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Autore: Synapsis    26/12/2014    3 recensioni
«Misora, voglio farle una domanda, se me lo permette» esordì lui, e senza aspettare il suo consenso proseguì: «Lei chi crede di essere? Chi è lei realmente?»
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Revisionata e modificata.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beyond Birthday, Naomi Misora, Raye Penber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era uno strano odore nell'aria di quella gelida e nebbiosa mattina d'inverno.

Tra le vie deserte di una città ancora addormentata, Naomi Misora camminava con passo deciso e sostenuto, osservando la punta dei suoi stivali neri e lucidissimi che di tanto in tanto si imperlavano delle gocce dispettose sfuggite dalle grondaie dei tetti. Una nebbia azzurrina, creatasi dopo il terribile temporale notturno, avvolgeva tutto nella sua ovattata carezza e conferiva un tratto surreale, suggestivo, quasi onirico a quell'altrimenti banale strada di periferia. Infatti, sotto quel velo opaco ogni oggetto sembrava aver perduto i suoi confini, la sua forma e la sua stessa funzione, tanto che anche quel verdognolo cassonetto della spazzatura accanto a una cabina telefonica guasta aveva assunto un ché di poetico. Tutto sembrava partecipare armoniosamente all'essenziale composizione di un dipinto astratto, tutto era cristallizzato in uno spazio informe e statico, ma in quella calma immobile e totalizzante vi era un solo elemento che stonava con il resto, un'ombra che girovagava come una mina vagante sola e senza una meta: Naomi, con la sua figura longilinea ed elegante, avanzava in tutto quell'azzurro, prima rompendo quella patina di vapore come una macchia d'inchiostro che si espande su un foglio acquerellato e poi dissolvendosi silenziosamente, come se non fosse mai esistita.

Non le era mai piaciuta la nebbia, sin da piccola provava un'irrazionale paura nel vedere quella massa fredda e incolore scendere sul rigoglioso paesaggio campestre dove vi era incastonata la casa dei suoi genitori, in Giappone. Quando ciò accadeva tirava le tendine gialle della finestra di camera sua e, dopo aver preso il suo peluche preferito – un coniglietto marroncino con al collo un fiocco rosso – correva verso la stanza di suo fratello per non restare da sola; lì il bambino, più grande di lei di un paio d'anni, conoscendo il motivo dell'agitazione della sorellina cercava puntualmente di confortarla e distrarla con qualche gioco fino a quando non si tranquillizzava del tutto. Quella paura, pensandoci, si era con molta probabilità instillata nella sua giovane mente - che a quell'età è particolarmente malleabile ed emotiva - in un'assolato pomeriggio di primavera, quando suo nonno la pose affettuosamente sulle sue ginocchia per rinnovare un appuntamento ormai imperdibile per la piccola Naomi e per il fratello. Il nonno era solito raccontare loro ogni settimana delle leggende giapponesi che venivano tramandate di generazione in generazione come un piccolo tesoro da portare dentro di sé e da custodire con zelo. L'anziano ne conosceva tantissime - tanto che Naomi si era chiesta più volte come facesse a ricordarle tutte - e aveva deciso di condividere quelle piccole perle che avevano arricchito la sua infanzia di immagini fantastiche, meravigliose e a volte anche orrorifiche con i suoi nipotini, convinto che il nuovo stile di vita adottato negli ultimi tempi stesse stoltamente tagliando le ali all'immaginazione e gettando nell'ombra le tradizioni a cui era molto legato. Ancora oggi, pensando al viso bonario del vecchietto, la mente di Naomi correva a quei momenti trascorsi insieme nel salone che si affacciava sul giardino, dove lei e il fratello, nella concitata attesa di una nuova favolosa storia, pendevano dalle sue labbra. Quel giorno, tra la vasta gamma di miti che arricchiva il folklore nipponico, il nonno scelse una leggenda tanto singolare quanto famosa, quella di Kuchisake-onna. Raccontava di una donna di rara bellezza, molto vanitosa e superba, concubina di un samurai follemente innamorato di lei. Un giorno però egli scoprì che la donna lo tradiva e così, accecato da una terribile gelosia, decise di toglierle proprio ciò che ella amava sopra ogni cosa; estrasse la sua katana e la sfregiò aprendole una ferita che andava, passando sulla bocca, da un orecchio all’altro, annullando in questo modo la sua amata bellezza che la contraddistingueva e condannandola a una vita di solitudine. Alla morte, il suo spirito iniziò una continua ricerca di vittime su cui scatenare la propria vendetta, apparendo ai malcapitati di turno nelle notti nebbiose e indossando una maschera che le copriva il volto; a chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarla, Kuchisake-onna chiedeva se la trovasse bella anche senza la maschera che le copriva l'orribile ferita, e se la risposta era negativa apriva le fauci della grande bocca e lo divorava.

