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Autore: alberodellefarfalle    26/12/2014    1 recensioni
AMORE IN CORSIA
Raccolta di one-shot con un unico comun denominatore: la corsia di un ospedale. L'amore tra studenti di medicina, infermieri, medici e pazienti in una serie di storie pubblicate non appena la mia testolina ne produrrà qualcuna. Perchè la corsia di un ospedale? Perchè è il mio mondo e perchè è un posto dove puoi incontrare tantissime persone e magari tra la sofferenza e il dolore scoprire la vita e l'amore. Buona lettura.
PS Ho aggiunto all'inizio di ogni capitolo un piccolo riassunto, così sapete ogni volta di cosa si tratta e potete scegliere cosa e quando leggere. Trattandosi di storie indipendenti l'una dall'altra potete leggerne una piuttosto che un'altra, una prima di un'altra. Ovviamente io spero che le leggiate tutte e che vi piacciano tutte, ma sta a voi scegliere. Di nuovo BUONA LETTURA.
NB L'ultima piccola fatica è una storia a cui tengo tantissimo, liberamente ispirata a fatti veri.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Liberamente ispirata a una persona molto importante, a cui la dedico con tutto il cuore. Buon Natale!

 
Favola di Natale
LA REGINA DI GHIACCIO E I PORTATORI DI SPERANZA

 

Mi ci vogliono ben due caffè per riprendermi. Questo tirocinio a pediatria mi sta distruggendo. Amo quello che studio, amo quello che farò da grande, ma il tirocinio a pediatria risulta il più impegnativo di tutti. Sarà per i bambini a cui dobbiamo sempre stare appresso? Ma sono così adorabili ed è difficile dire loro di no. Certo, il librone sulla mia scrivania non aiuta molto a rendermi sveglia, felice e pimpante. Se ci penso, mi viene la nausea. Ma chi me l’ha fatto fare programmare un esame a dicembre? Sto impazzendo. “Margherita?” Abbasso lo sguardo su una nanerottola di cinque anni, con due occhioni nocciola che mi fissano supplicanti. “Dimmi, Letizia.” Le sorrido. Come si fa a non amarli? “Vieni a giocare con me? Ti prego!” Gli occhi le si riempiono di lacrime, mentre, singhiozzando, mi dice che ieri sera hanno portato via la sua amica del cuore, nonché compagna di stanza. Per fortuna la bambina di cui parla è stata dimessa, ma Letizia è triste. Come spiegarle adesso che oggi potrò arrivare alla sua stanza solo fra due ore? Oggi il mio tutor mi vuole a suo fianco per affrontare i genitori di Davide. Purtroppo per loro non abbiamo buone notizie. Se penso allo scricciolo di due anni a cui non riusciamo a fare una diagnosi certa, mi viene un nodo alla gola. Se solo riuscissimo a capire perché peggiora di giorno in giorno. Vorrei poter dare ai suoi genitori una buona notizia, vorrei poter donare loro un sereno e felice Natale. Mi riscuoto e abbraccio Letizia per farla calmare. “Tesoro, oggi purtroppo non posso venire a giocare subito con te. Ma ti prometto che appena finisco corro da te e mi faccio perdonare.” Sporge il labbro, triste, e mi guarda con gli occhi lucidi. Come faccio? “Piccola?” una voce alle mie spalle ci distrae e mi volto a guardare chi è. “Se parli con me, non sono piccola.” Dice piccata Letizia, fissando Marco. Scoppio a ridere. Mi alzo e lo vado a salutare con un bacio sulla guancia. “Che ci fai qui?” chiedo curiosa. Lui scrolla le spalle. “Sono venuto a giocare con i marmocchi.” Alzo il sopracciglio, scettica. “Cos’è, i tuoi amichetti ti hanno dato buca e sei in cerca di compagnia?” Chiedo divertita. “Proprio così!” e ghigna “Mi accompagni nella sala giochi e mi fai un po’ di compagnia? Mi sento così solo.” Dice rivolto a Letizia. Lei lo guarda scocciata, poi, sbuffando, stringe la mano che le offre e si allontanano insieme.

