Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: EffieSamadhi    27/12/2014    4 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=apvuVPBtiug}
Fingi di non avermi mai incontrato, fingi di non essere mai stato attratto da me, fingi di non avermi mai baciata, fingi che la mia presenza non abbia mai toccato la tua vita. [...] Addio, Daria
28 novembre 2013: a Parigi, in una stanza d'albergo, Shannon sente il proprio cuore cadere a pezzi; a Torino, in camera propria, Daria chiude i ricordi in una scatola e li spinge fuori dalla propria vita.
Due mesi più tardi: a Los Angeles, Shannon sta ancora cercando di ricomporsi; a Torino, Daria si sente pronta per ricominciare.
Ma il passato torna a morderti il didietro proprio quando meno te lo aspetti, e per quanto sia dettagliato il tuo piano, non c'è nulla che il destino non possa sovvertire.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La lunga strada verso casa - 1
Io non so davvero come chiedervi scusa. Dire che sono una persona orrenda e che da voi merito soltanto disprezzo e improperi ormai non mi sembra più abbastanza, perciò mi rimetto al vostro buonsenso, preparandomi a ricevere con un sorriso ogni insulto che vorrete indirizzarmi. Perché non merito altro, lo so bene. Non merito altro che insulti, perché non posso sparire per un mese senza più dare mie notizie e poi ricomparire all'improvviso come se nulla fosse successo. Di più, non posso sparire per un mese e poi tornare con un capitolo semplicemente indegno di essere postato. O meglio, non potrei, ma ormai l'ho fatto.
Via alle telefonate minatorie,
EffieSamadhi






