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Autore: Whitelily_    29/12/2014    1 recensioni
Sono un uomo degno di riprovazione?
Senza dubbio.
Sono un peccatore?
Non l’ho mai negato.
Lasciate che io vi dica che nessuno segue alla lettera le pagine di quel libro polveroso in cima ad un altare di marmo. Finiremo tutti all’inferno.
Tanto vale godersi il viaggio no?
Peccare - per usare un termine vecchio stampo - è l’unica cosa che ci rimane.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non ha smesso di piovere neanche per un secondo. Comincio seriamente a chiedermi che aspetto abbia il sole, dopo tutto questo tempo. Forse dovrei semplicemente prendere quel poco che mi è rimasto e andarmene in qualche posto soleggiato e sdraiarmi un po’ lì, senza pensieri. Non so, qualche isola nel bel mezzo del nulla, tutta assolata dove ti servono cocktail in una noce di cocco e dove al posto della collana di fiori ti regalano una donna nuda, dalla pelle deliziosamente scura che, magari, se sei fortunato, la collana di fiori ce l’ha comunque. Nei capelli. Anche se, probabilmente, non ci faresti granché caso, distratto come sei a fissarle le tette.

Nah...

Non credo. Non fa per me. Sono bloccato qui. Almeno ho smesso di spezzare colli alla velocità con cui ti ammaccano la valigia in aeroporto.
Lo faccio ancora eh, per intenderci. Le vecchie abitudini sono dure a morire.
Dio, se soltanto non mi avessero sbattuto fuori dall’esercito ci sarei tornato, arrivato a questo punto.
La monotonia dell’esistenza sta raggiungendo livelli preoccupanti.

***

Accosto il fuoristrada vicino ad alcuni cespugli. Sono andato fuori città e il cielo è ancora grigio. Almeno, ha smesso di piovere. Ahimè, la campagna purtroppo è ridotta ad un pantano infanga-scarpe. Hmm...

 

“Sebastian Moran! Figlio di puttana, sei vivo.”
Una voce gracchiante e familiare mi accoglie. Sembra uno di quei vecchi LP troppo consumati per dare una musica decente. Controllo che la pistola sia ancora incastrata tra la cintura e i pantaloni e sapientemente coperta dalla felpa. “Non sapevo che accogliessi gli amici con una 22. Cos’è, una Walther?”

Mi volto verso la voce e mi gratto la guancia coperta dalla barba, facendo schioccare la lingua.
È una 38. Una Revolver.” Lo fisso. In altre occasioni sarei scoppiato a ridere di gusto... Mi limito a ghignare. “Hai perso il tocco, Bill. Di’ un po’, da quanto non metti mano ad una pistola, hm?”
“Meno tempo di te sicuramente, caro Moran.” risponde a tono, sputando vicino ai suoi piedi. “Ho sentito che hai cambiato attività.”
“Consideralo un cambio di gestione.” mi limito a rispondere.
“Ai tempi di Moriarty era tutto più facile, no? Ora ci tocca stare a guardare un branco di signorine che lottano per avere una fetta di territorio. Una fetta che se dura più di 24 ore è già tanto.”
“Puah, non credevo che avrei mai sentito nominare Moriarty di nuovo.” Sbotto, tirando fuori una sigaretta. Mi accorgo che le mie mani stanno tremando. Merda.
Anche Bill sembra accorgersene. 
“Oh, beh.” Riprende, allargando le labbra in un sorriso sdentato “Era anche la tua età dell’oro, dopotutto. Quegli animali. Ha! Non hanno nemmeno lasciato raffreddare il corpo di quel bastardo.”
Mi irrigidisco. Sentire parlare di Jim dopo tutto quel tempo ed in quei termini non mi fa un gran bell’effetto. Do una lunga boccata alla sigaretta ed espiro lentamente.

 
“Mi stupisco di come tu sia ancora vivo.” continua.
“Mi stai per caso chiedendo come ho fatto a sopravvivere all’attacco dei tuoi cinque uomini nel mio appartamento?”

