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Autore: A_Typing_Heart    27/12/2014    2 recensioni
Nella cornice di un Giappone moderno schiacciato dalla tirannia di un regime militare Hibari Kyoya e Rokudo Mukuro si ritrovano a inseguire i propri ideali di giustizia e libertà su fronti opposti. Hibari è pronto a separarsi da Mukuro in nome della legge, dell'ordine e della disciplina, lasciando il suo cuore imprigionato in un gelido inverno. Ma altri sono pronti a dare la vita affinchè torni a soffiare un vento carico di petali di ciliegio...
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Kyoya Hibari, Mukuro Rokudo, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Hibari si svegliò in un mondo quasi normale il giorno sette di gennaio del nuovo anno. Per la prima volta non aveva avuto incubi e sentiva di aver finalmente dormito tranquillo, se ne accorgeva dall'energia che sentiva in corpo. Aveva faticato molto dopo il giorno di Natale a riprendere la vita come la conosceva, anzi, si poteva dire che non ci fosse riuscito. Aveva preso quanti più giorni di ferie consecutive potesse al lavoro, aveva messo scarpe e uniformi dove non le avrebbe avute sotto agli occhi e dopo pochi giorni di fatto aveva ripreso il ritmo di vita che aveva ai primi tempi di accademia. Si alzava quando era ancora buio, andava a correre lungo il fiume mentre il sole sorgeva e la città dormiva. Si fermava di nuovo al solito bar a bere sempre il solito tè ai fiori di ciliegio. Lì incontrava ogni mattina Yamamoto, che scambiava due chiacchiere con lui prima di andare a pulire il dojo. Al ritorno faceva camminando un giro diverso, passava di fronte alla casa di Chrome, ma senza avere il coraggio di andare da lei, e faceva ritorno a casa. Si prendeva cura dei suoi animaletti, puliva la voliera e la gabbietta dei ricci, faceva dell'altro tè casalingo e guardava la televisione fino all'ora di pranzo (ai tempi dell'accademia, usava quel tempo per studiare). Mangiava qualcosa, faceva qualche faccendina domestica in qua e là prima di allenarsi di nuovo, cosa che aveva trovato difficile i primi giorni: lavorava troppo e si allenava troppo poco negli ultimi tempi. Così trascorreva il pomeriggio fino a una frugale cena e a una sacrosanta doccia prima di coricarsi. Questa era stata la sua vita in quegli ultimi dieci giorni, sempre uguale, e doveva ammettere che funzionava bene. Si sentiva di nuovo forte, in salute, e dedicarsi alle piccole cose e a se stesso lo aiutava a metabolizzare quello che era successo a Mukuro. Ogni volta che lo assaliva la tristezza faceva del suo meglio per convincersi che stava facendo quello che Mukuro avrebbe voluto che facesse, pensare a se stesso, fare quello che lo faceva stare bene, vivere la sua vita.
Quel mattino di gennaio, martedì, Hibari si svegliò con una vaga sensazione di leggerezza. Non aveva sonno, non era stanco, si sentiva perfettamente in forma. Si alzò infilandosi un kimono e per prima cosa lasciò liberi i ricci che stavano scavando come pazzi nella ghiaia.
-Siete più rumorosi dei canarini, pensateci su.-
Dopo essere andato in bagno e aver preparato il tè, uscì sulla terrazza. Faceva davvero molto freddo e si strinse nelle spalle, ma il panorama della città e il rumore soffocato delle sue strade valevano il disagio. Per la prima volta da settimane, Hibari sorrise. Non si era mai reso conto di quanto fosse bello anche solo ascoltare i rumori tutto intorno a lui e scoprire che non aveva mai usato i suoi sensi quanto avrebbe potuto. Il cielo sembrava avere delle sfumature mai viste, la sua pelle sembrava felice persino di sentire il vento freddo, e guardava la sua amata città come se non l'avesse mai vista prima, con la stessa meraviglia...
Quando rientrò in casa venne assalito da una decina di canarini cinguettanti che si azzuffarono per accaparrarsi i posti migliori sulla sua testa e sulle spalle. Hibari rise e sollevò le mani per permettere ai perdenti di posarsi sulle sue dita. Uno dei suoi piccoli, particolarmente tondo e soffice, cinguettò guardandolo con i lucidi occhietti.
-Ora sto bene.- gli disse Hibari. -Sono pronto a tornare.-
Sul tavolino, il telefono di Hibari emise un suono simile al cinguettio dei suoi piccoli, e in molti presero il volo per avvicinarglisi incuriositi. Lui li scansò per prendere il cellulare e vide che aveva ricevuto una e-mail. Sorpreso per l'orario insolito l'aprì e scoprì che era di Saeki e recitava così: "Stranamente il capo sembra tranquillo, non ha ancora urlato da quando sono tornato. Sospetto invasione aliena. Fornirò rapporti regolari. Saeki."
