Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amor31    27/12/2014    3 recensioni
Notte fonda.
Stremato dal turno di guardia, Eren chiede a Mikasa di chiamare Jean per sostituirlo.
La ragazza obbedisce, felice di poter finalmente andare a dormire, ma qualcosa di inaspettato la trattiene: la verità si cela oltre una porta.
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- ATTENZIONE! LIEVI SPOILER PER CHI NON HA LETTO I CAPITOLI 52/53 DEL MANGA -
*Storia classificatasi sesta al contest "La verità è che mi piaci" indetto da AmahyP sul Forum di EFP*
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Conny Springer, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Oltre la porta

 

Quella sera il cielo era particolarmente buio.
Le stelle sembravano scomparse; la luna, che fino al giorno prima era sorta in tutto il suo splendore illuminando le cime del grandi alberi del bosco, si era ritirata dietro una densa coltre di nubi nere.
-Pensi che pioverà?-.
Immobili sulla torretta di vigilanza e costretti dal Capitano Levi alla guardia notturna, Eren e Mikasa si davano le spalle, sorvegliando ciascuno un lato della nuova base operativa della Legione Esplorativa.
-Può darsi-.
Mikasa aveva risposto pacatamente alla domanda del ragazzo, sollevando impercettibilmente le spalle. Per lei non sarebbe cambiato nulla, con o senza pioggia. L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era tenere gli occhi aperti, prestando attenzione anche al più insignificante movimento o fruscio proveniente dalla foresta che li circondava.
-Non mi hai detto le tue impressioni sul piano elaborato dal Comandante Erwin-.
La ragazza finse di non aver sentito. Non voleva tormentarsi ancora immaginando cosa sarebbe accaduto il giorno dopo.
-Mikasa? Ehi?-.
-Cosa c’è?-.
-Di’ qualcosa-.
E cosa? Avrebbe voluto urlargli che quel piano era folle, che non avrebbe mai permesso ai loro superiori di fargli rischiare di nuovo la vita. Non dopo gli avvenimenti di Trost. Non dopo essere stato catturato e salvato in extremis dalla furia di Reiner e Bertholdt.
-Eren, non farlo-.
-Come pensavo-.
Il ragazzo sbuffò, infastidito, poi aggiunse: -Ancora non ti fidi delle mie capacità-.
-Non è questo-.
-Sì, invece-.
-Ho paura che ti possa accadere qualcosa-.
-Me la caverò come ho sempre fatto-.
Mikasa si fermò di nuovo e si voltò verso Eren. Continuava a darle le spalle, ma immaginò che la sua espressione fosse dura e vendicativa. Un’espressione che negli ultimi cinque anni era stata una costante.
-La Squadra ti ha sempre supportato nel momento del bisogno. Se non fossimo intervenuti in tempo, a quest’ora saresti ancora nelle mani di…-.
-Smettila di preoccuparti. Non sei mia madre!-.
Stavolta il ragazzo si era voltato e le aveva gridato in faccia tutta la sua frustrazione. Mikasa abbassò lo sguardo e zittì, tornando a dargli le spalle.
-È tutto qui quello che hai da dire? Possibile che non pensi ad altro che alla mia incolumità?-.
Ancora il silenzio. Seppur con grande sforzo, la giovane non avrebbe risposto a quelle provocazioni.
-Continua a fare la guardia-, gli intimò lei. La sua voce era di nuovo quella della fredda ed impassibile eroina Ackerman, distintasi tra tutti i soldati nella tragedia di Trost.
Nessuno dei due parlò più per parecchi minuti. A rompere il silenzio c’era solo il vento, levatosi da nord.
Eren sbadigliò sonoramente, stropicciandosi le palpebre prossime a chiudersi da sole. Desiderava con tutto il cuore concedersi qualche ora di riposo prima del viaggio verso il Distretto Meridionale, ma non se ne sarebbe parlato se non alla fine del turno di vigilanza.
-Hai idea di che ora sia?-, domandò a Mikasa. In quel modo avrebbe saputo per quanto tempo ancora avrebbe dovuto resistere senza dover ammettere apertamente di essere stanco morto.
-Circa le due-, rispose la ragazza.
-Come fai a dirlo?-.
-Perché tra poco dovrebbe suonare la campana del cambio di guardia-, spiegò lei. -Quella che il Capitano Levi si è fatto portare da Hanji l’ultima volta che è stata qui-.
-Quindi fino ad ora ci sono stati…-.
-Due rintocchi. Al prossimo potremo andare a dormire un po’-.
Eren si rincuorò e rimase in attesa finché non ebbe accolto con somma gioia l’eco lontana della campana fissata nella cucinetta della base.
-Perché Armin e Jean non si fanno ancora vedere?-, si chiese ad alta voce. -Sono in ritardo-.
-Aspettiamoli per qualche altro minuto-.
Di lì a poco l’amico li raggiunse e sostituì Mikasa. Dell’altro ragazzo, invece, non c’era traccia.
-Faccia da Cavallo starà dormendo beatamente!-, sbottò Eren. -Se la prende sempre comoda!-.
-Sarà qui a momenti-, provò a calmarlo Armin.
-È passato un quarto d’ora e lui non si è presentato. Scommetto che lo fa apposta per irritarmi!-.
-Su, non esagerare…-.
-Non giustificarlo, Armin! Mikasa, vai a chiamarlo. Buttalo giù dal letto e fallo venire qui immediatamente!-.
