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Autore: liberty_dream    29/12/2014    4 recensioni
STORIA AD OC
Cento anni dopo la morte dell'ultima ninfa la situazione è la stessa del secolo scorso: il sovrano ha ottenuto la fonte della giovinezza ed è ancora in vita, si tratta di un re sanguinario e violento.
Ma un gruppo di volontari è deciso a combattere contro di lui ed annientarlo. Loro hanno un'arma che può sconvolgere le sorti della guerra: l'ultima ninfa è rinata, ma devono ancora trovare la ragazza che ha ereditato le sue origini ed i suoi poteri.
La lotta tra il bene ed il male ricomincia... l'ago della bilancia a chi concederà la vittoria?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray, Fullbuster, Natsu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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THLASNYMPH TALE



Ci vediamo al Cencio. Era una delle frasi più solite da udire presso le fasce più basse della popolazione di Magnolia. Ma il Cencio era stato un luogo rinomato presso le alte fasce della società, un locale che offriva riparo, svago e divertimento molto apprezzato presso chiunque.

Era stato costruito nell’anno X877, quello in cui i draghi scomparvero definitivamente da un ormai ultracinquantenne Lyan, figlio di un dragonslayer, Gajeel Redfox e della sua consorte, Levi McGarden. Aveva avuto un nome pomposo, tonante e prepotente: “On the dragon’s wings” era molto noto all’epoca, apprezzato e frequentato. Era stato costruito vicino le macerie della vecchia sede di Fairy tail ed era passato alla storia come l’unico locale sopravvissuto per più di cinquecento anni.

Aveva avuto vicino il canale più bello dell’intera città, case lignee istoriate e con ampie balconate erano le sue vicine. Sulle strade le rose facevano a gara per superare la bellezza di quelle mosaicate delle finestre, opera dei più fini maestri cultori dell’arte del vetro; nessuna aveva mai avuto quel tanto per superarle. Le mura erano fatte di pietre poste a incastro e incollate con la malta, uno speciale legante all’epoca molto raro e costoso; pesanti travi in legno di ciliegio sostenevano un tetto spiovente andando a comporre disegni elaborati nel controsoffitto finemente intarsiato.

Ma era proprio il canale a costituirne la sua più grande bellezza, e la sua più terribile rovina.

“On the dragon’s wings” aveva un minuscolo porticciolo da dove affittava delle barche per risalire il fiume e per scendere a cui si accedeva tramite una botola segnalatissima sempre aperta sul retro della locanda. Le barche navigavano attraverso le chiuse fino al mare o fino ad altre destinazioni: giardini esotici e colorati dai profumi narcotizzanti. Era quindi un luogo di lusso, dove i clienti potevano mangiare alcuni tra i piatti migliori della regione dell’Ovest e riposare su morbidi cuscini di piume d’oca avvolti in calde coperte riscaldate per tempo vicino alle braci spente.

Un decennio di secche e un cinquennio di alluvioni segnarono la sua rovina. La pioggia cadeva quattro o cinque volte all’anno e sempre mista alla sabbia, le coltivazioni non riuscivano a germogliare seccandosi sempre prima del tempo: venne così a mancare il cibo raffinato che l’aveva caratterizzato e l’igiene iniziò a peggiorare inesorabilmente. Seguirono poi anni di scroscianti piogge, dove il sole era un spettacolo rarissimo. Le messi marcirono per l’acqua e quell’eccellente sistema di chiuse e canali unico al mondo cedette inondando gli abitati e distruggendo proprietà e vite. Il proprietario del tempo morì durante la terza alluvione soffocato dal fango che riempiva il suo stesso locale.