Hibari rise e rispose all'e-mail sullo stesso tono ironico. Con la scomparsa di Mukuro e il conseguente scioglimento della task force, i cadetti temporaneamente promossi a vigilantes erano stati congedati e rimandati da dove erano arrivati. Per Saeki era stato un brutto colpo dover abbandonare la scrivania accanto a quella di Kyoya e tornare sotto il piede minaccioso di Lal Mirch. Come la carriera di quei vigilantes, anche il rapporto di Hibari e Saeki fece qualche passo indietro. Era retrocesso a uno stadio per il quale non era nemmeno transitato mentre cresceva da antipatia reciproca a sincero interesse. Hibari conosceva quel tipo di rapporto, anche se non ne aveva mai avuto uno così: l'aveva visto tra molti compagni di accademia che condividevano la stanza o lo stesso dormitorio. In piedi con la stessa sveglia, a fare insieme l'allenamento o studiare. Benchè per Saeki sembrasse impossibile tenere il passo di corsa di Hibari, che anche senza volerlo lo seminava spesso e lo ritrovava al ritorno, stremato, seduto su un muretto o più spesso al riparo dal freddo. Si scrivevano e-mail se succedeva qualcosa, avevano mangiato cinese insieme una volta, e niente altro. Non avevano più passato la notte insieme, non si erano più baciati e il massimo contatto fisico che avevano avuto era stato un breve abbraccio quando Saeki aveva sgomberato la scrivania. Kyoya si sentiva più sereno in quel nuovo stato di cose, e se Saeki soffriva la sua perdita come amante era bravo a mascherarlo, perchè non aveva più fatto il minimo accenno verbale o fisico a un desiderio di quel tipo e sembrava comunque allegro. A Hibari la relazione con Saeki sembrava essere stata una menzogna. Era nata dal fatto che sapeva che lo teneva d'occhio e voleva ingraziarselo più che poteva, e tutto quello che era venuto dopo... più che l'amore erano stati in gran parte disperazione e smarrimento ad averlo gettato fra le sue braccia. Retrocedere a uno stadio precedente di quella che avrebbe definito "intima amicizia" fu come confessare di aver mentito ed essere perdonato. Fu probabilmente una delle cose che più lo aiutarono dopo la sua tragica perdita.
Saeki rispose alla sua e-mail chiedendogli, come ogni giorno, come si sentisse. Ma questa volta Hibari non dovette riflettere più di qualche secondo per replicare. Scrisse all'amico la stessa cosa che aveva detto ai suoi canarini poco prima e andò in camera sua. Sarebbe tornato al lavoro il giorno seguente, ma nulla gli impediva di andare a fare un giretto in caserma a vedere che aria tirava. Anche se prima aveva un altro posto dove andare.


Hibari si era vestito velocemente ed era sceso in strada più in fretta che poteva. Era sicuro che quella persona sarebbe stata in casa, ma la sua premura era agire prima che la determinazione venisse meno. Si era fermato soltanto a prendere qualcosa da portarle, poi aveva attraversato i due incroci che li separavano e aveva risalito la strada, alla ricerca del numero civico. Lo trovò senza difficoltà nel momento in cui un uomo dai capelli grigio ferro usciva dal cancello del condominio.
-Devi entrare, giovanotto?-
-Ah... sì. Grazie.-
Hibari era sempre andato in giro con la sua uniforme, perfino a fare spese, perchè ci passava la sera quando staccava dal lavoro. Di conseguenza veniva sempre trattato con riverenza, oppure con distacco e in qualche caso disprezzo. Erano anni che non si sentiva chiamare "giovanotto", o dare del tu da perfetti sconosciuti. Il vecchio gli lasciò aperto il cancello e lui entrò chiudendoselo alle spalle. Era lì, ormai doveva decidersi, non poteva continuare a rimandare. Era pronto, si ripetè nella mente mentre saliva piano le scale, era pronto a farlo. Anche se ci mise un po' troppo tempo a decidersi a bussare per uno che sosteneva di sentirsi pronto.
Attese con trepidazione per un tempo che gli parve lunghissimo prima che la porta si aprisse di pochi centimetri ed emergesse l'occhio viola intenso di Chrome che lo guardava con sospetto.
