Non
ha smesso di piovere neanche per un secondo. Comincio seriamente a
chiedermi
che aspetto abbia il sole, dopo tutto questo tempo. Forse dovrei
semplicemente
prendere quel poco che mi è rimasto e andarmene in qualche
posto soleggiato e
sdraiarmi un po’ lì, senza pensieri. Non so,
qualche isola nel bel mezzo del
nulla, tutta assolata dove ti servono cocktail in una noce di cocco e
dove al
posto della collana di fiori ti regalano una donna nuda, dalla pelle
deliziosamente scura che, magari, se sei fortunato, la collana di fiori
ce l’ha
comunque. Nei capelli. Anche se, probabilmente, non ci faresti
granché caso,
distratto come sei a fissarle le tette.
Nah...
Non
credo. Non fa per me. Sono bloccato qui. Almeno ho smesso di spezzare
colli alla
velocità con cui ti ammaccano la valigia in aeroporto.
Lo faccio ancora eh, per intenderci. Le
vecchie abitudini sono dure a morire.
Dio, se soltanto non mi avessero sbattuto fuori dall’esercito
ci sarei tornato,
arrivato a questo punto.
La monotonia dell’esistenza sta raggiungendo livelli
preoccupanti.
***
Accosto
il fuoristrada vicino ad alcuni cespugli. Sono andato fuori
città e il cielo è
ancora grigio. Almeno, ha smesso di piovere. Ahimè, la
campagna purtroppo è
ridotta ad un pantano infanga-scarpe. Hmm...
“Sebastian
Moran! Figlio di puttana, sei vivo.”
Una voce gracchiante e familiare mi accoglie. Sembra uno di quei vecchi
LP
troppo consumati per dare una musica decente. Controllo che la pistola
sia
ancora incastrata tra la cintura e i pantaloni e sapientemente coperta
dalla
felpa. “Non sapevo che accogliessi gli amici con una 22.
Cos’è, una Walther?”
Mi
volto verso la voce e mi gratto la guancia coperta dalla barba, facendo
schioccare la lingua.
“È
una 38. Una Revolver.”
Lo fisso. In altre occasioni sarei scoppiato a ridere di gusto... Mi
limito a
ghignare. “Hai perso il tocco, Bill. Di’ un
po’, da quanto non metti mano ad
una pistola, hm?”
“Meno tempo di te sicuramente, caro Moran.”
risponde a tono, sputando vicino ai
suoi piedi. “Ho sentito che hai cambiato
attività.”
“Consideralo un cambio di gestione.” mi limito a
rispondere.
“Ai tempi di Moriarty era tutto più facile, no?
Ora ci tocca stare a guardare
un branco di signorine che lottano per avere una fetta di territorio.
Una fetta
che se dura più di 24 ore è già
tanto.”
“Puah, non credevo che avrei mai sentito nominare Moriarty di
nuovo.” Sbotto,
tirando fuori una sigaretta. Mi accorgo che le mie mani stanno
tremando. Merda.
Anche Bill sembra accorgersene.
“Oh, beh.” Riprende, allargando le labbra in un
sorriso sdentato “Era anche la
tua età dell’oro, dopotutto. Quegli animali. Ha!
Non hanno nemmeno lasciato
raffreddare il corpo di quel bastardo.”
Mi irrigidisco. Sentire parlare di Jim dopo tutto quel tempo ed in quei
termini
non mi fa un gran bell’effetto. Do una lunga boccata alla
sigaretta ed espiro
lentamente.
“Mi stupisco di come tu sia ancora vivo.” continua.
“Mi stai per caso chiedendo come ho fatto a sopravvivere
all’attacco dei tuoi
cinque uomini nel mio appartamento?”
Ora
è lui ad irrigidirsi. Lo fulmino con lo sguardo.
“Sì, non era difficile da
immaginare. Tra gli animali, come
li
chiami tu, tu sei stato uno dei più ingordi. Peccato per
quei cinque. Un po’
lenti. E i dieci che mi hai mandato due settimane dopo? È
bastata una Ruger
semiautomatica. È un vero gioiellino, dovrei fartela
provare. Oh, e poi anche
un coltello. Andiamo, Billy, non fare quella faccia. Per Jim Moriarty
non ci
lavorava proprio chiunque.” affermo, stringendomi nelle
spalle e gettando la
sigaretta, calpestandola con la suola della scarpa.
“E ora ti sei rammollito.” Mi dice, con tono di
scherno. “Ti sei messo a
vendere armi.” Continua, quasi disgustato. Gli sorrido,
rullando un’altra
sigaretta.