Dopo aver parlato con i genitori di Davide, io, il mio tutor e la sua squadra, abbiamo fatto il punto della situazione. Abbiamo rimesso in gioco vecchie ipotesi e proposto di nuove. A Davide domani toccherà una nuova serie di analisi. Spero solo che serva a qualcosa. Sfinita, stremata, ma soprattutto triste, mi avvio allo spogliatoio per recuperare le mie cose. Quando passo di fronte la sala giochi, scorgo dalla porta Marco. È seduto a terra, a gambe incrociate. La risata della piccola Letizia riempie la stanza, mentre Marco la guarda felice. Chissà che cosa hanno fatto tutto questo tempo. Marco si volta a guardarmi e i suoi occhi brillano, i capelli castani risplendono illuminati dal sole e delle simpatiche fossette compaiono a fianco del suo sorriso. Mi fa segno di avvicinarmi a loro. Resto qualche secondo ferma a guardarli. Qualche secondo di troppo, direi. Lui alza un sopracciglio interrogativo e io mi riscuoto. Letizia mi viene incontro. “Finalmente sei arrivata.” Mi abbraccia, mentre io guardo dall’altro Marco, ancora seduto per terra, alle sue spalle. Mi sorride. Ha un bel sorriso, un sorriso che mette il buon umore e io ne ho proprio bisogno. «Secondo me ti piace, è solo che hai paura di ammetterlo. Non succede nulla se lo dici.» Mi ritornano in mente le parole della mia amica Carla. Lei e i suoi discorsi assurdi. Sbuffo e mi siedo di fronte a Marco, con il piccolo koala aggrappato a me. “Allora, che avete fatto di bello?” chiedo ad entrambi. Ovviamente è Letizia a sommergermi di racconti di disegni, giochi, storie e favole. “Sai … “ dice a un certo punto “… abbiamo inventato la storia di una principessa che si divertiva a rincorrere le farfalle. Ma lo sai che le farfalle sono i miei animali preferiti?” E come dimenticarlo? “E poi si sbucciava un ginocchio cadendo e allora arrivava una fata vestita di bianco, che la faceva guarire. L’abbiamo chiamata Margherita, come te. Ti piace?” annuisco e le do un bacio sul nasino. “Ti somigliava anche questa fata. Era bella come te.” Per la prima volta interviene Marco, che mi guada serio, con una strana luce negli occhi. Io arrossisco e ringrazio mentalmente Letizia che mi tiene ancora abbracciata, nascondendomi ai suoi occhi. «Ma poi come fai a dire che non gli interessi? Si vede da come ti guarda che non è così.» di nuovo le parole di Carla. Mi sembra quasi di vedere una sua miniatura, sulla mia spalla, gesticolare mentre parla. Come un diavoletto o un grillo parlante.  
Io e Marco usciamo in silenzio, dopo aver accompagnato Letizia nella sua stanza. Perché mi sento così a disagio? È Marco, solo Marco. Quello stesso ragazzo che ho conosciuto per caso ad un corso facoltativo, un ragazzo che a primo sguardo nemmeno mi stava simpatico. Un ragazzo, che, senza che me ne rendessi conto, è invece entrato a far parte della mia vita, piano, piano. Un ragazzo che mi ha invitato a festeggiare con lui un 27 di una materia data esattamente un anno prima. Me lo ricordo ancora quel giorno: Io e Carla eravamo andati a seguire gli esami di una materia che presto avremmo dato e lì lo avevo rivisto dopo mesi. Io e Marco non avevamo mai avuto un gran rapporto, solo qualche frase scambiata per caso, per cortesia. Niente di più e niente di meno. Carla sosteneva che in realtà ci fosse molto altro sotto, da parte di entrambi. I sorrisi, i racconti che le facevo, per lei erano molto di più. Inguaribile romantica! Lei e le sue favole: fantasticherie di una sognatrice ad occhi aperti. «Regina di ghiaccio», mi avrebbe risposto lei. Al di là delle assurde idee di Carla, Marco è diventato una parte importante della mia vita. Allora perché sentirsi in imbarazzo così? 
