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Autore: okioki    28/12/2014    1 recensioni
Vincenzo, un sogno infranto troppo presto dopo una breve e fortunata carriera cinematografica, di ritorno a Roma, convinto di non aver più nessuna possibilità.
Giorgio, strambo e carismatico attore di teatro, a bussare all'uscio del suo destino.
Il loro incontro, la fusione di due mondi simili in una città che sa assumere mille sfumature.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Ripropongo questa storia da me scritta, con pigrizia e svogliatezza in un primo momento, ora “quasi” revisionata. Ero insicura se oltre che ha aggiustare il linguaggio un po’ colloquiale del narratore avrei dovuto aggiungere anche una qualche descrizione sostanziosa. Alla fine la pigrizia ha avuto ancora la meglio, o forse è Roma che mi fa quest’effetto… conosco tanto bene sia il centro che la periferia che mi annoia un po’ descriverla... L’immagine qui sotto era uno dei prompt del concorso per cui l’ho scritta – in cui la storia nonostante gli orrori ortografici è arrivata seconda … bene, non ho niente da aggiungere...
 
Farò crollare il teatro dagli applausi





 
Primo atto “Festa & In Macchina”
 


La ragazza accavallò le gambe, sporgendosi un poco per mettere in mostra il seno dalla scollatura assassina. “Oh, ma quindi non giocavi? Hai veramente fatto parte di Hollywood? L’America… che bello!”
“Certo, cara. Ho recitato in due film finanziati da loro” asserì orgoglioso Vincenzo.
 Vide gli occhi della ragazza illuminarsi con un misto di sorpresa e maliziosa complicità, e  capì che se la voleva portare a letto doveva continuare su quel filone.
“Tutte e due parti da protagonista. Una è...”
“Uff, Flavia non starlo a sentire” la voce di Rachele s’intromise, guastando l’atmosfera confidenziale che s’era appena cominciata a creare. “Si prende sempre troppo sul serio... Sarà da un anno che tira fuori questa storia dell'attore.” Con una smorfia malcelata sul viso, protese la mano verso il capo di Vincenzo dandogli uno scappellotto in testa.
Flavia sorrise, guardando con la coda dell'occhio prima lei e poi lui. Non aveva chiaro le dinamiche del rapporto che legava Vincenzo a Rachele e non aveva nessuna intenzione di complicarsi la vita entrando in un managé a trois.
Dal suo viso traspariva un certo disagio e Vincenzo se ne accorse, maledicendo mentalmente l’amica. Odiava con tutte le sue forze Rachele, per quella sua abitudine di interrompere le sue abbordate.
Rachele sorrise a Flavia, quel sorriso esangue che riservava agli sconosciuti, mentre i suoi occhi azzurri svelavano l' impazienza di svicolarsi da quel luogo.  Erano a una festa di amici, a cui era stata proprio lei ad insistere di andare. Dopo essere tornato dal suo lungo ritiro all’estero Vincenzo non usciva quasi mai, e Rachele si era seriamente preoccupata per lui.
Tecnicamente comunque, pensava Vincenzo, quella non era un'uscita. Erano lì, in una villetta nella periferia di Roma, Setteville, a bere vino e a fingersi grandi intellettuali.
La serata, nonostante ciò, era andata molto meglio di quanto si era immaginato. Stranamente non gli erano presi quei momenti di malinconia in cui rimuginava di Los Angeles; in parte era merito di Rachele che non si era azzittita un attimo, ma anche di quella ragazza, Flavia, che aveva adocchiato e che gli donava la vista sublime delle sue grosse tette aveva aiutato. Con Flavia si era trovato subito bene, quando la conoscenza si era fatta più accesa si erano spostati in terrazza, sperando che nessuno li disturbasse. Ovviamente Vincenzo non aveva preso in considerazione il fattore “Rachele”, che era in grado di scovarlo dappertutto per il solo gusto di rovinargli la serata.
Ora, si disse Vincenzo, sarebbero rimasti almeno finché non fosse riuscito a strappare il numero di telefono a Flavia. E che cazzo, non poteva mica sempre stare ai comodi di Rachele.
“Com'è che sei tornato a Roma?” sorridendo Flavia cercò di ritornare al discorso che stavano facendo prima che Rachele s’intromettesse, l'amica però sembrava non aver nessuna intenzione di lasciarli alla loro intimità.
Vincenzo rimase in silenzio cercando d’inventarsi un motivo gaio per il suo frettoloso ritorno a Roma, meno di una settimana prima, ma non lo trovò.