“Solo perché non faccio più
l’assassino professionista come primo lavoro non
significa che non possa prendere a calci il tuo bel culetto,
Billy.”
Quest’uomo
comincia a farmi venire un leggero prurito alle mani. Ho una pistola
carica e
una carriera alle spalle. Non dovrebbe sfidare tanto la fortuna.
“Avresti
potuto lavorare per qualcun altro.”
“E diventare la puttana di voi signorine che non sapete
nemmeno da che parte
tirerà il vento domani? Grazie, passo.”
“Almeno io sono meglio di Magnussen.”
Rabbrividisco
solo nell’udire il nome di quella viscida serpe. Mi ero
ripromesso che mi sarei
tirato fuori da tutta quella merda e che avrei lasciato perdere tutto.
Suppongo
che non potrò mai realmente andarmene e lasciarmi tutto alle
spalle. Avrei
dovuto immaginarlo.
“Oh,
e perché mai, Billy? Perché tu infilerai nelle
mie mutande mance più
consistenti?” ridacchio, amaro, espirando una lunga boccata
di fumo. Bill ride,
lanciandomi un’occhiata quasi ammiccante.
“Potrei infilarti qualcos’altro nelle
mutande...”
Reagisco
in cinque secondi netti. Mi infilo la sigaretta tra i denti e balzo di
fronte a
lui, immobilizzandolo portandogli un braccio dietro la schiena fino a
fargli
male. Se volessi, dalla mia posizione, sarei in grado di spezzarglielo
come se
fosse un rametto secco. Non ancora,
Sebastian; penso, portandoglielo un po’
più su e godendomi il suo rantolo
di dolore a denti stretti.
“Credi di essere spiritoso, hmm, stronzetto? Disgustoso
animale, io ti ammazzo
e piscio sopra a quello che rimarrà di te.”
biascico minaccioso, con la
sigaretta tra i denti. Inspiro un’ultima boccata,
sputandogliela in viso e mi
libero del mozzicone, sbriciolandolo sotto le suole dei miei stivali
mentre lui
tossisce. Un leggero fruscio tra i cespugli attira la mia attenzione e
non si
tratta del vento. Bill si lamenta sotto la mia presa.
“Andiamo,
Moran! Eravamo amici un tempo. Cos’ è questa reazione?
Eravamo qui per parlare di affari, non dimentichiamolo!”
Un
altro sibilo tra le piante.
“Affari?
Quindi è di affari che vogliono parlare i tre uomini
nascosti tra i cespugli
come ratti schifosi? Armati di pistola? Oh, certo, Billy.
Perché non ce ne
andiamo in un bel pub allora, hm? Trasformiamo questa riunione in uno
dei film
più scadenti di Tarantino.” Gli stringo ancora
più il braccio, portandoglielo
ancora più in alto fino a quando non sento un piacevole crack. Bill urla di dolore. Gli altri tre
decidono che, a quanto
pare, è il momento di uscire allo scoperto.
“Oh,
finalmente avete deciso di unirvi a noi! Mi stavo quasi
annoiando.” sorrido
beffardo, notandoli mentre avanzano con le pistole puntate nella mia
direzione.
Sembrano ragazzini impauriti; giovani e inesperti.
“Credi che non siamo a conoscenza delle tue cazzate, Moran?
Come pensi di
fregare tutti quanti con questa storia del traffico d’armi
mentre invece stai
ancora lavando i panni sporchi per quel pazzo suicida di
Moriarty?” sibila un
biondino, tutto magro e gracilino, lasciando che le mani tremassero sul
grilletto.
Io
stringo più forte Bill con una mano, mentre
l’altra si avvicina in uno scatto a
stringergli il collo. Nonostante Jim sia stato un maledetto bastardo a
lasciarmi da solo nella merda con il suo egoismo suicida, proprio non
mi va giù
che un paio di coglioncelli che puzzano ancora di latte maltrattino il
nome che
ho amato e rispettato per tanti anni. Il nome per cui ho lavorato per
anni.
Rido.
“Siete
sicuri di avere idea di come usare delle pistole? Inoltre, pensavo che
aveste
capito che io e Bill qui siamo particolarmente vicini e intimi.”
sussurro. Il mio braccio si serra di più intorno al collo
del malcapitato che annaspa in cerca d’aria.
“Pensavo che aveste bisogno di una
guida. Cosa fareste nel caso in cui io spezzassi il collo al vostro paparino, qui, desideroso di una carezza tra le mie braccia?”