La lunga strada verso casa






Capitolo diciassettesimo
L'inferno è vuoto,
e tutti i demoni sono qui.1


Los Angeles, 17 febbraio 2014


    «Perché sorridi?»
    Christine, ancora immobile sopra di me, scuote la testa e abbassa il capo, lasciando che i capelli le coprano il volto. «Per un motivo molto stupido. Se te ne parlassi, probabilmente ti metteresti a ridere.»
    «Prometto di non farlo.»
    «Non sei mai stato bravo a mantenere le promesse.»
    «Questo vent'anni fa. Ora sono un uomo diverso. Perché non ci provi?»
    Lei si sposta una ciocca dietro l'orecchio, liberandosi il viso, e senza incrociare il mio sguardo risponde: «Stare con te mi fa sentire strana. So perfettamente di non avere più diciotto anni, eppure stare con te mi fa sentire come se fossi ancora una ragazzina. E questo mi fa sentire confusa. E tu lo sai, io ho sempre detestato sentirmi confusa.»
    «A nessuno piace sentirsi confuso, Christine. Non ho mai incontrato nessuno che fosse confuso e felice di esserlo.»
    «Lo so, Shannon. Vedi, il fatto è che... è che stavolta non ho paura della mia condizione. Per qualche strana ragione, stavolta sentirmi confusa non mi fa sentire persa.»
    «Non credo di aver afferrato. Non ti piace il fatto di non sentirti persa? Di solito la gente è sollevata, in questi casi.»
    «Ma io non sono la gente, Shannon. Noi non siamo la gente. Credo... in realtà credo che quello che mi fa più paura sia il fatto di non avere paura.»
    «Di cosa dovresti avere paura?»
    «Di te» risponde semplicemente, scrollando le spalle.
    «Di me?» ripeto, senza capire. «Perché dovresti aver paura di me?»
    «Perché non sei più il ragazzo che conoscevo vent'anni fa. E io non sono più la ragazza che tu conoscevi» sospira, spostandosi da sopra di me e stendendosi nello spazio vuoto alla mia destra. «Quello che sta succedendo è... beh, non nego che sia grandioso, eppure... non lo so, non mi sento tranquilla al riguardo. Non possiamo ripartire da dove ci eravamo interrotti e illuderci che andrà tutto bene. Non può funzionare.»
    «Nessuno ha detto che dobbiamo ripartire da dove ci eravamo interrotti» sussurro, sollevandomi su un gomito per poterla osservare meglio. «Non mi sognerei nemmeno di chiederti una cosa del genere. Sarebbe da pazzi pretendere di ricominciare tutto da quel punto.»
    «Il punto è proprio questo, Shannon: siamo sicuri di voler ricominciare? Perché, ecco, io... io non nego di aver avuto delle storie senza importanza, da quando ho divorziato. È successo di avere delle relazioni basate esclusivamente sul sesso, e mi stava bene. Mi sono concentrata sul lavoro, ho smesso di cercare l'uomo giusto, ed è sempre andato tutto alla perfezione. Solo che... ecco, con te so che non si tratta di una cosa simile. Non potrà mai essere soltanto sesso, con te. Sei stato troppo importante per me, e anche se sono passati più di vent'anni non posso dimenticare quello che abbiamo avuto.»
    «Mi stai chiedendo se voglio impegnarmi in una storia seria con te?»
    Si mette a sedere, reggendosi il lenzuolo davanti al seno con una mano. «Ti sto chiedendo se pensi di essere pronto a cominciare qualsiasi cosa con qualsiasi donna. L'ultima volta che ci siamo sentiti, un mese fa, hai parlato di una donna che ti ha spezzato il cuore. Questo non l'ho dimenticato.»
    «Quello è un capitolo chiuso, ormai» sospiro. «Ora lei sta con un altro uomo. È completamente finita. È finita per sempre
    «Forse è finita per lei, ma per te?» domanda, rivolgendomi una di quelle occhiate che riescono a radiografare anche il cuore più scafandrato. «Perché il fatto che lei adesso abbia una relazione con un altro uomo non implica per forza che tu non provi più niente per lei.»
    «Christine, è finita. Lei è lontana migliaia di chilometri, non fa più parte della mia vita. Io sto cercando di ricominciare. E sì, potrei aver voglia di ricominciare con te. In fondo ti conosco, e tu conosci me. Non siamo due estranei.»
    «Non lo eravamo un tempo, Shannon, ma sono passati vent'anni.»
    «So che sono passati vent'anni, Christine.»
    «Sicuro di saperlo? Perché a me non sembra che tu te ne renda conto.»
    «Mi stai chiedendo di andarmene?»
    «Ti sto soltanto chiedendo se sei certo di sapere quello che vuoi. Perché se iniziassi qualcosa con te e ad un tratto mi rendessi conto che non è con me che vuoi stare, sarei costretta a lasciarti di nuovo. E proprio non me la sentirei di essere di nuovo io a giocare la parte della cattiva. Non potrei farti questo. Non di nuovo.» A queste parole, mi alzo e inizio a cercare i miei vestiti, indossandoli lentamente. «Che cosa stai facendo?» Mi volto a guardarla, senza sapere cosa dire: Christine mi sta chiedendo se sarei pronto a donarmi a lei anima e corpo, ad impegnarmi per far funzionare questa relazione, e la verità è che io non ho una risposta. La verità è che mi piace raccontarmi di aver superato la storia di Daria, e di essere pronto a gettarmi a capofitto in una nuova situazione, ma non è esattamente così: fuori mi atteggio a persona dura e sincera, ma dentro sono ancora devastato e sporco, infestato dai demoni del mio passato e dai fantasmi di un amore che non riesco a dimenticare – un amore che non avrei mai creduto di provare, arrivato quando ormai avevo smesso di sperare, e che ora non sembra intenzionato a levare le tende.


