Oltre la porta
Quella
sera il cielo era
particolarmente buio.
Le stelle sembravano scomparse; la
luna, che fino al giorno prima era sorta in tutto il suo splendore
illuminando
le cime del grandi alberi del bosco, si era ritirata dietro una densa
coltre di
nubi nere.
-Pensi che pioverà?-.
Immobili sulla torretta di vigilanza e
costretti dal Capitano Levi alla guardia notturna, Eren e Mikasa si
davano le
spalle, sorvegliando ciascuno un lato della nuova base operativa della
Legione
Esplorativa.
-Può darsi-.
Mikasa aveva risposto pacatamente alla
domanda del ragazzo, sollevando impercettibilmente le spalle. Per lei
non
sarebbe cambiato nulla, con o senza pioggia. L’unica cosa a
cui riusciva a
pensare in quel momento era tenere gli occhi aperti, prestando
attenzione anche
al più insignificante movimento o fruscio proveniente dalla
foresta che li
circondava.
-Non mi hai detto le tue impressioni
sul piano elaborato dal Comandante Erwin-.
La ragazza finse di non aver sentito.
Non voleva tormentarsi ancora immaginando cosa sarebbe accaduto il
giorno dopo.
-Mikasa? Ehi?-.
-Cosa c’è?-.
-Di’ qualcosa-.
E cosa? Avrebbe voluto urlargli che
quel piano era folle, che non avrebbe mai permesso ai loro superiori di
fargli
rischiare di nuovo la vita. Non dopo gli avvenimenti di Trost. Non dopo
essere
stato catturato e salvato in extremis dalla furia di Reiner e Bertholdt.
-Eren, non farlo-.
-Come pensavo-.
Il ragazzo sbuffò, infastidito, poi
aggiunse: -Ancora non ti fidi delle mie capacità-.
-Non è questo-.
-Sì, invece-.
-Ho paura che ti possa accadere
qualcosa-.
-Me la caverò come ho sempre fatto-.
Mikasa si fermò di nuovo e si voltò
verso Eren. Continuava a darle le spalle, ma immaginò che la
sua espressione
fosse dura e vendicativa. Un’espressione che negli ultimi
cinque anni era stata
una costante.
-La Squadra ti ha sempre supportato
nel momento del bisogno. Se non fossimo intervenuti in tempo, a
quest’ora
saresti ancora nelle mani di…-.
-Smettila di preoccuparti. Non sei mia
madre!-.
Stavolta il ragazzo si era voltato e
le aveva gridato in faccia tutta la sua frustrazione. Mikasa
abbassò lo sguardo
e zittì, tornando a dargli le spalle.
-È tutto qui quello che hai da dire?
Possibile che non pensi ad altro che alla mia incolumità?-.
Ancora il silenzio. Seppur con grande
sforzo, la giovane non avrebbe risposto a quelle provocazioni.
-Continua a fare la guardia-, gli
intimò lei. La sua voce era di nuovo quella della fredda ed
impassibile eroina
Ackerman, distintasi tra tutti i soldati nella tragedia di Trost.
Nessuno dei due parlò più per parecchi
minuti. A rompere il silenzio c’era solo il vento, levatosi
da nord.
Eren sbadigliò sonoramente,
stropicciandosi le palpebre prossime a chiudersi da sole. Desiderava
con tutto
il cuore concedersi qualche ora di riposo prima del viaggio verso il
Distretto
Meridionale, ma non se ne sarebbe parlato se non alla fine del turno di
vigilanza.
-Hai idea di che ora sia?-, domandò a
Mikasa. In quel modo avrebbe saputo per quanto tempo ancora avrebbe
dovuto
resistere senza dover ammettere apertamente di essere stanco morto.
-Circa le due-, rispose la ragazza.
-Come fai a dirlo?-.
-Perché tra poco dovrebbe suonare la
campana del cambio di guardia-, spiegò lei. -Quella che il
Capitano Levi si è
fatto portare da Hanji l’ultima volta che è stata
qui-.
-Quindi fino ad ora ci sono stati…-.
-Due rintocchi. Al prossimo potremo
andare a dormire un po’-.
Eren si rincuorò e rimase in attesa
finché non ebbe accolto con somma gioia l’eco
lontana della campana fissata
nella cucinetta della base.
-Perché Armin e Jean non si fanno
ancora vedere?-, si chiese ad alta voce. -Sono in ritardo-.
-Aspettiamoli per qualche altro
minuto-.
Di lì a poco l’amico li raggiunse e
sostituì Mikasa. Dell’altro ragazzo, invece, non
c’era traccia.