Con il passare del tempo Naomi aveva smesso di avere paura della nebbia perché aveva capito che non esisteva nessuna Kuchisake-onna, ma alla paura era subentrata un'altra emozione, anch'essa negativa, che faceva capolino ogni qualvolta il cielo decideva di toccare il suolo con le sue nubi. Angoscia, ecco cosa provava, le si stringeva lo stomaco e il malumore si impadroniva del suo corpo, non abbandonandolo fino a quando non rispuntava il sole. Anche in quel momento sentiva il malumore dimenarsi come una belva nel suo petto e una profonda angoscia moltiplicava all'infinito i pensieri che le inondavano la testa, ma non è del tutto corretto credere che le condizioni climatiche erano le uniche cause del suo malessere. Infatti tutti quei pensieri divergevano su un'unica persona, portavano il timbro risentito di lui, e per quanto Naomi cercasse di scacciarli via, essi ritornavano ancora più assillanti e impietosi. Perché non riusciva a zittire quelle mille voci che rimbombavano tra le pareti del suo cranio, perché non riusciva a smettere di pensare? Dio, ci sarebbe annegata nei suoi pensieri prima o poi – ne era sicura -, l'avrebbero accerchiata e ingoiata, come una piccola e fragile zattera viene risucchiata dalle onde tempestose dell'oceano e , cosa ancor più grave, tutto quel meditare non fungeva per nulla come soluzione al suo problema, anzi ogni pensiero negativo ne rimandava ad un altro che ne avrebbe generato un altro ancora e così via. In breve, era un malefico meccanismo che lei stessa si era costruita e al quale non c'era via d'uscita.

E dire che quella passeggiata serviva proprio a distrarla un po'...

Il fantomatico problema che stava alla base di tutto, era il litigio che lei e il suo fidanzato Raye avevano fronteggiato per l'ennesima volta la sera prima a suon di urla che neanche i tuoni riuscivano a coprire, e l'argomento era sempre lo stesso dei precedenti: il suo lavoro, da lei tanto amato e per il quale aveva dovuto compiere non pochi sacrifici - lasciare il Giappone e la sua famiglia per trasferirsi lì, in California, sostenere un corso di addestramento duro ed estenuante, combattere quotidianamente contro colleghi invidiosi e pericolosi criminali, chiedendosi tuttora chi tra i due avversari sia il più temibile e tanto altro ancora -, quel lavoro in cui si era, malgrado tutto, distinta, tanto da essere attualmente una vera e propria professionista nel suo campo, una delle migliori agenti che l'FBI possa mettere a disposizione e, non a caso, era stata persino contattata da L, il miglior detective del secolo, per chiederle la collaborazione a un caso da lei chiuso e risolto brillantemente qualche mese fa. Insomma, non per vantarsene – oh, no, non era di certo quel tipo di persona -, ma se in quegli anni era riuscita a ottenere tanti successi e altrettanti riconoscimenti, forse, c'era un motivo: non solo la sua bravura, ma anche la passione che vi metteva, in ogni indagine. Era stata proprio la passione per il suo lavoro a darle la forza, il coraggio e la volontà di andare avanti, di perseguire i suoi obiettivi e diventare un'agente, anche quando alcuni suoi “amici” le dicevano che la strada che aveva scelto era lunga e impervia, che forse non ce l'avrebbe fatta; ma Naomi non riusciva davvero ad immaginarsi altrove, era quello il suo posto, un luogo pieno di moventi che necessitavano di essere interpretati, di indizi da ricercare e collegare tra loro, di vite che dovevano essere salvate o, perlomeno, rivendicate, sbattendo il criminale di turno al fresco per il resto dei suoi giorni. Per alcune persone sembrerà strano, ma era quello il lavoro che la faceva sentire realizzata e vicina a se stessa, al suo carattere indubbiamente riflessivo e determinato. Possibile che tra queste persone vi era anche il suo fidanzato, possibile che anche lui non capisse? Non era forse pure lui un agente, esattamente come lei? Non provava le sue stesse aspirazioni? Difatti, l'uomo della sua vita, colui che era riuscito a mettere KO la terribile Misora Massacre – questo era il nome che le era stato affibbiato dai colleghi- con i suoi occhi blu cobalto, era nettamente contrario alla sua carriera. Naomi era consapevole che il suo astio fosse nutrito dalla costante preoccupazione che qualcuno potesse farle del male, dal timore di poterla perdere (era innegabile che fosse un lavoro rischioso) e anche dal suo desiderio di metter su famiglia, un giorno. Stavano insieme da due anni ormai, si erano fidanzati ufficialmente da qualche mese e il matrimonio sembrava essere la prossima tappa.

Non tanto prossima, spero”, si disse mentalmente, mordendosi la lingua non appena ebbe formulato quel pensiero.

Amava Raye, su questo non aveva dubbi, sapeva che era sempre stato attento e apprensivo nei confronti suoi e del loro futuro – era fatto così -, ma l'idea del matrimonio le metteva ansia, la spaventava. Non era ancora stata scelta un'ipotetica data, non vi era stata nemmeno una discussione approfondita a riguardo, era stata, appunto, solo un' idea sfiorata da entrambi in modo superficiale mentre chiacchieravano del più e del meno, oppure in quelle famose liti che ultimamente si erano consumate più frequentemente del solito, una delle tante proprio quella della sera prima. Naomi avanzò il passo, pensando a quel litigio che aveva lasciato delle ferite che ancora bruciavano nel suo animo, e come un animale in gabbia, il cuore le iniziò a battere furiosamente tra le costole. Ed eccole di nuovo, quelle voci, quelle urla, che le riempirono ancora una volta la testa, girando vorticosamente in una danza impazzita e provocando il principio di una bella emicrania. Una fra tutte si distinse in quel vociare e adesso le parlava rispedendola indietro nel tempo di qualche ora...