*



Torino, 17 febbraio 2014


    «Pronto?» risponde Alice di fretta, senza badare al mittente della chiamata.
    «Forse ho avuto un colpo di genio.»
    Riconoscendo senza fatica l'accento di Jared, Alice alza gli occhi al cielo. «Ma tu non ti arrendi mai? Che ore sono lì, le quattro del mattino?»
    «Le cinque e tre quarti. Mi sono alzato presto, avevo delle cose da fare. Ti disturbo?»
    «No, io... in realtà esco adesso da un esame, sono un po' distrutta. Sto andando ad attaccare un vasetto di Nutella. O una pizza al tonno. O un muffin. Sono un po' indecisa.»
    «Noto con piacere che la parola d'ordine è salutare. Comunque, non ti ho chiamata per discutere della tua dieta. Ho avuto un'idea geniale, e dovevo assolutamente condividerla con te.»
    Per quanto l'idea che lui abbia scelto lei come prima persona con cui condividere un pensiero la lusinghi, Alice non vede l'ora di chiudere la conversazione, desiderosa in effetti soltanto di trascinarsi a casa e crollare a peso morto sul letto. «Sentiamo, Einstein, quale sarebbe il colpo di genio?»
    «Daria ha un passaporto?»
    «Scusa, deve esserci stata un'interferenza. Ho sentito un pazzo parlare di passaporti.»
    «Non fare giochetti con me, piccola. Hai capito benissimo quello che ho detto.»
    «No, non credo che Daria abbia un passaporto. Non siamo mai state in alcun posto che ne richiedesse uno.»
    «Oh, questo costituisce un problema.»
    «Cos'avevi in mente, Bond? Farle credere di aver vinto un viaggio premio e farla venire negli Stati Uniti? Non è cretina, non ci cascherebbe mai.»
    «E io non cadrei mai così in basso, Moneypenny» la schernisce lui. «Quello che avevo in mente era un piano molto più semplice. Ho pensato che avresti potuto proporle una vacanza. Una vacanza a Los Angeles. Non dirmi che non avete mai sognato di vedere la città degli angeli.»
    «Fin da bambine, abbiamo sempre sognato di vedere un sacco di posti. Il problema, con noi comuni mortali, è che non abbiamo un faraonico conto in banca che ci consenta di girare il mondo.»
    «Le spese non sono un problema. Il viaggio ve lo pago io.»
    «Grazie, ma no, grazie. Non siamo le tue prostitute, signor Sono-Una-Star-E-Posso-Permettermi-Il-Mondo» ribatte lei, piuttosto seccata.
    «Beh, ma per il bene della tua amica potresti mettere da parte la tua onestà morale e accettare caramelle da uno sconosciuto. Per una volta, non potresti lasciarti andare?»
    «Non mi stai offrendo una caramella, Jared. Mi stai offrendo una maledetta fabbrica di cioccolato.» Al di là della questione economica, sono molte le obiezioni che Alice potrebbe sollevare pur di declinare l'invito di Jared a trasvolare l'Atlantico: innanzitutto lei non potrebbe partire prima di luglio, a meno di non sovvertire tutti i propri piani di studio e rimandare la laurea di altri sei mesi o più, e poi rimane da esaminare la "questione Daria" – ammesso e non concesso di riuscire a convincerla a partire, facendole temporaneamente abbandonare i suoi propositi da buona samaritana nei confronti di Luca, come si riuscirebbe a persuaderla a soggiornare proprio a Los Angeles, l'unico luogo al mondo in cui le probabilità di incontrare Shannon superano quelle di prendere la scossa infilando una forchetta in una presa elettrica?
    «Sei ancora lì?» si sente domandare un paio di minuti più tardi da Jared, evidentemente preoccupato da quel suo prolungato silenzio.
    «Ci sono, sono qui. Stavo solo... beh, stavo riflettendo sulla tua proposta.»
    «Davvero? E quale sarebbe il responso? Sono riuscito a tentarti?»
    La tentazione di accettare, questo Alice è pronta a giurarlo, è più forte che mai: da almeno otto anni lei e Daria continuano a giurarsi che un giorno salteranno su un aereo diretto chissà dove, e questa sembra proprio una di quelle occasioni da cogliere al volo, quell'opportunità che capita una volta nella vita, e che, se mancata, condanna all'eterno rimpianto. Ma tra il dire e il fare, come dice sempre sua nonna, c'è di mezzo il mare, e sarebbe più semplice enunciare la teoria delle stringhe in aramaico, piuttosto di convincere Daria ad andare proprio a Los Angeles. «Il mio responso, mio caro genio del male, è che la tua idea non è realizzabile. È geniale, ma assolutamente impossibile, e posso dimostrarlo. Punto primo: ammettiamo che io accetti che sia tu a pagare il viaggio. Daria mi conosce da una vita, e soprattutto