I suoi figli spesero tutti i risparmi per provare a rimettere a nuovo quel poco che restava: le travi principali vennero cambiate e così i tavoli e la trabeazione. Un cartello dismesso ora indicava quell’antico e potente nome “On the dragon’s wings”, ma il tempo aveva reso quasi illeggibile la scritta,  poi qualche avventore ubriaco aveva inciso sul legno del muro “Il Cencio” e così si era chiamato fino a quel momento. Nel momento della nostra storia, il locale aveva cinquecentotrentatre anni, vi lavoravano solo la proprietaria e un’inserviente e vendeva la peggior birra dell’intera città. Nonostante essa contenesse qualche pagliuzza e la carne puzzava di pesce sul punto di andare a male, il posto era sempre pieno di avventori.
Ribelli, ricercati, poveracci, vagabondi e mendicanti liquidavano i dispiaceri della loro vita con i boccali. Uomini di famiglia spendevano lì la paga in eccesso del mese, vedovi portavano le donne della notte all’interno delle camere. Qualche affittuario sfrattato e quasi cacciato anche dal “Cencio” abitava nelle camere lugubri illuminate dal solo chiarore di una misera candela di cera. Le coperte venivano date solo per un prezzo superiore; il menù acquistabile comprendeva birra a colazione, “maiale” o zuppa di pesce e birra a pranzo, pane di segale e birra a cena. Se si era fortunati, una torta di mele leggermente bruciacchiata veniva servita per prezzi ridicoli.
Quando si entrava, il primo istinto era quello di tornare indietro sulla propria strada, il secondo era un conato di vomito, il terzo era un’attrazione magnetica per l’allegria (o pietà, a seconda dei casi) che i menestrelli stonati infondevano strimpellando qualche accordo disarmonico sui loro liuti scordati e talvolta dalle corde mancanti. Ma era l’odore a provocare la fuga dei clienti: un dolce e sgradevole connubio di pesce marcio, umidità, muffa, spezie, sudore, marciume dei legni e cibi caldi che non era propriamente un toccasana per l’appetito e per lo stomaco.

Alcune sale della ultracentenaria locanda erano state adibite al gioco d’azzardo: giovani ancora imberbi e uomini con le rughe dovute alla salsedine e al calore puntavano tutti i loro guadagni. Per ogni evenienza, le armi venivano confiscate al loro ingresso nel locale.

Era verso di loro che la giovane cameriera stava andando, tra le mani una ciotola di fagioli e una pinta di malto scuro di qualità quasi decente: l’avventore era ben più ricco degli altri. Da tutti chiamato Lion, non era più una matricola presso quella locanda da diversi anni. I suoi occhi profondi avevano già visto passare ventiquattro inverni e da almeno sei anni era lui a sovvenzionare misteriosamente la locanda garantendone l’esistenza. Le sue stelle blu luccicavano ai lumi delle candele, mentre piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte: il caldo era soffocante. La camicetta bianca non era stata allacciata bene per cui si intravedevano alcuni particolari di un tatuaggio a forma di drago.

- Ecco il vostro pranzo, signore.- disse la ragazza appoggiando sul tavolo quello che il tipo aveva ordinato.

- Grazie Brianna.- gli rispose quello sorridendole- ma chiamami Lion: ormai ci conosciamo da molto tempo!Lei annuì accennando un debole sorriso e scomparve tra la folla in direzione del bancone dove la padrona la stava aspettando per la successiva ordinazione.

Lion, soprannome di Leon Silver, era nato per strada. Maggiore di tre figli, si era ritrovato a dover mandare avanti una famiglia quando il padre aveva deciso di abbandonarli e cacciarli di casa. Capelli rossi, orecchie e canini a punta erano i suoi segni di riconoscimento come “ricercato” e con un disegno verosimile il suo volto era incollato con la scritta “wanted” in tutte le piazze di tutte le città e paesini del regno di Fiore. Dovette imparare a rubare per poter sfamare le due bambine e più volte ricevette dure bastonate e passò notti in cella, una volta rischiò l’amputazione della mano. Da subito un ragazzo problematico, capì che vestirsi bene e atteggiarsi lo avrebbero aiutato molto con le truffe, aveva quindi sviluppato una maestria nell’oratoria che in pochi riuscivano ad battere e ora, poteva anche far comprare a prezzi esorbitanti carichi di merci inesistenti e palazzi antichi ancora in costruzione. Così aveva racimolato un bel gruzzoletto.

Era finito nella lista nera dopo un furto: una pergamena di informazioni strategiche alla lotta per i ribelli. E lui era un ribelle, forse un po’ per noia e un po’ per avversione, sicuramente per non abbandonare le sue testarde sorelle.

In quel giorno illuminato da un sole tiepido si trovava al “Cencio”. Spendeva lì alcuni dei soldi dell’ultimo furto: un grosso flaccido mercante aveva lasciato incustodita una borsa piena di jewels e quella, sentendosi sola soletta, era corsa tra le braccia del rosso come se fosse l’unica oasi in mezzo a un deserto, la sua ancora nel mare.