«Naomi, per favore, cerca di capire! Non voglio assolutamente metterti il bastone fra le ruote, sia chiaro, e non voglio neanche dire che non ti stimi come collega! Mi dispiace se è questo che hai inteso dalle mie parole. Quello che voglio dirti è che ora che ti ho trovata non voglio perderti, non posso perderti! Ci tengo moltissimo a te, io voglio il tuo bene e questo lavoro non ti giova affatto. Devo forse ricordarti che pochi mesi fa non riuscivi neanche a dormire per colpa di quei dannati incubi? E poi, quando diverrai madre, anche se non dovessi essere io l'uomo che ti starà a fianco, cosa farai, cosa pensi sia giusto fare? Mettere di lato tutto, anche il tuo lavoro, pur di restare vicino ai tuoi figli ed educarli, oppure fregartene di loro e agire egoisticamente?»


Posò frettolosamente quel pensiero in un angolo remoto del cervello - o almeno ci provò - ma ecco che inaspettatamente ne sbucarono altri, pronti a torturarla:


«Pensavo che io e te potessimo andare d'accordo, credevo che mi avresti capito subito, ma a quanto pare viaggiamo su due lunghezze d'onda differenti... tutto sta diventando difficile Naomi, anche andare avanti, e questo è solo colpa tua».


« Non lo avrei mai detto, ma sono profondamente deluso di te, Naomi».




STOP!



Naomi si inchiodò al margine del marciapiede, che mentre era intenta a pensare aveva finito di percorrere, trovandosi così difronte a un incrocio a “T”. La sua strada si intrecciava ad un'altra, anch'essa poco trafficata, anzi, per essere precisi non c'era nessuno, non aveva incontrato anima viva finora. Chiuse gli occhi stanchi, reduci da una notte insonne, e li strinse forte per ricacciare indietro delle lacrime che volevano sfuggire al suo controllo.



Non è il momento per piangere, Naomi! Rilassati e non pensarci più”, si rimproverò, stringendo i pugni e risvegliando in questo modo le dita intorpidite dal freddo.

Riaprì gli occhi di scatto, puntandoli al muro che aveva davanti a qualche metro di distanza; prese un profondo respiro, tanto da percepire chiaramente i polmoni dilatarsi contro la cassa toracica, e lo sentì di nuovo. Quello strano odore di prima, aleggiava nell'aria insieme alle goccioline di umidità, danzava tutto attorno, tra i lampioni accesi, tra gli appartamenti squallidi e decadenti, tra le auto parcheggiate, tra i fiori gialli del balconcino di quella casetta all'angolo dell'incrocio, unica fonte di colore in mezzo a tutto quel grigiore e a quell'innaturale azzurro; le pizzicò le narici e le fece arricciare il naso – cos'era? -, le entrò dentro, nelle viscere, in testa, prendendo il posto delle tormentate elucubrazioni di prima. Naomi inconsapevolmente mise in moto le sue doti investigative, come se spinta da un istinto irrefrenabile, e cercò di decodificarne l'origine: era sgradevole, forte, sembrava odore di bruciato mischiato alla puzza di scarico che emettono le marmitte con il catalizzatore rotto. Non riusciva però a capire da dove provenisse poiché tutta l'aria ne era satura. Misora attraversò la strada perplessa e con un salto balzò sul nuovo marciapiede, finendo dritta in una pozzanghera che si dimostrò essere più profonda del previsto.

«Maledizione» mormorò tra i denti, guardando infastidita lo stivale destro immerso per buoni cinque centimetri nell'acqua sporca.

Questo era ciò che succedeva quando pensava troppo, diventava sbadata e goffa e la cosa la infastidiva moltissimo. Essere pragmatica e risoluta era una dote che l'aveva aiutata nel suo percorso lavorativo, ma questo non la proteggeva dai dubbi che tutti sono costretti ad affrontare nella vita. Ciononostante non si perse d'animo e intenzionata a continuare quella lunga passeggiata per cercare di sbollire i nervi, tolse stizzita il piede dalla pozza e continuò per la sua strada. Compì solo pochi passi quando notò alla sua destra delle scale un po' malandate e smusse per l'attività erosiva di anni e anni di pioggia. Strano, eppure avrebbe giurato che prima non c'erano, ricordava solo un lungo muro di cemento pieno di crepe da dove si intravedevano dei mattoncini un po' sbiaditi dal sole; forse la nebbia, forse la distrazione o forse la stanchezza le stavano giocando dei brutti scherzi. Emise un sospirò che si materializzò in una nuvoletta di condensa e seguì con lo sguardo la direzione in cui si snodava quella cascata di pietra, decidendo nel contempo se andare dritto per la strada identica alla precedente o usare la nuova scoperta per deviare il suo percorso. Esse scendevano fino a un largo spiazzale, ad occhio e croce un parcheggio, ma la scarsa visuale offerta dalla nebbia non le permise di guardare oltre.

«Ok Naomi» disse iniziando a scendere i gradini, «prendi queste scale, fai un ultimo giro lì sotto e poi te ne torni a casa, prima che con tutta questa umidità ti trasformi in un fungo!»

Mentre si pregustava l'idea di una doccia calda non appena arrivata a casa, i suoi piedi scesero l'ultimo gradino e continuarono a muoversi fendendo la nebbia. Come aveva immaginato, quel grande spiazzo era un parcheggio, ma oltre a un arrugginito e ciondolante cartello delle tariffe appeso a un palo anch'esso poco stabile, non vi era nulla, né persone, né soprattutto automobili.