-Ah... buongiorno, Chrome...- disse Hibari, gioendo del fatto che la sua voce non tremava affatto. -Sono... sono venuto a vedere se stai...-
La porta si richiuse di scatto e Hibari lasciò la frase sospesa a metà. Avrebbe dovuto immaginare che la sua vista gli fosse sgradita, o addirittura odiosa dopo quello che aveva fatto alla sua famiglia. Pensò di andarsene prima di registrare un tintinnio di catenelle e vedere la porta che si riapriva. Non gli aveva chiuso la porta in faccia, stava solo togliendo la catena di sicurezza... un attimo dopo Chrome si gettò fuori dall'ingresso e lo strinse a sè come se da tutta la vita non aspettasse altro che una sua visita.
-Chrome...?-
-Sono così felice che tu sia venuto...- disse lei trattenendo un singhiozzo. -Mi sentivo così sola...-
-Mi dispiace di non essermi fatto vedere prima.-
Chrome si alzò più che poteva sulle punte dei piedi per baciarlo sul viso e gli strinse le mani con la stessa forza e la stessa passione con cui lo aveva abbracciato. L'unico occhio che un brutto incidente infantile le aveva lasciato luccicava di lacrime di gioia. Hibari era così sorpreso che tutto quel sentimento fosse per lui che si chiese se la perdita di Mukuro non l'avesse resa un po' tocca e pensasse di vedere lui al suo posto.
-Entra... entra, ti prego! Sto facendo l'ultimo tè, prendine un po' con me...-
Chrome tornò in fretta dentro e Hibari la seguì. Mentre si toglieva le scarpe nell'ingresso si soffermò sulla sua sinistra affermazione: "l'ultimo tè". Non aveva idea di cosa significasse e stava seriamente iniziando a preoccuparsi.
-Chrome, che cosa vuoi dire con "ultimo tè"?-
La ragazza armeggiò in cucina facendo tintinnare del metallo e delle tazze prima di riemergere dalla stanza con il vassoio pronto. Continuava a sorridere, qualsiasi cosa le stesse succedendo sembrava svanire per la felicità di avere visite.
-Che l'ho finito, e credo che non ne avrò più.-
-Che vuoi dire?- chiese Hibari sedendosi con lei al tavolino.
-Oh, sono per me?- disse lei all'improvviso.
Hibari si accorse di avere ancora la grossa scatola di pocky al cioccolato in mano. Ancora un po' spaesato gliela porse. Li aveva presi per lei, sapeva che erano i suoi dolci preferiti e in quel periodo costavano veramente tanto, quindi le aveva portato la scatola più grande che aveva trovato. Lei scartò il pacchetto e ne mangiò subito uno.
-Sono fantastici, Hibari, grazie...-
-Di niente.- ribattè lui. -Ma cosa dicevi del tè?-
-È venuto un uomo l'altro giorno a dirmelo... ora che Mukuro è morto, la casa governativa non è più per me, e nemmeno il sussidio.- disse lei versando il tè. -Non so che cosa fare... io non conosco queste leggi, Mukuro le conosceva... so solo che sta per nascere, non ha ancora un nome e nemmeno un futuro...-
Hibari abbassò gli occhi sul suo ventre. Non sapeva quando Nagi fosse rimasta incinta, ma era fin troppo evidente che stesse davvero per nascere, non avrebbe potuto crescere ancora di più. Quasi aveva dimenticato che la casa era per Mukuro, nonostante avesse compilato lui i documenti. Ma c'era da chiedersi allora perchè il governo avesse lasciato una casa a un terrorista, anche se Hibari credette di sapere la risposta: Mukuro era già abbastanza pericoloso senza che scoprisse che l'Haido aveva lasciato la sua donna incinta in mezzo a una strada.
-Non ti devi preoccupare di questo, Chrome.- disse Hibari posando la mano sulla sua. -Mi prenderò io cura di voi, di tutti e due. Se non vuoi restare sola non lo sarai.-
Chrome lo abbracciò di nuovo, anche questa volta senza alcun preavviso. Istintivamente Hibari fece lo stesso, vedendo il pancione passare un po' troppo vicino al bordo del tavolino. Lei però sorrise e sembrò capire il motivo per cui aveva avuto così tanta fretta di mettere la mano sul suo ventre. Gli disse qualcosa, ma lui non lo sentì. Era stato conquistato, ammaliato da quello che sentiva. Gli sembrava di sentire un piccolo battito, e anche qualcosa che si muoveva. Era la prima volta che sentiva la vita, ed era incredibile.
-Riesci a sentirlo?- gli domandò Chrome sorridendo. -Senti il cuoricino che batte?-
Hibari si rese conto di essere troppo emozionato per riuscire a parlare e annuì soltanto.
