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Autore: tomtom    27/12/2014    1 recensioni
Londra, inverno 2014. John Watson è in ritardo e si trova dirottato sulla Central Line: è qui che, tra l'incredibile folla di turisti ed impiegati, il dottore fa la conoscenza di uno sconosciuto piuttosto prepotente e maleducato. Destino vuole che i due si rincontrino ancora.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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II
 
 

John si svestì del camice e lo ripose nello zaino che aveva appena recuperato dall'armadietto; indossò sciarpa e cappotto, chiuse a chiave i suoi oggetti personali custoditi nel mobile di latta e si accinse a lasciare la stanza del personale.
Il turno al pronto soccorso lo aveva distrutto e se fosse stato per lui sarebbe tornato a casa immediatamente, eppure quella sera aveva promesso di andare ad accompagnare Harry, sua sorella, all'aeroporto, per salutarla prima che questa partisse per chissà quale destinazione.
Camminando svelto, John si stava dirigendo alla stazione di Russel Square per prendere la Piccadilly che lo avrebbe portato direttamente ad Heathrow: ovviamente avrebbe impiegato molto tempo, ma sarebbe stato disposto a fare questo ed altro per la sua sorellina, vero?
Poco lontano dalle scale che portavano alla stazione il giovane dottore si fermò per accendere il telefono che vittoriosamente era riuscito a ripescare nello zaino mentre procedeva spedito nel suo passo; inserì PIN e codice di sblocco e riprese nel suo avanzare, stringendosi un po' di più nella sciarpa per ripararsi dal freddo di quel pomeriggio invernale.
Proprio mentre approcciava i primi due scalini, John avvertì una vibrazione nella sua tasca, e in automatico tuffò la mano per recuperare il cellulare e leggere il messaggio: aspettava un messaggio di Harry con i dettagli del volo e ci aveva visto giusto, perché sullo schermo campeggiava il nome di sua sorella accanto alla voce di notifica: aprì e lesse.
 
Sono al Gate B-  volo BA1524. Mi imbarco alle 8:30. Baci xoxo”
 
Pensò che mancavano poco meno di due ore e che ce l'avrebbe fatta tranquillamente.
Quando sollevò gli occhi dal piccolo schermo luminoso era ormai troppo tardi per evitare la figura che, giungendo nel senso contrario, avrebbe travolto nel suo procedere distratto; la figura si rivelò essere un uomo, il quale, inerme, lanciò un grido mozzato e annaspò con le braccia in cerca di un appiglio nella sua caduta.
Watson agì d'istinto e ringraziò i suoi riflessi da medico di pronto soccorso: con un gesto fulmineo afferrò l'uomo per un lembo del suo cappotto, quindi lo trasse a sé e avvicinò entrambi al corrimano laterale, cercando di liberare il passaggio per le altre persone.
«Sta bene?» chiese insicuro e colpevole il dottore?
L'uomo che per un pelo non uccideva sembrò finalmente recuperare dallo spavento, poiché  riaprì infine gli occhi e trafisse Watson con uno sguardo omicida.
Con un senso di stupore, John riconobbe quegli occhi grigi e quel naso aquilino, anche alla debole luce dei lampioni: fu riportato in un battibaleno a quella mattina di qualche settimana prima dove per una buona mezzora aveva rischiato di commettere un atto per il quale avrebbe in seguito dovuto pagare  con il carcere.
“Oh” pensò.
Lo sconosciuto, che ora non dava segno di averlo riconosciuto, era chiaramente su tutte le furie, eppure l'invettiva che era da aspettarsi dopo un episodio del genere, tardava ad arrivare; l'uomo si limitava a fissarlo, gli occhi una fessura e un'espressione che da sola raccontava quanto potesse reputare stupido e fastidioso John.
Difficile conciliare, pensava Watson, questa immagine con quella che aveva dato sulla metro nel loro incontro precedente: se allora gli era parso di scorgere – forse anche  con piacere- una scintilla di divertimento nel profondo grigio di quegli occhi, ora l'acciaio gelido che lo stava inchiodando sul suo posto e gli impediva di aprire bocca lo stava decisamente intimorendo.
Watson credette di essere stato sottoposto a quella tortura per un'eternità, e quasi si stava risolvendo ad inginocchiarsi sconfitto e implorare quello strano sconosciuto per il suo perdono, quando questi finalmente distolse lo sguardo dagli occhi del dottore e, con una spallata, si fece strada per andare via.
Fu il colpo a risvegliare John, il quale si accorse di non aver nemmeno chiesto scusa.
Si lanciò in una corsa lungo le scale nel tentativo di raggiungere l'uomo che lo aveva appena lasciato: arrivò in cima con il fiato corto, tuttavia, malgrado i suoi sforzi, fece solamente in tempo a scorgere la figura flessuosa e alta, mentre girava l'angolo e scompariva dalla sua vista.
Per qualche momento, Watson si lasciò sopraffare dal senso di vergogna per il suo orribilr comportamento, poi gli tornò in mente come quell'uomo lo avesse preso in giro sul treno: sì, si disse, si era preso gioco di lui e la cosa non gli era piaciuta molto. Non era forse questa la volta della sua vendetta? Certamente non aveva agito intenzionalmente, ma, si chiedeva: “mi dispiace veramente?”.
Scosse la testa e rise: sebbene non fosse nella sua indole l'essere vendicativo o rancoroso, ben gli stava a quello strano personaggio!
Erano uno pari ora: palla al centro.

 
   
 
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