«Forse è troppo presto, dopotutto non è neanche l'alba, e poi questa zona non è mai troppo frequentata», disse ad alta voce per rincuorarsi, ma non riuscì ad essere molto convincente. Si guardò attorno continuando ad avanzare e quando pensò bene di girare i tacchi e andarsene via, alle sue orecchie giunse un rumore improvviso che la fece sobbalzare. A giudicare, sembrava che qualcosa di metallo e pesante fosse caduto a terra lì vicino e senza rifletterci Naomi iniziò a camminare lentamente verso il punto in cui si era diffuso.

Perché diamine lo sto facendo? Torna indietro Naomi!”

Al contrario di ciò che le suggeriva la sua coscienza, continuò imperterrita ad avanzare, facendosi largo in quella fastidiosa nebbia che stava diventando sempre più fitta, così come quell'odore che l'aveva accompagnata per tutto quel tempo. Eppure ormai, pensò, erano diventati i compagni di quell'assurda mattinata, senza di essi si sarebbe sentita più sola e fragile di quanto già non fosse, la inglobavano con il loro abbraccio stretto e soffocante; non poteva dire di certo che erano piacevoli, ma si sentita un poco grata nei loro confronti. Confidava nella funzione oscuratrice della nebbia, che da cosa odiata e temuta era diventata sua alleata dove potersi rifugiare in caso di pericolo. Che poi, per quale motivo si sentiva in pericolo? Non c'era nulla di cui aver paura, si stava lasciando suggestionare troppo da quell'immaginazione che suo nonno aveva sempre cercato di stimolare con i suoi racconti. Si disse della stupida quando immaginò che in mezzo a quella coltre azzurra vi fosse proprio Kuchisake-onna pronta a porle il suo quesito, era evidente che la debolezza sia mentale che fisica stavano facendo il loro sporco lavoro. Credette che il cuore le arrivò in gola quando all'improvviso apparve alla sua vista una sagoma nera, indefinita e sfumata non molto lontana; più si avvicinava, più i contorni di quella cosa si facevano nitidi. L'adrenalina iniziò a scorrerle nelle vene e una morbosa curiosità spingeva le sue gambe a camminare ancora verso l'ombra scura. La sua mente era finalmente sgombra di tutto, non c'era più nulla, nessun pensiero, c'era solo l'immagine che i suoi occhi le stavano offrendo. La figura non si muoveva, stava ferma nella sua postazione, e quando la donna vi fu abbastanza vicina da distinguerne le fattezze, in un primo attimo fu colpita da una sincera meraviglia destinata a trasformarsi dopo qualche istante in bruciante delusione: la misteriosa cosa aveva le sembianze spigolose e lungiformi di una vecchia Renault nera, un po' sciupata e dai vetri appannati dall'umidità.

Che ti aspettavi Naomi? Sei in un parcheggio, non in un film horror da quattro soldi, perché devi fiutare il pericolo ovunque, anche quando non c'è? Smettila di fare la cretina e tor...”

Il suo discorso fu brutalmente interrotto dalle luci abbaglianti dell'automobile che si accesero inaspettatamente, facendole mancare un battito. La paura si impossessò nuovamente delle sue membra offuscandole la mente, e si pentì di non avere l'abitudine di portare sempre con sé la sua automatica. Si impose ancora una volta di calmarsi e poi vide sgomenta sgusciare un tizio da sotto l'automobile, con una chiave inglese in mano. Naomi si spostò più a destra per guardare meglio e notò aguzzando la vista che a terra vi erano sparsi degli attrezzi da meccanico. Giungendo alla logica conclusione che quell'uomo stava semplicemente aggiustando la sua automobile e che il rumore di prima era stato prodotto probabilmente da quegli attrezzi che gli stavano attorno alla testa, si tranquillizzò un poco.

Nessuna Kuchisake-onna dunque, ma questo era scontato”.

«Ehm, serve una mano?» disse incerta andando verso la sua direzione, con una mano sulla fronte per difendere gli occhi dalla luce dei fari che insieme alla nebbia creavano un effetto luminescente che non le faceva vedere niente.

«Senta, può spegnere questi fari? Mi stanno accecando!» gridò con tono acido, quella situazione le stava facendo perdere le staffe e, cosa ancora più importante, quella non era esattamente la giornata adatta per mettere alla prova la sua pazienza. Il tizio, per tutta risposta, la ignorò bellamente, si alzò da terra e raccolse tutti quegli arnesi metallici posizionandoli nel cofano posteriore dell'auto.

«Ehi, mi sente?».

«Li spenga lei. Tiri la levetta al lato sinistro del volante verso di sé».

«So come si spengono le luci di un'automobile!».

«Allora se sa farlo, perché mi chiede che lo faccia io?».

Ma tu guarda che tipo! Che razza di risposta è mai questa?”, pensò la donna. A quel punto poteva decidere di mandarlo a quel paese e ritornare indietro dimenticando tutta quella storia, ma non potendo sopportare ancora quella luce e non potendo mettere a tacere il suo orgoglio femminile, ignorò il tono provocatorio di quel tizio, aprì lo sportello, si sedette al posto di guida e raggiunse il suo obiettivo. Non ebbe il tempo di compiacersi del suo successo, che dallo sportello da lei lasciato aperto vide quell'uomo salire con nonchalance, rischiando di schiacciarla col suo peso.