-Faccia da Cavallo starà dormendo
beatamente!-, sbottò Eren. -Se la prende sempre comoda!-.
-Sarà qui a momenti-, provò a calmarlo
Armin.
-È passato un quarto d’ora e lui non
si è presentato. Scommetto che lo fa apposta per irritarmi!-.
-Su, non esagerare…-.
-Non giustificarlo, Armin! Mikasa, vai
a chiamarlo. Buttalo giù dal letto e fallo venire qui
immediatamente!-.
La ragazza non se lo fece ripetere una
seconda volta. Sfinita, ma non per questo meno attiva di quanto non
fosse di
solito, abbandonò la torretta di sorveglianza e
lasciò soli i due ragazzi,
entrando pian piano nella base senza fare rumore.
Si accertò che non ci fosse nessuno in
cucina – una notte aveva colto Sasha in flagrante mentre
masticava ferocemente
una razione extra di pane – e poi salì le scale
che portavano alle stanze del
primo piano. Le suole dei suoi stivali fecero scricchiolare in modo
lugubre le
assi di legno del pavimento e allora si mosse con una cautela ancora
maggiore.
L’ultima cosa che desiderava era svegliare il Capitano Levi:
non che lo
temesse, ma non osava pensare a quanto potesse peggiorargli
l’umore
interrompere il suo sonno.
La stanza di Jean era la seconda sulla
sinistra. La prima era di Eren e Armin, mentre di fronte si trovava
quella del
loro superiore; in fondo, sulla destra, c’erano la camera di
Historia, che
dormiva da sola, e quella che condividevano Mikasa e Sasha.
L’ultima sulla
sinistra, invece, era vuota: Levi aveva ordinato che fosse sempre in
ordine,
visto che veniva usata da Hanji ogni volta che si allontanava dalle
Mura per
rifornirli di viveri.
Mikasa avanzò ancora. Da sotto la
porta della stanza di Jean trapelava una luce, segno che il compagno si
fosse destato.
Probabilmente si stava preparando per raggiungere Eren.
La ragazza era sul punto di andarsene
direttamente a dormire: non aveva motivo di bussare e chiamare Jean, se
davvero
era sveglio. Ma il senso del dovere la spinse comunque ad avvicinarsi
alla
porta, solo per accertarsi di aver intuito la cosa giusta. E
lì rimase,
immobilizzata al sentire il suono di due voci.
-E quindi tocca di nuovo a me-, stava
dicendo Jean. -Più ci penso, più sono indeciso se
ridere o piangere-.
-Andrà tutto bene. Il Capitano non
lascerà che…-.
-Non
lascerà? Connie, Levi seguirà alla
lettera le istruzioni folli del
Comandante Erwin e lo farà perché anche lui
è matto da legare. Hai visto come
si è comportato con Historia, ieri sera? Avrebbe potuto
ucciderla!-.
-Capisco quello che vuoi dire, ma
guarda come stanno le cose: Christa… Historia
deve essere risoluta, altrimenti il
piano sarà un completo fallimento-.
-Ma questo non giustifica il
comportamento del Capitano! Non dirmi che approvi i suoi metodi!-.
Mikasa sentì il silenzio piombare
nella stanza e immaginò Connie scuotere la testa.
-Appunto-, continuò Jean. -E intanto
l’unico intoccabile rimane Eren-.
Dall’altro lato della porta, Mikasa si
avvicinò ancor di più alla parete per sentire
meglio.
-È il nostro asso nella manica, non
può essere esposto a pericoli inutili. Soprattutto adesso
che la Gendarmeria
gli dà la caccia-.
-Quindi è giusto che sia io a
rischiare la vita per salvare la sua, giusto?-.
Jean rise amaramente e proseguì: -Mi
ero ripromesso di non vestire mai più i suoi panni. E invece
eccomi qui, pronto
ad essere immolato al suo posto. Se almeno avessi la certezza che
servisse a qualcosa,
mi sacrificherei più volentieri-.
Mikasa lo sentì sospirare.
-Poi c’è lei.
Magari imparerà ad apprezzarmi, una volta che
sarò morto per
il suo adorato Eren-.
Un tuffo al cuore. La ragazza si disse
di dover andare via, ma i muscoli delle gambe non sembravano rispondere
agli
ordini impartiti dal suo cervello.
-Jean, Mikasa ti stima. È solo…
Indifferente-, esalò Connie. Chiunque avrebbe rintracciato
un pizzico di
disagio nel tono della sua voce.
-La fai facile, tu-, sbottò il
compagno. -Solo
indifferente… Sai
quanto è difficile convivere con questa consapevolezza? Sai
quanto è doloroso
sapere che non mi guarderà mai con gli stessi occhi con cui io guardo lei?-.
