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Autore: tomtom    27/12/2014    1 recensioni
Londra, inverno 2014. John Watson è in ritardo e si trova dirottato sulla Central Line: è qui che, tra l'incredibile folla di turisti ed impiegati, il dottore fa la conoscenza di uno sconosciuto piuttosto prepotente e maleducato. Destino vuole che i due si rincontrino ancora.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I

 
 

John Watson era incredibilmente in ritardo: il suo turno al S. Barts sarebbe dovuto inizizare dieci minuti fa, e il dottore, anziché trovarsi al Pronto Soccorso dell'ospedale si trovava bloccato sulla Central Line.
“Maledetta Hammersmith!” aveva imprecato mentalmente il giovane dottore, nel momento in cui aveva appreso la notizia del guasto che lo avrebbe costretto a prende l'infernale linea rossa proprio nell'ora di punta.
Camminando per la stazione di Wood Lane, mentre percorreva il sottopasso che lo avrebbe portato alla fermata di White City, John sentiva il proprio umore scivolare sempre più sotto i suoi piedi ad ogni passo affrettato che metteva avanti.
Come da previsione, la corsa della Central Line che raccolse il giovane uomo, quella delle otto e dieci era già straordinariamente piena, al punto che John dovette lottare e sgomitare per accaparrarsi un minuscolo spazio accanto la porta.
Ad ogni fermata sembrava che nessuno dovesse scendere e che, anzi, un fiume umano dovesse riversarsi dentro a suon di gomitate, borsettate e parolacce.
A Nottin Hill Gate l'ennesima orda di turisti e nervosi uomini di affari cercò di entrare e, tra i pochi fortunati e coraggiosi, un uomo riuscì ad intrufolarsi, letteralmente creandosi da solo uno spazio, gesto che spinse John Watson contro la sbarra laterale che correva accanto alla porta.
La prepotenza con cui il nuovo passeggero si aggrappò alla stessa sbarra, vide John sbattere il viso contro di essa.
La cosa infastdì indicibilmente il giovane dottore, il quale si trattenne dal trattare male il nuovo venuto solo perché impossibilitato fisicamente ad aprire bocca: il corpo dell'altro, infatti, non era receduto di un millimetro, facendo sì che John continuasse ad avere la propria guancia spalmata sul lurido passamano.
John Watson cercò di spingere indietro con il suo peso e fu così che che si rese conto della scomodissima posizione in cui si trovava: l'uomo, che si aggrappava alla stessa sbarra, era sì più alto e provvisto di braccia considerevolmente lunghe, ma lo stava intrappolando con il suo corpo, e – per il disagio di entrambi, avrebbe detto John – il dottore si trovava a dargli le spalle, dove l'altro la parte frontale di petto e inguine.
“Dio Santo!” urlò internamente Watson, facendosi rapidamente rosso in viso per l'imbarazzo generato dalla sua mossa.
Tutto ciò non tolse nulla al nervosismo e alla stizza che stavano montando nel cuore del dottore: era colpa dello sconosciuto se si trovava in una situazione del genere e sicuramente non sarebbe stato lui a chiedere scusa.
John si limitò a lanciare uno sguardo assassino nella direzione generale dell'altro uomo, il quale, gli sembrò di vedere con la coda dell'occhio, non rispose se non con quello che gli parve un sorriso malefico; indignato, Watson cercò rifugio nell'angolo felice della mente che riservava alle occasioni che richiedevano distacco e isolamento. Non poteva aver scorto una simile risposta.
Nel momento in cui il convoglio ripartì nel suo viaggio maledettamente affollato, il dottore si trovò a fare i conti con un altro fastidio, che lo riportò bruscamente indietro dal suo happy place.
Ogni piccolo sobbalzo che il percorso lungo i binari faceva fare a convoglio e passeggeri, risultava  in una gomitata dell'uomo sulla nuca del dottore: la posizione in cui erano entrambi vedeva il braccio dello sconosciuto precisamente angolato per colpirlo in pieno ad ogni vibrazione.
John Watson chiuse gli occhi, e trasse un respiro profondo.
“Ora capirà” si disse per tranquillizzarsi, “questo orco chiederà scusa e si allontanerà, sì, proprio così!”.
Dal canto suo l'altro passeggero sembrava ignaro del fastidio che stava causando al giovane dottore e, il solo rendersene conto, fece infuriare ancora di più John.
Ad un certo punto Watson si chiese se l'uomo non lo stesse facendo apposta, perché “dannazione, almeno provare ad evitare che il suo coso toccasse il suo didietro!” sarebbe stato gradito.
Tra il ritardo e la posizione imbarazzante  il dottore credette di essere sull'orlo di una crisi di nervi per qualche fermata; inoltre il caldo non sembrava aiutarlo, poiché stava contribuendo ad accrescere il suo senso di claustrofobia.
Per sette fermate John Watson lanciò maledizioni al comune di Londra, al penoso servizio delle metropolitane e all'uomo che gli stava appiccato e che con il suo odore di pipa -davvero c'era ancora gente che fumava la pipa nel 2014?!- stava seriamente minacciando di mandarlo al manicomio; quando ormai John stava per voltarsi e dirgliene quattro, si verificò il miracolo.
Il treno si fermò in corrispondenza della banchina di Holborn: molta gente scese e lo sconosciuto che lo aveva importunato fino a quel momento si unì a quella folla.
Figurate lacrime di gioia fecero appannare la vista del dottore, il quale con un sospiro di sollievo si godé lo spazio personale che aveva appena riacquistato.
Nello stesso momento, mentre le porte si chiudevano, notò dal finestrino che il viaggiatore che aveva avuto attaccato al sedere per tutto il tragitto si era attardato sulla banchina: incuriosito, Watson continuò a fissarlo, finché questi non si voltò e visibilmente gli lanciò un occhiolino.
Il giovane dottore sgranò gli occhi, mentre una piccola parte del suo cervello registrava ed archiviava l'odore di pipa, gli occhi grigi e i solidi muscoli che lo avevano schiacciato; quindi guardò l'orologio, lesse nove meno un  quarto, si riscosse dai propri pensieri e scese due fermate dopo.
Inutile dire che arrivò in ritardo.







Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Sir A. C. Doyle. e non scrivo per scopi di lucro
   
 
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