Prologo - Acqua
L'acqua
aveva invaso la città, allagando gran parte delle bottege
che si
trovavano sulla strada; tuttavia mercanti e popolani non sembravano
curarsene più di tanto, quella era una cosa che capitava
annualmente. Le Pioggie arrivavano violente, preannunciate da un
vento gelido, appena quattro volte all'anno, e ogni volta sancivano
l'alternarsi delle stagioni. Non che una si differenziasse molto
dalla precedente, o dalla successiva. Lì al sud la
temepratura
oscillava solo tra il caldo afoso al caldo umido.
Maeve
era arrivata lì, dopo un lungo viaggio che era in tutto e
per tutto
una fuga, in quel villaggio dove l'aria che si respirava era
sì
umida, ma frizzante e piena di schiamazzi di gente allegra e
apparentemente inconscia di ciò che succedeva qualche lega
più a
nord.
Basta
sangue,
si era detta. Basta
sangue;
l'aveva ripetuto e implorato infinite volte, come una preghiera, alla
gente intorno a lei, ma soprattutto a se stessa. E alla fine era
riuscita a trovare il suo momentaneo frammento di paradiso,
nonostante sapesse bene che tutto quello sarebbe durato meno di
quanto avesse mai sperato, o anche solo immaginato.
Era
rimasta incantata dai particolari palazzi che si allungavano verso il
cielo nonostante l'umidità l'avesse fatta rabbrividire dopo
pochi
istanti. Abbassando lo sguardo aveva visto l'acqua che le lambiva le
caviglie smossa da animali che scorrazzavano felici inseguendo
bambini del tutto incuranti degli abiti fradici.
Maeve
aveva sorriso, e pensando che se la sua fosse stata una via diversa,
se lei
fosse stata diversa, quella di certo sarebbe potuta essere la sua
vita, o almeno era quello che amava immaginare. Sapeva bene di non
potersi integrare con il Mondo, con gli Umani, perchè lei
era una
Lamia e come tale veniva cacciata e perseguitata dal popolo di
Pherdi.
Ma
a quanto pare lì al sud sembravano non dare peso al suo
aspetto, o
forse non sapevano neanche dell'esistenza di queste creature,
perché
le persone che le passavano accanto erano più infastidite
dal fatto
che fosse ferma in mezzo alla strada che dal suo aspetto. Magari la
trovavano un po' bizzarra, tutto lì. Ma effettivamente, ora
che
guardava con più attenzione, Maeve notò gente di
molte etnie: gente
dei Monti Rossi, con il loro colorito particolarmente scuro e gli
abiti colorati, oppure alcuni del popolo delle Lagune, con i capelli
di colori slavati e la pelle inspessita dal sale, o ancora gente del
Deserto Silente, con lo sguardo attento e i corpi affusolati e molti
altri ancora, che però non sapeva riconoscere.
In
quella città baciata dal tiepido colore del tramonto e piena
di
persone meravigliose, Maeve pensò di avere trovato la pace.
Era
scappata da Pherdi dopo una vita passata a nascondersi, a muoversi
silenziosamente tre le vie della città e ad evitare a capo
chino le
persone che le passavano accanto, sperando intensamente che non
avessero voglia di sbirciare sotto il cappuccio e vedere una bestia
dagli occhi come perle che, secondo loro, avrebbe potuto saltargli al
collo e prosciugarli della loro energia vitale.
Non
che Maeve non l'avesse mai fatto, ma aveva imparato a controllare i
suoi istinti; per di più le gente non sembrava capire che
lei poteva
anche mangiare cibo normale. Il sangue non le forniva reale
nutrimento, ne ricavava semplicemente energia, e con il tempo aveva
imparato a cibarsi con discrezione e solo il necessario per non
rimetterci la pelle.
Ma
le persecuzioni erano feroci, ed era bastato poco tempo
perché la
gente iniziasse ad accorgersi realmente della sua presenza, forse
anche a percepirla e quindi a cercare in tutti i modi di liberarsi di
quella che sarebbe potuta essere, o che per loro era,
una minaccia.
Si
abbassò il cappiccio del mantello con cautela, svelando un
colorito
che rivaleggiava con quello di un cadavere, sul quale spiccavano
evidenti dei segni rossi che le attraversavano il volto e
contornavano il medaglione che, sulla sua fronte, sembrava essere un
tutt'uno con la sua pelle. Accorgendosi però che i passanti
non
sembravano fare troppo caso a lei, iniziò a muovere passi
insicuri
verso quella che doveva essere la piazza centrale, sguazzando
nell'acqua e bagnandosi fino alle ginocchia. Osservò la
fontana, e
quasi non fu sorpresa di notare che era strapiena, che l'acqua
sputata dalle bocchette andava a riversarsi nelle vasche già
colme,
e queste a loro volta si riversavano nella massa d'acqua che sembrava
aver invaso l'intera città.
La
città Fontana. Pensò
fra sé, trovando un nome adatto a quella città di
cui non conosceva
il vero nome. Per lei ormai si sarebbe chiamata così.
Si
guardò intorno, riuscendo più o meno a
orientarsi, accorgendosi
però di non riuscire a distinguere i palazzi; per lei
potevano
essere tutti luoghi di culto, come ospedali, botteghe o
chissà che
altro.
L'unica
soluzione era quella di entrare in ogni palazzo e chiedere, e
quell'idea non l'entusiasmava affatto, farsi conoscere non era tra le
sue priorità. Affatto.