«Ma, ma... ma che sta facendo?!».

Per non essere schiacciata, fu costretta a passare al sedile accanto e si girò verso di lui con un muto rimprovero negli occhi.

Ma chi è questo rincitrullito? Non deve avere tutte le rotelle al posto giusto oltre ad essere un gran maleducato!”, pensò, scrutando attentamente davanti a sé per cercare di cogliere qualche tratto del suo viso prima nascosto dalla nebbia, ora dal buio. L'uomo allungò il collo verso di lei, quasi come se avesse letto nei suoi pensieri e capito le sue intenzioni, mostrando il suo volto. Naomi rimase letteralmente impietrita quando riconobbe quei lineamenti nel pericoloso personaggio che aveva arrestato tre mesi prima e che spesso l'aveva visitata nei suoi incubi. Non riusciva a credere di averlo lì, in carne ed ossa difronte a lei a sorriderle in un modo che la metteva a disagio. Un incubo divenuto realtà, come si suol dire.

«No, non è possibile, non può essere vero, tu... non puoi essere davvero tu!»

L'uomo le regalò un inquietante sorrisino e sempre con il suo fare indifferente chiuse la sicura delle portiere.

«Buongiorno, signorina Misora. È da un po' che non ci vediamo, non sei contenta di rivedermi?», disse Beyond Birthday, avvicinando con fare teatrale la testa alla sua interlocutrice ancora di più e guardandola da dietro degli assurdi occhialini tondi.

Naomi non sapeva cosa fare. Le opzioni erano tante: o gli tirava uno dei suoi micidiali pugni sullo stomaco, o gli strappava quegli occhiali ridicoli per il solo gusto di romperli in mille pezzi (ma questo non l'avrebbe di certo salvata dal pericoloso criminale), oppure si creava una via di fuga rompendo il vetro del suo finestrino (anche se Beyond le era troppo vicino e, una volta capito le sue intenzioni, le avrebbe impedito qualsiasi movimento ancor prima di provarci). In poche parole non aveva vie di scampo. Dopo anni di esperienze dirette con criminali del suo calibro, Naomi aveva compreso che alcuni di loro – tra cui proprio lui - riuscivano a prevedere ogni mossa delle loro vittime e che quindi era inutile agire in modo frettoloso e istintivo, perché era proprio ciò che cercavano per avere le loro vittime in pugno. Salire su quell'auto era stato un errore che le sarebbe potuto costare la vita, lo aveva fatto senza pensare alle conseguenze, cascando in pieno nel suo semplice tranello e ingenuamente era finita dentro la tana del lupo fregandosi con le sue stesse mani. Con un individuo così subdolo, l'unica e l'ultima carta che poteva giocarsi era la diplomazia, ma doveva stare attenta a come la usava. Dopo qualche istante di riflessione decise di tentar la sorte e andare al sodo:

«Sarei molto più felice se mi lasciassi andare, ad essere sincera. Facciamo un patto: io farò finta di non averti visto e non mobiliterò né la polizia né l'FBI nelle tue ricerche, e tu mi lasci andare via sana e salva. Uccidermi non avrebbe senso, servirebbe solo a creare scalpore e ad attirare l'attenzione delle forze dell'ordine su di te. Se sei davvero intelligente, e credo che tu lo sia, capirai che ammazzarmi sarebbe un grosso errore».

Misora spiegò la sua teoria con calma, senza farsi prendere dall'agitazione, sperando che l'assassino l'avrebbe ascoltata. Ovviamente avrebbe denunciato la sua evasione al più presto, ma per ora doveva soltanto pensare a salvarsi la pelle.

«Ucciderti? Oh, no, mia cara Misora, io non voglio ucciderla! Come lei ha spiegato, non avrei nessun vantaggio nel compiere una simile azione, non sono mica uno sprovveduto!»

Naomi lo guardò con sospetto, non le piaceva per niente quella situazione. Se non voleva ucciderla, allora perché l'aveva indotta a salire in quell'automobile bloccando tutti gli sportelli? La sua fronte corrucciata doveva sembrava avesse mostrato al killer le domande che l'attanagliavano e infatti aggiunse:

«Si starà chiedendo cosa voglia da lei allora, giusto? Glielo dico subito».

Quel bastardo vorrà mettermi alle strette con qualche compromesso, magari per aiutarlo a fuggire o per coprire qualche suo affare losco, o forse per...”

«Volevo solo farle una visita. Che ne dice di fare un giretto in città? Guido io non si scomodi», disse il killer con un tono allegro ed entusiasta interrompendo il flusso dei pensieri della donna.

...Chee?! Ma che sta dicendo?! Se non c'è davvero nient'altro sotto... Dio, è più svitato di quanto ricordassi!”

Beyond, restando fedele alle sue parole, girò la chiave e mise in moto l'auto, mentre dal motore provenne uno scoppio poco rassicurante. Il viso di Naomi era il tripudio della confusione, dell'ansia e dello shock, la sua carnagione già chiara di suo era diventata ancora più pallida e non riusciva più a connettere la mente con la realtà, rifiutandosi di credere che tutto quello stava succedendo davvero.

«RyuzaAAHHHH!» gridò non appena la macchina partì a tutto gas stridendo coi pneumatici sull'asfalto.

«Oh, su Misora, un po' di contegno! Una donna elegante come lei non dovrebbe gridare in questo modo così poco convenevole».