conosce piuttosto bene la mia situazione finanziaria: sarebbe piuttosto difficile trovare una scusa plausibile per giustificare la mia improvvisa ricchezza e prodigalità. Punto secondo: io a luglio mi devo laureare, ergo non potrei partire prima dell'estate. Tuttavia, dalle informazioni in mio possesso risulta che a luglio voi sarete in tour in giro per il mondo, dunque crollerebbe drasticamente a zero ogni possibilità di far incontrare Daria e Shannon a Los Angeles. Punto terzo: a giugno voi sarete in Italia, addirittura per una sera nella stessa città di Daria, e questa, a mio avviso, potrebbe essere una splendida occasione per tentare di farli riunire. Punto quarto: in questo momento Daria è molto impegnata a conoscere il suo nuovo fratello. È un momento molto delicato per lei e per tutta la sua famiglia, dunque dubito che potrebbe accettare di partire proprio adesso – e riguardo a questo, ti rimando al punto due. Dulcis in fundo, per riuscire a farle mettere piede a Los Angeles dovrei sedarla, imbavagliarla, legarla come un salame e farla viaggiare rinchiusa nella stiva insieme ai bagagli, perché non accetterebbe mai di andare proprio lì di sua spontanea volontà.»
    Completamente investito dal fiume di parole fuoriuscito dalla bocca di Alice, Jared impiega almeno trenta secondi prima di trovare una risposta degna di questa definizione. «Però, quando confuti una teoria lo fai davvero come si deve...» sussurra, sinceramente stupito dalla proprietà di linguaggio con la quale Alice riesce ad esprimersi anche quando viene messa di fronte alla necessità di improvvisare un discorso.
    «Sai com'è, con noi filosofi. Noi confutiamo ogni cosa, sempre.»
    «Giunti a questo punto, credo di dover alzare bandiera bianca e accettare la sconfitta. Hai addotto argomentazioni cui non posso controbattere in alcun modo.»
    «Tutto qui?» si sorprende Alice, stupita dall'inaspettata arrendevolezza del proprio interlocutore: oltre che uno splendido diavolo tentatore, Jared è anche una di quelle persone che non si arrendono mai, qualunque cosa accada – e in fondo è questo che gli ha permesso di raggiungere la fama, il successo e la gloria. Jared è uno di quegli uomini che non smettono mai di combattere, anche quando la battaglia sembra persa, anche quando la speranza è morta. Lui è uno di quelli che non mollano l'osso finché non ci rimettono la vita, e quell'improvvisa mancanza di tenacia è a dir poco sospetta. «Nessuna insistenza, nessuna obiezione, nessun ma
    «Non sono un cane rognoso, Alice. Mi accanisco soltanto quando so di poter vincere la battaglia. In questo caso ho perso in partenza, continuare a controbattere sarebbe un inutile spreco di energie.»
    «Stai dicendo che mi lasci vincere?»
    «Non ho mai lasciato vincere nessuno, piccola, e di sicuro tu non sarai la prima. Mi sei simpatica, ma non fino a questo punto.»
    «Per caso cercavi di farmi un complimento?»
    «Perché, ci stavo riuscendo?»
    «Per niente» ribatte Alice, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sa, mister Leto, lei non è poi così affascinante come crede di essere.»
    «Stai forse dicendo che mi trovi affascinante?»
    «Sto dicendo l'esatto contrario, invece. Penso che tu sia soltanto un grosso pallone gonfiato a cui piace pavoneggiarsi.»
    Jared aspetta un attimo, prima di rispondere: le parole sono dure, ma dal tono della sua voce riesce facilmente ad intuire che Alice sta sorridendo, o che comunque non pensa davvero ciò che sta dicendo – evidentemente lo sta prendendo in giro, e per qualche strana ragione questo la diverte da morire. «Verrà un giorno in cui tu ed io ci incontreremo, e io ti farò rimangiare ogni singola parola» replica, abbassando la voce e rallentando il ritmo delle ultime sillabe. «Stammi bene, Alice. In bocca al lupo per la tua laurea.»
    «Crepi. Ci sentiamo.»
    «Ci sentiamo.»
    La comunicazione si interrompe, e Alice inizia a fissare il cellulare come se stesse per farsi crescere una bocca e azzannarle una mano. Più passa il tempo, più fatica a credere che sia vero: non può succedere davvero, non può essere davvero Jared Leto, l'americano che di tanto in tanto la chiama e si diverte a prenderla in giro e farla uscire dai gangheri. Eppure, allo stesso tempo, sa per certo che si tratta di lui, perché sa cose che nessun altro potrebbe sapere, dettagli che un impostore non potrebbe assolutamente conoscere.