Ora è lui ad irrigidirsi. Lo fulmino con lo sguardo. “Sì, non era difficile da immaginare. Tra gli animali, come li chiami tu, tu sei stato uno dei più ingordi. Peccato per quei cinque. Un po’ lenti. E i dieci che mi hai mandato due settimane dopo? È bastata una Ruger semiautomatica. È un vero gioiellino, dovrei fartela provare. Oh, e poi anche un coltello. Andiamo, Billy, non fare quella faccia. Per Jim Moriarty non ci lavorava proprio chiunque.” affermo, stringendomi nelle spalle e gettando la sigaretta, calpestandola con la suola della scarpa.
“E ora ti sei rammollito.” Mi dice, con tono di scherno. “Ti sei messo a vendere armi.” Continua, quasi disgustato. Gli sorrido, rullando un’altra sigaretta.
“Solo perché non faccio più l’assassino professionista come primo lavoro non significa che non possa prendere a calci il tuo bel culetto, Billy.”

Quest’uomo comincia a farmi venire un leggero prurito alle mani. Ho una pistola carica e una carriera alle spalle. Non dovrebbe sfidare tanto la fortuna.

“Avresti potuto lavorare per qualcun altro.”
“E diventare la puttana di voi signorine che non sapete nemmeno da che parte tirerà il vento domani? Grazie, passo.”
“Almeno io sono meglio di Magnussen.”

Rabbrividisco solo nell’udire il nome di quella viscida serpe. Mi ero ripromesso che mi sarei tirato fuori da tutta quella merda e che avrei lasciato perdere tutto. Suppongo che non potrò mai realmente andarmene e lasciarmi tutto alle spalle. Avrei dovuto immaginarlo.

“Oh, e perché mai, Billy? Perché tu infilerai nelle mie mutande mance più consistenti?” ridacchio, amaro, espirando una lunga boccata di fumo. Bill ride, lanciandomi un’occhiata quasi ammiccante.
“Potrei infilarti qualcos’altro nelle mutande...”

Reagisco in cinque secondi netti. Mi infilo la sigaretta tra i denti e balzo di fronte a lui, immobilizzandolo portandogli un braccio dietro la schiena fino a fargli male. Se volessi, dalla mia posizione, sarei in grado di spezzarglielo come se fosse un rametto secco. Non ancora, Sebastian; penso, portandoglielo un po’ più su e godendomi il suo rantolo di dolore a denti stretti.
“Credi di essere spiritoso, hmm, stronzetto? Disgustoso animale, io ti ammazzo e piscio sopra a quello che rimarrà di te.” biascico minaccioso, con la sigaretta tra i denti. Inspiro un’ultima boccata, sputandogliela in viso e mi libero del mozzicone, sbriciolandolo sotto le suole dei miei stivali mentre lui tossisce. Un leggero fruscio tra i cespugli attira la mia attenzione e non si tratta del vento. Bill si lamenta sotto la mia presa.

“Andiamo, Moran! Eravamo amici un tempo. Cos’ è questa reazione? Eravamo qui per parlare di affari, non dimentichiamolo!”

Un altro sibilo tra le piante.

“Affari? Quindi è di affari che vogliono parlare i tre uomini nascosti tra i cespugli come ratti schifosi? Armati di pistola? Oh, certo, Billy. Perché non ce ne andiamo in un bel pub allora, hm? Trasformiamo questa riunione in uno dei film più scadenti di Tarantino.” Gli stringo ancora più il braccio, portandoglielo ancora più in alto fino a quando non sento un piacevole crack. Bill urla di dolore. Gli altri tre decidono che, a quanto pare, è il momento di uscire allo scoperto.  

“Oh, finalmente avete deciso di unirvi a noi! Mi stavo quasi annoiando.” sorrido beffardo, notandoli mentre avanzano con le pistole puntate nella mia direzione. Sembrano ragazzini impauriti; giovani e inesperti.
“Credi che non siamo a conoscenza delle tue cazzate, Moran? Come pensi di fregare tutti quanti con questa storia del traffico d’armi mentre invece stai ancora lavando i panni sporchi per quel pazzo suicida di Moriarty?” sibila un biondino, tutto magro e gracilino, lasciando che le mani tremassero sul grilletto.

Io stringo più forte Bill con una mano, mentre l’altra si avvicina in uno scatto a stringergli il collo. Nonostante Jim sia stato un maledetto bastardo a lasciarmi da solo nella merda con il suo egoismo suicida, proprio non mi va giù che un paio di coglioncelli che puzzano ancora di latte maltrattino il nome che ho amato e rispettato per tanti anni. Il nome per cui ho lavorato per anni.

Rido.