Si fermò di nuovo, mentre Mikasa
sentiva la testa iniziare a girarle.
-Tre anni, Connie. Tre anni. Non un
sorriso, non una
parola. Eren, Eren, sempre solo Eren. Non c’è mai
stato posto per me. Non c’è
mai stato un gesto che mi abbia fatto sperare che qualcosa fosse
cambiato. Ho
dato e darei tutto per lei. La stimo, l’ammiro; desidero che
sia felice. Voglio
proteggerla e dimostrarle che è soltanto grazie alla sua
presenza se sono
arrivato fin qui. Pensaci: cosa saremmo noi senza di lei? Cosa sarei
diventato io se non ci fosse
stata?-.
Fece un’altra pausa, come se stesse
cercando delle parole che potessero esprimere i suoi sentimenti in
tutta la
loro interezza. Mikasa tremò.
-La amo, Connie. Fin dal primo momento
in cui l’ho vista. Al solo ripensarci sento lo stomaco andare
a fuoco. La
ragazza più bella del campo, la migliore tra tutti noi.
Quando sento o sussurro
il suo nome, una speranza di vittoria rinasce nel mio cuore; mi infonde
coraggio sapere che lei è qui, a combattere al mio fianco. E
nonostante io
sappia bene che i miei sentimenti non sono ricambiati, non posso
smettere di
pensare che un giorno, prima o poi, lei proverà almeno un
po’ di affetto per
me-.
Nascosta nel silenzio che avvolgeva il
corridoio, Mikasa si sentì amata per la prima volta da
quando aveva perso entrambi
i genitori. Si ritrovò a desiderare che Jean continuasse a
parlare per tutta la
notte e che quell’ora senza luna né stelle si
protraesse ancora a lungo, tanto
forte era il turbinio di emozioni che aveva preso a vorticarle al
centro del
petto.
-L’ho salvata e lo farei altre cento
volte. Sono disposto a pagare qualsiasi prezzo per vederla finalmente
sorridere. Sai, morirei felice se l’ultima cosa che vedessi
fosse il suo viso
finalmente rasserenato: sarebbe la ricompensa più grande che
potrei ottenere per
aver dato tutto me stesso. Ma
non
succederà; e semmai dovesse sorridere, rivolgerà
la sua devozione ad un ragazzo
che non è degno neanche di pulirle gli stivali-.
Mikasa si rabbuiò di colpo.
Quell’osservazione non avrebbe mai smesso di ferirla, per
quanto fosse
cosciente che Eren non provasse nei suoi confronti nemmeno una stilla
dell’affetto che lei covava.
-Jean, l’unico consiglio che posso
darti è evitare di pensarle. Non fai che tormentarti,
continuando così-, disse
Connie.
-Ma è proprio questo, il problema!-,
esclamò il compagno. -Pensi che non abbia tentato? Credi che
sia felice di
vivere in questo modo? Ho cercato di togliermela dalla testa, lo giuro.
Ci ho
provato con tutte le mie forze, ma non ci sono riuscito. E sono sempre
più
convinto che non ce la farò mai. Perché ogni
volta che la guardo mi innamoro di
lei-.
Mikasa si portò istintivamente
entrambe le mani alla bocca per soffocare un’esclamazione di
sorpresa. Si
lasciò scivolare lungo il muro, ancora incapace di
allontanarsi da quella stanza.
Era una sensazione strana: avrebbe voluto scappare e nascondere la
testa sotto
ad un cuscino, ma allo stesso tempo si sentiva libera.
Non avrebbe osato definirsi felice
perché lei per prima non riusciva a comprendere esattamente
cosa le diceva il cuore e cosa invece si ostinava a suggerirle la mente.
-E ora dove vai?-.
-Devo dare il cambio a Eren. Sono già
in ritardo e scommetto che non perderà l’occasione
di gridarmi contro-.
Mikasa si lasciò prendere alla
sprovvista: non si era resa conto che Jean aveva finito di prepararsi
né
tantomeno aveva fatto caso al rumore dei suoi stivali. Soltanto quando
sentì i
passi del ragazzo avvicinarsi le sue gambe rientrarono in azione e a
quel
punto, poco prima che il compagno aprisse la porta, schizzò
via verso la
propria stanza, incurante del rumore che aveva provocato. Al diavolo il
sonno
del Capitano Levi! Non doveva farsi vedere, non doveva farsi
vedere…
-Oh, Mikasa-.
Beccata.
Si voltò verso di lui e sperò che la
penombra bastasse a celare il lieve rossore che le aveva colorito le
guance,
poi lo salutò con un cenno della mano.
