Una
folata di vento fece muovere le lenzuola bianche e i capelli di Hinata.
«Dimmene
un’altra» sussurrò Naruto, perdendosi in quei fili di seta nera che si
confondevano nella notte.
Hinata
si mordicchiò il labbro inferiore, giocando con la cintura del tanzen a motivi
floreali che indossava. «Luna»
sussurrò poi, alzando lo sguardo verso Naruto – lui non se ne accorgeva mai, di
quanto i suoi occhi brillassero nella notte. L’azzurro del cielo diventava
scuro, simile all’indaco, ed erano illuminati da una piccola stella che nasceva
sul loro fondo, come un fiore sul punto di sbocciare. Era diventato più bello –
lei se n’era accorta. I suoi lineamenti erano più fini, il viso più allungato e
il taglio degli occhi e del naso e delle labbra più marcati, maturi. Arrossì e
abbassò lo sguardo, cercando qualcos’altro su cui concentrarsi.
Naruto
si fermò, strappando qualche ciuffo d’erba, «luna mi piace» e sorrise, di un sorriso che scaldava il cuore. I
loro occhi si incrociarono per un momento e Naruto ritornò a guardare il
giardino su cui era seduto. Improvvisamente, gli sembrò una così pessima idea venirla a trovare, di sera,
a casa sua – quando sapeva che lui ad Hiashi Hyuga non andava giù. Non bastava aver salvato il villaggio
e reso più felice la sua primogenita, no. Naruto rimaneva un…
come lo aveva chiamato? Teppista? Non ricordava, e francamente non voleva
nemmeno. Hinata rimaneva silenziosa, vicino a lui, con le ginocchia raccolte al
petto, seduta sull’engawa.
Nascondeva un sorriso timido e le guance rosse dietro ciuffi di capelli che le
volavano davanti al viso. Era di una bellezza rara, a Naruto sembrò di non
averla mai vista così, simile ad una gemma preziosa – sembrava il riflesso di
una persona nell’acqua, così pallida e sfuggente. Non voleva toccarla per paura
di romperla, per paura di farla agitare e ridurre a pezzi quell’incantesimo che
l’avvolgeva così teneramente che a lui sembrò impossibile che fosse la stessa
ragazzina goffa che sveniva tutte le volte che lui le parlava.
«Quindi
sole è una parola del giorno?» gli
sembrò una domanda così stupida, così insensata, che perfino Hinata avrebbe
riso alla sua ignoranza. Alzò lo sguardo, facendosi coraggio, affrontando la
sua disfatta da vero uomo.
«Sì,
Naruto-kun» gli rispose con la voce delle farfalle e
dell’autunno, con la fragilità delle foglie ingiallite e della musica triste di
una vedova. A Naruto venne voglia di abbracciarla e scaldarla e amarla per
tutto quel tempo in cui lei ha amato lui senza rimpianti. Sentiva nello stomaco
fiori nascere e sbocciare e rivolgersi a lei come i girasoli facevano alla luce.
Fu
sul punto di chiederle di nascondersi in camera sua, di poterla abbracciare
durante la notte e scoprire se la sua pelle era fredda come sembrava, se era
fatta di porcellana o del riflesso della luna sullo specchio dell’acqua. Hinata
aveva la consistenza di un sogno e pensare che gli era stato accanto per tutto
questo tempo la rendeva sempre meno reale.
«Naruto-kun, è tardi…» mormorò,
allungando una mano per appoggiarla sulla sua spalla. Aveva i polsi piccoli,
Hinata, le dita lunghe e ornate sempre di piccoli tagli e cicatrici, ma le
unghie ben curate e il tocco gentile. Gli sembrò impossibile che quelle mani
fossero fatte per uccidere, che quei tagli e quelle cicatrici fossero il
risultato di allenamenti costanti e pugni contro alberi, mura e persone, «non
voglio cacciarti, ma neanche vederti nei guai…».
«Va
bene così Hinata, ho capito» le sorrise e si alzò, scuotendosi l’erba dai
pantaloni e dalle mani, «ci vediamo da Ichiraku per
pranzo, domani, ricordi?» e come poteva
dimenticarlo?.
«Certo»
rispose, «da Ichiraku, all’una» e gli mostrò il
pollice in segno d’assenso – come le aveva insegnato lui.