“Be', mi mancava la città, penso...” s'inventò. “Los Angeles è bella, ma non come Roma” concluse compiaciuto da come la scusa gli era uscita in modo naturale. Infondo era ancora un attore.
Flavia lanciò un'occhiata intimorita a Rachele, prima di scoppiare a ridere. “Ah! Che bello!” esclamò.
Rachele  spalancò gli occhi sbalordita, non potendo evitare di pensare che  il sospiro di Flavia era uno di quei sospiri che di solito si fanno dopo un bell'orgasmo.
“Chissà quante ragazze americane ti correvano dietro... Alle americane piacciono gli italiani...”
Vincenzo annuì divertito, mentre Rachele sbuffava sonoramente con un'espressione indignata. “Sì, come no...” mormorò in modo che solo lui la sentisse. Visto che ci stavano, penso la rossa arcigna, poteva riempire tutta la conversazione di stereotipi e luoghi comuni. Si chiese se Flavia fosse davvero così stupida come si mostrava, o se per lei ogni persona che dichiarava di essere stata in America in uno stato qualunque in una città indefinita in un contesto da qualche parte meritasse la sua completa trasportazione e ammirazione. Avvolte Vincenzo aveva proprio ragione a definire le sue compagnie  gruppi di finti intellettuali.
“Un po' sì, lo ammetto” disse Vincenzo ridendo, rivolto a Flavia. Sebbene avesse sentito Rachele, finse di non aver udito nulla. “Ma non mi sono mai andate a genio le ragazze americane, meglio le italiane. Più belle” Fece l'occhiolino a Flavia. 
Rachele alzò gli occhi al cielo, questa volta però non poté trattenersi anche lei dal sorridere lusingata, sebbene Vincenzo parlasse ancora in modo vago e pieno di luoghi comuni.
Posando nuovamente lo sguardo su quei due s’accorse che Flavia stava per dire qualcosa di allusivo alla sfera sessuale, la interruppe, prendendo per la cravatta Vincenzo e tirandolo.
“Vedi cara, si è fatto un po' tardi e noi dovremmo andare, che abbiamo un altro impegno. Ma tanto ci vieni anche te alla festa di Giorgio, no? Quella ai Giardinetti, tesoro. Va be, ci vediamo lì” disse Rachele d’un fiato, salutandola con un bacio in guancia.
La ragazza ricambiò sorpresa, e questo irritò Rachele: sembrava sempre così spaesata e ingenua, per quel poco tempo che l’aveva conosciuta. Forse  pensava che con quel suo atteggiamento da “bionda sbadata” avrebbe attirato di più gli uomini, si disse Rachele, ma risultava soltanto stupida e oca.
Flavia si alzò, diretta a braccia aperte verso Vincenzo, ma prima che riuscisse ad abbracciarlo Rachele lo spinse via, trascinandolo a forza per la cravatta fino a che rientrarono nel salotto.
Una volta dentro, quando furono accolti dalle luci soffuse e dalla musica in sottofondo di Shostakovich, Vincenzo ridendo si liberò della sua stretta. “Possibile che tu debba essere sempre così gelosa? In questi cinque anni non sei cambiata!”
La prese in giro, come era solito fare prima di quella lunga lontananza, con tenerezza, alludendo a mezze verità in cui nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di andare a fondo. Ma Rachele in realtà un po’ era cambiata, e mentre si facevano spazio fra la gente  cercando di uscire, lo folgorò con lo sguardo. I suoi occhi verdi in quei cinque anni erano diventati più intensi, notò Vincenzo. O forse era solo una sua impressione?
 “Se è per questo nemmeno tu sei cambiato. Sempre a rimorchiare in giro: ma un giorno senza fica muori? Mi chiedo che cazzo ci trovano 'ste ochette del cazzo nel tuo viso da terrone” bofonchiò lei una volta che raggiunsero la porta d’ingresso. Con un ultimo strattone lo trascinò fuori dalla villa. Vincenzo aggrottò le sopracciglia  toccandosi la barbetta rada.
Ogni volta che era incazzata con lui Rachele tirava fuori la parola “terrone”, riferendosi alle sue origini siciliane. Ma anche lei sembrava non immune al suo fascino bonaccione e alla carnagione olivastra e i suoi capelli neri. Anzi, da quando era ritornato Rachele sembrava ancora più sensibile al suo fascino da “terrone”.
Un vento gelido soffiava nella notte. Rachele chiuse il giacchetto di pelle, mentre si stringeva le spalle avanzando nel marciapiede, in cerca della sua automobile. I suoi capelli venivano sbatacchiati dal vento come fuoco vivo.