-Sei ancora in piedi? Armin non è
venuto a darti il cambio?-, domandò Jean, che si era
richiuso la porta alle
spalle e aveva mosso qualche passo nella sua direzione.
-Sì. Infatti stavo andando a dormire-.
-Ho capito-.
Si guardarono ancora, senza aggiungere
una parola. Mikasa si domandò se il ragazzo non avesse udito
lo scricchiolio
dei suoi stivali e se quindi non sospettasse di lei.
-Io e Connie abbiamo sentito dei
rumori, un attimo fa-, proseguì Jean. -Eri tu?-.
-Uhm… Credo di sì. Sì, sono passata
per tornare in camera mia. Avrei dovuto togliere gli stivali prima di
salire-.
Poi aggiunse, provando ad apparire convincente: -Vi ho svegliati?-.
-No, non preoccuparti. Ero in piedi. E
comunque avevo già pensato io a disturbare Connie-.
Le rivolse un piccolo sorriso, ma
Mikasa restò impassibile. Non doveva tradirsi per nulla al
mondo.
-Bene. Allora vai, o Armin starà in
pensiero-.
-O Eren non smetterà di schiamazzare fino
al sorgere dell’alba-, la corresse lui.
Ci fu un breve momento di silenzio,
prima che Jean, riscossosi dai pensieri, si congedasse con un semplice
“Buona
notte”. Mikasa aspettò che scendesse le scale e si
decise ad entrare nella
propria camera solo quando sentì la porta
d’ingresso della base aprirsi e
richiudersi con l’ennesimo scricchiolio sinistro. Una volta
nella stanza, si
avvicinò furtivamente alla finestra e sbirciò
all’esterno.
Jean stava attraversando il cortile,
diretto alla torretta; imbracciava uno dei fucili che Levi aveva fatto
sistemare in un mobiletto della cucina ed aveva indossato un cappello
di quelli
forniti da Hanji.
Mikasa sospirò e si allontanò dai
vetri. In pochi minuti si preparò per dormire e una volta
distesa sul letto chiuse
gli occhi. Nelle sue orecchie riecheggiavano le parole che il compagno
aveva
pronunciato senza sapere di essere ascoltato e la ragazza si
interrogò sui
propri sentimenti.
Jean
Kirschtein e Eren Jaeger.
Due ragazzi profondamente diversi a
cui era legata da un doppio filo, che la cosa le piacesse o meno. Due
ragazzi
che provavano per lei sentimenti completamente opposti.
E lei si trovava al centro di questa
catena. Era l’unico tramite tra di loro, la sola che
riuscisse a farli
collaborare davvero.
Quando
sento o sussurro il suo nome, una speranza di vittoria rinasce nel mio
cuore
Ho
cercato di togliermela dalla testa, ma non ci sono riuscito.
Perché ogni volta
che la guardo mi innamoro di lei
Lo aveva detto sul serio.
Mai nessuno prima
di allora le aveva
rivolto simili pensieri.
Improvvisamente si
sentì compiaciuta,
ma anche molto rammaricata. Forse era stata ingiusta. E se davvero le
cose
stavano così, lo era stata sia con Eren sia con Jean:
probabilmente avrebbe
dovuto lasciar andare il primo e farsi persuasa che per lui sarebbe
rimasta
sempre e solo una sorella, per quanto acquisita; quanto al
secondo… Non aveva
idea di come comportarsi. Sapeva da tempo che Jean
l’ammirava, ma non si era
resa conto che i suoi sentimenti fossero tanto forti, radicati nelle
profondità
del suo cuore.
Perché
doveva essere così, si disse.
Non si sentivano tutti i giorni delle dichiarazioni ardenti come quella
del
ragazzo.
Si girò
su un fianco: nel letto
accanto, Sasha giaceva addormentata e con la bocca spalancata. Mikasa
si chiese
se non stesse sognando di partecipare ad un banchetto degno di un re e
poi
nascose la testa sotto al cuscino.
L’indomani
sarebbero partiti per
Trost.
Domani Eren sarebbe
rimasto da solo
alla base, con Historia a fargli compagnia.
Jean, invece,
avrebbe assunto
nuovamente le sembianze del compagno per scoprire quali fossero le vere
intenzioni della Gendarmeria.
“Fai
attenzione”, gli augurò Mikasa,
chiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sonno senza sogni.
Solo in seguito si
sarebbe accorta che
proprio quella notte si era dischiusa la porta che fino ad allora
l’aveva
separata dal compagno. La stessa porta oltre la quale Jean si era
dichiarato.