-Anche lui sente la tua mano.- disse lei. -Si sta muovendo...-
-Lo... lo sento.-
Non aveva idea di quanto tempo rimase con le mani sul ventre di Chrome, ma sicuramente parecchio. Più stava lì più gli pareva che ci fosse un altro mondo dentro di lei, e anche se lo intuiva era qualcosa che lui non avrebbe mai potuto davvero capire. Chrome restava seduta davanti a lui in silenzio, guardava le sue mani e sorrideva, tenendosi sollevato il maglioncino. Nel momento stesso in cui lui pensò di farle quella fatidica domanda, lei alzò lo sguardo su di lui e sorrise incoraggiante.
-... Chrome... senti...-
-Sì?-
-Questo... questo bambino... è di... è di...?-
-Mukuro voleva che fosse così.- rispose lei, senza smettere di sorridere. -Aveva detto che una volta nata avrebbe detto a tutti che era sua figlia, che saremmo stati una famiglia vera.-
-Perchè a me l'ha detto subito che non era vero?-
-Non lo capisci, Hibari?- chiese Chrome, con un sorriso se possibile ancora più dolce. -Eri l'unica persona che amasse più di me... non avrebbe mai potuto mentire e dirti che aveva scelto me al posto tuo.-
Hibari abbassò lo sguardo e riuscì finalmente a separarsi dalla piccola creatura. Come sempre il comportamento di Mukuro non aveva alcun senso.
-E che cosa avrebbe fatto se io fossi diventato l'uomo che desiderava? Chi avrebbe scelto dopo?-
-Essere il padre di un bambino non gli avrebbe impedito di essere il tuo compagno... saremmo stati tutti una famiglia grande e felice... Mukuro diceva che era il tipo di famiglia che desideravi quando eri bambino.-
Lei sorrise allegramente, come se raccontargli quello che Mukuro diceva di lui fosse particolarmente divertente. Hibari avrebbe creduto che fosse doloroso e sgradevole pensarci, invece se l'immaginava Mukuro, nello squallido salotto del vecchio albergo, a dire a Chrome che sarebbero stati felici, una famiglia strana ma chissenefrega, perchè quello che Kyoya desiderava da piccolo era avere una famiglia numerosa e allegra, tutto il contrario di quella che aveva avuto... e sorrise a quel pensiero. Passò il braccio attorno alle spalle di Chrome e lei lo abbracciò di nuovo, posando la testa fra la spalla e il suo mento.
-Noi saremo una famiglia anche se lui non c'è.- stabilì Hibari. -Metterò il mio nome nel certificato quando nascerà.-
-E possiamo vivere con te?-
-Sì, se lo vuoi.-
-Lo voglio.- disse lei aggrappandosi ai suoi vestiti. -Mi sento sola qui.-
Hibari non sapeva per quale motivo, ma restare così vicino a Chrome non gli dava nessun fastidio. Anzi, era una sensazione piacevole, nonostante in tutta la vita non si fossero mai trovati soli prima di allora. Restarono così per lunghi minuti, senza dire niente ma senza che il loro silenzio fosse imbarazzante. Quella strana pace fu interrotta solo quando Chrome prese un altro pocky e sobbalzò violentemente, di fatto dando una testata a Hibari.
-Ahia!- fece lui toccandosi il naso.
-S-scusami, scusami... è stato lui, mi ha dato un calcione... ti ho fatto male? Fammi vedere...-
-No, no... sto bene, non è niente...-
-Mi dispiace... si è tutto agitato quando ho mangiato...-
Chrome si mise a fissare la scatola dei pocky in modo così assorto che Hibari iniziò a preoccuparsi. La guardò anche lui ma non vide niente di strano. Attese che Chrome si spiegasse, ma non lo fece.
-Chrome, che cosa c'è?-
-Ho trovato il nome!-
-Che nome?-
-Il nome, il nome per il bambino!-
-Ah... e sarebbe?-
Chrome sorrise e gli avvicinò la scatola così tanto che gli occhi di Hibari si incrociarono.
-Mikado!-
-... Vuoi... chiamarlo come i tuoi dolci preferiti?-
-Perchè no? Mukuro pensava che fosse femmina e voleva chiamarla Sakura come i suoi fiori preferiti.-
-Sì, ma... ne sei sicura?-
-Mukuro ha detto che lo avremmo deciso quando saremmo stati di nuovo insieme.- disse lei in tono aggressivo, o almeno, tale doveva esserne l'intenzione. -Ora qui ci sei tu, tu mi hai portato questi, è come se lo avessi proposto e io dico che va bene.-
Hibari capì che il nome le piaceva molto e dopotutto lui non aveva in mente niente. Inoltre, Mikado era un nome esistente, quindi pensò che poteva anche arrendersi e accettare che avrebbe avuto un figlio di nome Mikado. A quel pensiero la testa gli girò pericolosamente e decise che sarebbe stato più prudente sdraiarsi e aspettare che passasse.
   
 
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