“Ti va se mangiamo qualcosa insieme?” mi propone e io sono tentata di rifiutare, ma voglio dimostrare a me stessa che non c’è alcun motivo per rifiutare e continuare a rimuginare sul nostro rapporto. Quindi accetto. Bella coerenza, la mia.  Ci sediamo al tavolo di un bar poco distante e ordiniamo un panino, che divoro, letteralmente. Non mi ero nemmeno resa conto di avere così fame. Ci scambiamo poche parole, su lezioni e argomenti da studiare. Marco è un anno più grande di me ed è sempre pronto a darmi consigli utili. È un buon collega, oltre che un buon amico. Gli piacerebbe diventare un pediatra e io lo vedo proprio circondato dai piccoletti, prendersi cura di loro e dei loro genitori. “Fai l’internato a pediatria adesso?” chiedo curiosa, mentre restano gli ultimi bocconi del mio panino prosciutto e mozzarella. Scuote la testa “No. Ormai da due anni vado lì per le mie vacanze di Natale a passare un po’ di tempo con i bambini ricoverati e i loro genitori. È il periodo più triste dell’anno da passare dentro un ospedale. Mi piace vederli sorridere almeno un po’. É l’unico momento che ho per prendermi cura di loro così, perché per il resto dell’anno mi tocca studiare e frequentare i tirocini e l’internato. Sai bene che è una vita piuttosto frenetica, ma ci tengo a fare questa cosa. Credo che curare una persona sia anche questo.” È un ragazzo eccezionale: ha un grande cuore, è uno studente modello, molto responsabile e poi si vede chiaramente che quello che studia, quello che fa, lo appassionano. Un giorno sarà un grande medico. Poggio la mano sulla sua e anche io sussulto per il contatto inaspettato. Mi guarda interrogativo. Mi schiarisco la voce “Sarai un grande medico.” Sorrido un po’ imbarazzata, ma mi rifiuto di scostare la mano dalla sua. Che diavolo mi prende? Sento diffondersi un leggero rossore sulle guance e il cuore iniziare a battere ad una velocità maggiore. Cosa mi succede? Perché improvvisamente prendere un panino con Marco è diventato così imbarazzante? Perché parlare con lui è diventato così … così … emozionate? Mi alzo di scatto, rossa in viso. “Scusami, devo andare. Ho un esame tra pochi giorni e devo studiare.” Gli sfioro la guancia con un bacio “Auguri, se non ci vediamo, passa delle belle vacanze.” E quasi scappo via. Ma prima di scomparire del tutto dalla sua vista faccio il fatale errore di voltarmi a guardarlo e non posso fare a meno di notare il suo sguardo corrucciato. Agito la mano in segno di saluto e lui risponde aprendosi in un sorriso, facendo ricomparire quelle stramaledette fossette. Io adoro quelle fossette. Mi vorrei prendere a botte in testa. Devo aver preso uno strano virus. Da quando adoro le fossette di Marco? Da quando mi incanto a guardare il suo sorriso e i suoi splendidi occhi nocciola, che brillano? Ma hanno sempre brillato così? 