Una cosa che Vincenzo trovava profondamente ingiusta, nonostante non osasse protestare, era il fatto che solo lei potesse sfotterlo senza il timore che qualcuno si offendesse davvero. Le loro prime uscite da amici lui ancora se le ricordava, si era beccato un bel schiaffo in faccia, solo per aver bisbigliato ad un loro amico mentre lei si avvicinava “Roscio tuo chiuso”. Ridacchiò allargando la cravatta  e massaggiandosi il collo, Rachele era andata avanti in cerca di dove avevano parcheggiato.
Rachele gli fischiò, segno che aveva trovato la macchina e lui si avvicinò. Sorrise quando costatò l’occhiata gelida che lei gli posò addosso. Era vittima di un controsenso: quello arrabbiato in verità doveva essere lui, visto che lei gli aveva rovinato letteralmente la serata.
“Senti un po' Rachitica” le disse, aprendo lo sportello per salire in macchina.
La chiamava così da prima di partire, da quando davvero Rachele era così magra da sfiorare l’anoressia. Adesso aveva messo su un po' di carne, ma le vecchie abitudini erano dure a morire. “Si può sapere che cazzo dobbiamo fare ora, per trascinarmi fuori da quella festa da sballo?” Ovvero: da quelle tette da sballo.
Rachele mugugnò, mentre infilava le chiavi nel cruscotto e accendeva il motore. “Ma se tu nemmeno ci volevi andare.”
“Sì, ma visto che ormai mi ci avevi trascinato volevo finire alla grande” disse lui allacciandosi la  cintura.
Rachele sbuffò, e partì con il motore. “Che dici prendo la Tiburtina o passo per la Nomentana?” domandò, cambiando discorso.
Vincenzo rise. “Che cazzo vuoi che ne sappia io? Sto qui a Roma nemmeno da tre giorni!”
“Stai tranquillo, stavo solo chiedendo” replicò Rachele stizzita, dandogli un colpetto sulla coscia. Sorridendo Vincenzo si appoggiò al finestrino, chiuse gli occhi.
Per un po' rimasero in silenzio, la strada era liscia davanti a loro.
Era per momenti come questo che Vincenzo era felice di essere tornato. Avvolte gli tornava in mente pure la stupida convinzione di poter ricominciare, magari non puntando così in alto, ma accontentandosi di poco. Da quando era tornato, quello era stato sicuramente il migliore, ed era tutto merito di Rachele che l'aveva trascinato a quella festa. Anzi, pensandoci bene, quello era il giorno migliore da tanto tempo. Si sentiva in pace con sé stesso, era riuscito a parlare della sua carriera cinematografica senza rabbuiarsi o sentirsi amareggiato, sebbene avesse esagerato un po’ le cose. Era riuscito a sfoggiare dell'ironia, cazzo!
 “Mi dirai mai perché sei ritornato?” Come sapeva dar pace, Rachele era anche in grado di toglierla.
Perché doveva uscirsene con una domanda simile dopo tutte le riflessioni positive che lui si era fatto?
Vincenzo decise di vagheggiare. “Dovrei forse offendermi? Che è, non volevi che tornassi?” le chiese ancora a occhi chiusi, un certo nervosismo misto a stanchezza nella voce.
“Sai che non volevo dire quello” borbottò Rachele, facendo una curva. “Dalle lettere che mi mandavi andava tutto bene. Dico quelle tipo di due anni fa, perché dopo non mi ti sei più inculato, eh...”
Vincenzo si massaggiò le tempie e decise di interromperla, prima che cominciasse con le domande incalzanti. “Ne dobbiamo proprio parlare?” chiese. Suonava come una supplica, suonava come un: “Ti prego, non adesso Rachele”.
Rachele rallentò, di sicuro adesso lo stava guardando attentamente, ma Vincenzo non aveva nessuna intenzione di ricambiare lo sguardo. L’oblio, il buio delle palpebre era l’unica cosa che potesse affrontare in quella situazione.
“Non proprio, se non vuoi” concesse Rachele. “Ma ecco, dico, sono solo preoccupata. Ti sei forse messo nei casini? Traffico o uso di droga? Qualche affare con la mafia? Dicono che lì la gente è abbastanza corrotta... No! Aspetta! Aspetta! Ti sei fatto la donna di un mafioso?”
Vincenzo si costrinse ad aprire gli occhi, voleva proprio vedere Rachele che cercava di sdrammatizzare le situazioni, non era mai stata brava e non poteva dire che lo fosse diventata. 
“No. Niente del genere” mormorò. “Spiacente di deludere le tue aspettative.” “Però è per una donna, vero?” domandò Rachele, il tono era cupo adesso.
