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Autore: GiuliaGiuxi    29/12/2014    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Percy non fosse stato un mezzosangue?Se Annabeth Chase fosse solo una ragazza bionda con una vita del tutto normale?Se il parlare di Dei e di tutto ciò che riguarda la cultura greca fosse riservato solo ed esclusivamente all'ora più odiata di tutte,cioè quella di greco?E cosa,ancora,se il campo Mezzosangue non fosse in realtà soltanto il parco più grosso della città,quello a pochi passi dalla scuola?
Dal primo capitolo:
-Ciao,Testa d'alghe.-
La prima volta che litigammo mi stava per chiamare "testa di cazzo" davanti a tutti solo che all'ultimo la prof entrò in classe e fu costretta a cambiare "di cazzo" con la prima parola che le passò per la mente e quindi uscì "Testa d'alghe". Ora non so come gli fossero venute in mente le alghe nel bel mezzo della litigata, ma ora mi chiama così.
-Chase-dico facendo un sorriso sprezzante.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una volta a scuola sono venuti due ragazzi a parlarci dell’apnea: ci hanno spiegato come funziona, le varie tecniche respiratorie e le varie fasi del “fastidio” che si incontrano mano a mano che passa il tempo. Ci hanno detto che, dopo vari segnali che il corpo manda per segnalarti il problema ‘ei amico, vorremmo un altro po’ di ossigeno’, non sentiamo più nulla. Il nostro corpo non ci avverte più di nulla e siamo in uno stato di totale tranquillità che comporta annebbiamento dei sensi e, a volte, anche visioni assurde.

Uno dei due ragazzi, quello alto, con una voce profonda e l’abitudine di usare la parola ‘cazzo’ quasi in ogni frase, per poi scusarsi ogni volta, ha detto che in realtà questo stato non si raggiunge sempre, e le visioni non capitano ogni volta, molto spesso sono anche incubi, però è una di quelle situazioni che vorresti si ripetessero all’ infinito. L’ha definita una droga, ha detto che è molto simile a l’ effetto di una canna e che ti sembra di galleggiare nel nulla, con i pesciolini che ti salutano e la voglia di vivere che cresce dentro di te.

Sembrava tutto così bello, fino a quando l’altro ragazzo non ha tenuto a precisare che questo momento di totale calma e felicità è anche il più pericoloso dell’intera immersione: infatti a questo punto il nostro corpo non ci da più segnali, non ci fa capire che la situazione potrebbe diventare molto pericolosa e sta a noi capire quando uscire o meno. Iniziamo a non ricordarci il nostro stesso nome, ad avere i sensi annebbiati, le dita delle mani e dei piedi intorpidite e un gran senso di sonno. Poi, da un momento all’altro, sveniamo e, se non c’è nessuno accanto a noi che ci tira su in tempo, ci porta fuori dall’acqua e ci fa riprendere i sensi, quando, dopo una decina di minuti, rinveniamo ancora sott’acqua, i nostri polmoni attendono l’ossigeno e il nostro cervello ci comanda di aprire la bocca per farli riprendere, e così beviamo acqua e il mare diventa la nostra tomba.

Uno dei momenti più belli della nostra vita potrebbe anche essere l’ultimo momento della nostra vita. Stiamo camminando su di un filo, sospesi a chilometri da terra, sappiamo che, in caso di caduta, quella sarà la nostra fine, ma continuiamo ad andare avanti e a mettere un piede dopo l’altro su quel filo sottilissimo. Rischiamo il tutto per tutto per qualche istante di pura gioia e adrenalina.

Seduta di fronte a Crono, con le mani in grembo, nascoste dal tavolo, per non far vedere quanto in realtà io sia agitata, mi sento esattamente come se fossi sotto a metri d’acqua in balia di queste visioni assurde e di quella gioia promessa, però con i sensi allerta consapevole della possibile, imminente, caduta nel vuoto.

Quando, poche ore prima, ci siamo diretti verso le grande scale del British Museum non sono riuscita a contenere la mia sorpresa e Crono, vedendo la mia espressione, è scoppiato a ridere e per poco non è inciampato sui gradini.

Non ero riuscita nemmeno a lanciargli un’occhiataccia per la sua reazione esagerata e per la palese presa in giro: ero davvero troppo stupita per la destinazione del nostro appuntamento.

Non pensavo mi avrebbe portato in un museo, pensavo avremmo fatto un giro per il centro e magari mangiato qualcosa fuori. O, al massimo, che mi avrebbe portato in un cinema. Infondo lui aveva specificato che voleva un normale appuntamento, come le coppie normali, e non so quante coppie normali avessero avuto il loro primo appuntamento in un museo.

Crono, finito di ridere, si ferma sulle scale, un gradino più in basso di me e io mi costringo a fermarmi e a voltarmi verso di lui. Anche in questo modo lui è molto più alto di me e gli arrivo alle spalle.

Si asciuga con le dita le lacrime prodotte dalla risata di qualche secondo prima e si schiarisce la gola:- Sembri piuttosto sorpresa- dice ghignando.