“Siete sicuri di avere idea di come usare delle pistole? Inoltre, pensavo che aveste capito che io e Bill qui siamo particolarmente vicini e intimi.” sussurro. Il mio braccio si serra di più intorno al collo del malcapitato che annaspa in cerca d’aria. “Pensavo che aveste bisogno di una guida. Cosa fareste nel caso in cui io spezzassi il collo al vostro paparino, qui, desideroso di una carezza tra le mie braccia?”
I tre si irrigidiscono alle mie parole e io ho la tentazione di alzare gli occhi al cielo.
“Buttate le pistole e vi restituirò il vostro paparino più o meno intero e con soltanto un braccio rotto. Oppure siate idioti e avvicinatevi; sparatemi, e il collo del caro Bill si spezzerà ancor prima che voi premiate il vostro maledetto grilletto.”

Bill si agita ancora di più sotto la mia stretta e deve avere la paura negli occhi, perché i suoi tirapiedi fanno qualche passo indietro e abbassano le pistole. Questo stronzo che sto stringendo non regge nemmeno lontanamente il confronto con Jim Moriarty. Quando qualcuno minacciava Jim, Jim, da parte sua, avrebbe soltanto retto il loro sguardo con un ghigno, per nulla impaurito quanto più divertito. Avrebbe riso, riso in una maniera maledetta, di quelle risate che ti avrebbero perseguitato nei tuoi incubi peggiori, prima di ridurti in cenere. Perché Jim faceva così. Faceva. 

“Sei e resterai sempre il cagnolino di Moriarty, Moran. Qualcuno dovrebbe cominciare a prenderti a calci.” mormora il ragazzo gracilino, posando per terra la pistola. “Forse è meglio che il consulting criminal abbia messo fine alla sua inutile esistenza da sé, prima che i veri cattivi gli facessero il culo.”

 

La gente dovrebbe ricordare più spesso quanto io sia facilmente irascibile e impulsivo. Il sangue mi arriva facilmente alla testa e, quando succede, difficilmente faccio cazzate. Ho sentito il nome di Jim Moriarty infangato una volta di troppo.
La mia reazione è istantanea. Faccio scattare il collo di Bill in un crack immediato e pulito, balzo in avanti, raccogliendo la pistola del ragazzino e tirando fuori la mia Revolver. Nel giro di pochi istanti il gracilino finisce con una pallottola nel cranio insieme agli altri due che sparo prima alle mani - per disarmarli -  e poi alla testa per mettere fine alla loro miserabile esistenza.

Respiro l’aria umida a larghe boccate e guardo questi miserabili sacchi di merda riversi sul terreno polveroso. Sta ricominciando a piovere. Presto loro saranno gli unici ad essere ricoperti di fango.

Ripongo le pistole al loro posto e mi allontano, ritornando al fuoristrada, ma non prima di aver scagliato una doccia di fango sui cadaveri a terra, con una strisciata del piede.

***

Ira: Stato psichico alterato. L’iracondo prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi anche verso se stesso.

***

Sono stato coinvolto in numerose emozioni contrastanti in questi ultimi anni, dopo la faccenda del Bart’s. Quando pensi che la vita abbia tirato abbastanza merda nei tuoi confronti, ecco che ti ritrovi di nuovo imbrattato dalla testa ai piedi, con un puzzo così forte che chiunque nella tua vita comincia a tenersi a debita distanza.
Quando la gente si tiene lontana da voi è soltanto perché il fetore di merda è talmente forte che lo si sente a miglia e miglia di distanza e nessuno vorrebbe quindi spendere tempo in vostra compagnia.

Sono stato incazzato nero. Sono stato anche io una pedina nel gioco di Jim Moriarty e lui ha lasciato che osservassi il tutto. Ha voluto che osservassi. Come un monito silenzioso, come un fastidioso rimprovero quando mi ero illuso di essere abbastanza. Quando mi ero illuso di essere felice con quello che avevo. Avrei dovuto immaginarlo. Non avrei dovuto lasciarmi fregare.

Ho lasciato queste pagine bianche per molto tempo perché non avevo la forza di scrivere. Un po’ è, sapete, perché cercavo di salvarmi il culo, eccetera, eccetera; uccidere a destra e manca per un “impero del crimine” che andava sgretolandosi ogni giorno di più.