Naruto
sorrise e, quando fu sul punto di andarsene – a malincuore e con lo stomaco in
subbuglio – si sentì chiamare da quella voce di vento e foglie, «Naruto-kun» e lui
si girò, sperando che gli chiedesse di nascondersi in casa, o di portarla via
con lui. Voleva sentirle dire qualcosa come rimani
qui, per favore – voleva dormire con lei come Sasuke faceva con Sakura.
«Anche Naruto è una bella parola
diurna» gli disse, in piedi, prima di fare un piccolo inchino e ritornare in
casa, chiudendo la porta e allontanandosi, fino a quando della sua persona non
rimase solo il profumo sulle mani di Naruto.
Hinata
pensava che le persone si potessero dividere in notturne e diurne e che anche
le parole si potessero classificare nello stesso modo.
Naruto
tornò a casa camminando, lentamente, lasciando che il freddo attraversasse la
felpa e la maglia e gli congelasse lentamente le ossa e i muscoli e i nervi,
come faceva il tocco di Hinata. Se il suo nome era una parola diurna, allora
c’erano alte probabilità che anche lui lo fosse.
Si
fermò sotto la luce di un lampione, osservando il proprio respiro
materializzarsi in nuvole bianche e sparire nel nero del cielo. Lui non ci
aveva mai creduto, a quel genere di cose. A persone che appartenevano alla
notte e persone che appartenevano al giorno – non aveva mai paragonato nessuno
alla Luna o al Sole o alla primavera o all’inverno, perché gli sembrava
semplicemente stupido. Naruto era Naruto, e lì finiva la storia.
Ma
c’era qualcosa, in quella frase – un significato sotteso dietro le parole di
Hinata che gli rimbombavano ancora nel cervello. Naruto è una bella parola diurna. Lui era una bella persona del
giorno. Apparteneva al sole e a tutte quelle cose che Hinata aveva affibbiato
al «diurno»: gli uccelli, il mare, il cuore, il caldo, l’estate. Come se Naruto
avesse in sé quel calore e quella serenità che porta con sé la mattina, quando caccia
via il freddo e il buio che ha sempre fatto paura a tutti – che ha fatto paura
anche a lui, quando era piccolo.
E,
in fondo, non gli dispiaceva. Significava che c’era qualcosa di buono in lui,
come c’è qualcosa di buono negli uccelli e nel mare e nel cuore e nell’estate.
In Naruto viveva un po’ di sole, o almeno era quello che Hinata vedeva in lui.
«Un fiore diurno è il girasole, Naruto-kun: è giallo e cattura subito l’attenzione. Ha
anche un buon profumo» gli aveva detto,
«un fiore notturno invece è la camelia, che non ha profumo e che muore subito» e
c’era stato un cambiamento nella sua voce, un’irrequietezza nelle sue dita che
avevano iniziato a tamburellare sulle ginocchia.
Non
riusciva più a capirla, ripensare a tutto quel discorso su diurno e notturno
gli fece male alla testa. Decise di affrettarsi a tornare a casa per dormici
su. Avrebbe chiesto a Hinata, sicuramente – perché ormai tutta quella
differenza tra giorno e notte lo stava confondendo. Da quello che lei diceva,
ogni cosa diurna aveva, in qualche modo, il suo corrispettivo notturno, o
almeno era quello che lui era riuscito a capire da tutti gli esempio che lei
aveva fatto. Il sole con la luna, l’estate con l’inverno, gli uccelli con i
pesci, le farfalle con le falene.
E
Naruto? Chi era il corrispettivo di Naruto?
Si
addormentò con lo sguardo rivolto verso la finestra, dove la luna piena
splendeva in alto in una maniera così vivida e brillante che gli sembrò la
prima volta che si mostrava così limpidamente a lui. Sbadigliò e chiuse gli occhi,
pregando che la sveglia suonasse, dato che non si ricordava di averla attivata.
Solo
quando era sul punto di addormentarsi, di chiudere definitivamente con quella
giornata, ebbe un lampo di genio, un’illuminazione.
Il
giorno con la notte. Quindi Naruto con Hinata.
Hinata era una graziosa parola notturna.
Ma
lui non voleva fosse così.
Aveva
sempre sentito dire che il Sole e la Luna erano troppo diversi per stare
assieme, che uno doveva necessariamente lasciare il posto all’altro. Una
persona diurna e una notturna, quindi, si annullerebbero – e lui, in quel
momento, mezzo addormentato ma completamente, assolutamente, pienamente
innamorato, non poteva accettare una teoria che negasse la possibilità di stare
con Hinata, di godere della sua compagnia e del suo sorriso e della magia che
aleggiava intorno a lei.