*



Los Angeles, 17 febbraio 2014


    Stesa sul letto che da ormai cinque anni condivide con il marito, Vicki si accarezza il ventre appena incurvato con entrambe le mani, lasciandosi sfuggire di quando in quando un singhiozzo e un paio di lacrime che prontamente asciuga con un Kleenex. Era convinta che lei non sarebbe stata una di quelle patetiche donne incinte facili al pianto, ma l'esplosione di ormoni che le sta invadendo il corpo pare abbia alla fine avuto la meglio, spingendola a tirar fuori dagli scaffali quei vecchi film romantici che non pensava avrebbe mai guardato di sua spontanea volontà. Tornando dalla quotidiana passeggiata mattutina con Dink e Kasha, Tomo si affaccia alla porta della camera da letto, stupendosi di trovare la moglie in tale stato. «Tesoro, va tutto bene?»
    «Certo che va tutto bene. Perché, non dovrebbe essere così?»
    «Stai guardando Sabrina e ti stai commuovendo» replica lui, sedendosi sul bordo del materasso. «Se tu fossi qualunque altra donna, potrei pensare che sia una cosa normale. Però non posso dimenticare che è di te che stiamo parlando. Come ti senti?»
    «Meglio. Da quando sei uscito non ho più vomitato. Anzi, mi è quasi venuta voglia di una bella crostata di fragole.»
    «Crostata di fragole? Ma tu detesti le crostate!»
    «Oh, sta' a guardare i dettagli! Mi prepareresti un dolce con le fragole? Per favore? Guarda che non sono io a chiederlo, ma tuo figlio, il tuo erede, il tuo stesso sangue.»
    «Lo farei di corsa, amore, ma dove trovo delle fragole in pieno inverno?»
    «Il mondo congiura contro di me» sospira lei, allargando le braccia. «Mi prepareresti qualunque altro dolce, allora? Ho una fame che non ci vedo.»
    «Vedrò di inventarmi qualcosa» sospira lui a sua volta, sorridendo. «Ma sia chiaro, lo faccio per il sangue del mio sangue, non certo per te» aggiunge un attimo prima di abbassarsi su di lei per darle un bacio a fior di labbra. «Come mai questo improvviso debole per i vecchi film? Non stai iniziando con gli sbalzi d'umore, vero?»
    «Forse sì, non lo so. Forse avevo solo voglia di una storia con il lieto fine. Sai, una di quelle storie che tutte le ragazze sognano, una di quelle storie che finiscono bene.»
    «E come mai?»
    «Beh, ultimamente ho pensato molto a Shannon, e a come sia finita la sua storia con Daria. O meglio, a come non sia finita.»
    «Non ti seguo, Vicki. Shannon e Daria ormai si sono lasciati da mesi.»
    «Non si sono veramente lasciati, Tomo. Lei ha messo un punto, ma lui si è dimenticato di sottoscriverlo. O forse non ha voluto farlo, non lo so. Tutto quello che so è che non hanno chiarito la situazione, quindi non è veramente finita.»
    «Beh, ma Jared ha detto che Shannon ha usato i biglietti aerei ed è andato in Italia, perciò si può dire che un passo lo ha compiuto.»
    «Sì, ma se ben ricordi Jared ha anche detto che Shannon non le ha parlato, perché quando l'ha vista con quell'altro uomo ha girato i tacchi e ha battuto in ritirata.»