Per
sua fortuna, o forse sfortuna, quello l'avrebbe capito molto
più
avanti, una piccola anima pia decise di avvicinarla, sguazzado
anch'essa nell'acqua; le scarpette in mano e l'abito candido
appesantito dall'acqua.
"Ehi,
ciao." Un viso rotondo da bambina si frappose tra lei e un
gruppo di palazzi che aveva preso a studiare, una mano paffuta ma
decisa che le tirava un lembo del mantello per attirare ulteriormente
l'attenzione.
Quando
Maeve abbassò lo sguardo rimase impietrita, quella che aveva
davanti
era una semplicissima bambina, eppure lei non sapeva cosa fare, cosa
dire, di fronte alla creaturina. Non aveva mai avuto a che fare con
bambini, anzi, non aveva mai avuto a che fare con le persone in
generale e quelle poche con cui aveva interagito, beh, non si poteva
certo dire che l'avessero salutata in modo così amichevole.
"Come
ti chiami?" La bambina tuttavia non sembrò affatto
scoraggiata
dal suo silenzio. La donna impiegò ancora qualche attimo a
rispondere, presa del tutto alla sprovvista; nessuno le aveva mai
chiesto il suo nome, a nessuno era mai interessato. Per tutti lei era
sempre stata Lamia,
Mostro, o
qualsiasi altro soprannome simile.
"Maeve."
Rispose con voce roca, mentre sentiva il cuore gonfiarsi, riempirsi
di un sentimento che non aveva mai conosciuto e il peso delle spade
sulle sue spalle farsi meno pressante e fastidioso. Tentò di
trattenerlo, tuttavia un sorriso iniziò ad allargarsi sul
suo volto.
"Ciao
Maeve. Io sono Rhiannon, ma puoi chiamarmi Rhia, visto che ormai
siamo amiche." E come per riflesso un sorriso si aprì sul
suo
volto, svelando la mancanza di un incisivo.
La
donna rimase allibita, la confusione che iniziava a riempirle la
mente, mentre i piedi la incollavano sul posto, indifferenti agli
sforzi della bambina di trascinarla da qualche parte. In fondo non
sapeva che ciò che si agitava nella sua pancia era pura
gioia,
improvvisa e per lei del tutto inspiegable.
"Dimmi
Maeve, da dove vieni, eh?" Si aggrappò al suo polso,
rivelandosi una bambina particolarmente ostinata. "Hai una
sorella? Come si chiamano i tuoi genitori? Eh?" Asfissiante;
dopo tanti anni di solitudine, quello forse era peggio delle
persecuzioni.
"E
i tuoi, di genitori, che ti lasciano andare in giro da sola e a
parlare con sconosciuti?" Le sue intenzioni non erano quelle di
essere scortese, né di offendere la bambina che, dopo
un'espressione
un po' impettita, sembrò galvanizzarsi ancora di
più, per niente
intenzionata a demordere.
"Vieni,
ti faccio vedere la città; scommetto che tu sei una
viaggiatrice,
sai, ne arrivano davvero molti qui, e hanno tutti la tua stessa
faccia, quando cercando di distinguere un ospedale da una locanda."
La presa sulla sua mano si allentò un poco. "Però
se non vuoi
il mio aiuto allora va bene, non importa, però mi sa che ti
toccherà
dormire all'aperto, e non so quanto possa essere comodo, visto che
giusto ieri sono arrivate Le Pioggie." Un sorriso maligno di
dipinse sul volto della bambina; non era semplicemente asfissiante,
pensò Maeve, ma era anche incredibilmente convincente. Ma
perché
no, si disse, tanto che aveva da perdere?
"Dimmi
Rhiannon, come si chiama questa città?" Chiese lei dopo un
attimo di esitazione.
"Rabanastre,
è la Città del Mondo." La bambina le sorrise
cordiale,
inziando a camminare, fiduciosa e serena, apparentemente conteta di
sentirla parlare. "Dove
tutto e tutti sono accettati perchè parte e figli della
stessa
terra, non
so esattamente cosa significhi, ma me lo ripete spesso mia madre."
Quello,
per Maeve, sarebbe stato uno dei primi, e uno dei tanti, eventi che
le avrebbero fatto conoscere la vita.
Quella
vera.
E
a fargliela piacere.
______
Note:
Maeve è un nome proprio di persona gaelico irlandese
femminile. Si
tratta di una forma anglicizzata del nome gaelico Medb, che significa
"intossicante"
Le
lamie dell'antichità greca erano figure in parte umane e in
parte
animalesche, rapitrici di bambini; fantasmi seduttori che adescavano
giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. La
lamia viene considerata una sorta di vampiro ante litteram.
Rhiannon
è un nome proprio di persona gallese e inglese femminile,
deriva dal
nome celtico Rigantona, che vuol dire "grande regina".
Sono contenta di aver scritto questa storia, ho ritrovato il piacere di invetare un mondo completamente nuovo e muovere al suo interno personaggi originali e liberi. Tanto che ho quasi voglia di sfruttare questa mini-storia per creare una vera long in stile High-Fantasy vagamente Tolkeniano *-*
Vi invito a iscrivermi al gruppo: La sposa di Ade racconta per 'anteprime' e belle immagini, interazioni e quant'altro ^^Questa storia partecipa al contest 'Fantasy a volontà' di _Roxanne