Hinata
non apparteneva alla notte, anche se tutto in lei coincideva con le falene, con
la luna, con il sogno e i pesci e l’inverno. La sognava come un fantasma che si
nascondeva tra gli alberi di una foresta sconosciuta e accarezzava i petali
bianchi delle camelie senza profumo, si perdeva nei suoi occhi lattei e nelle
sue labbra sempre pallide e sorridenti. I suoi capelli erano un pezzo di notte
che qualche divinità le ha donato, per nascondersi nel buio e rendersi
invisibile agli occhi degli idioti come lui.
Ma
lei era Hinata, e lui aveva un
bisogno fisico di averla vicina e di sentirla sotto le proprie dita e le
proprie labbra. Il mondo perdeva di significato quando Naruto stava con lei
perché il mondo diventava lei. La sua
voce era lo scrosciare dei ruscelli e dei fiori che volavano nel vento e le
risate dei bambini dopo un giorno di scuola. Nei suoi occhi si rifletteva tutto
quello di cui era fatto il mondo e lo vedeva, in quelle iridi, il sangue della
guerra e i fiori e il susseguirsi delle stagioni e gli allenamenti e la vita di
una primogenita che non avrebbe mai soddisfatto pienamente il padre.
Naruto
strinse a sé il cuscino e immaginò che fosse Hinata, la sua piccola Hinata, che aveva fatto tanto per proteggerlo e che
gli aveva sempre appoggiato, silenziosamente, una mano sulla spalla. Con le
dita rovinate e i polsi gracili e quello sguardo di una persona che non
dovrebbe fare il ninja, perché il sangue non le si addice e l’unico merito che
dovrebbe avere è quello di amare intensamente.
Hinata
era fatta di sogni e speranze e ambizioni che Naruto non aveva mai colto se non
in quel momento. Quando in autunno la notte si fa più lunga del giorno e Hinata
vive un po’ di più, fa uso di quella sua bellezza eterea per ammaliarlo e
mostrarsi in quello splendore che lui non aveva mai visto in nessuno.
Ma
non poteva accettarlo. Hinata non era figlia della notte – perché lui aveva
bisogno di lei vicino a lui.
«Hinata»
la chiamò piano. Non aveva molta voglia di parlare, dopo la mangiata da Ichiraku. Ma nella sua testa il pensiero si era formato
molto chiaramente, e non voleva farselo sfuggire. Voleva capire e voleva che
lei capisse quanto il bisogno di averla al suo fianco fosse reale e vivo. «Naruto è una parola diurna, giusto?».
La
vide annuire, accarezzandosi una ciocca di capelli.
«Allora
anche Hinata è una parola diurna»
disse, convinto. Cacciò definitivamente l’idea dell’Hinata fatta di sogni e di
riflessi della luna dell’acqua e si riempì il cuore e l’anima del suo profumo,
della consistenza setosa dei suoi capelli e delle cicatrici delle sue mani.
«Beh…» arrossì di colpo e guardò l’erba sotto i suoi piedi,
poi il ferro battuto della panchina e infine le punte dei suoi capelli. Si era
sempre sentita invisibile, uno spirito che tramava alle spalle di Naruto senza
farsi vedere. Come la luna che sostituisce il sole quando lui non c’è – che
vive della sua luce ma che non si mostra a lui.
«Te
lo dico io, Hina-chan»
era la prima volta che la chiamava così, «Hinata
è una parola diurna. E anche tu lo sei» le prese le mani e le baciò, erano
fredde e lisce e tremanti – le strinse a sé, appoggiandosele contro il petto,
«non puoi essere una persona della notte – perché allora non potremo esistere
nello stesso momento, capisci?».
Gli
sembrava tutto così stupido. Eppure, nella sua testa, tutto quel discorso aveva
una consistenza reale. Gli sembrava un’ottima argomentazione, un’ottima ragione
per insistere su quello di cui era convinto.
«Naruto-kun… è solo una teoria sui nomi, non significa
necessariamente che non possiamo… ecco…»
e arrossì, prendendo quel colore dei fiori durante la primavera che la rendeva
così vera e bellissima e diurna, «…stare assieme» per qualche motivo, quel suo imbarazzo
scaldò il cuore a Naruto.