-Lo sono- affermo incrociando le braccia sul petto.

-Dove pensavi che saremmo andati?-domanda riprendendo a salire.

-Non lo so, di sicuro non in questo museo.-

Più tardi, durante il giro, ho scoperto che è un appassionato di storia antica e che il British è uno dei suoi posti preferiti a Londra. Ovviamente non ho accennato al fatto che è il mio posto preferito, il rifugio segreto in cui mi nascondo ogni volta che non ho voglia di vivere la mia miserabile e triste vita.

Questo è, in parte, il motivo per cui cerco di nascondere le mani dietro al tavolo e perché faccio fatica e ricordarmi il mio nome, come se iniziassi ad avere una seria carenza di ossigeno. L’altro motivo è lo sguardo di Crono: seduto di fronte a me, in un piccolissimo tavolino per due, decisamente troppo piccolo, abbassa il menù e mi guarda come se volesse delle risposte ad un quesito indispensabile al normale svolgimento della sua vita. Senza contare che, visti da così vicino, e con le luci del museo che mettono in bella mostra il suo viso, i suoi occhi sono decisamente tanto belli.

-Allora, dove ti aspettavi che saremmo andati?- domanda effettivamente curioso e senza il minimo accenno di ironia.

-In un normale ristorante, o al cinema-rispondo cercando di evitare il suo sguardo.

-Se ti fa sentire meglio, ora siamo in un normale ristorante. Quindi Annabeth Chase, avevi ragione almeno per metà-.

Sorride portandosi il bicchiere d’acqua alla bocca. Una volta finito di bere lo posa e avvicina la sedia al tavolo che è decisamente troppo piccolo: riesco perfino a vedere qualche lentiggine sulle sue guance e sul naso, cosa che non avrei mai notata ad una normale distanza. Se mai dovessi possedere un ristorante nella mia vita, terrò dei tavolini per due più grandi del normale per evitare le situazioni imbarazzanti come quella che sto vivendo io.

Lo guardo non potendone fare a meno, data la scarsa lontananza, o la troppa vicinanza, a seconda dei casi: i capelli castani sembrano ancora più scuri, forse per il contrasto con le pareti bianche del museo. Non indossa il solito impermeabile nero, ma ha una giacca stile ‘Sherlock Holmes’ e l’ha appoggiata allo schienale della sedia non appena ci siamo seduti. Sotto alla giacca indossa una semplice camicia bianca del tutto abbottonata.   Questo è tutto ciò che riesco a vedere dato che siamo seduti, ma prima, non appena è venuto a prendermi, ho visto che indossa anche un paio di normalissimo jeans e delle scarpe da ginnastica nere.

L’avevo visto arrivare da lontano, io ero scesa in anticipo ed ero rimasta dentro al portone di casa: non volevo assolutamente che citofonasse dato che mia madre era tornata dal lavoro. Non le avevo detto assolutamente nulla riguardo l’appuntamento, ma in realtà non le avevo detto nulla in generale prima di uscire: ero semplicemente sgattaiolata fuori dalla camera in punta di piedi, cercando di non fare rumore, anche se non avevo bisogno di tutte quelle precauzioni dato che lei era chiusa in bagno a farsi una doccia.
Avevo semplicemente lasciato un biglietto sul tavolo dicendole che cenavo da un’amica, in modo tale da evitarmi la ramanzina una volta tornata a casa.

Una volta nel portone di casa però avevo deciso di non uscire, per evitare di prendere del freddo inutile: non era una giornata particolarmente fredda in realtà, però c’era molto vento. Per fortuna alla fine avevo deciso di mettere un semplice paio di jeans e non una gonna: sarebbe stato imbarazzante camminare per la città con Crono controllando ogni secondo che la gonna stesse al suo posto e non volasse. Avevo deciso poi di mettere una camicia bianca il cui collo spuntava da un maglione rosso ciliegia. Avevo deciso, all’ultimo minuto, che non avrei messo nulla di troppo elegante per evitare che Crono pensasse che mi fossi preparata troppo per quella serata. In realtà mi ero preparata, ma più psicologicamente che altro.

Lo avevo visto arrivare da lontano, con quel suo portamento sicuro e spavaldo. Aveva il collo della giacca tirato su. Stava attraversando la strada quando sono uscita dal portone e gli sono andata incontro. Mi aveva sorriso normalmente e aveva gettato per terra la sigaretta che fino a qualche secondo prima teneva in bocca. Avevo semplicemente alzato gli occhi al cielo senza dirgli nulla, forse perché non sapevo cosa dirgli, o forse perché l’agitazione iniziava a farsi sentire.

-Pensavo fossi una tipa che ha sempre qualcosa da dire-dice Crono appoggiando i gomiti sul tavolo.

Abbasso lo sguardo verso le mie mani, sempre strette in grembo, e arrossisco consapevole di aver fissato il vuoto per qualche istante.