I tre si irrigidiscono alle mie parole e io ho la tentazione di alzare
gli
occhi al cielo.
“Buttate le pistole e vi restituirò il vostro
paparino più o meno intero e con
soltanto un braccio rotto. Oppure siate idioti e avvicinatevi;
sparatemi, e il
collo del caro Bill si spezzerà ancor prima che voi premiate
il vostro
maledetto grilletto.”
Bill
si agita ancora di più sotto la mia stretta
e deve
avere la paura negli occhi, perché i suoi tirapiedi fanno
qualche passo
indietro e abbassano le pistole. Questo stronzo che sto stringendo non
regge
nemmeno lontanamente il confronto con Jim Moriarty. Quando qualcuno
minacciava
Jim, Jim, da parte sua, avrebbe soltanto retto il loro sguardo con un
ghigno,
per nulla impaurito quanto più divertito.
Avrebbe riso, riso in una maniera maledetta, di quelle risate che ti
avrebbero
perseguitato nei tuoi incubi peggiori, prima di ridurti in cenere.
Perché Jim
faceva così. Faceva.
“Sei
e resterai sempre il cagnolino di Moriarty, Moran. Qualcuno dovrebbe
cominciare
a prenderti a calci.” mormora il ragazzo gracilino, posando
per terra la
pistola. “Forse è meglio che il consulting
criminal abbia messo fine alla sua inutile esistenza da
sé, prima che i
veri cattivi gli facessero il culo.”
La
gente dovrebbe ricordare più spesso quanto io sia facilmente
irascibile e
impulsivo. Il sangue mi arriva facilmente alla testa e, quando succede,
difficilmente
faccio cazzate. Ho sentito il nome di Jim Moriarty infangato una volta
di
troppo.
La mia reazione è istantanea. Faccio scattare il collo di
Bill in un crack immediato e
pulito, balzo in
avanti, raccogliendo la pistola del ragazzino e tirando fuori la mia
Revolver.
Nel giro di pochi istanti il gracilino finisce con una pallottola nel
cranio
insieme agli altri due che sparo prima alle mani - per disarmarli - e poi alla testa per mettere
fine alla loro
miserabile esistenza.
Respiro
l’aria umida a larghe boccate e guardo questi miserabili
sacchi di merda
riversi sul terreno polveroso. Sta ricominciando a piovere. Presto loro
saranno
gli unici ad essere ricoperti di fango.
Ripongo
le pistole al loro posto e mi allontano, ritornando al fuoristrada, ma
non
prima di aver scagliato una doccia di fango sui cadaveri a terra, con
una
strisciata del piede.
***
Ira: Stato psichico
alterato. L’iracondo prova una profonda avversione verso
qualcosa o qualcuno,
ma in alcuni casi anche verso se stesso.
***
Sono
stato coinvolto in numerose emozioni contrastanti in questi ultimi
anni, dopo
la faccenda del Bart’s. Quando pensi che la vita abbia tirato
abbastanza merda
nei tuoi confronti, ecco che ti ritrovi di nuovo imbrattato dalla testa
ai
piedi, con un puzzo così forte che chiunque nella tua vita
comincia a tenersi a
debita distanza.
Quando la gente si tiene lontana da voi è soltanto
perché il fetore di
merda è talmente forte che lo si sente a miglia e miglia di
distanza e nessuno
vorrebbe quindi spendere tempo in vostra compagnia.
Sono
stato incazzato nero. Sono stato anche io una pedina nel gioco di Jim
Moriarty
e lui ha lasciato che osservassi il tutto. Ha voluto che osservassi.
Come un
monito silenzioso, come un fastidioso rimprovero quando mi ero illuso
di essere
abbastanza. Quando mi ero illuso di essere felice
con quello che avevo. Avrei dovuto immaginarlo. Non avrei dovuto
lasciarmi
fregare.
Ho
lasciato queste pagine bianche per molto tempo perché non
avevo la forza di
scrivere. Un po’ è, sapete, perché
cercavo di salvarmi il culo, eccetera,
eccetera; uccidere a destra e manca per un “impero del
crimine” che andava
sgretolandosi ogni giorno di più.