Carica di un buon risultato ottenuto, ritorno in reparto sorridente e carica di energie come non mi capitava da tempo. L’ansia per l’esame, unita alla stanchezza, mi aveva sfinito. La mia felicità, però, viene subito spazzata via dalla cattiva notizia che mi comunica il mio tutor: la diagnosi per il piccolo Davide non è affatto buona. Ci toccherà comunicarlo oggi ai suoi genitori. Vorrei poter fuggire, dimenticare tutto, o meglio far finta di dimenticare. Ma il mio tutor mi vuole a suo fianco e questa cosa mi sembra così ingiusta. Non sono ancora un medico, non sono ancora pronta per affrontare una situazione del genere. Presa dal panico, chiedo qualche minuto prima di andare dai genitori di Davide e mi precipito fuori per prendere aria. Ma, ancora prima di raggiungere l’ingresso, mi scontro con Marco. Distratta e con il capo chino, non l’ho visto arrivare e ci sono finita addosso. “Scusa. Non ho fatto in tempo a scansarmi.” Mi dice. Io non ho nemmeno la forza, e forse nemmeno la voglia, di allontanarmi. “Che succede?” mi solleva la testa e mi fissa preoccupato. Come farò a diventare un medico se non riesco a reggere una notizia negativa? Forse questo lavoro non fa per me. Scuoto la testa e cerco di cacciare indietro le lacrime. Povero piccolo Davide. Con quale coraggio daremo questa notizia ai suoi genitori? “Ehi, vieni qui.” Mi abbraccia, mi stringe a sé e io non posso più controllare le lacrime. Quando smetto di singhiozzare mi prende per mano e mi conduce attraverso un corridoio e mi fa entrare in una stanza piena di scartoffie, tutta in disordine. Deve essere una specie di archivio o sgabuzzino. La luce della lampadina, unica fonte, è fioca. Attraverso la porta si sentono i bambini del reparto cantare qualcosa. Osservo la porta chiusa e ritorno a pensare al piccolo Davide. Potrà mai tornare a cantare, correre e giocare? “Quando si avvicina il Natale, c’è una tradizione da rispettare in questo reparto: vedere un cartone animato al giorno. I bambini lo adorano e di solito iniziano a cantare le canzoni.” Mi spiega. Deve essere un canto del genere che si sentiva poco fa. Marco sorride quando porto gli occhi su di lui. “Non dovrebbero illudere i bambini così. il mondo reale non è quello dei cartoni animati o delle favole.” Lui per risposta prende le mie mani tra le sue. “Che succede?” mi chiede, serio, quasi preoccupato. Non sono mai stata così cinica, non fino a questo punto. Io sto in silenzio per un po’ ad osservarlo e a bearmi del calore che le sue mani danno alle mie. “Si tratta del piccolo Davide.” Sospiro “Il paziente di due anni di cui ti parlavo l’altro giorno. Non ci sono buone notizie e oggi dobbiamo comunicarlo ai suoi genitori. Mi spieghi come faccio? Come farò? Se resto sconvolta per una cattiva notizia, come farò a fare il medico? Come faremo a dire a due persone eccezionali, due genitori meravigliosi come loro, che il loro bambino ha poche speranze di guarigione? Come faremo a dire loro che forse questo sarà l’ultimo Natale che passeranno insieme? Con quale coraggio voglio fare il medico, se devo dare brutte notizie? Come farò a vivere un Natale gioioso, se so che loro non potranno vivere felici? Come si fa a vivere felici? Come si fa a essere solo portatori di cattive notizie?” Lo guardo, chiedendomi se ha capito qualcosa della raffica di parole che ho sputato. Non so nemmeno se tutto quello che ho detto abbia un senso. “Calmati. Sarai un buon medico e il fatto che tu prenda così a cuore una situazione del genere vuol dire che non sarai solo un buon medico ma un ottimo medico. È inevitabile affezionarsi alle persone, ai pazienti, alle loro storie. Non siamo robot, ma persone. Le cattive notizie ci sono e ci saranno sempre, ma ci sono anche le buone notizie. Resta sempre la speranza, la speranza nella guarigione, la speranza in una possibile cura, la speranza di vivere anche solo pochi giorni, ma felici. Non è detto che per Davide non ci siano speranze. Dobbiamo sempre avere speranza. Ricordalo, non dimenticarlo mai, Margherita: NOI SIAMO PORTATORI DI SPERANZA.” I nostri occhi restano incatenati a specchiarsi gli uni negli altri. NOI SIAMO PORTATORI DI SPERANZA. Risuonano le sue parole. Sembrano rimbalzare alle pareti della stanza e mescolarsi alle voci dei bambini, che hanno ripreso a cantare. 
