Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Infelicecronica    28/12/2014    3 recensioni
-Ma a nessuno importa veramente di lui. Sono io l' unica illusa che lo sta ancora aspettando, e che rimarrà su questa piattaforma grigia per sempre, ad aspettare qualcuno che potrebbe non tornare mai più; ma non ho altra scelta. Non posso uscire di qui, tornare a dormire, impormi di dimenticare, di dimenticarlo, e tornare a vivere come se non fossi mai stata nell' arena con lui, non lo avessi mai curato, nutrito, ingannato, fatto soffrire, fatto ridere, fatto arrabbiare, incoraggiato, insultato, spronato, ammirato, guardato, pensato, baciato; come se fosse stato tutto un lungo, lunghissimo incubo. Semplicemente, non posso.-
Mah, forse è scontato, ma ho pensato molto a come sarebbero andate le cose se Peeta (il mio personaggio in assoluto preferito della trilogia *-*) non fosse stato depistato...e, come ogni irrecuperabile, inguaribile romantica ho pensato di scrivere una serie dove lui è ancora il nostro ragazzo del pane. Nel primo capitolo mi sono voluta concentrare sulla coppia Haymitch-Katniss, e sul loro rapporto (a mio parere) molto profondo. I due stanno attendendo il ritorno della squadra inviata a Capitol City per liberare Peeta, e sono gli unici a non arrendersi di fronte alla possibilità che nessuno potrebbe più tornare da questa spedizione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Arriveranno stanotte, Katniss, presto saranno qui!" Ecco le parole che mi tengono bloccata sulla piattaforma di atterraggio del Distretto 13, stanotte. E' impossibile stabilire da quanto tempo sia qui, appoggiata ad una fredda parete di cemento armato, con gli occhi fissi su un punto imprecisato della cupola dell' hangar: potrebbe trattarsi di un minuto così come di un' ora. Le mie gambe tremano, un po' per il freddo, un po' per la tempesta che mi sta attraversando dentro: parte dalle dita dei piedi e sale lungo le gambe, si arrampica sulla spina dorsale e alla fine mi si scaglia con violenza contro un punto del petto. E allora iniziano i tuoni, ma non sono improvvisi come quelli delle tempeste vere: sono regolari, ritmici, potenti, veloci. E allora mi rendo conto che non si tratta altro che dei battiti del mio cuore. Era da tempo che non riuscivo più a sentirli. Ormai pensavo di non averne più uno, di cuore, ma solo un mucchio di macerie al suo posto, come quelle che ricoprono adesso la terra in cui sono cresciuta. Sono così assorta nell' ascolto del ritmo dei battiti, che quando sento un sospiro alla mia sinistra volto di scatto la testa, e vedo Haymitch appoggiato come me alla parete, le braccia serrate attorno al petto e uno sguardo vacuo perso chissà dove. Mi ero dimenticata che fosse qui. E' stato lui ad avermi avvisata, questa notte, con una voce intensa ed emozionata di cui non lo credevo capace, incredibilmente sobrio. Non ha piu' ingerito una sola goccia d' alcool, da quando siamo qui al 13. E' stato lui ad avermi condotta qui, dove erano già radunati Plutarch, la Coin, mia madre e Hazelle, stretti in un cerchio a discutere sommessamente, tutti con la stessa espressione stampata sui visi pallidi e segnati dalla stanchezza, ma vigilissimi. Al mio arrivo, era calato il silenzio più totale; neppure mia madre aveva tentato di parlarmi, di rassicurarmi, di dirmi di farmi forza. Mi conosce abbastanza da sapere che ogni parola di conforto, in mezzo ad un' attesa cosí soffocante, così violenta, così opprimente, mi irriterebbe soltanto. E non posso permettermi di aggiungere l' irritazione alla lista delle sensazioni che mi stanno assediando, adesso. Ruoto un po' la testa per convincermi di non essere diventata una lastra di ghiaccio o un tutt' uno con il cemento sul quale poggio la schiena, e vedo che non è rimasto più nessuno sulla piattaforma, oltre a me e a quello che un tempo era il mio mentore. Mia madre, Hazelle e Plutarch se ne sono andati. Solo adesso mi rendo conto che devo essere qui da almeno quattro ore. Quattro ore. 240 minuti. 