    «Cosa pensi che avrebbe dovuto fare, scusa? Dargli un pugno sul naso e sfidarlo a duello in un posto isolato al sorgere del sole?»
    «Tu che cosa avresti fatto?»
    «Vicki, io non posso sapere...»
    «Dai, Tomo, per un istante smetti di fare il diplomatico» lo interrompe lei, mettendosi a sedere. «Prova a metterti al posto di Shannon. Che cosa avresti fatto, se al posto di Daria ci fossi stata io? Se io ti avessi lasciato brutalmente e senza motivo e ti avessi chiesto di non cercarmi, andando lontana migliaia di chilometri, tu che cosa avresti fatto?»
Tomo finge di rifletterci su, mentre in realtà conosce già perfettamente la risposta. «Ti avrei rincorsa immediatamente, credo. Non ti avrei nemmeno dato il tempo di superare il confine.»
    «E dimmi, perché lo avresti fatto?»
    «Per dimostrarti che ti amo, e che sarei pronto a combattere fino alla fine per stare con te. Ma con questo cosa vorresti dire, che Shannon non ama Daria?»
    «Non mi permetterei mai di dire una cosa simile, Tomo. So che le persone non sono tutte uguali, e che tutti esprimiamo il nostro amore in maniera diversa. Dico solo che io li ho visti insieme, li abbiamo visti tutti, e se quella non è una coppia destinata a stare insieme e a durare allora non so giudicare l'amore. Ho parlato tantissimo con lei, potrei quasi dire di conoscerla, e sono più che certa che non stesse fingendo. Riguardo a Shannon, poi, non posso avere dubbi, perché voi lo conoscete meglio di me, e avete visto quanto fosse coinvolto. Quello che voglio dire è che certe storie non le puoi cancellare con un colpo di spugna. Certe persone non te le puoi dimenticare soltanto perché smetti di vederle. Mi chiedo se certe storie si possano mai superare, in realtà. Lascia perdere» aggiunge sopo un attimo. «Credo sia la gravidanza a rendermi così sentimentale.»
    «Beh, se è così, sappi che intendo metterti incinta un altro milione di volte almeno» le sorride lui, tornando a farsi avanti per un altro bacio. «Mi piaci quando sei così sensibile.»
    «Non contarci troppo» ribatte lei, fingendo di respingerlo. «Potrei anche non essere d'accordo.»
    «Poco male. Saprei trovare un modo per convincerti» replica lui, senza smettere di sorridere.
    Vicki gli accarezza dolcemente una guancia, senza smettere di guardarlo negli occhi. «Perché non possono essere tutti fortunati come lo siamo stati noi due?»
    «Pensa a come diventerebbe noioso il mondo, se tutti fossero felici e contenti» sussurra lui, poggiando la propria mano su quella della moglie. «Forse non è un male che al mondo ci siano persone fortunate e persone sfortunate: in questo modo i più fortunati hanno qualcosa da compatire, e i meno fortunati qualcosa da invidiare.»
    «E dove starebbe il bello, in questa situazione?»
    «Beh, per come la vedo io, il bello sta nel fatto che la sorte può cambiare direzione, e la gente può scambiarsi le disgrazie. Niente dura per sempre, giusto?»
    «Così dicono. In realtà spero sia falso, perché la mia fortuna non vorrei perderla per nulla al mondo.»