- Hai portato quello che ti ho chiesto?- domandò a una giovane ragazza che si era appena accomodata all’interno della sala da gioco, lei annuì soddisfatta.

- Ragazzi, a me i soldi. Pokèr di re.- sibilò uno dall’altro lato del tavolo. Imprecazioni sfuggirono dalle bocche dei convitati. Lion sorrise.

- Pokèr d’assi.- il rosso scoperse le carte mostrandone i simboli.- sarà per un’altra volta Ed.

- Dannazione Lion! Questa me la pagherai cara...- sibilò sottovoce l’assassino andandosene pieno di rancore.

Uscì dalla sala da gioco e si avvicinò al bancone della locanda dove la proprietaria stava finendo di riempire l’ennesima zuppa di fagioli del giorno. Con mani callose e dita rovinate dal sapone, aveva chiuso nel pugno un rozzo mestolo di rame con il quale stava versando la minestra nella ciotola di terracotta. I capelli castano chiaro le ricadevano scomposti sul volto e sulle spalle nonostante fossero raccolti in un tutto fatto alla bell’e meglio, mentre il viso arrossato dallo sforzo di essere veloce e fare più cose insieme rendeva le piccole lentiggini scure ancora più evidenti conferendole l’aria di una dolce massaia al lavoro.

- Dimmi Edward.- lo anticipò lei senza interrompere il suo lavoro mentre quello provava a avvicinarsi non visto.

- La tua abilità è proprio una gran rottura di palle, te l’hanno mai detto?- le sorrise quello.

- Sì, ma non ci faccio mai caso. Allora, sei qui per disturbare o prendi qualcosa?- interruppe il suo lavoro per guardarlo dritto negli occhi- Ti avverto, non sono in vena per consolarti dalla tua ennesima perdita.

Edward aveva sempre avuto degli occhi marroni, il sinistro era leggermente striato di un verde spento che conferiva allo sguardo sufficienza, ma anche quel tanto di mistero che serviva a far capitolare le donne, anche le più difficili. Non aveva interesse nel genere femminile e considerava le lotte tra le lenzuola come una distrazione necessaria per il corpo, nulla di più. Era solo desiderio, passione, ma mai sentimento reale e vivificante: solo il combattimento rendeva realmente vivi.

- Pff, pervertita!- ridacchiò quello raccogliendo per la quarta volta in quella serata i lunghi capelli castani con un laccio malmesso per l’uso- No, stasera voglio solo il conforto dell’alcool. Dammi una pinta, e che sia bella piena e senza schiuma.

Lei sorrise e gli pose davanti un boccale di birra doppio malto, e tornò alle sue faccende interrotta soltanto per riempire nuovamente il bicchiere quando qualcuno la chiamava.

- Brianna!- decise di richiamare l’attenzione della sua unica dipendente.

La ragazza dai capelli fulvi stava prendendo l’ordinazione da un paio di contrabbandieri di incenso appena entrati nel locale. Si girò di scatto e, capendo il cenno della sua padrona, andò nella sala da gioco per capire se qualcuno necessitava di altro da bere o da mangiare.
L’animazione al tavolo da gioco di Leon si stava facendo molto più accesa, erano aumentati: ora erano una decina e stavano ancora aspettando una persona. Tutte facce fidate, alcune fuorilegge, se le loro attività illecite erano state scoperte, altri ancora legali, ma sul bilico di un baratro irreversibile: se fossero caduti, avrebbero perso famiglie, case e attività. Fu al rosso che Brianna si avvicinò.

- Dovete andarvene: state attirando l’attenzione di tutti.

E in effetti, così era. Il loro chiasso  si sentiva sin dall’esterno ed era necessario che loro si nascondessero nel caso in cui sopraggiungesse una delle non insolite ronde dei soldati reali. Qualcuno, riconoscendoli, avrebbe potuto denunciarli alle autorità ricevendo l’immunità promessa, e non era il caso che si venisse a sapere che era Alie Padilla, la proprietaria della locanda, a nasconderli.


- Hai ragione, ci fai strada tu verso l’ex molo?