Poi
qualcosa in me si è svegliato. Il giorno in cui Sherlock
Holmes è tornato sulle
scene, con un coraggio invidiabile, anche Sebastian Moran ha fatto
diversi
passi avanti. Sherlock Holmes aveva lasciato quel biondino, il Dottor
Watson,
nella cieca disperazione, come una di quelle amanti che si lasciavano
seppellire vive una volta morto il marito. Ci aveva portato via tutto,
sia a me
che al Dottore. E poi decide di ripiombare nel mondo dei vivi, senza
sospettare
che qualche incombenza potesse minacciarlo? Il caro Sherlock dovrebbe
sapere
meglio di chiunque altro cosa comporta il costo delle proprie
decisioni. E dal
momento che il lavoro di Jim non è finito e quel coglione ha
finito tutto come
un’eroina greca prima di effettivamente analizzare la
situazione, tocca a me.
Mi
correggo. Non sono stato incazzato
nero. Sono ancora fottutamente
incazzato.
Il
mio è risentimento, certamente. Non lo nego. Avrei voluto
essere messo a parte, non da parte. Avrei voluto essere stato in
grado di dire a Jim quanto
fosse idiota nel mettere in atto un piano del genere. Razionalmente mi
dico che
è così.
E
invece proprio non ce la faccio. Proprio non ce la faccio a deridere il
suo
piano, il suo lavoro, per quanto mi faccia incazzare. Comunque, solo io
ho il
diritto di dargli del coglione. E
non
ammetterò che nesssun altro lo faccia al posto mio.
Perché Jim Moriarty era la
persona più geniale che io avessi mai conosciuto ed il mondo
non conoscerà mai
più una persona così geniale. Non
si
renderà mai conto di quello che ha perso.
***
Quante
persone hanno tentato di portarmi dalla loro parte? Quante persone
hanno
cercato di affondarmi? Tante, in egual misura.
Il
più carino di tutti
è stato Charles
Augustus Magnussen.
L’ultimo
Augustus con cui ho avuto a che fare è stato il buon vecchio
Sir Augustus Moran,
mio padre, e non posso di certo dire di ricordarlo con il sorriso
stampato sul
volto. Hanno molto in comune, quei due. Principalmente, un sacco di
soldi,
arroganza, nessun senso della vergogna. E i ricatti. Anche quelli. Mio
padre
provò per anni a tenermi buono in quella maniera. Non avrei
mai permesso ad un
estraneo di controllare la mia vita nello stesso modo. Figurarsi.
Non
possiedo più punti su cui far pressione e anche se li
possedessi, non sono un
uomo che reagisce bene ai ricatti. Sono come una tigre feroce.
Più cerchi di
tenerla in gabbia, più i suoi artigli graffiano e la sua
furia omicida aumenta.
L’ho
ignorato, nonostante avessi dovuto scansare i sicari che mandava nella
mia
direzione. Mi sono inventato la storia del traffico d’armi,
ho messo anche io
su un bel teatrino, sebbene nella speranza di prendere tempo. Sapevo
che
avrebbe presto fatto un passo falso per conto suo.
***
Non
capisco cosa mi faccia andare avanti. Mi guardo allo specchio e vedo
una
persona che non riconosco. Le occhiaie scure sotto gli occhi, la barba
incolta,
gli occhi che fissano il riflesso senza minimamente illuminarsi...
spenti,
senza vita. C’è sempre quel pensiero che spinge
prepotente nella mia testa. Quel
pensiero circa l’unico modo che riuscirà
sicuramente a concedermi un po’ di
pace. L’unico modo per mollare tutto. Per scappare.
Vedo
il suo riflesso vicino al mio. Indossa un completo scuro, una camicia
chiara,
imbrattata di sangue, sporca. Mi sta sorridendo. Come sorrideva prima
di dire
qualcosa nel suo tono cantilenante di merda.
“Sebastian, miiiio caro, tu non
scappi mai.”
Gli
scaglio un pugno, dritto in viso. Il nostro riflesso si frantuma in
mille
pezzi, mentre alcuni pezzi di vetro si conficcano nella mia mano e il
sangue
inizia a colare di un rosso vivo nel lavandino bianco.
“Sebastian
Moran è morto.”
***
Eri convinto di essere diventato
più forte, di esserti ripreso. Pensavi che nulla al mondo
potesse farti di
nuovo crollare come un castello di carte. E invece sei crollato di
nuovo, come
uno stupido. Sei crollato talmente tante volte che non hai
più pezzi interi.
Soltanto cocci rotti. Cocci rotti che tagliano, graffiano, incidono la
tua
pelle senza lasciare segni, senza avvolgere le tue dita nella garza
ruvida,
come quella che invece avvolge la tua mano sinistra. Cocci che ti
entrano
dentro, che si fondono alla tua pelle ma rimangono taglienti,
cosicché quando
cerchi di toglierli questi ricominciano a farti sanguinare. Non smetti
mai di
sanguinare. Allora decidi di lasciarli dentro, di non spostarli
perché sei
stanco di sanguinare. Perché fa male. La tua vita cresce
intorno a questi cocci
rotti.
