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Autore: La sposa di Ade    29/12/2014    8 recensioni
Fuga e inseguimento. Preda e predatore.
Sembra semplice, sembra poco più che un gioco.
Ma è quando si scopre il vero volto della vittima che le cose si complicano, è quando si scoprono i motivi di tali azioni che i cuori tremano.
Un conflitto tra razze e ideali, tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
[In revisione] [Possibile continuo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - Acqua

L'acqua aveva invaso la città, allagando gran parte delle bottege che si trovavano sulla strada; tuttavia mercanti e popolani non sembravano curarsene più di tanto, quella era una cosa che capitava annualmente. Le Pioggie arrivavano violente, preannunciate da un vento gelido, appena quattro volte all'anno, e ogni volta sancivano l'alternarsi delle stagioni. Non che una si differenziasse molto dalla precedente, o dalla successiva. Lì al sud la temepratura oscillava solo tra il caldo afoso al caldo umido.
Maeve era arrivata lì, dopo un lungo viaggio che era in tutto e per tutto una fuga, in quel villaggio dove l'aria che si respirava era sì umida, ma frizzante e piena di schiamazzi di gente allegra e apparentemente inconscia di ciò che succedeva qualche lega più a nord.
Basta sangue
, si era detta. Basta sangue; l'aveva ripetuto e implorato infinite volte, come una preghiera, alla gente intorno a lei, ma soprattutto a se stessa. E alla fine era riuscita a trovare il suo momentaneo frammento di paradiso, nonostante sapesse bene che tutto quello sarebbe durato meno di quanto avesse mai sperato, o anche solo immaginato.
Era rimasta incantata dai particolari palazzi che si allungavano verso il cielo nonostante l'umidità l'avesse fatta rabbrividire dopo pochi istanti. Abbassando lo sguardo aveva visto l'acqua che le lambiva le caviglie smossa da animali che scorrazzavano felici inseguendo bambini del tutto incuranti degli abiti fradici.
Maeve aveva sorriso, e pensando che se la sua fosse stata una via diversa, se
lei fosse stata diversa, quella di certo sarebbe potuta essere la sua vita, o almeno era quello che amava immaginare. Sapeva bene di non potersi integrare con il Mondo, con gli Umani, perchè lei era una Lamia e come tale veniva cacciata e perseguitata dal popolo di Pherdi.
Ma a quanto pare lì al sud sembravano non dare peso al suo aspetto, o forse non sapevano neanche dell'esistenza di queste creature, perché le persone che le passavano accanto erano più infastidite dal fatto che fosse ferma in mezzo alla strada che dal suo aspetto. Magari la trovavano un po' bizzarra, tutto lì. Ma effettivamente, ora che guardava con più attenzione, Maeve notò gente di molte etnie: gente dei Monti Rossi, con il loro colorito particolarmente scuro e gli abiti colorati, oppure alcuni del popolo delle Lagune, con i capelli di colori slavati e la pelle inspessita dal sale, o ancora gente del Deserto Silente, con lo sguardo attento e i corpi affusolati e molti altri ancora, che però non sapeva riconoscere.
In quella città baciata dal tiepido colore del tramonto e piena di persone meravigliose, Maeve pensò di avere trovato la pace.
Era scappata da Pherdi dopo una vita passata a nascondersi, a muoversi silenziosamente tre le vie della città e ad evitare a capo chino le persone che le passavano accanto, sperando intensamente che non avessero voglia di sbirciare sotto il cappuccio e vedere una bestia dagli occhi come perle che, secondo loro, avrebbe potuto saltargli al collo e prosciugarli della loro energia vitale.
Non che Maeve non l'avesse mai fatto, ma aveva imparato a controllare i suoi istinti; per di più le gente non sembrava capire che lei poteva anche mangiare cibo normale. Il sangue non le forniva reale nutrimento, ne ricavava semplicemente energia, e con il tempo aveva imparato a cibarsi con discrezione e solo il necessario per non rimetterci la pelle.
Ma le persecuzioni erano feroci, ed era bastato poco tempo perché la gente iniziasse ad accorgersi realmente della sua presenza, forse anche a percepirla e quindi a cercare in tutti i modi di liberarsi di quella che sarebbe potuta essere, o che per loro
era, una minaccia.
Si abbassò il cappiccio del mantello con cautela, svelando un colorito che rivaleggiava con quello di un cadavere, sul quale spiccavano evidenti dei segni rossi che le attraversavano il volto e contornavano il medaglione che, sulla sua fronte, sembrava essere un tutt'uno con la sua pelle. Accorgendosi però che i passanti non sembravano fare troppo caso a lei, iniziò a muovere passi insicuri verso quella che doveva essere la piazza centrale, sguazzando nell'acqua e bagnandosi fino alle ginocchia. Osservò la fontana, e quasi non fu sorpresa di notare che era strapiena, che l'acqua sputata dalle bocchette andava a riversarsi nelle vasche già colme, e queste a loro volta si riversavano nella massa d'acqua che sembrava aver invaso l'intera città.
La città Fontana.
Pensò fra sé, trovando un nome adatto a quella città di cui non conosceva il vero nome. Per lei ormai si sarebbe chiamata così.