*



Torino, 17 febbraio 2014


    Sono trascorsi due giorni da quando ho accettato di prendermi cura del gattino trovato dai Lorenzoli e finalmente, dopo quarantotto ore passate a tenermi sveglia con il suo coriaceo silenzio, Solo sembra aver preso la decisione di sopravvivere, e soprattutto di riempire le mie giornate con un tenace miagolio che sembra rafforzarsi ad ogni ora che passa. Gli ultimi due giorni, comunque, non sono stati votati unicamente alla cura del mio nuovo animale domestico: in questo snervante finesettimana ho trovato finalmente un po' di tempo per pensare a me stessa, e soprattutto a ciò che intendo fare della mia vita.
    Ora che ho lasciato Marco, l'idea di ripresentarmi al lavoro mi imbarazza più di quanto mi imbarazzasse tornare dopo essermi fatta vedere nuda. Alla libreria mi sono sempre trovata così bene da non aver mai pensato ad un impiego alternativo, con il risultato che ora mi trovo quasi costretta a continuare ad affrontare quel lavoro, ma soprattutto un capo che so di aver ferito, un uomo che si è dimostrato capace di fare qualunque cosa pur di rendermi felice, e che invece io ho pugnalato alla schiena senza tanti complimenti. Non soltanto il lavoro, anche la città in questo ultimo periodo sembra starmi stretta, quasi togliermi l'ossigeno e la libertà di muovermi. Da ragazza qualche volta ho provato il desiderio di andarmene, ma alla fine la realtà mi ha sempre soddisfatta a tal punto da farmi smettere certi pensieri, relegandoli al rango di follie adolescenziali – ma adesso, in questo momento, adesso che ho finalmente combinato quei casini che aspettavo di combinare da quando avevo tredici anni, adesso il desiderio di avere un posto lontano in cui rifugiarmi torna a farsi più vivo e prepotente che mai. Ho sempre adorato Torino, ho sempre adorato la mia vita, sono sempre stata bene, eppure adesso vorrei fuggire via. È un desiderio così strano e improvviso che nemmeno ho in mente una meta: tutto ciò che vorrei è stringere tra le mani un biglietto aereo e una valigia e chiudermi la porta alle spalle, diretta anche a Timbuctu.
    Mentre Solo ricomincia a miagolare disperato, reclamando il pranzo, mi rendo conto che per tutta la vita non ho fatto altro che aspettare: aspettare che mia madre ritornasse indietro, aspettare il grande amore, aspettare che tutto finisse in pezzi... non ho fatto altro che aspettare, sempre, e finalmente gran parte delle mie aspettative è stata ripagata.


