Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Infelicecronica    06/08/2015    2 recensioni
-Ma a nessuno importa veramente di lui. Sono io l' unica illusa che lo sta ancora aspettando, e che rimarrà su questa piattaforma grigia per sempre, ad aspettare qualcuno che potrebbe non tornare mai più; ma non ho altra scelta. Non posso uscire di qui, tornare a dormire, impormi di dimenticare, di dimenticarlo, e tornare a vivere come se non fossi mai stata nell' arena con lui, non lo avessi mai curato, nutrito, ingannato, fatto soffrire, fatto ridere, fatto arrabbiare, incoraggiato, insultato, spronato, ammirato, guardato, pensato, baciato; come se fosse stato tutto un lungo, lunghissimo incubo. Semplicemente, non posso.-
Mah, forse è scontato, ma ho pensato molto a come sarebbero andate le cose se Peeta (il mio personaggio in assoluto preferito della trilogia *-*) non fosse stato depistato...e, come ogni irrecuperabile, inguaribile romantica ho pensato di scrivere una serie dove lui è ancora il nostro ragazzo del pane. Nel primo capitolo mi sono voluta concentrare sulla coppia Haymitch-Katniss, e sul loro rapporto (a mio parere) molto profondo. I due stanno attendendo il ritorno della squadra inviata a Capitol City per liberare Peeta, e sono gli unici a non arrendersi di fronte alla possibilità che nessuno potrebbe più tornare da questa spedizione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
E poi è luce, all'improvviso. Uno spicchio di raggi di sole inizia a squarciare il grigio-cemento del pavimento dell'hangar, conquistando metro su metro. Si, è luce. Luce. Mai il suono di quattro, semplici lettere mi è sembrato più fresco, più dolce; me ne riempio la bocca come farebbe un bambino con le caramelle. Riesco a vedere i granelli di polvere fluttuare nell'aria, adesso, un'aria che, per la prima volta da quando mi hanno soccorsa nell'arena, sembra finalmente riuscire a riempirmi i polmoni, a gonfiarmi il respiro, a spazzare via il terrore che mi vibrava dentro. Sono tornati. Non so chi, non so in quanti, non so in che condizioni, ma qualcuno, a bordo dell'hovercraft che sta atterrando a una decina di metri da me, è tornato. Tornato. Vivo. Con delle risposte. Il rombo dei motori mi invade le orecchie, ma, strano a dirsi, nella mia mente vige il silenzio, il silenzio dell'attesa. Si è insinuata in me la fredda consapevolezza che, a breve, troverò una fine, resta solo da stabilire di che cosa. Se mi diranno che Peeta e Gale sono vivi, avrà fine la mia angoscia. Se mi diranno che sono morti, avrò fine io. Semplicemente io, e basta. Perdo l'equilibrio nonostante sia già in ginocchio, mi ritrovo a terra, in posizione fetale. Una paura che non conosco s'impossessa di me, mi fa serrare le palpebre e digrignare i denti. “Katniss.” Ho paura. “Katniss.” Ho paura di affrontare la realtà, ora che ce l'ho davanti. “Katniss.” Ho paura di vederli cambiati, o di non vederli affatto. “Reagisci.” Ho paura di averli persi. Di perdere me stessa. Sento delle dita ruvide e callose insinuarmisi sotto il mento e alzarlo, piano piano. E' un tocco così delicato che, quando riapro gli occhi e il mio sguardo si posa sul volto pallido ma acceso di Haymitch, soffoco a stento un gemito. Haymitch. Mi ero completamente dimenticata della sua presenza, ma non lui della mia, a quanto pare. Solo ora riconosco la voce di prima come la sua. Deve aver urlato perchè riuscissi a sentirlo, in mezzo a tutto questo frastuono. I miei occhi cercano i suoi, forse per trovarvi rassicurazione, forse coraggio, o forse una qualsiasi delle emozioni che mi infuriano dentro, non ha importanza quale. Ma lui non vuole che il mio sguardo incroci il suo, perchè mi volta delicatamente il capo in direzione dell'hovercraft, ormai atterrato, e capisco immediatamente ciò che sta cercando di dirmi: “Le tue risposte sono lì, Katniss, lì e basta, non cercarle in nessun altro luogo.” Mi alzo, reggendomi con tutte le forze alla parete, perché ho capito che non c'è nient'altro da fare, ormai. Haymitch, dietro di me, sembra pensare lo stesso, e si alza con me. Uno schiocco metallico fende l'aria, e il portellone di carico dell'hovercraft inizia ad aprirsi. I primi ad uscirne sono quattro uomini alti, dalle spalle larghe e possenti. Mi avvicino, sperando di potervi riconoscere qualcuno che conosca. Sento il cuore martellare così forte contro il petto da temere che spezzi qualche costola. I quattro sono ricoperti da capo a piedi da una tuta grigiastra, con il logo del 13 stampato in alto a sinistra, annerita e squarciata in diversi punti; due sono insanguinate, una sotto il ginocchio, l'altra sul braccio destro. Corro loro incontro, stupendo me stessa di riuscire a muovermi così agilmente. I quattro sembrano nervosi, parlano rapidamente premendo la mano sull'orecchio sinistro con tono concitato. Mi slittano accanto come se non mi vedessero. Mi volto per seguirli, e mi scontro con un tale in camice bianco e tre bombole di ossigeno in spalla, che mi impreca contro, fulminandomi con lo sguardo. Altri sette lo seguono, con rotoli di bendaggi e flaconi di disinfettante in mano. Gli ordini volano nell'aria, vengono portate barelle e chiamati rinforzi. L'hangar si sta affollando ad una