Sorrido e, come se mi stessi guardando a uno specchio, anche Marco sorride, facendo ricomparire le sue adorabili fossette. A questa visione, non resisto e, repentina, annullo la distanza che ci separa e poggio le labbra sulle sue. Uno sfiorarsi delicato, che sorprende Marco quanto me. Cosa mi è preso? Ma prima che possa ritrarmi, lui mi circonda la vita con un braccio e mi fa più vicina a sé, approfondendo il bacio. Mi lascio andare e, ormai appoggiata completamente a lui, chiudo gli occhi e mi godo la moltitudine di emozioni che mi investe. Le sue mani sono poggiate aperte alla base della mia schiena e fanno una leggera pressione per avvicinarmi a lui, come se fosse necessario, come se il mio corpo non fosse già totalmente contro il suo.  Quando ci allontaniamo per prendere fiato, apro con fatica gli occhi e lo osservo. Sorride e questo basta a spazzare via i miei dubbi. Sorrido anch’io e lo stupore, che avevo intravisto nei suoi occhi, lascia il posto alla pura felicità. “Dimmi perché abbiamo aspettato tutto questo tempo.” mi dice, facendo sfiorare i nostri nasi un po’ freddi, viste le temperature. Il suo respiro si infrange sulle mie labbra e io rabbrividisco di aspettativa e molto altro. “Non lo so.” E scuoto la testa. «Siete due scemi.» ricordo le parole di Carla, che sembra essersi eletta (da sola. Direi che questa è dittatura!) a mio personalissimo “Grillo Parlante”. Scoppio a ridere. “Cosa c’è?” mi chiede Marco, guardandomi con un sopracciglio sollevato, ma senza smettere di sorridere. Spinta da non so quale forza, accarezzo il suo sopracciglio con l’indice, fino a giungere alla sua guancia e a una delle due fossette, ai lati delle sue labbra. “Niente.” E alzo le spalle, con noncuranza. Non mi sembra il momento di dirgli che il mio Grillo Parlante aveva predetto questo momento molto tempo fa. 
“Andiamo? Ti accompagno.” Annuisco e usciamo. Marco mi stringe la mano. “Siamo portatori di speranza.” Mi sussurra per darmi coraggio. SIAMO PORTATORI DI SPERANZA, ripeto tra me e me. 
Attraversando il corridoio, mano nella mano con Marco, riconosco la colonna sonora di “Frozen”. È normale che una ragazza di 23 anni conosca un cartone animato? Sì! E se non lo conoscete è perché non avete un’amica pazza come Carla. «Solo un atto d’amore può sciogliere un cuore di ghiaccio.» Ricordo il mio pazzo Grillo Parlante citare proprio “Frozen”, dicendomi che io, Regina di ghiaccio, prima o poi mi sarei sciolta con Marco. Dovrò darle ragione e se ne vanterà per tutta la vita. Che sfortuna! Sorrido e stringo ancor di più la sua mano. 
Ci fermiamo davanti la porta della camera di Davide per aspettare il mio tutor. Sfioro le labbra di Marco con le mie e mi stringo a lui. Solo qualche altro secondo per attingere un po’ di forza. “Mi aspetti qui? Poi andiamo dagli altri piccoletti a vedere con loro Frozen?” lui annuisce e ci baciamo di nuovo. Un bacio a stampo, molto dolce e molto romantico, in grado di sciogliermi del tutto. Prendo un bel respiro e mi allontano, senza però smettere di specchiarmi nei suoi bellissimi occhi. “Adesso devo andare. Devo compiere il mio atto d’amore: devo portare speranza.” 



Angolo Autrice: lo so che manco da molto tempo, ma ho avuto una vita un po' incasinata. Dedico questo racconto alla mia migliore amica, a cui mi sono ispirata per la protagonista. E lo dedico a tutti quelli che soffrono e a chi si prende cura di loro.
A voi, che in questo anno e mezzo (più o meno) mi avete donato tanto, volevo fare gli Auguri di un Sereno e Felice Natale e di Buon Anno. Che questo 2015 sia per tutti voi un anno pieno di emozioni, esperienze e Amore. Buone feste a tutti! Baci.

Chiara


PS Un pensiero particolare a tutti i "Grilli Parlanti", perchè ognuno ne ha sempre uno e se non ce l'avete, vi auguro con tutto il cuore di trovarlo. Cri cri :*
  
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