Sei arrabbiato. Arrabbiato e
stanco. La colpa è soltanto sua, continui a ripeterti come
un mantra. La colpa
è sua.
No.
La colpa è tua, tua e soltanto
tua. Avresti dovuto evitarlo. Non avresti mai dovuto sfiorare quelle
labbra con
le tue, non avresti mai dovuto sfiorare quel corpo con le tue mani
grandi.
Non avresti dovuto, stupido. Sei
uno stupido, un idiota. Perché lo sai di non essere bravo
con i sentimenti. Lo
sai che i sentimenti non ti appartengono. Lo sai che tu non sei in
grado di
provare dei sentimenti. E, soprattutto, sai di essere un bugiardo.
***
“Ti sono mancato?”
***
Continui a sapere di essere un
bugiardo quando lo prendi a pugni con entrambe le mani, senza curarti
della
mano fasciata. Senza curarti che faccia male e che abbia preso a
sanguinare di
nuovo. Senza curarti del fatto che probabilmente non pensi realmente
nessuna
delle cose che stai dicendo. Tra voi due funziona così. Lo
sa anche lui. Non
aveva nessun diritto di tornare da te; nessun diritto.
***
Sei impotente nei suoi confronti.
Lo hai sempre saputo. Glielo hai sempre lasciato fare. Anche quando lui
non faceva
niente. Anche con il semplice fatto di starti di fronte, immobile,
silenzioso e
sanguinante per colpa di una situazione in cui ti ha messo lui e per
colpa di
una reazione di cui soltanto tu sei il responsabile. Vuoi che parli.
Vuoi
sentirlo parlare, vuoi sentire il suo calore sulla sua pelle. Vuoi
sentirlo
respirare e fremere e gemere sotto il suo tocco. Vuoi sentirlo urlare.
Vuoi
afferarne la carne, provarla sotto le dita. Vuoi mordere. Vuoi viverlo.
Vuoi
sentirlo vivo. Perché è vivo. È vivo.
“È
vivo” continui a ripeterti mentre lo afferri a piene mani e
torni a sfiorargli
le labbra con le tue.
Torni a conoscere il sapore del
sangue. E lo accogli, lo accogli a braccia aperte. Accogli quel dolore
familiare come farebbe un prete prostrandosi su un altare. Stai
sanguinando di
nuovo, nel bel mezzo dei cocci rotti, ma ne sei felice.
Perché James Moriarty è
come vetro. Trasparente e perfetto; basta pochissimo per nascondere
ciò che si
cela dietro il vetro. E quando il vetro si frantuma, ti distrugge con
lui.
Note dell'autrice:
E come direbbe
qualcuno... Meglio tardi che
mai!
Mi scuso per
l’enorme ritardo, ma non mi sono
mai dimenticata di questa storia. Forse sono come il Dottore e non mi
piace
mettere la parola “fine” alle mie storie. Comunque,
non importa. Sono tornata a
questa storia e scrivere l’ultimo capitolo è stato
come incontrare e
chiacchierare con un vecchio amico. Sono molto orgogliosa di questa
storia. Non
perché perfetta o altro, ma perché posso
definirla mia. È un progetto che ho
amato e coccolato e portato a termine. Vorrei anche tradurla in
inglese, ma
chissà. Vedremo.
Aggiungo anche che ho da tempo un’altra storia che mi frulla
in testa e
potrebbe espandere sull’ultima parte di questa storia. Magari
una one-shot.
Stay tuned.
Colgo
l’occasione per ringraziare tutte le persone che hanno
seguito questa storia, chi l’ha seguita, commentata e amata.
Vi ringrazio dal
profondo del cuore. Trovare recensioni –anche a distanza di
tempo – è stato
alle volte persino commovente. Sono sentimentale, ve l’ho
detto. È come
chiacchierare con un vecchio amico che non si vede da un sacco di
tempo.
Anche
nell’ultimo capitolo non mi dimentico di te, Caro Lettore,
che leggi in silenzio queste mie righe. Ringrazio anche te,
perché le storie
sono fatte per essere raccontate e lette.
Grazie
davvero a tutti voi, dal profondo del mio cuore. Alla
prossima.
Vi
abbraccio tutti.
xx