«Tu
sei una persona diurna, Hinata» ripeté, con voce dolce, calma, amorevole.
Intrecciò le dita di entrambe le mani con le sue e sorrise, cercando di portare
in lei il caldo dell’estate e del mare,
«non hai bisogno di nasconderti nelle cose della notte, no?». Lo disse in quel
modo perché gli sembrava l’unica. La più dolce, la più vera. Le lasciò le mani, sfiorandole i polsi e poi le braccia,
tenendola delicatamente per i gomiti e trascinandola verso di sé.
Hinata significava attraverso il sole e il suo cognome, se letto in un modo
particolare, significava un posto
soleggiato. Hinata aveva dentro di sé il sole e il profumo dei girasoli.
«Persona
diurna, ok?» era il verdetto finale.
«Se
lo dici tu, Naruto-kun» e quando Hinata sorrise aveva
un sorriso bellissimo, che conteneva in sé tutte le cose del giorno e della
notte. Era una camelia con il profumo migliore de mondo e il vento che
trasportava fiori e foglie secche contemporaneamente. Era il mondo di Naruto
fatto di lei, quello che lui desiderava stringere la notte e consolare quando
avrebbe avuto paura del futuro, o quando il passato sarebbe tornato a farle
visita.
La
baciò con la tenerezza che lei gli aveva insegnato con il suo sorriso e la sua
dolcezza. La sentì vibrare sotto le sue mani e stringersi alla sua
maglietta.
Era
tutto perfetto. Hinata era perfetta. E lui si sentiva dobe più che mai ad averla persa
per tutti quegli anni, convinto che fosse nascosta nella notte e che il suo
mondo fosse lì, separato dal suo.
NOTE D’AUTRICE •
In
preparazione per la stesura della Hinata/Sasuke (brotp),
scrivo queste note che, ahimé, non ho molta voglia di
scrivere (in realtà non ho mai voglia di scrivere le note, ma va beh).
Allora,
primo e non forse ultimo tentativo NaruHina, semplice
e… un po’ psicologico, discorsivo? Quasi metaforico,
oserei dire. Ma mi piace abbastanza, soprattutto per il senso iniziale e per
alcune frasi che ho scritto (chi mi segue su facebook
sa esattamente di che pezzi parlo –w–).
Tuttavia,
vorrei precisare che non ho tenuto conto degli avvenimenti di The Last perché
non mi piace il modo in cui il film ha sviluppato la loro relazione. Nella mia
testa, tutta la questione Toneri permane, sia chiaro,
ma niente bacio sulla luna o sciarpe rosse – io sono per l’innamoramento lento
e fatto di appuntamenti e dolcerie del genere (evviva
il romanticismo) e Naruto e Hinata si prestano molto bene a questa mia visione
delle cose. (Per la cronava, la NaruHina
è la mia OTP in Naruto, eh) Questo però non c’entrava niente con la shot, va beh :°D
Un
ringraziamento, come al solito, va a yingsu che mi ha betato questa shot e, ora che mi passa per la testa, faccio uno piccolo
spam di una storia scritta in collaborazione con lei sotto il nome di papavero radioattivo. La long in questione
è colla, AU
universitaria un po’ seria e un po’ comica, ma soprattutto scritta con il cuore
♥ Per chi se lo chiedesse, le
coppie in questione sono quelle canon del cap. 700 +
la NejiTen e sì: né Neji né Itachi
sono morti ♥♥
Ultima
cosa (credo) e che mi sento in dovere di dire. La storia delle parole diurne e parole notturne non è farina del mio sacco. È un passo preso dal
libro «Le ragazze rubate» di cui consiglio la lettura perché molto
bello e toccante, nonostante tratti di un argomento di attualità che, forse,
non è quello che si cerca in un romanzo.
Vi
saluto con il passo originale del libro e chiedo perdono se ad alcuni questo
possa sembrare “plagio”, ma adoro questa citazione e adoro il risultato
nell’averla calata nella NaruHina.
Julio pensava che le persone si potessero dividere
in notturne e diurne. Anche le parole si potevano classificare nello stesso
modo. Tra i più sgradevoli termini notturni, secondo lui,c’erano parole quali idrofobia e nausea. Graziose parole della notte erano invece luna, latte e falena.
radioactive,