La ragazza non se lo fece ripetere una seconda volta. Sfinita, ma non per questo meno attiva di quanto non fosse di solito, abbandonò la torretta di sorveglianza e lasciò soli i due ragazzi, entrando pian piano nella base senza fare rumore.
Si accertò che non ci fosse nessuno in cucina – una notte aveva colto Sasha in flagrante mentre masticava ferocemente una razione extra di pane – e poi salì le scale che portavano alle stanze del primo piano. Le suole dei suoi stivali fecero scricchiolare in modo lugubre le assi di legno del pavimento e allora si mosse con una cautela ancora maggiore. L’ultima cosa che desiderava era svegliare il Capitano Levi: non che lo temesse, ma non osava pensare a quanto potesse peggiorargli l’umore interrompere il suo sonno.
La stanza di Jean era la seconda sulla sinistra. La prima era di Eren e Armin, mentre di fronte si trovava quella del loro superiore; in fondo, sulla destra, c’erano la camera di Historia, che dormiva da sola, e quella che condividevano Mikasa e Sasha. L’ultima sulla sinistra, invece, era vuota: Levi aveva ordinato che fosse sempre in ordine, visto che veniva usata da Hanji ogni volta che si allontanava dalle Mura per rifornirli di viveri.
Mikasa avanzò ancora. Da sotto la porta della stanza di Jean trapelava una luce, segno che il compagno si fosse destato. Probabilmente si stava preparando per raggiungere Eren.
La ragazza era sul punto di andarsene direttamente a dormire: non aveva motivo di bussare e chiamare Jean, se davvero era sveglio. Ma il senso del dovere la spinse comunque ad avvicinarsi alla porta, solo per accertarsi di aver intuito la cosa giusta. E lì rimase, immobilizzata al sentire il suono di due voci.
-E quindi tocca di nuovo a me-, stava dicendo Jean. -Più ci penso, più sono indeciso se ridere o piangere-.
-Andrà tutto bene. Il Capitano non lascerà che…-.
-Non lascerà? Connie, Levi seguirà alla lettera le istruzioni folli del Comandante Erwin e lo farà perché anche lui è matto da legare. Hai visto come si è comportato con Historia, ieri sera? Avrebbe potuto ucciderla!-.
-Capisco quello che vuoi dire, ma guarda come stanno le cose: Christa… Historia deve essere risoluta, altrimenti  il piano sarà un completo fallimento-.
-Ma questo non giustifica il comportamento del Capitano! Non dirmi che approvi i suoi metodi!-.
Mikasa sentì il silenzio piombare nella stanza e immaginò Connie scuotere la testa.
-Appunto-, continuò Jean. -E intanto l’unico intoccabile rimane Eren-.
Dall’altro lato della porta, Mikasa si avvicinò ancor di più alla parete per sentire meglio.
-È il nostro asso nella manica, non può essere esposto a pericoli inutili. Soprattutto adesso che la Gendarmeria gli dà la caccia-.
-Quindi è giusto che sia io a rischiare la vita per salvare la sua, giusto?-.
Jean rise amaramente e proseguì: -Mi ero ripromesso di non vestire mai più i suoi panni. E invece eccomi qui, pronto ad essere immolato al suo posto. Se almeno avessi la certezza che servisse a qualcosa, mi sacrificherei più volentieri-.
Mikasa lo sentì sospirare.
-Poi c’è lei. Magari imparerà ad apprezzarmi, una volta che sarò morto per il suo adorato Eren-.
Un tuffo al cuore. La ragazza si disse di dover andare via, ma i muscoli delle gambe non sembravano rispondere agli ordini impartiti dal suo cervello.
-Jean, Mikasa ti stima. È solo… Indifferente-, esalò Connie. Chiunque avrebbe rintracciato un pizzico di disagio nel tono della sua voce.
-La fai facile, tu-, sbottò il compagno. -Solo indifferente… Sai quanto è difficile convivere con questa consapevolezza? Sai quanto è doloroso sapere che non mi guarderà mai con gli stessi occhi con cui io guardo lei?-.
Si fermò di nuovo, mentre Mikasa sentiva la testa iniziare a girarle.
-Tre anni, Connie. Tre anni. Non un sorriso, non una parola. Eren, Eren, sempre solo Eren. Non c’è mai stato posto per me. Non c’è mai stato un gesto che mi abbia fatto sperare che qualcosa fosse cambiato. Ho dato e darei tutto per lei. La stimo, l’ammiro; desidero che sia felice. Voglio proteggerla e dimostrarle che è soltanto grazie alla sua presenza se sono arrivato fin qui. Pensaci: cosa saremmo noi senza di lei? Cosa sarei diventato io se non ci fosse stata?-.
Fece un’altra pausa, come se stesse cercando delle parole che potessero esprimere i suoi sentimenti in tutta la loro interezza. Mikasa tremò.
-La amo, Connie. Fin dal primo momento in cui l’ho vista. Al solo ripensarci sento lo stomaco andare a fuoco. La ragazza più bella del campo, la migliore tra tutti noi. Quando sento o sussurro il suo nome, una speranza di vittoria rinasce nel mio cuore; mi infonde coraggio sapere che lei è qui, a combattere al mio fianco. E nonostante io sappia bene che i miei sentimenti non sono ricambiati, non posso smettere di pensare che un giorno, prima o poi, lei proverà almeno un po’ di affetto per me-.