Naomi non ebbe neanche la forza di controbattere alla frecciatina dell'altro, troppo concentrata a guardare la strada e gli eventuali ostacoli che si paravano di fronte.

«Ryuzaki, il palo!»

Il cartello che segnava l'entrata del parcheggio si avvicinava inesorabilmente, ma Ryuzaki non cedeva minimamente a frenare, così Naomi chiuse gli occhi e iniziò a pregare quel Dio che forse aveva deciso di voltarle le spalle. Morire in quell'auto con alla guida un pazzo furioso con istinti suicidi non era esattamente la morte che si aspettava.

Inavvertitamente, Beyond sterzò a sinistra, evitando miracolosamente quel dannato palo e uscendo in una strada buia e deserta.

«Oh, bene Misora, mi parli un po' di lei, della sua vita, cosa fa di bello … cosa la rende felice» le chiese guardandola con il solito mezzo sorriso in bocca.

«Ryuzaki, guarda la strada, per favore!» lei invece rispose. Onestamente non aveva capito la domanda, anzi non l'aveva proprio sentita. Non era il momento per chiacchierare come vecchi amici, non era il momento per chiacchierare e basta, con lui poi! L'unica cosa che voleva era che fermasse sedutastante quella macchina e che la facesse scendere o in alternativa che quell'agonia – ovvero quel “giretto in città”, come lo chiamava lui - finisse al più presto. Anche stavolta il killer sembrò leggere i pensieri dell'agente e le disse:

«Si calmi un po' Misora, non c'è nessun pericolo. Ho tutto sotto controllo».

Io non direi”, pensò Naomi, ma al contrario rispose:

«Non ho dubbi, Ryuzaki, ma forse faresti meglio ad andare più piano…»

«Mai. La vita è troppo breve per andare piano: o si corre, o non si ci sposta per niente. E poi che senso ha andare più piano se il tachimetro può segnare con la sua lancetta una velocità fino a 350 chilometri all'ora? Se è stata segnata anche quella velocità, significa che può essere raggiunta, non crede? Perché andare piano e non sfruttare a pieno le potenzialità dell'automobile? Non bisognerebbe mai accontentarsi quando sai di poter avere di più, io odio chi vorrebbe limitare le tue capacità, e per quale ragione poi? Che abbia paura che le tue capacità possano dimostrarsi superiori alle sue? Mai abbassare la testa a nessuno, mai, devi sempre essere reattivo. Questo è il motivo per cui penso che “andare un po' più piano” sia un'azione futile e priva di senso, non mi lascerò influenzare da nessuno, neanche da quei segnali che sono solo dei pezzi di ferro, nulla in confronto a me».

«È il tuo discorso ad essere futile e privo di senso, razza di presuntuoso» bisbigliò Naomi per non farsi sentire.

«Come?»

«Niente, niente, dicevo che hai una filosofia di vita piuttosto… estremista. E poi mai sentito il detto “chi va piano va sano e va lontano”?».

Senza ascoltarla, Beyond svoltò bruscamente a destra imboccando una strada molto più larga della precedente e con molte persone che vi passeggiavano ai lati. Quando era comparsa tutta quella gente? Naomi approfittò di tutta quella folla iniziando a gesticolare segni di aiuto, sperando che qualcuno la notasse; ma niente, erano tutti imbacuccati nei loro pesanti cappotti e troppo presi dalle loro vite per potersi accorgere di lei. Tutto ciò le sembrava così strano, perché nessuno si girava a guardare il bolide che sfrecciava come un razzo, perché non la vedeva nessuno? Si sentì improvvisamente piccola e indifesa, capì appieno il modo in cui il destino le si era torto contro, e la cosa che più la destabilizzava era che non poteva fare nulla, assolutamente nulla, contro di esso. Non aveva armi, non poteva difendersi, non poteva fermare quell'auto, non sapeva neanche dove la stesse portando. Quel giorno si sentiva insolitamente vulnerabile, tanto che delle lacrime calde iniziarono a scenderle sulle guance smorte lasciando una scia tiepida che si raffreddò a contatto con l'aria gelida dell'abitacolo facendola rabbrividire.

Naomi, avresti tutte le ragioni del mondo per piangere, ma non puoi farlo. Combatti”.

Mentre Naomi era imprigionata nel turbinio delle sue emozioni, Beyond continuava la sua folle corsa, sterzando e frenando violentemente, sbandando a destra e sinistra, tanto da abbattere la catasta di cassette di frutta di un negozio, che per il forte urto ammaccarono il paraurti già sgangherato dell'auto nera. Il viso del criminale era imperturbabile, il suo sorriso non si incrinò neanche per un istante: tutto ciò era maledettamente divertente per lui. Naomi strinse spasmodicamente le mani nel bordo del polveroso sedile, la sua frustrazione si trasformò rapidamente in una rabbia che le imporporò le guance. Guardò irata l'autista – o meglio, il pirata della strada - al suo fianco, le persone indifferenti che con le mani immerse nelle tasche dei loro giubbotti continuavano a camminare come marionette, le sue stupide e inutili lacrime che le avevano bagnato il viso: era sul punto di scoppiare in una crisi di nervi. Il suo autocontrollo si spezzò come un foglio di cristallo non appena intravide una bambina, dai lunghi e lisci capelli biondi stretti in due trecce infiocchettate, attraversare la strada incurante del pericolo che incombeva su di lei.