Poi qualcosa in me si è svegliato. Il giorno in cui Sherlock Holmes è tornato sulle scene, con un coraggio invidiabile, anche Sebastian Moran ha fatto diversi passi avanti. Sherlock Holmes aveva lasciato quel biondino, il Dottor Watson, nella cieca disperazione, come una di quelle amanti che si lasciavano seppellire vive una volta morto il marito. Ci aveva portato via tutto, sia a me che al Dottore. E poi decide di ripiombare nel mondo dei vivi, senza sospettare che qualche incombenza potesse minacciarlo? Il caro Sherlock dovrebbe sapere meglio di chiunque altro cosa comporta il costo delle proprie decisioni. E dal momento che il lavoro di Jim non è finito e quel coglione ha finito tutto come un’eroina greca prima di effettivamente analizzare la situazione, tocca a me.

Mi correggo. Non sono stato incazzato nero. Sono ancora fottutamente incazzato.

Il mio è risentimento, certamente. Non lo nego. Avrei voluto essere messo a parte, non da parte. Avrei voluto essere stato in grado di dire a Jim quanto fosse idiota nel mettere in atto un piano del genere. Razionalmente mi dico che è così.

E invece proprio non ce la faccio. Proprio non ce la faccio a deridere il suo piano, il suo lavoro, per quanto mi faccia incazzare. Comunque, solo io ho il diritto di dargli del coglione. E non ammetterò che nesssun altro lo faccia al posto mio. Perché Jim Moriarty era la persona più geniale che io avessi mai conosciuto ed il mondo non conoscerà mai più una persona così geniale. Non si renderà mai conto di quello che ha perso.

***

Quante persone hanno tentato di portarmi dalla loro parte? Quante persone hanno cercato di affondarmi? Tante, in egual misura.

Il più carino di tutti è stato Charles Augustus Magnussen.

L’ultimo Augustus con cui ho avuto a che fare è stato il buon vecchio Sir Augustus Moran, mio padre, e non posso di certo dire di ricordarlo con il sorriso stampato sul volto. Hanno molto in comune, quei due. Principalmente, un sacco di soldi, arroganza, nessun senso della vergogna. E i ricatti. Anche quelli. Mio padre provò per anni a tenermi buono in quella maniera. Non avrei mai permesso ad un estraneo di controllare la mia vita nello stesso modo. Figurarsi.

Non possiedo più punti su cui far pressione e anche se li possedessi, non sono un uomo che reagisce bene ai ricatti. Sono come una tigre feroce. Più cerchi di tenerla in gabbia, più i suoi artigli graffiano e la sua furia omicida aumenta.

L’ho ignorato, nonostante avessi dovuto scansare i sicari che mandava nella mia direzione. Mi sono inventato la storia del traffico d’armi, ho messo anche io su un bel teatrino, sebbene nella speranza di prendere tempo. Sapevo che avrebbe presto fatto un passo falso per conto suo.

***

Non capisco cosa mi faccia andare avanti. Mi guardo allo specchio e vedo una persona che non riconosco. Le occhiaie scure sotto gli occhi, la barba incolta, gli occhi che fissano il riflesso senza minimamente illuminarsi... spenti, senza vita. C’è sempre quel pensiero che spinge prepotente nella mia testa. Quel pensiero circa l’unico modo che riuscirà sicuramente a concedermi un po’ di pace. L’unico modo per mollare tutto. Per scappare.

Vedo il suo riflesso vicino al mio. Indossa un completo scuro, una camicia chiara, imbrattata di sangue, sporca. Mi sta sorridendo. Come sorrideva prima di dire qualcosa nel suo tono cantilenante di merda.

“Sebastian, miiiio caro, tu non scappi mai.”

Gli scaglio un pugno, dritto in viso. Il nostro riflesso si frantuma in mille pezzi, mentre alcuni pezzi di vetro si conficcano nella mia mano e il sangue inizia a colare di un rosso vivo nel lavandino bianco.

“Sebastian Moran è morto.”

***

Eri convinto di essere diventato più forte, di esserti ripreso. Pensavi che nulla al mondo potesse farti di nuovo crollare come un castello di carte. E invece sei crollato di nuovo, come uno stupido. Sei crollato talmente tante volte che non hai più pezzi interi. Soltanto cocci rotti. Cocci rotti che tagliano, graffiano, incidono la tua pelle senza lasciare segni, senza avvolgere le tue dita nella garza ruvida, come quella che invece avvolge la tua mano sinistra. Cocci che ti entrano dentro, che si fondono alla tua pelle ma rimangono taglienti, cosicché quando cerchi di toglierli questi ricominciano a farti sanguinare. Non smetti mai di sanguinare. Allora decidi di lasciarli dentro, di non spostarli perché sei stanco di sanguinare. Perché fa male. La tua vita cresce intorno a questi cocci rotti.