14400 secondi. Di attesa. "Dovevano già essere qui" penso, mentre un nuovo brivido mi scivola sul collo. "Presto saranno qui", erano state le parole di Haymitch, quattro ore, 240 minuti e 14400 secondi fa. "Perché non sei qui, allora?" sussurro all' oscurità, le labbra secche e intorpidite. E una consapevolezza atroce inizia a scavarmi il cervello. "Non sono riusciti a liberarlo." Respiro. "O di lui non è rimasto più nulla da liberare." Gemito. "Li hanno attaccati durante il ritorno" Tremito. "Gli hanno sparato, alla testa, al cuore, sì, dritto al cuore" Spasmo. "Haymitch" sussurro ad un tratto. Mi rendo conto di avere un disperato bisogno di condividere con qualcuno il fardello che mi grava sulle spalle, sulla testa, sul cuore, su ogni centimetro quadrato del mio corpo. L' attesa mi sta facendo crollare. Ma Haymitch se ne sta' lì, immobile, non dà segno di avermi sentita. Così pronuncio il suo nome a voce un po' più alta, e il risultato è un rumore indefinito a metà tra un grugnito e un sospiro che fende l' immobilità dell' aria. Silenzio. Un silenzio assordante. Haymitch sembra fatto di pietra, cosí ci rinuncio e affondo di nuovo nel dolore dell' attesa. "Che vuoi, dolcezza?" Esala dopo una decina di minuti, come riemergendo improvvisamente dall' abisso di freddezza dove era caduto, o dove forse aveva cercato rifugio. La sua voce è roca, vuota, senza la minima traccia dello scherno e del sarcasmo abituali. Impiego una ventina di secondi a capire che quelle tre parole strascicate sono la risposta alla mia domanda di poco fa. "Perché non sono...perché non.." Le parole mi si spengono sulle labbra. E allo stesso modo, ora dopo ora, si spegne in me la speranza di poterlo riabbracciare. Io devo poterlo riabbracciare. E' un bisogno più vitale dell' ossigeno. Perché non potrei sopportare di scoprire che è stata tutta un' illusione, di scoprire che lui non tornerà da me, né questa notte, né mai. Di scoprire che non ci sarà più nessuno a portarmi il pane fresco, la mattina, e a rimanere lì in piedi ,mentre io ne avvicino una fetta alle labbra, per sapere se mi piace; non ci sarà più nessuno a proteggermi dagli ibridi dei miei incubi, stringendomi tra le sue braccia; nessuno mi fara' più il solletico sfiorandomi l' orecchio con le labbra per dirmi che non sarò mai sola perché, qualunque cosa accada, lui la affronterà con me, non scapperà, non mi abbandonerà. Nessuno mi accarezzera' più le guance con delle mani che profumano di cannella o aneto. Nessuno sarà mai più pronto a seguirmi nell' arena della morte. Nessuno sarà piu' lì a rischiare la sua vita per salvare la mia. Nessuno sarà più il mio ragazzo del pane. Perché nessuno potrà più restituirmi Peeta. Le mie ginocchia sono scosse da un tremito improvviso, potente, incontrollabile, come se qualcuno stesse rigirando una lama nella carne cercando la rotula. Cerco qualcosa a cui aggrapparmi, ma le mie unghie grattano solamente contro la beffarda superficie di cemento, così mi accascio a terra e, impotente, sento che gli occhi iniziano a bruciare e dei rivoletti salati scendono lungo le mie guance. Nascondo la testa tra le ginocchia, le braccia attorno alle gambe e la rabbia che mi brucia dentro. Forse non si tratta neppure di rabbia..è frustrazione. Frustrazione perché pensavo che finalmente, questa notte, avrei potuto ritrovare quella parte di me stessa che mi faceva ancora credere che, nonostante tutto, nonostante i Giochi, nonostante la guerra, nonostante la fine di Cinna, Rue, Madge, gli abitanti del Dodici..c' e' ancora qualcosa per la quale vale la pena vivere. E quella parte di me è Peeta. Un urlo aspro, prepotente, disperato risale lungo l' esofago, posso sentirlo bussare a ridosso delle labbra, anche se sa di non dover chiedere piu' alcun permesso per uscire. Sto perdendo il controllo. Di nuovo. Qualcuno, però, è più veloce di quel nodo bruciante che mi attanaglia la gola: Haymitch. E' chinato al mio fianco, le braccia serrate attorno al mio corpo ermetico, le punte dei capelli sulla mia spalla sinistra. Sta sussurrando qualcosa. "Calmati, shh, va tutto bene. Va tutto bene, Katniss, tutto bene. Guardami, adesso. Katniss, guardami." La sua mano destra e' serrata attorno al mio polso sinistro, riesco a sentire la forza della sua presa che vuole quasi entrarmi