e all’improvviso non sentì più la presa fredda delle catene, né tantomeno la sottile presenza della benda che le impediva di vedere.
Spalancò gli occhi, terrorizzata, accecata dalla luce del sole che filtrava da una grande finestra e percependo che c’era ancora qualcuno accanto a lei esclamò – Falce! – e l’enorme arma doppia lama si smaterializzò tra le sue mani e fendendo l’aria stessa roteò per scagliarsi contro colui che l’aveva imprigionata e umiliata, contro Debran.
Sentì qualcosa di poderoso bloccare il suo fendente, un intenso profumo di rose e infine l’aroma del tabacco che bruciava lentamente. Tutto ciò non aveva senso.
La confusione la attanagliò in una morsa soffocante e quando finalmente la vista si adattò all’intensa luce del sole rimase stupita: niente catene, niente bende, era vestita, coricata in un letto morbido e profumato, e dall’altra parte della falce, dove ci sarebbe dovuto essere Debran e il suo sguardo sadico c’era lo stesso uomo che l’aveva soccorsa sotto la pioggia, quando era scappata dal Picchiere Nero.
Aveva bloccato l’enorme lama violacea tra due dita, come se fosse stato un semplice foglio di carta, la osservava con estrema calma, restando immobile, mentre nell’altra mano reggeva una sigaretta sottile che ardeva silenziosa, rilasciando piccole scie grigiastre che si perdevano tra i raggi del sole. Nel suo sguardo c’era una calma estrema, un intero oceano dorato che non fiatava.
- E’ così che tratti le persone che ti salvano la vita?- un mezzo sorriso smosse quella maschera impassibile che la stava fissando quasi in modo inquisitorio.
- No, è solo che…- aveva appena fatto una pessima figura, una scenata che il comandante dei Loto Nero non si sarebbe mai potuta permettere. Non arrossì solo perché se lo impose con tutte le sue forze, si limitò ad abbassare la testa e  a far sparire la falce in un volo di farfalle dalle ali color ametista. L’altro osservò quel piccolo spettacolo e questa volta sorrise di gusto, tra una boccata e l’altra.
- Un brutto sogno, giusto? – le chiese, porgendole un portasigarette completamente in argento e finemente decorato, notando i suoi sudori freddi. Lei ne afferrò una e sorrise divertita quando l’altro la accese con un semplice schiocco delle dita.
- Come diavolo hai fatto? Vieni forse dal regno di Agni? – aspirò una boccata e si sentì rinascere, dopotutto la stanchezza era diventata l’eco di se stessa e perfino il mal di testa aveva smesso di urlare nella sua mente. Stava meglio, stava decisamente meglio,  tralasciando quel sogno.
- No, diciamo che me l’ha insegnato un vecchio amico. Non hai ancora risposto alla mia domanda – era poggiato contro la parete, braccia incrociate e una camicia piena di merletti che lasciava intravedere parte del petto oltre la cravatta allentata.
- Ah, giusto, comunque sì, anche se lo definirei più un incubo… da quanto tempo sono qui? – un’altra boccata, un’altra occhiata all’ambiente che la circondava: sembrava uno di quei palazzi estremamente eleganti e ben curati che di solito si potevano permettere solo i gran signori di Randall o più grandi rappresentanti della Sala degli Evocatori di Akras. Un lusso sobrio, fatto di drappeggi di seta, mobili in legno finemente decorati, quadri che contribuivano a rendere l’ambiente più confortante e altri oggetti che non aveva mai visto in vita sua, ma che si aggiungevano a quell’armonia di colori e forme.
- Hai dormito per due giorni di fila, dovevi essere stremata, penso che nemmeno Lucius in persona sarebbe riuscito a svegliarti-  scoppiarono entrambi a ridere, doveva ammettere che quella stanza trasmetteva sicurezza e serenità proprio come il padrone di casa, di cui ancora non sapeva nemmeno il nome.
- Non mi hai ancora detto come ti chiami, tu invece a quanto pare conosci già il mio nome, anzi, sembra che ormai lo sappiate tutti- espirò il fumo della sigaretta e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, dove si intravedeva un grande giardino rigoglioso e in lontananza l’Akras Summoner Lab.
- Ormai tutti conoscono le gesta dei Loto Nero e del loro comandante, quindi è normale che il tuo nome sia sulla bocca di tutti. Non trovi?- l’aveva fregata con una sola risposta, doveva ammetterlo- Comunque sia, hai ragione, non mi sono ancora presentato: mi chiamo Xem Von Mindersel, e sono un rappresentante del secondo ordine di Akras, nonché fumatore accanito e qualcos’altro che ora non ricordo. Contenta?- le strappò un altro sorriso, proprio a lei che non era mai stata in vena di fare amicizie che non fossero strettamente necessarie. C’era qualcosa in lei che stava cambiando, l’aveva percepito, era stata solo una sensazione, ma non doveva sottovalutarla, non dopo quello che era successo.