Sei arrabbiato. Arrabbiato e stanco. La colpa è soltanto sua, continui a ripeterti come un mantra. La colpa è sua.

No.

La colpa è tua, tua e soltanto tua. Avresti dovuto evitarlo. Non avresti mai dovuto sfiorare quelle labbra con le tue, non avresti mai dovuto sfiorare quel corpo con le tue mani grandi.

Non avresti dovuto, stupido. Sei uno stupido, un idiota. Perché lo sai di non essere bravo con i sentimenti. Lo sai che i sentimenti non ti appartengono. Lo sai che tu non sei in grado di provare dei sentimenti. E, soprattutto, sai di essere un bugiardo.

***

“Ti sono mancato?”

***

Continui a sapere di essere un bugiardo quando lo prendi a pugni con entrambe le mani, senza curarti della mano fasciata. Senza curarti che faccia male e che abbia preso a sanguinare di nuovo. Senza curarti del fatto che probabilmente non pensi realmente nessuna delle cose che stai dicendo. Tra voi due funziona così. Lo sa anche lui. Non aveva nessun diritto di tornare da te; nessun diritto.

***

Sei impotente nei suoi confronti. Lo hai sempre saputo. Glielo hai sempre lasciato fare. Anche quando lui non faceva niente. Anche con il semplice fatto di starti di fronte, immobile, silenzioso e sanguinante per colpa di una situazione in cui ti ha messo lui e per colpa di una reazione di cui soltanto tu sei il responsabile. Vuoi che parli. Vuoi sentirlo parlare, vuoi sentire il suo calore sulla sua pelle. Vuoi sentirlo respirare e fremere e gemere sotto il suo tocco. Vuoi sentirlo urlare. Vuoi afferarne la carne, provarla sotto le dita. Vuoi mordere. Vuoi viverlo. Vuoi sentirlo vivo. Perché è vivo. È vivo.

È vivo” continui a ripeterti mentre lo afferri a piene mani e torni a sfiorargli le labbra con le tue.

Torni a conoscere il sapore del sangue. E lo accogli, lo accogli a braccia aperte. Accogli quel dolore familiare come farebbe un prete prostrandosi su un altare. Stai sanguinando di nuovo, nel bel mezzo dei cocci rotti, ma ne sei felice. Perché James Moriarty è come vetro. Trasparente e perfetto; basta pochissimo per nascondere ciò che si cela dietro il vetro. E quando il vetro si frantuma, ti distrugge con lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

E come direbbe qualcuno... Meglio tardi che mai!


Mi scuso per l’enorme ritardo, ma non mi sono mai dimenticata di questa storia. Forse sono come il Dottore e non mi piace mettere la parola “fine” alle mie storie. Comunque, non importa. Sono tornata a questa storia e scrivere l’ultimo capitolo è stato come incontrare e chiacchierare con un vecchio amico. Sono molto orgogliosa di questa storia. Non perché perfetta o altro, ma perché posso definirla mia. È un progetto che ho amato e coccolato e portato a termine. Vorrei anche tradurla in inglese, ma chissà. Vedremo.
Aggiungo anche che ho da tempo un’altra storia che mi frulla in testa e potrebbe espandere sull’ultima parte di questa storia. Magari una one-shot. Stay tuned.

Colgo l’occasione per ringraziare tutte le persone che hanno seguito questa storia, chi l’ha seguita, commentata e amata. Vi ringrazio dal profondo del cuore. Trovare recensioni –anche a distanza di tempo – è stato alle volte persino commovente. Sono sentimentale, ve l’ho detto. È come chiacchierare con un vecchio amico che non si vede da un sacco di tempo.

Anche nell’ultimo capitolo non mi dimentico di te, Caro Lettore, che leggi in silenzio queste mie righe. Ringrazio anche te, perché le storie sono fatte per essere raccontate e lette.

Grazie davvero a tutti voi, dal profondo del mio cuore. Alla prossima.

Vi abbraccio tutti.

xx

   
 
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