*



Los Angeles, 17 febbraio 2014


    Sono quasi le due del mattino, e Christine fissa la porta con aria sospettosa, chiedendosi chi possa bussare ad un'ora così tarda. Scosta le tende del salotto, riconosce l'auto di Shannon e sgrana gli occhi, domandandosi il motivo che lo ha portato in quella parte della città così tardi, soprattutto dopo la rocambolesca uscita di scena di quella stessa mattina. «Shannon, sono le due del mattino. Che diavolo ci fai qui?» gli domanda, aprendo finalmente la porta e fissandolo con lo sguardo più truce del proprio repertorio.
    «Ti dovevo parlare. Scusa, lo so che è tardi e che domani devi andare al lavoro, ma non potevo aspettare. Dovevo parlarti adesso
    «E va bene, entra» sospira lei, scostandosi per lasciarlo passare. «Di che cosa dovresti parlarmi?»
    «Direi che è abbastanza chiaro, Christine. Intendo finire il discorso che abbiamo iniziato questa mattina.»
    «Credevo che quel discorso lo avessimo concluso stamattina. Quando te ne sei andato» aggiunge, cercando di sottolineare che è stato proprio lui a mettere fine alla conversazione, e che dunque è molto bizzarro e soprattutto un pochino incoerente che sia proprio lui, adesso, a volerlo riprendere.
    «Stamattina ho sbagliato, sono stato troppo precipitoso. La verità è che non sapevo come rispondere, perciò ho ritenuto che andarmene fosse la scelta migliore. Solo che poi ho avuto tutta la giornata per rifletterci su, e mi sono reso conto che è stato un gesto davvero stronzo andarsene così, senza dire niente. Tu meritavi una risposta. La meritavi, punto e basta.»
    «Perciò adesso sei qui per questo? Sei qui per metterti a posto la coscienza?»
    «Non lo chiamerei mettersi a posto la coscienza. Sono qui per dirti che io ci credo.» Christine aggrotta impercettibilmente la fronte, chiedendosi se non sia il caso di frenarlo, prima che dica qualcosa di cui potrebbe pentirsi. «Christine, io non ti posso assicurare che andrà tutto bene, che il lieto fine ci troverà subito e che staremo insieme per sempre. E anche se ti promettessi una cosa del genere, tu sei troppo intelligente, e non mi crederesti. Ciò che sento di poterti assicurare è che ci saranno giorni buoni e giorni meno buoni, e che la strada sarà quasi tutta in salita. Posso prometterti che ci saranno giorni in cui sarò meno sicuro, e giorni in cui avrò l'istinto di andarmene. Però posso anche prometterti che avrò sempre bisogno di te, ogni giorno, perché tu riesci a capirmi e a leggermi dentro meglio di quanto riesca a fare io.»
    Christine sospira, coprendosi gli occhi con una mano: avrebbe dovuto ascoltare il proprio istinto e frenare Shannon quando ancora poteva farlo, invece di convincersi che non avrebbe detto un mucchio di stronzate romantiche. «Shannon, tu non...»
    «Non sto dicendo che ci dobbiamo sposare domani, o qualche stronzata simile. Non sono stupido, Christine. So che non posso tornare indietro a vent'anni fa, che non siamo i ragazzini di allora e che il mondo è diverso. Solo... io sento che se c'è una possibilità che vada bene, allora ci dobbiamo provare. Non capita a tutti di avere un'altra occasione. Forse noi siamo stati fortunati. Forse stavolta... magari potrebbe andarci bene.» Christine si scopre gli occhi, sospirando ancora: non se la sente di condannare l'idealismo di Shannon, perché in fondo anche lei ha sperato, anche se ormai anni fa, di avere un'altra occasione con lui – in fondo, è vero che non ha mai smesso di amarlo. È stata capace di lasciarlo, di spezzargli il cuore, di sposare un altro uomo e di costruirsi un futuro lontano, ma non ha mai smesso di amare quel ragazzo con il sorriso sornione e gli occhi d'ambra, quello che con un solo sguardo sapeva mandarla in paradiso, e che non si è mai risparmiato pur di renderla felice. «Non voglio farti promesse, Christine, perché so benissimo che potrei non mantenerle. Voglio soltanto che mi guardi negli occhi e mi prometti che possiamo provarci. Non voglio altro.» Christine finalmente alza lo sguardo, trovando davanti ai propri gli occhi di Shannon, ora così scuri da sembrare ossidiana pura. Senza parlare lo circonda con le proprie braccia, sapendo che questa, come promessa, gli basterà – e poco importa che in fondo lei non ci creda davvero, convinta com'è che lui non si sia affatto lasciato alle spalle il passato, sicura che tutto ciò da cui sta fuggendo presto o tardi tornerà a mordergli il sedere. Forse è da stronza patentata comportarsi così, forse non è giusto abbracciarlo, annuire e illuderlo che tutto andrà bene quando già sa che finirà tutto a puttane, ma a Christine questo non importa, non adesso – tutto ciò che vuole adesso è un'occasione per essere di nuovo felice, anche solo per un istante, anche se solo per finta, perché in fondo ha sempre saputo che era Shannon l'uomo perfetto per lei. Peccato solo che lei non sarà mai la donna per lui.



1L'inferno è vuoto, e tutti i demoni sono qui. | Il titolo del capitolo è ispirato ad una battuta della commedia La Tempesta, opera del celebre drammaturgo inglese William Shakespeare (1610-1611).
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: EffieSamadhi