Il molo dimenticato da tutti, lo stesso che era stato insieme la causa del successo e del disastro del “On the dragon’s wings” era stato chiuso e murato, da allora era stato usato come magazzino e come luogo di riunione per la “Mandragora” sin dalla sua nascita, ottant’anni prima. Nessuno si ricorda il come o il quando iniziò a riunirsi lì, ma la tradizione e il bisogno avevano convinto il gruppo che quello era il posto ideale per non essere scoperti, nascondersi e incontrarsi per pianificare la rivoluzione.

A un cenno del rosso tutti si alzarono e si mescolarono agli altri commensali e avventori, la ragazzina fece loro strada fino alla botola e li aiutò a scendere dalla scala a pioli ormai marcita come tutto il resto della locanda. Anche Edward, quando li vide li seguì, sebbene ancora irato per la sconfitta di prima. Scese per prima una ragazza giovane, per capelli e lineamenti simile a Leon, dalla corporatura bassa e dalla carnagione cerulea, poi fu la volta di due ragazzi che continuavano a confabulare su quanto “figa” fosse una loro compagna, una bambinetta per aspetto fisico scese con un balzo senza utilizzare la scala e chiuse la coda un ragazzo quasi albino per colori, ma con una stramba luce negli occhi.
Leon fu l’ultimo a scendere, ma prima che la botola si richiudesse sopra di lui con un rumore sincopato Brianna lo trattenne per un braccio, i suoi occhioni blu nutrivano una fiamma, un leggero barlume che li faceva scintillare alla luce delle lanterne, era la speranza.

- Lion… hai notizie di mio fratello?- gli chiese. Si era appoggiata al pavimento, pronta ad alzarsi, ma abbastanza vicina da sentire con chiarezza quello che il giovane poteva dirle. Era alta, in piedi lo sovrastava addirittura, tuttavia nella sua timidezza e nella sua innocenza adolescenziale manteneva quel tanto che la rendeva più infantile. Il vestito le ricadeva scomposto sulle gambe, era scollato e corto, di un grigio indefinito per la sporcizia e l’uso, dei calzini le coprivano i piedi.
- Mi dispiace, non ho ancora saputo nulla.

Cinque anni prima la piccola Brianna aveva avuto un fratello, Gilbert Regnard era il suo nome.
Vivevano in un piccolo paesino sperduto in una vasta pianura erbosa, Rosemary, quando un gruppo di soldati senza un motivo o uno scopo preciso devastarono e massacrarono la popolazione. Ferio, così egli amava farsi chiamare sin da bambino, aveva già visto la bellezza di sedici primavere e accumulato qualche sputo di esperienza bellica, sufficiente da fargli capire che la sua gente non avrebbe potuto contrastare quegli armati nonostante la superiorità numerica.

Dopo aver detto addio ai cadaveri dei genitori riversi nella loro stessa bile, tra i primi ad essere trucidati, si era nascosto con la sorellina in lacrime all’interno di un covone. L’aveva costretta a mordersi le rabbia per non gridare e piangere, mentre i suoi piccoli pugni urtavano contro il suo petto ansante e terrorizzato. Erano rimasti isolati nella paglia per tre giorni; anche se i cigolii delle armature avevano smesso di rumoreggiare dopo un giorno, la fuliggine sollevata dai cadaveri bruciati e il nauseante miasma degli organi in decomposizione sopravviveva imperterrito, solo allora era andato a cercare e aveva trovato dell’acqua e qualcosa da mangiare non bruciato per lei e la bambina. L’aveva convinta che i loro genitori erano stati catturati e che stavano bene e l’aveva portata nella città più vicina.

Dopo qualche giorno in cui erano sopravvissuti con piccoli furti, più che altro qualche mela e brioche, il ragazzo scomparve. Per caso Brianna udì di come fossero stati sterminati brutalmente i prigionieri del suo paese e rinunciò, dopo giorni di pianti, a combattere contro la verità ormai sulla bocca di tutti e a rivedere vivo qualcuno dei suoi familiari; si mise alla ricerca del fratello, ma quando si rese conto di non riuscire a trovarlo e che non sarebbe tornato, lo cercò per tutte le strade e i vicoli, per le fosse e le prigioni, per il bosco vicino e le strade del mercato, allora errò attraverso le città come mendicante e come ladra, finché non rubò al Cencio e la proprietaria, dopo averla scovata, non la costrinse a lavorare per lei per risarcirla.