Nascosta nel silenzio che avvolgeva il corridoio, Mikasa si sentì amata per la prima volta da quando aveva perso entrambi i genitori. Si ritrovò a desiderare che Jean continuasse a parlare per tutta la notte e che quell’ora senza luna né stelle si protraesse ancora a lungo, tanto forte era il turbinio di emozioni che aveva preso a vorticarle al centro del petto.
-L’ho salvata e lo farei altre cento volte. Sono disposto a pagare qualsiasi prezzo per vederla finalmente sorridere. Sai, morirei felice se l’ultima cosa che vedessi fosse il suo viso finalmente rasserenato: sarebbe la ricompensa più grande che potrei ottenere per aver dato tutto me stesso.  Ma non succederà; e semmai dovesse sorridere, rivolgerà la sua devozione ad un ragazzo che non è degno neanche di pulirle gli stivali-.
Mikasa si rabbuiò di colpo. Quell’osservazione non avrebbe mai smesso di ferirla, per quanto fosse cosciente che Eren non provasse nei suoi confronti nemmeno una stilla dell’affetto che lei covava.
-Jean, l’unico consiglio che posso darti è evitare di pensarle. Non fai che tormentarti, continuando così-, disse Connie.
-Ma è proprio questo, il problema!-, esclamò il compagno. -Pensi che non abbia tentato? Credi che sia felice di vivere in questo modo? Ho cercato di togliermela dalla testa, lo giuro. Ci ho provato con tutte le mie forze, ma non ci sono riuscito. E sono sempre più convinto che non ce la farò mai. Perché ogni volta che la guardo mi innamoro di lei-.
Mikasa si portò istintivamente entrambe le mani alla bocca per soffocare un’esclamazione di sorpresa. Si lasciò scivolare lungo il muro, ancora incapace di allontanarsi da quella stanza. Era una sensazione strana: avrebbe voluto scappare e nascondere la testa sotto ad un cuscino, ma allo stesso tempo si sentiva libera. Non avrebbe osato definirsi felice perché lei per prima non riusciva a comprendere esattamente cosa le diceva il cuore e cosa invece si ostinava a suggerirle la mente.
-E ora dove vai?-.
-Devo dare il cambio a Eren. Sono già in ritardo e scommetto che non perderà l’occasione di gridarmi contro-.
Mikasa si lasciò prendere alla sprovvista: non si era resa conto che Jean aveva finito di prepararsi né tantomeno aveva fatto caso al rumore dei suoi stivali. Soltanto quando sentì i passi del ragazzo avvicinarsi le sue gambe rientrarono in azione e a quel punto, poco prima che il compagno aprisse la porta, schizzò via verso la propria stanza, incurante del rumore che aveva provocato. Al diavolo il sonno del Capitano Levi! Non doveva farsi vedere, non doveva farsi vedere…
-Oh, Mikasa-.
Beccata.
Si voltò verso di lui e sperò che la penombra bastasse a celare il lieve rossore che le aveva colorito le guance, poi lo salutò con un cenno della mano.
-Sei ancora in piedi? Armin non è venuto a darti il cambio?-, domandò Jean, che si era richiuso la porta alle spalle e aveva mosso qualche passo nella sua direzione.
-Sì. Infatti stavo andando a dormire-.
-Ho capito-.
Si guardarono ancora, senza aggiungere una parola. Mikasa si domandò se il ragazzo non avesse udito lo scricchiolio dei suoi stivali e se quindi non sospettasse di lei.
-Io e Connie abbiamo sentito dei rumori, un attimo fa-, proseguì Jean. -Eri tu?-.
-Uhm… Credo di sì. Sì, sono passata per tornare in camera mia. Avrei dovuto togliere gli stivali prima di salire-. Poi aggiunse, provando ad apparire convincente: -Vi ho svegliati?-.
-No, non preoccuparti. Ero in piedi. E comunque avevo già pensato io a disturbare Connie-.
Le rivolse un piccolo sorriso, ma Mikasa restò impassibile. Non doveva tradirsi per nulla al mondo.
-Bene. Allora vai, o Armin starà in pensiero-.
-O Eren non smetterà di schiamazzare fino al sorgere dell’alba-, la corresse lui.
Ci fu un breve momento di silenzio, prima che Jean, riscossosi dai pensieri, si congedasse con un semplice “Buona notte”. Mikasa aspettò che scendesse le scale e si decise ad entrare nella propria camera solo quando sentì la porta d’ingresso della base aprirsi e richiudersi con l’ennesimo scricchiolio sinistro. Una volta nella stanza, si avvicinò furtivamente alla finestra e sbirciò all’esterno.
Jean stava attraversando il cortile, diretto alla torretta; imbracciava uno dei fucili che Levi aveva fatto sistemare in un mobiletto della cucina ed aveva indossato un cappello di quelli forniti da Hanji.
Mikasa sospirò e si allontanò dai vetri. In pochi minuti si preparò per dormire e una volta distesa sul letto chiuse gli occhi. Nelle sue orecchie riecheggiavano le parole che il compagno aveva pronunciato senza sapere di essere ascoltato e la ragazza si interrogò sui propri sentimenti.
Jean Kirschtein e Eren Jaeger.
Due ragazzi profondamente diversi a cui era legata da un doppio filo, che la cosa le piacesse o meno. Due ragazzi che provavano per lei sentimenti completamente opposti.
E lei si trovava al centro di questa catena. Era l’unico tramite tra di loro, la sola che riuscisse a farli collaborare davvero.