«CAZZO, RYUZAKI, FRENA!»

Un tonfo atroce. Era successo tutto in pochi secondi, troppo veloci per permettere a Misora di rendersi conto di ciò che era appena accaduto. Il suo corpo fu sballottato contro il finestrino per via di un'ennesima manovra sconsiderata e il vetro del parabrezza era incrinato e formava una macabra ragnatela intrisa di sangue; la macchina continuava a correre e sobbalzò sugli ammortizzatori quando le ruote colpirono un dosso. Naomi girò il capo verso il lunotto posteriore notando che ciò che avevano calpestato era proprio il corpo della ragazzina ormai esanime. Un brivido la percorse tutta, era sotto shock, iniziò a respirare affannosamente e senza controllo dalla sua gola uscirono alcuni mugolii terrorizzati.

«Ryu-ryzaki, fer-fer-fermati, ti prego».

«Ku ku ku, Misora dovrebbe guardarsi allo specchio, è davvero buffa. Non riesco quasi a riconoscerla».

«Hai appena ucciso una bambina senza neanche darle soccorso! Adesso basta, finiamola con questa farsa, sei solo un pazzo! Tu sei pazzo, pazzo!».

«Mi perdoni se glielo dico Misora, ma qui la figura della pazza la sta facendo lei, ku ku ku ku».

Naomi non ne poté più, essere chiamata pazza da quel deviato fu la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso. Lo assaltò, tolse le sue mani dal volante e prese il controllo del veicolo.

«Misora cara, finalmente! Mi chiedevo quando ti saresti decisa a prendere il controllo della situazione ...»

«Fermati Ryuzaki, fermati, STOP!»

Il piede di Ryuzaki premette con vigore sul pedale del freno e l'automobile si fermò, lo fece davvero. Una pesante abulia era scesa sia dentro che fuori l'automobile, la calma astratta di prima sembrava essere ripiombata tutto attorno, il disastro appena avvenuto sembrava non esserci mai stato. Naomi tornò tremante al suo posto, inghiottì il groppo che aveva in gola e guardò davanti a sé con occhi vacui: al di là del vetro rotto e insanguinato, il segnale dello stop era irto e in bella vista con il suo monito ai conducenti. Dopo qualche minuto di tombale silenzio, Naomi si accorse che quella era proprio la strada che si incrociava a quella degli orribili appartamenti di prima, infatti all'angolo dell'incrocio c'era quella casetta che aveva notato per i suoi fiori rossi. Fiori rossi?

«Quei fiori erano gialli, prima», pronunciò ad alta voce, risultando fuori luogo con la drammaticità del momento. Ma ormai, cosa c'era di normale in tutto questo?

Con gli occhi ancora puntati al vaso dei fiori, abbassò gradualmente lo sguardo e andò a finire su una donna tutta vestita di nero, con dei lunghi stivali di pelle a fasciarle i polpacci e un giubbotto, anch'esso di pelle nero a coprirle il busto. Era ferma, al bordo del marciapiede, con gli occhi chiusi e i pugni stretti: era lei.

«… Che cosa significa? Perché sono lì fuori? Io sono qui!» chiese Naomi più a se stessa che al suo compagno di viaggio ancora più confusa.

«Prova a pensarci, Misora» disse Beyond col tono di chi la sa lunga, «dove ti trovi adesso? Che città è questa? Che ore sono?»

Naomi lo guardò come si guarda un pazzo, ma su quello non c'era poi da meravigliarsi più di tanto, dopotutto pazzo lo era davvero. Era ovvio che si trovasse... un attimo, dove si trovava? Spremette le meningi per ricordare, ma non né ricavò un ragno dal buco. Anche alle altre domande non riuscì a trovare una risposta. Tutta quella storia aveva del ridicolo, anzi era totalmente assurda! Si concentrò allora sulle anomalie che aveva riscontrato nel suo cammino, forse quelli erano gli indizi per risolvere il mistero. Quei fiori prima gialli e poi diventati rossi, le scale spuntate dal nulla, quel parcheggio troppo deserto, le luci della macchina che - ora che ci pensava - si erano accese da sole, la gente che passeggiava senza stranamente notarla, e ora vedeva anche un'altra se stessa fuori su quel marciapiede.

«Questo è un sogno» disse con consapevolezza, finalmente ridestata dal torpore in cui era immersa.

«Esatto, brava! Sei davvero perspicace, Misora», disse Ryuzaki emettendo una risatina. Di scherno? Di divertimento? Chissà, poco importava.

L'altra Naomi attraversò finalmente la strada, sparendo nella nebbia.

L'uomo strozzò la sua risata e ricompose il viso che adesso aveva un'aura solenne.

«Misora, voglio farle una domanda, se me lo permette» esordì lui, e senza aspettare il suo consenso proseguì: «Lei chi crede di essere? Chi è lei realmente

Naomi si voltò verso di lui e lo guardò stranita.

«Cosa vuoi dire, Ryuzaki?»

«Lei è quella donna confusa e sperduta nella nebbia, incapace di orientarsi e di orientare la sua vita, quella donna vittima di agenti a lei esterni che vogliono plasmarle una via ottenebrata, offuscata e a lei sconosciuta, oppure è la donna che ho a fianco, pronta a rivendicare il suo volere se questo non viene rispettato, anche con la forza se è necessario?»