Aveva sempre avuto  questa profonda convinzione che a lui bastassero un bel paio di gambe e tette abbondanti per lasciarsi indietro i sogni. Mica le donne, nonostante il suo comportamento, per lui erano tutto.
Vincenzo si trattenne dal sorridere, rassegnato. Certo che Rachele era proprio una tipa gelosa, e in parte il fatto che lo fosse con tutti e non solo con lui,  aveva evitato di farlo sentire in colpa per tutti gli anni della loro amicizia. In quel momento si sentì seriamente dispiaciuto di non provare nemmeno un filo di gelosia per lei – aveva anche il ragazzo! – e di non poter ricambiare in alcun modo le sue speranze. Era sua amica: per lui le sue amiche non ce l'avevano.
 “Sì, sì, guarda, è proprio come dici tu” le disse, per darle il contentino.
Rachele lo fulminò. “Lo sapevo! Certo che sei proprio stupido a lasciarti rovinare una carriera, per come stava andando la tua, da una donna. Sei proprio un deficiente! In questi anni mica hai mai pensato di venirmi a trovare, ma appena ti ha lasciato quella, ‘dové la mia amica Rachele?’, torni dalla seconda ruota. Lo sapevo io!” con uno scatto rabbioso si scosse i lunghissimi capelli, che gli erano finiti davanti al viso, dietro il collo.
Vincenzo ridacchiò, era impossibile avercela con Rachele, per quanto avvolte pensava che fosse veramente pesante.
“ Proprio la seconda ruota eh. Si dice ruota di scorta, intanto, e poi io dico sempre le amiche prima di tutto. Se vuoi proprio saperlo sono ritornato perché mi mancava troppo una cacacazzi di mia conoscenza.”
Non era vero, ma a lei avrebbe fatto sicuramente piacere sentirlo.
“Stupido” mormorò infatti Rachele, scuotendo la testa compiaciuta.
“Ehi, dove stiamo andando? Non sarebbe ora di tornare a casa casetta? È mezzanotte passata” disse Vincenzo, fingendo uno sbadiglio.
“E da quando saresti così attento all'orario? Nemmeno a sedici anni rincasavi a 'st’ora” commentò Rachele, inarcando un sopracciglio.
“Eh, a venticinque posso dirmi maturato, non pensi?” Fece l’occhiolino alla sua adorabile amica. “ Ehi, poi, non fare la vaga. Ti ho chiesto una cosa, Rachitica.”
“A un circolo...” disse lei, mordicchiandosi le labbra. Lo guardò di sottecchi, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e dovesse chiedergli scusa.
“Cos’è, tipo centro sociale?” domandò Vincenzo.
“Tipo, non proprio…”
“Vabbè', che cavolo ci andiamo a fare ad un circolo a 'st'ora? Ti informo che ho smesso di pippare da anni” l'avvertì Vincenzo, interdetto.
Non gli piaceva tutta quest’aura di mistero, dove cavolo lo stava portando?
Rachele gli tirò un pugno al braccio, lasciando per un secondo il volante. “Stupido! Non quel genere di circoli... anch'io ormai non lo faccio più, che credi?” Gli riservò un’occhiata piena di risentimento, gli occhi quasi lucidi. “È un altro tipo di circolo. Aspetta che arriviamo, ok? Non so spiegartelo, ma vedi, in questi ultimi tempi mi sto interessando al teatro e...”
“Uff, che palle il teatro! Ma stiamo scherzando? Rachele, mi stai a diventare come certi vecchi! Il teatro è roba morta, vai al cinema che è meglio. Uno di questi giorni ti ci porto al cinema” ribatté Vincenzo, fermamente convinto che alla sua amica servisse un po' di movimento. “Magari anche a ballare” aggiunse, anche se timoroso che potesse sembrare una specie di appuntamento.
Rachele lo fulminò con lo sguardo. “Guarda che so divertirmi. Ma mi faccio anche una cultura” disse irritata. “E adesso vuoi stare un po' zitto? Non ti ricordavo così rompipalle” aggiunse, addolcendo l'insulto con un sorriso.
Vincenzo si quietò, sbuffando divertito: dire che la rompipalle era sempre stata lei, era dire poco.
“Dai ci stiamo poco, siamo quasi arrivati. Ecco Colli Aniene” aggiunse Rachele, sottovoce. “Ci sono un sacco di tipi interessanti.”
Vincenzo annuì rassegnato. Che andassero a farsi fottere lei e il teatro. Era ritornato per stare in pace, nient'altro.
“Sai,” le bisbigliò all'orecchio mentre parcheggiavano “comincio a rimpiangere il fatto di essere tornato.” E la cosa più assurda era che era vero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 


 
  
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