velocità impressionante, ed inizia a mancarmi l'aria. Le pareti si spostano sul mio campo visivo. “No” mi dico. “Devi resistere, non cedere proprio adesso. Non adesso.” Qualcuno mi afferra un braccio e mi intima di uscire dall'hangar, “I civili non possono interferire con le operazione, signorina. Avanti, mi segua.” Cerco di liberarmi dalla sua stretta, ma non ho abbastanza forze in corpo, e mi odio per questo. Sento salire agli occhi delle lacrime brucianti, mentre vengo trascinata di peso verso l'uscita, il mio corpo impotente abbattuto dalla mia mente. “Ehi! EHI! Dannazione, prima sbraitate per ricevere rinforzi medici e poi cacciate un'infermiera?” Improvvisamente, come sbucato dal nulla, distinguo Haymitch tra il velo di lacrime, di fronte a me e all'uomo in divisa che mi stava “accompagnando” altrove. Il suo volto è contratto, i suoi occhi mi lanciano sguardi rapidi e accesi. “Prego?”dice l' uomo in divisa, in tono irritato. “Bah, non riesco proprio a capirvi, voi del 13. Dico io, qui c'è gente che ha bisogno di soccorsi, crede di aiutarli cacciando i pochi in grado di offrirglieli?” sbraita Haymitch. L'uomo in divisa si volta verso di me, confuso. Abbasso il volto, fingendo imbarazzo, nella speranza che non mi riconosca. Mi fissa per qualche secondo, blaterando sottovoce, poi torna a rivolgersi ad Haymitch. “Questa qui è un'inf..?” “E chi credeva che fosse, Santo Cielo?! Una scolaretta in gita?! Sì, sì che è un'infiermiera! Io la conosco, è del 12...e ha qualcosa d'importante da fare, qui. Non ha tempo da perdere.” E nel pronunciare quelle ultime parole lo sguardo di Haymitch saetta contro il mio. Libero il braccio dalla mano dell'uomo, che ancora mi stringe, e corro verso l'hovercraft, mentre, alle mie spalle, lo sento biascicare un “Mi scusi, non avevo idea che fosse un'infermie..” L'hangar, adesso, è ancora più affollato di un minuto fa. Cerco di farmi strada a gomitate, infilandomi nei pochi spazi liberi tra barelle e personale, scorrendo disperatamente lo sguardo su ogni volto che incroci, ma, proprio come prima, nessuno sembra accorgersi della mia presenza. O quasi nessuno. Ad una decina di metri da me, qualcuno, con ancora addosso la tuta e la maschera antigas del 13, procede nella mia direzione ma in verso opposto, facendosi largo tra la folla a falcate ampie e sicure, per quanto essa glielo permetta. Le spalle sono larghe e possenti, le braccia robuste si muovono al ritmo rapido dei passi, i polpacci sporgono in modo quasi impressionante. Lo riconosco all'istante, pur non vedendolo in volto. Lo riconosco, e tutto, attorno a me, sembra rallentare. Improvvisamente mi sento tanto leggera da temere che i miei piedi si stacchino dal pavimento dell'hangar, ed io voli via, in un luogo luminoso e irraggiungibile dove molto, troppo spesso, avrei voluto trovare riparo negli ultimi mesi. Ma ora anche questo desiderio sembra impallidire, di fronte alla sicurezza che una delle poche persone che io ami davvero non ha preso il volo per prima. Di fronte alla notizia del suo ritorno. Di fronte al ragazzo che ora è a pochi metri da me, e spalanca le braccia perché io mi ci tuffi, come ho sempre fatto da quando l'ho conosciuto, e come sempre farò. Di fronte a Gale. Mi sussurra all'orecchio un preoccupato “Che ci fai qui?!”, mentre le sue braccia si scagliano contro la mia schiena, togliendomi l'aria nei polmoni. Senza che riesca ad accorgermene, ho abbandonato la fronte sulla sua spalla destra. Sento le lacrime scivolarmi lungo le guance, e so che cercare di trattenerle è una battaglia persa in partenza. L'odore acre della gomma bruciata mi punge le narici, assieme ad un altro odore aspro e mellifluo che, sulle prime, non riesco a riconoscere. Il respiro affannoso di Gale mi solletica l'orecchio destro, riportandomi inidetro di anni e anni, a quando ci addormentavamo uno accanto all'altra, nella radura del bosco che circondava il 12, dopo un pomeriggio passato a cacciare. Questo ricordo, ormai proibito, mi fa improvvisamente venir voglia di ridere, ma mi contengo. Non saprò mai che risata sarebbe stata, se una isterica, o una liberatoria. Forse non ricordo più neppure cos'è, una risata. “Devi trovarlo.” La voce di Gale pronuncia due, semplici parole. “Devi trovarlo.” Apro gli occhi e mi scosto di qualche centimetro. Mi focalizzo su uno strappo nella tuta, un po' più in basso della spalla, di cui prima non mi ero accorta. “Sangue” penso. Ecco cos'era quell'odore, prima. “Katniss.” Gale mi afferra per le braccia, mi scuote gentilmente. Nei suoi occhi grigi e freddi leggo la preoccupazione, e la pietà. “Katniss, mi senti?” Non mi ero neppure accorta che si fosse tolto la maschera antigas. Mi sembra di non vederlo da decenni. Gale è come invecchiato. “Trovalo, Katniss.” Finalmente le sue parole squarciano il limbo di illusorio sollievo in cui mi ero rifugiata. Impiego una decina di secondi a metabolizzarle, a comprenderle, a trasformarle da “sentite” ad “ascoltate”. A scendere dal mio luogo luminoso e irraggiungibile. “Peeta” sussurro, fissando la cenere negli occhi di Gale, che al suono di quelle cinque lettere sembra diventare ancora più grigia. “Peeta.”
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Infelicecronica