Sebbene avesse tentato di scappare e i primi tempi fossero stati duri, si era ben presto trovata bene: era povera, possedeva poche cose e la sua vita non era certo priva di pericoli, ma aveva trovato il modo di costringere altre persone a continuare la sua ricerca per lei, per cui poteva continuare a vivere una vita meno turbolenta e più onesta, perseguendo quegli stessi principi che le erano stati insegnati sin dalla più tenera età. Eppure alle volte, la paura di essere rimasta sola al mondo, il terrore di non riuscire più a trovare quella fraterna figura che andava a dipingersi anno dopo anno, sempre di più, con un colore quasi paterno, non la faceva dormire la notte.

Gilbert era la sua condanna e la sua salvezza insieme.

Smorzò il suono della botola che si chiudeva, si asciugò una lacrima raminga che le era scivolata per sbaglio sulla guancia e tornò a servire i suoi clienti con un sorriso e un’affabilità che aveva imparato a padroneggiare con il lungo esercizio.

L’ex molo era piccolo e infestato dai ratti, a nulla erano servite le cure per disinfestarlo: quello era il luogo ideale per la loro proliferazione per umidità, calore e cibo. Uno di loro aveva deciso di addormentarsi su una botte, era un batuffolo di pelo grigio dalle orecchie minute e la corta codina. Sul suo musetto, due lunghi baffetti venivano spostati dal suo respiro; stava riposando in una posizione fetale, con le zampine raccolte verso il minuscolo petto mentre questo si alzava e abbassava respirando. Alcuni, alla sua vista avrebbero detto Oh, che schifo! altri E’ proprio tenero, che angioletto!, lei invece disse Potessi riposare anch’io beata come lui. Così dicendo attirò l’attenzione degli altri e il loro riso.

Ognuno dei ribelli si sedette sulle botti, solo Leon rimase in piedi, la sorella stava punzecchiando teneramente il topolino che aveva catturato e che teneva nel grembo. L’albino sbadigliava grossolanamente e Edward aveva già perso tutta la pazienza che aveva in corpo quando il capo del gruppo, Leon, iniziò a parlare.

- Abbiamo riso e scherzato fino a questo momento, ma ora è il momento di parlare di cose serie. Il principe Gilbert ha appena svelato l’unico modo per uccidere il re e i suoi due figli rimastigli: io c’ero alla sua esecuzione,ho sentito tutto e memorizzato ogni minimo particolare di quel momento. Il re non può essere avvelenato? Significa che lo staneremo e gli taglieremo la testa. Non è immortale. Resiste alle malattie, ha resistito al veleno di Little Kirk, pace all’anima sua- si segnò per rispetto- ma non resisterà al nostro acciaio. Ma noi, la Mandragora, non possiamo operare da soli: PureWhite, il nostro informatore,- indicò l’albino- mi sta tenendo in contatto con gli altri gruppi e nessuno di essi ha ancora progettato di attaccare o di fare qualcosa. Intanto alla NeoTorre del Paradiso, si sta costruendo l’arma più potente di tutte che renderà il tiranno in grado di distruggerci completamente. Secondo recenti rapporti, mancherebbe solo un anno alla sua ultimazione. Noi siamo pochi, molto giovani perché i più anziani sono stati tutti massacrati l’anno scorso quando noi eravamo solo neofiti, non abbiamo potuto fare niente quando Almach ci è piombato addosso all’ultimo raduno. Io, dico che dobbiamo agire. Molti di noi non hanno niente se non le proprie vite, io metto in gioco la mia: dico basta all’oppressione. Chi è con me?

- Combatteremo?- chiese un eccitato all’idea- Io ci sto. Fatemi ammazzare quello stronzo di Almach, non chiedo altro.

- Fino all’ultimo palpito del mio cuore.- la ragazza appoggiò il topolino in un angolo e si alzò per appoggiare la propria mano su quella del fratello e su quella dell’assassino. Tutti gli altri seguirono il loro esempio ad eccezione dell’albino che non faceva parte del gruppo ma era là solo in veste di informatore. Nome in codice? PureWhite.