 

Quando sento o sussurro il suo nome, una speranza di vittoria rinasce nel mio cuore

Ho cercato di togliermela dalla testa, ma non ci sono riuscito. Perché ogni volta che la guardo mi innamoro di lei

 

Lo aveva detto sul serio.
Mai nessuno prima di allora le aveva rivolto simili pensieri.
Improvvisamente si sentì compiaciuta, ma anche molto rammaricata. Forse era stata ingiusta. E se davvero le cose stavano così, lo era stata sia con Eren sia con Jean: probabilmente avrebbe dovuto lasciar andare il primo e farsi persuasa che per lui sarebbe rimasta sempre e solo una sorella, per quanto acquisita; quanto al secondo… Non aveva idea di come comportarsi. Sapeva da tempo che Jean l’ammirava, ma non si era resa conto che i suoi sentimenti fossero tanto forti, radicati nelle profondità del suo cuore.
Perché doveva essere così, si disse. Non si sentivano tutti i giorni delle dichiarazioni ardenti come quella del ragazzo.
Si girò su un fianco: nel letto accanto, Sasha giaceva addormentata e con la bocca spalancata. Mikasa si chiese se non stesse sognando di partecipare ad un banchetto degno di un re e poi nascose la testa sotto al cuscino.
L’indomani sarebbero partiti per Trost.
Domani Eren sarebbe rimasto da solo alla base, con Historia a fargli compagnia.
Jean, invece, avrebbe assunto nuovamente le sembianze del compagno per scoprire quali fossero le vere intenzioni della Gendarmeria.
“Fai attenzione”, gli augurò Mikasa, chiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sonno senza sogni.
Solo in seguito si sarebbe accorta che proprio quella notte si era dischiusa la porta che fino ad allora l’aveva separata dal compagno. La stessa porta oltre la quale Jean si era dichiarato.

   
 
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