- Immagino che debba ringraziarti per ciò che hai fatto l’altra sera …– pronunciò quelle parole con estrema difficoltà, non era abituata a ringraziare gli altri, piuttosto ad insultarli o a schernirli per bene, prima di dargliene di santa ragione.
- Non l’ho fatto mica per essere elogiato o altro, non devi ringraziarmi, eppure non capisco come la grande Loto Nero si possa essere ridotta in quello stato – sentì il suo sguardo indagatore squadrarla dalla testa ai piedi, ma ancor di più quel nodo alla gola che quasi le impediva di respirare.
- E allora per cosa?  La gente non fa mai nulla gratuitamente, cerca sembra di ottenere una ricompensa, qualcosa in cambio – si era accorta che indossava una lunga camicia da notte color porpora dai riflessi dorati, il che significava che l’aveva spogliata lui stesso, per non farla dormire con quei vestiti fradici. Era stato un gesto educato e rispettoso da parte sua, ma al pensiero di esser rimasta “nuda” e senza sensi davanti a quell’uomo sentì le guance avvampare e distolse lo sguardo dal suo interlocutore, facendo finta di tornare a scrutare l’orizzonte e la skyline della capitale regia.
- Per nulla, avresti preferito che ti lasciassi lì, sotto la pioggia a piangere come una ragazzina? – c’era una velata ironia nelle sue parole, e Alice nell’udirle sentì ribollirle il sangue nelle vene e per poco non spezzò la sigaretta che si stava consumando tra le sue dita con estrema lentezza.
- No, tu non sai cosa mi è capitato, non puoi giudicarsi senza sapere…- sibilò, aspirando un’ultima volta prima di spegnere la sigaretta in un posacenere a forma di drago.
- E allora perché non me lo racconti? O hai paura di farlo, comandante? – quell’atteggiamento spavaldo, l’averla interpellata col suo grado nell’esercito di Akras, non capiva se era semplice educazione mascherata da qualcos’altro o un tentativo dannatamente visibile di farle venire il sangue acido. Si sarebbe odiata per quello che stava per dire, ma non aveva scelta.
- La seconda… - si morse le labbra con forza – Per la prima volta in vita mia, perché sai… di solito sono io ad incuterla negli altri- strinse i pugni, picchiandoli con forza contro la superficie morbida ed increspata delle coperte.
- Non devi fartene una vergogna, Loto Nero, c’è sempre una prima volta, per qualunque cosa. Non trovi? – quel tono pacato e calmo, sembrava miele caldo che arrivava a lenire anche il cuore più sofferente.
- Non chiamarmi in quel modo, quello è il mio nome di battaglia, Alice, Alice andrà benissimo. Comunque sì, immagino di sì- doveva ammettere che nel parlare con Xem l’inquietudine e il caos  della notte della tempesta erano svaniti, dissolti nel fumo delle sigarette, eppure quella sinfonia di confusione continuava a riecheggiare nella sua anima.
- D’accordo, Alice, vedo che impari in fretta – l’uomo le diede le spalle per alcuni attimi e quando si voltò di nuovo verso di lei le lanciò qualcosa che afferrò con sicurezza: erano i suoi vestiti, asciutti, profumavano di bucato appena fatto e se non li avesse già indossati prima avrebbe potuto tranquillamente dire che erano nuovi.
- Hai intenzione di continuare a poltrire nel letto per altri due giorni? Non ti facevo così sfaticata- un sorriso di sfida si incurvò sulle labbra di Xem, mentre si accendeva un’altra sigaretta. Lei sorrise di rimando:
- Non di certo!- esclamò, iniziando a cambiarsi con nonchalance, sentendo scorrere dentro di lei quell’energia che l’aveva sempre contraddistinta e spinta dove gli altri non erano mai arrivati. Si cambiò in fretta e quando fu pronta lanciò uno sguardo al  padrone di casa:
- Grazie per tutto, Xem, dico davvero, non dimenticherò ciò che hai fatto per me – gli sussurrò evocando nuovamente la falce al suo cospetto.
- Non lo metto in dubbio, Alice. Dove andrai ora? – i loro sguardi si incrociarono per alcuni secondi e Alice sentì un leggero tepore invaderle il petto.
- A fare il mio dovere sul campo di battaglia, dove altrimenti? – rispose, con un ultimo sorriso, scacciando ogni pensiero negativo, bramando la battaglia e tutta la sua foga… ignorando che per un attimo nel riflesso della finestra aveva visto Debran e i suoi occhi di fuoco.
 
 
 
   
 
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