nelle vene per diffondere rassicurazione in tutto il mio corpo. Un corpo che non mi risponde più, che si ribella alla mente che gli impartisce di ascoltare Haymitch, perché le sue parole sono l' unico appiglio che gli rimane per non cadere nel vuoto, cadere e non riemergere mai più. Ma ogni mio singolo muscolo sembra essersi assopito, la testa non si alza, le braccia non liberano le gambe, e per un lunghissimo istante sono convinta che anche il cuore non batta più. Ma purtroppo mi sbaglio. Non credo che Haymitch sia tanto ingenuo da aspettare una mia risposta; ma sicuramente sa che lo sto ascoltando. Perché è consapevole del fatto che, nonostante tutto, lo considero ancora il mio mentore; e odio me stessa per questo. Così continua, sempre sussurrando: "Sarebbero dovuti tornare questa notte, è vero. Ma se non è stato stanotte, sarà domani. E se non sarà domani, allora sarà dopodomani, o il giorno dopo ancora. Ma non è questo che conta, Katniss, non conta quando sarà. Conta che sarà." Un sorriso amaro mi si dipinge sul volto, alzo il capo, cerco tra l' oscurità lo sguardo di Haymitch, lo trovo, ci pianto gli occhi e tento di capire se mi stia prendendo in giro per umiliarmi o per puro divertimento. E' logico, avrei dovuto immaginarlo: vederlo tornare tra tre minuti, tre settimane, tre mesi o tre anni non fa alcuna differenza, ai suoi occhi; né a quelli di Plutarch e della Coin e di mia madre. Hazelle apetta il ritorno di suo figlio, com' è naturale che sia, ma non di Peeta; e non voglio certo fargliene una colpa. Ma a nessuno importa veramente di lui. Sono io l' unica illusa che lo sta ancora aspettando, e che rimarrà su questa piattaforma grigia per sempre, ad aspettare qualcuno che potrebbe non tornare mai più; ma non ho altra scelta. Non posso uscire di qui, tornare a dormire, impormi di dimenticare, di dimenticarlo, e tornare a vivere come se non fossi mai stata nell' arena con lui, non lo avessi mai curato, nutrito, ingannato, fatto soffrire, fatto ridere, fatto arrabbiare, incoraggiato, insultato, spronato, ammirato, guardato, pensato, baciato; come se fosse stato tutto un lungo, lunghissimo incubo. Semplicemente, non posso. "Non posso" esalo involontariamente. La mia fronte è posata sulla spalla di Haymitch, adesso; non so come sia arrivata lì, so solo che voglio che ci rimanga. "Lo so" sussurra lui. "Lo so. " E a quelle due, semplici parole, faccio quello che hanno fatto le bombe incendiarie di Snow mentre si scagliavano contro il 12: esplodo. "NO! NO, NO, NON LO SAI, TU NON LO SAI!" Le mie unghie cercano la carne di Haymitch, la trovano, ci affondano. Lui urla, ma non scatta in piedi, anzi: mi stringe ancora più forte al suo petto, mi afferra i polsi duri e freddi come l' acciaio, appoggia la sua fronte sulla mia, che si dibatte furiosamente alla disperata ricerca di qualcosa contro cui picchiare per porre fine a tutto questo. "SO COSA PROVI, SO COSA STAI PROVANDO, KATNISS! CREDI CHE ABBIA SCORDATO MIA MADRE, MIO FRATELLO, LA MIA RAGAZZA, EH?! CREDI CHE ABBIA SCORDATO COME SNOW LI HA UCCISI?! CREDI CHE NON SAPPIA CHE SONO MORTI PER CAUSA MIA?! SI, SI CHE LO SO! E ME LO RIPETO OGNI MALEDETTISSIMO GIORNO! MI RIPETO CHE AVREI DOVUTO PROTEGGERLI, E INVECE ME NE STAVO A CAPITOL CITY A FARMI OSANNARE DA QUEGLI IPOCRITI ASSASSINI, GLI ASSASSINI DELLA MIA FAMIGLIA, GLI ASSASSINI CHE ERANO PRONTI A SERVIRMI GIORNO E NOTTE, SI, GIORNO E NOTTE, PERCHÉ IO ERO IL VINCITORE DEI GIOCHI! IL "VINCITORE PRODIGIO"! E loro intanto imploravano pietà... loro MORIVANO!...e io l' ho scoperto tre settimane più tardi, TRE SETTIMANE, CAPISCI?!...neppure una tomba su cui piangere, niente...li avevano cancellati, Katniss, cancellati...cancellati." Sono ancora chiusa dalla stretta delle braccia di Haymitch, una stretta che mi avvolge e mi trascina con se' fino all'infanzia, quando mio padre mi circondava conle sue braccia e soffiava delicatamente sul mio ginocchio sbucciato. Ma qui, con me e con Haymitch, non si parla di ginocchia sbucciate. Si parla di cuori spezzati e di anime troppo stracciate anche solo per sanguinare.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Infelicecronica