- Siamo tutti d’accordo allora. Quando è arrivata, Eryn mi ha portato un oggetto, l’avevo mandato in missione da sola per recuperarlo. Si tratta dell’unica gemma in grado di aiutarci, non è ossidiana, né una lama forgiata tra le fiamme di un drago, anche se ammetto potrebbero esserci state utili, non è un topazio, né un’ametista o un rubino. È l’Opale della notte. Se generalmente gli opali sono in grado di conferire abilità profetiche, questo è più potente: non solo i vaticini sono più esatti e meno confusi, ma possiede l’abilità unica di trovare l’elemento o la persona che si sta cercando.- tutti i presenti sgranarono gli occhi- Sì, signori miei. Noi abbiamo la chiave per trovare l’ultima ninfa.

 
***

 
Dopo che era svenuto la giovane madre aveva richiamato i suoi due figli e li aveva pregati di aiutarla. Il giovane aveva un viso aitante e un corpo muscoloso, la pelle liscia e cerulea, gli occhi dalle corte ciglia sempre chiusi e le labbra sottili aperte: un leggero russare era udibile. L’avevano fatto sdraiare su un letto improvvisato: un tavolo come materasso e la coperta di lana del suo corredo a riscaldarlo. Era svenuto (o dormiva?) da almeno un paio di giorni. Non era ferito, non aveva cicatrici, i capelli rosati erano leggermente mossi e gli arrivavano a metà del collo coprendo le orecchie sporgenti.

La donna aveva chiamato un dottore, Polyushka era il suo nome ed era un’anziana maga affiliata alla gilda di Fairy Tail; la sua piccola assistente, una dragonslayer, Wendy era la sua sostituta sui campi di battaglia.
Arrivò nel cuore della notte borbottando con tutti i suoi strumenti nella borsa e esaminò il ragazzo, gli diede da bere un liquido verdognolo e giudicando il caso una perdita di tempo, dato che il paziente stava benissimo, se ne andò nel giro di cinque minuti.

Poco dopo il rosato aprì gli occhi, due iridi nerastre si intravedevano assonnate dietro le palpebre appena socchiuse. Quando la sua vista si stabilizzò e ebbe messo a fuoco si mise a sedere. Erano le due-tre della notte. Si guardò  intorno cercando di capire dove si trovasse, ma non riconosceva nessuno di quei mobili e di quegli ambienti su cui il suo sguardo si posava. Nemmeno il cielo oltre la finestra gli risultava familiare.

Poi notò lei, Lucia. Stava riposando al suo capezzale, dormendo con sonno leggero disturbato da incubi. Il suo volto era tirato per l’ansia e il nervoso, i suoi capelli biondi erano raccolti in una morbida crocchia da cui uscivano ribellandosi dotati di vita propria. Contemplò i suoi lineamenti ricordando quanto avesse voluto toccarli quando la osservava per i boschi. Gli era sempre parsa una fata o una ninfa della schiera di Diana, la cacciatrice. E ora poteva guardarla, osservarla, scoprire tutti quei momenti di vita quotidiana che condivideva con i suoi due bambini, Ur e Jude, a cui mai aveva potuto aver accesso. Non avrebbe più avuto bisogno di rubare attimi, ora aveva ventiquattro ore.

Il ragazzo appoggiò la testa e richiuse gli occhi. Una sottile voce di bambina che invocava la madre, svegliò la donna nel sonno e corse ad abbracciare la figlia per l’ennesimo brutto sogno che aveva fatto; non si accorse che due iridi nere avevano seguito il suo cammino.

 
***
 
Le strade malfamate erano state a lungo la sua casa, conosceva ogni loro angolo, pertugio e nascondiglio. Aveva passato notti nei solai, si era riparata dalla neve in umide cantine, aveva nascosto refurtiva sotto i ponti dei canali, tra le pietre degli edifici. Sapeva le scorciatoie e le ronde delle guardie, ma non aveva previsto un pedinamento tanto abile. Né che il suo inseguitore avesse un leopardo nebuloso come mascotte.

Cosa fare? Dove nascondersi? Come scappare? Il felino era apparso più volte, sottraendola ai suoi rifugi, togliendole vie di fuga dagli occhi dell’uomo. Era di una taglia in più rispetto al normale ed era molto agile, il mantello fulvo coperto da ellissi irregolari dai margini scuri tanto maestose quanto misteriose Lui sapeva chi era, sapeva quello che aveva fatto, ma come? Stava andando nel panico. Imboccò il primo vicolo alla sua destra.