Ryuzaki parlò scandendo bene ogni parola, non aveva il suo solito tono canzonatorio, era calmo e la guardava con i suoi occhiali da sole troppo grandi, aspettando una sua risposta. Naomi restò sinceramente colpita e per la prima volta prese seriamente le sue parole. Ci pensò su per una manciata di minuti torturandosi le dita delle mani, poi alzò la testa e tornò a guardarlo:

«Continuo a non capire» disse.

«Oh, andiamo Misora, so che ha capito, non faccia la finta tonta che non le riesce per niente. Sa bene a cosa mi riferisco...»

Naomi emise un sospiro sconsolato e abbassando il capo continuò: «È vero, so a cosa ti riferisci e penso che tu abbia ragione Ryuzaki. Io so di essere ben diversa da come appaio ultimamente».

Lui annuì compiaciuto, accarezzandosi le maniche nere della maglia.

«E tu? Tu chi pensi di essere, Ryuzaki?» continuò Naomi seguendo il movimento delle sue mani ossute.

«Intanto sono Beyond, non Ryuzaki».

«D'accordo, Beyond».

«È una bella domanda, Misora» disse volgendo lo sguardo al suo finestrino. Tolse gli occhiali posandoli sul cruscotto e restò in silenzio a macinare i suoi pensieri.

«Direi che sono un assassino» concluse, voltandosi verso l'agente con un'aria indecifrabile in viso.

Naomi improvvisamente sentì il desiderio di saperne di più, di lui, della sua vita, del perché aveva deciso di uccidere: non poteva e non voleva accettare solo quella risposta, per quanto vera. Rimase in attesa, sperando che Beyond aggiungesse qualche altra informazione in più su di sé, ma ciò con suo disappunto non avvenne.

«Abbia cura di lei, Misora. Non rinneghi se stessa per il volere di qualcuno, anche se è la persona che più stimi al mondo. Si ricordi che non tutti gli assassini usano un coltello per uccidere».

«Questo è un addio?».

«Oh, no Naomi» disse allegramente rivolgendole un sorriso. «È un arrivederci».

DRIIIIIN!

Naomi per poco non cadde dal letto al sentire il suono assordante della sveglia. Guardò con gli occhi gonfi di sonno il display digitale di quell'aggeggio infernale.

Le sette del mattino.

Sbuffò e riuscita a districarsi dalla morsa delle lenzuola attorcigliate alle sue gambe, si alzò e scese verso la cucina. Mentre la sua tazza di latte riscaldava nel microonde, si avvicinò alla finestra e la aprì. L'aria gelida penetrò fin sotto il pigiama di flanella panna e le avvolse il collo. Gli umori della pioggia abitavano ancora nell'atmosfera, nel cielo grigio si intravedeva una maceria di cielo azzurro pronta a scomparire per l'arrivo di un banco di nebbia. Al suono del timer, Naomi richiuse la finestra e si avvicinò al fornello. Un foglietto a righe attaccato al frigorifero con una calamita che raffigurava una Los Angeles in miniatura attirò la sua attenzione. Lo afferrò con una mano, mentre con l'altra teneva la tazza bollente cercando di non scottarsi. Si grattò la testa sconfortata: era la lista della spesa che ancora doveva essere spuntata. Con quel nuovo pensiero in testa, i ricordi del sogno morirono senza lasciare tombe nella sua mente.

Svanirono diventando nebbia nella nebbia.





[Angolo Autrice]:

Buonasera efpiani!

Questa storia era stata pubblicata qualche giorno fa, ma rendendomi conto di non esserne soddisfatta l'ho cancellata e ripostata con alcune sostanziali modifiche nella trama e delle correzioni. Quindi se qualcuno di voi l'ha letta prima e poi vista sparire nel giro di un'ora questo è il motivo ^^”

Questo è il prodotto finale, spero di essere riuscita a intrattenervi e di non avervi annoiato, essendo la mia prima storia temo che ci siano molte imperfezioni che rendino la lettura poco scorrevole... in tal caso spero di migliorare! Se avete dei consigli da darmi sarò ben felice di ascoltarli (leggerli), magari con una recensioncina ina ina se vi va.

Vi lascio alle note:

  1. la leggenda giapponese che il nonno racconta a Naomi esiste realmente. Ho preso informazioni da Wikipedia, per chiunque voglia saperne di più lascio qui di seguito il link → http://it.wikipedia.org/wiki/Kuchisake-onna

  2. La bambina che Beyond investe uccidendola è Quarteer Queen, la seconda delle vittime del Los Angeles Murder Case. La piccola descrizione fisica che ho dato è frutto della mia fantasia.

  3. Una delle ultime enigmatiche frasi di Beyond - “si ricordi che non tutti gli assassini usano un coltello per uccidere”- può avere due interpretazioni: può riferirsi a Raye, che con il suo comportamento sta “uccidendo” metaforicamente l'animo indipendente di Naomi, oppure volendo può riferirsi a Kira, l'assassino che la ucciderà scrivendo il suo nome su un frammento di Death Note. A voi la scelta.

  4. La lista della spesa dell'ultima scena è l'emblema di ciò che accadrà a Naomi in futuro, cioè della vita che vivrà a seguito delle dimissioni dal suo lavoro.

Bene, smetto di tediarvi ancora! Grazie di essere passati di qui e di aver letto!

Buone feste ♥





Synapsis





  
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