Si guardò intorno, riuscendo più o meno a orientarsi, accorgendosi però di non riuscire a distinguere i palazzi; per lei potevano essere tutti luoghi di culto, come ospedali, botteghe o chissà che altro.
L'unica soluzione era quella di entrare in ogni palazzo e chiedere, e quell'idea non l'entusiasmava affatto, farsi conoscere non era tra le sue priorità. Affatto.
Per sua fortuna, o forse sfortuna, quello l'avrebbe capito molto più avanti, una piccola anima pia decise di avvicinarla, sguazzado anch'essa nell'acqua; le scarpette in mano e l'abito candido appesantito dall'acqua.
"Ehi, ciao." Un viso rotondo da bambina si frappose tra lei e un gruppo di palazzi che aveva preso a studiare, una mano paffuta ma decisa che le tirava un lembo del mantello per attirare ulteriormente l'attenzione.
Quando Maeve abbassò lo sguardo rimase impietrita, quella che aveva davanti era una semplicissima bambina, eppure lei non sapeva cosa fare, cosa dire, di fronte alla creaturina. Non aveva mai avuto a che fare con bambini, anzi, non aveva mai avuto a che fare con le persone in generale e quelle poche con cui aveva interagito, beh, non si poteva certo dire che l'avessero salutata in modo così amichevole.
"Come ti chiami?" La bambina tuttavia non sembrò affatto scoraggiata dal suo silenzio. La donna impiegò ancora qualche attimo a rispondere, presa del tutto alla sprovvista; nessuno le aveva mai chiesto il suo nome, a nessuno era mai interessato. Per tutti lei era sempre stata
Lamia, Mostro, o qualsiasi altro soprannome simile.
"Maeve." Rispose con voce roca, mentre sentiva il cuore gonfiarsi, riempirsi di un sentimento che non aveva mai conosciuto e il peso delle spade sulle sue spalle farsi meno pressante e fastidioso. Tentò di trattenerlo, tuttavia un sorriso iniziò ad allargarsi sul suo volto.
"Ciao Maeve. Io sono Rhiannon, ma puoi chiamarmi Rhia, visto che ormai siamo amiche." E come per riflesso un sorriso si aprì sul suo volto, svelando la mancanza di un incisivo.
La donna rimase allibita, la confusione che iniziava a riempirle la mente, mentre i piedi la incollavano sul posto, indifferenti agli sforzi della bambina di trascinarla da qualche parte. In fondo non sapeva che ciò che si agitava nella sua pancia era pura gioia, improvvisa e per lei del tutto inspiegable.
"Dimmi Maeve, da dove vieni, eh?" Si aggrappò al suo polso, rivelandosi una bambina particolarmente ostinata. "Hai una sorella? Come si chiamano i tuoi genitori? Eh?" Asfissiante; dopo tanti anni di solitudine, quello forse era peggio delle persecuzioni.
"E i tuoi, di genitori, che ti lasciano andare in giro da sola e a parlare con sconosciuti?" Le sue intenzioni non erano quelle di essere scortese, né di offendere la bambina che, dopo un'espressione un po' impettita, sembrò galvanizzarsi ancora di più, per niente intenzionata a demordere.
"Vieni, ti faccio vedere la città; scommetto che tu sei una viaggiatrice, sai, ne arrivano davvero molti qui, e hanno tutti la tua stessa faccia, quando cercando di distinguere un ospedale da una locanda." La presa sulla sua mano si allentò un poco. "Però se non vuoi il mio aiuto allora va bene, non importa, però mi sa che ti toccherà dormire all'aperto, e non so quanto possa essere comodo, visto che giusto ieri sono arrivate Le Pioggie." Un sorriso maligno di dipinse sul volto della bambina; non era semplicemente asfissiante, pensò Maeve, ma era anche incredibilmente convincente. Ma perché no, si disse, tanto che aveva da perdere?
"Dimmi Rhiannon, come si chiama questa città?" Chiese lei dopo un attimo di esitazione.
"Rabanastre, è la Città del Mondo." La bambina le sorrise cordiale, inziando a camminare, fiduciosa e serena, apparentemente conteta di sentirla parlare. "
Dove tutto e tutti sono accettati perchè parte e figli della stessa terra, non so esattamente cosa significhi, ma me lo ripete spesso mia madre."
Quello, per Maeve, sarebbe stato uno dei primi, e uno dei tanti, eventi che le avrebbero fatto conoscere la vita.
Quella vera.
E a fargliela piacere.


______



Note: Maeve è un nome proprio di persona gaelico irlandese femminile. Si tratta di una forma anglicizzata del nome gaelico Medb, che significa "intossicante"
Le lamie dell'antichità greca erano figure in parte umane e in parte animalesche, rapitrici di bambini; fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. La lamia viene considerata una sorta di vampiro ante litteram.
Rhiannon è un nome proprio di persona gallese e inglese femminile, deriva dal nome celtico Rigantona, che vuol dire "grande regina".

Sono contenta di aver scritto questa storia, ho ritrovato il piacere di invetare un mondo completamente nuovo e muovere al suo interno personaggi originali e liberi. Tanto che ho quasi voglia di sfruttare questa mini-storia per creare una vera long in stile High-Fantasy vagamente Tolkeniano *-*

Vi invito a iscrivermi al gruppo: La sposa di Ade racconta per 'anteprime' e belle immagini, interazioni e quant'altro ^^

Questa storia partecipa al contest 'Fantasy a volontà' di _Roxanne
  
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