Era corto e la fine era avvolta dalla penombra. Fili tra balconi avevano appesi vestiti rammendati ancora gocciolanti, mentre le case di legno avevano delle primordiali riparazioni per prevenire l’umidità. Condizioni igieniche bassissime caratterizzavano la strada e sicuramente anche le case deserte: quel giorno erano tutti al mercato. La strada, di ciottoli e selciato, era coperta da cianfrusaglie sporche e inutilizzabili per l’usura gettate lì alla rinfusa, come se la strafa fosse un sudicio scantinato all’aperto.
L’uomo guardò il leopardo e quello si dileguò tra le persone non visto: anche animali esotici come lui erano frequenti nella neocapitale. Si infilò nella stessa stradina correndo; il cappuccio che gli copriva la testa lo faceva sembrare ancora più pericoloso, il mantello era fermato da un bottone d’avorio.

La ragazza provò a nascondersi sotto un cumulo di panni lasciati per strada, ma un colpo di ascia la costrinse a uscire allo scoperto. Il suo inseguitore aveva liberato dai lacci che la trattenevano una delle due asce che portava sulla schiena, e l’impugnava con fermezza con la mano destra.

- Non voglio ucciderti Syria Silver, devi solo parlare con una persona.- le disse quello.

- Io non voglio parlare con nessuno! Hai capito? Lasciami andare!- gli gridò contro, si guardò alle spalle, trovò un muro: doveva essere un vicolo chiuso; imprecò sottovoce.- E chi vorrebbe parlarmi? Il tuo padrone, cane?- fece un sorriso sghembo.

- Io? Un cane? Ma guardati bambina! Hai ancora la puzza di latte addosso e ti metti a dire questi paroloni.- la schernì e fece un movimento in avanti con il braccio sinistro; un movimento rapido, un fruscio e una ciocca dei corti capelli fulvi della giovane cadde al pavimento- Dì un’altra parola e il prossimo arriva dritto nel tuo occhio. E fidati, non sbaglio mai mira.

- Sarebbe un peccato, non trovi? Un occhietto delizioso come il mio non si trova tutti i giorni. O mi sbaglio, C-A-N-E?- sillabò l’ultima parola e lui le saltò addosso.

Lei evitò l’impeto saltando sul balcone più vicino e urlò la frase Bogen Bounder. Tra le sue mani si materializzò un arco lungo luminoso, con la freccia già incoccata, lei lo tese caricandolo di potenza e scoccò. Velocissimo il dardo tagliò tre metri di un filo apparso dal nulla per proteggere l'uomo prima di essere fermato a pochi centimetri dalla sua per poi sparire. La ragazza ricadde al suolo e fu subito raggiunta da altri fili che la immobilizzarono alla colonna più vicina, l’arco lasciato per la sorpresa, scomparve in un bagliore di luci. L’inseguitore iniziò a ridere.

- Brava Jimen, hai fatto proprio un bel lavoro.- accarezzò il felino che era riapparso dall’inizio del vicolo insieme a un drago di fili bianchi e a un altro uomo che gli sedeva sulla testa, l’inseguitore si rivolse a lui- Principe Taichi, vi presento la donna che cercavate.- si alzò in piedi.

. Eccellente come al solito, oggi pomeriggio, nelle mie stanze, avrete la ricompensa in oro che meritate, andate quindi.- gli occhi dell’uomo brillarono per l’avidità mentre lasciava il principe da solo con la ribelle.

Con un cenno del capo, i fili si sciolsero e il drago scomparve, Syria manteneva solo i polsi legati.

- Ci siamo già presentati al ballo, dico male Syria Silter? O forse dovrei dire Silver?- la guardò fermo, lo sguardo indecifrabile- Da ribelle andavi a un riunione del tuo gruppo e sicuramente non pensavi di incontrarmi in mezzo alla strada- lei non gli rispondeva, il volto indurito, lo sguardo adirato e i polsi che iniziavano a sanguinare per la tensione dei fili.- Stai tranquilla, non stai per morire né per essere imprigionata, ma questo dipende da te, semplicemente volevo parlarti.

- Una persona che vuole parlare non tiene il proprio interlocutore legato, non lo sai?

- Sì, lo so. E mi dispiace, ma in caso nulla mi assicura che tu non tenteresti di scappare o ferirmi- fece una pausa- Vedi? Il tuo silenzio è eloquente. Riprendendo il discorso, ti ricordi la festa in cui ci conoscemmo? Quella a cui con ogni probabilità tu avrai mandato in fin di vita quel povero ragazzo la scorsa settimana?- lei annuì a disagio- Sai anche il motivo per cui quella festa era stata organizzata?- un altro assenso- Bene, devi sapere che quel giorno io non volevo scegliere la mia consorte perché  ero ancora innamorato di un’altra, vuoi sapere qual era l’unico problema?- i suoi occhi si illuminarono di una luce acquea, si stava commuovendo, poi gridò- Lei è morta! I tuoi amici ribelli me l’hanno ammazzata cinque anni fa in un agguato mentre cercava di scappare. Io ero con lei – iniziò a piangere, vinto dal sentimento e dal rimpianto- e non potei fare niente per salvarla. C’era un domatore di fuoco tra di voi, e io… io pensai solo a scappare. Morì davanti ai mei occhi- cadde sulle ginocchia- Non avrei potuto fare niente, mi avrebbero ucciso. – una risata triste uscì dalle sue labbra, si passò una mano tra i lisci capelli blu- Sono un principe dopotutto, e devo avere un erede. C’è chi vorrebbe essere nella mia posizione, io no…-sussurrò alla fine.

- Mi dispiace- era arrossita.

- Perché il tuo volto sta diventando rosso?- le chiese fissandola intensamente con i suoi occhi color pce.

- Mi trovo sempre a disagio nel guardare qualcuno che piange.- gli rispose cercando di guardare altrove.

- Ho smesso, tranquilla-si avvicinò e le sollevò il volto con l’indice della mano destra- Guardami, le lacrime si sono fermate: è stato solo uno sfogo.- lei alzò lo sguardo che vagava sul cumulo di rifiuti cercando una via di fuga da quel principe tanto triste e tanto misterioso, aveva un sorriso leggermente accennato e solo gli occhi leggermente arrossati tradivano le lacrime appena versate- Quel giorno di festa ti scelsi: mi sembravi una fanciulla piacevole con cui parlare e tutte le altre erano molto petulanti e noiose anche se più belle. Diciamo che mi sei sembrata la meno peggio. Ora, vieni con me. Le tue alternative sono poche: o seguirmi o morire. Se scegli di venire, nessuno saprà che sei una ribelle e potrai vivere tranquillamente a palazzo.-fece una pausa aspettando una risposta che non era ancora stara detta- Tic toc tic toc, l’orologio scorre, cosa sceglierai?- la ragazza chiuse gli occhi conscia di star per firmare un patto con il diavolo.

- Vengo.- sussurrò.

 







ANGOLINO DELL'AUTRICE
Salve a tutti. Sono tornata in tempo con un capitolo scritto a tempo di record, il motivo? Era pronto, mi piaceva, dovevo solo caricarlo... poi il computer decide bene di impazzire e nel trambusto delle riparazioni perdo l'intera cartella dedicata a questa mia storia. Ero anche riuscita a completarlo qualche giorno prima di Natale per cui ve l'avrei proposto come il mio piccolo regalo, ma a quanto pare il nostro buon vecchio Santa Claus aveva deciso che non avrei dovuto prendere il suo posto rubandogli la scena. Per cui... eccolo qua insieme agli auguri tardivi per Natale e in tempo per un felice anno nuovo!
Ringrazio coloro che hanno contribuito ad aiutarmi a completare il dossier con tutti i dati degli OC e, sperando che il capitolo vi sia piaciuto, invito tutti a lasciarmi un parere e magari, qualcuno di voi riuscirà a impedirmi di uccidere qualcuno e a modificare di conseguenza l'esito di questa storia, perchè le prime pedine si stanno muovendo e, come dice il motto della casa Stark (Le cronache del ghiaccio e del fuoco), che calza a pennello con le temperature che stanno fuori, L'inverno sta arrivando.


AUGURI A TUTTI RAGAZZI!


La vostra Liber




 
  
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