-Non so cosa dire, devi ammettere che è una situazione piuttosto strana-rispondo tornando a posare il mio sguardo su di lui.

Lo trovo a scrutarmi incuriosito.

-Ho un’idea-dice con gli occhi che gli brillano tendendo il corpo, se è possibile, ancora più vicino al mio-giochiamo.-

-A cosa?- rispondo con la voce tremolante. La situazione inizia ad essere piuttosto preoccupante.

-Ci facciamo delle domande a vicende e rispondiamo, sinceramente. Così ci conosciamo e evitiamo questo imbarazzante silenzio.-

Non ho il tempo di pensare seriamente alla sua offerta, perché incomincia già con la prima domanda:- Il tuo colore preferito?-

-Blu- rispondo di getto- il tuo?-

-Nero-ghigna divertito-il giorno del tuo compleanno?-

-12 agosto. Sei figlio unico?-

-No. Sei figlia unica?-

Rimango un attimo spiazzata dalla sua risposta, non avevo mai pensato che potesse avere un fratello, o una sorella.

-Si, cioè no. Mio padre si è risposato e ha altri due figli, ma abitano in America, non li vedo mai. Ti piace leggere?-domando infine ancora frastornata per la sua risposta e per il fatto che stia volontariamente parlando della mia vita con qualcuno che conosco a malapena.

-Si, e il mio libro preferito è ‘Il giovane Holden’. Hai una serie tv preferita?-

-Sherlock.-
Lo vedo sorride e inarco le sopracciglia con aria interrogativa:-Perché sorridi?-

-Dovevo sospettarlo, sei molto…Sherlock.-

Indecisa se prenderlo per un complimento o meno gli domando la sua, di serie tv preferita.

-Supernatural. Ti stai divertendo?-domanda tranquillamente, come se nulla fosse, continuando il gioco.

Faccio per rispondere, ma poi mi fermo, e un pesante silenzio cala sul nostro tavolo mentre la gente continua  a parlare e a muoversi tutto intorno a noi.
Arrossisco e abbasso lo sguardo: la verità è che mi sto divertendo. Crono è molto più intelligente e normale di quanto io mi aspettassi, e ho scoperto che abbiamo molte cose in comune. E sono spaventata perché è lo stesso ragazzo con cui sono uscita solo perché ha minacciato Jackson con un coltello.

Percy, non avevo pensato a lui per tutto il pomeriggio, dopo che era andato via e avevo urlato contro il cuscino per sfogare la mia rabbia. Aveva detto che Crono era pericoloso e dovevo stare attenta, ma a me non sembra così pericolo ora, seduto di fronte a me con quella camicia bianca, l’attesa nello sguardo e le lentiggini sul naso. Mi sembra semplicemente un ragazzo normale.

Per fortuna arriva il cameriere a portarci le pizze che avevamo ordinato, lo ringraziamo entrambi e io decido di far finta di nulla e proseguire con il gioco, come se avessi risposto alla sua domanda:-Quanti anni hai?-

-18. Vivi con tua mamma?- lui sta al gioco, e decide di non farmi notare che non ho risposto alla sua domanda.

-Si, io- mi schiarisco la voce, in imbarazzo- vivo con lei. Tu vivi con i tuoi genitori?-

-Si. Non ti piace molto, vero? Tua mamma intendo.-

Inarco le sopracciglia e guardo la mia pizza mentre mi accingo a tagliarla in tante fette:-No, non troppo. Io e lei non andiamo molto d’accordo. A dir la verità non andiamo e basta- termino sussurrando e infilandomi in bocca un pezzo di cibo per evitare di dire troppo.

Lui mi guarda per un secondo, come se cercasse di capire qualcosa solo attraverso lo sguardo, e poi inizia a mangiare anche lui.

Una volta terminato il mio boccone mi pulisco le mano sul tovagliolo:-Perché mi hai invitata a quest’appuntamento?-

Crono mastica con calma la sua pizza, si pulisce le mani e beve un sorso d’acqua. Io aspetto pazientemente che mi risponda e, proprio quando penso che stia per farlo, mi guarda negli occhi e dice:-Hai un animale domestico?-

Decido di non protestare, perché anche lui non ha detto nulla quando ho deciso di non rispondere alla sua domanda:-No, tu?-

-Avevo un cane, poi è morto. Hai già deciso cosa fare all’università?-

-Come sai che andrò all’università?-domando a mia volta prendendo un altro pezzo di pizza.

Mi guarda ghignando:-Annabeth, è ovvio che andrai all’università.-

Di nuovo, non so se prenderlo come un complimento o meno, ma, decisa a non indagare, rispondo semplicemente alla sua domanda:-Mi piacerebbe fare architettura, è il mio sogno da sempre, ma è ancora tutto in forse. Non è un’idea che piace molto a mia madre. Tu dove vai a scuola? Non ti ho mai visto da noi-

-Non vado in nessuna scuola qui a Londra.-

-Vai fuori Londra?- domando incuriosita, senza rispettare le regole del gioco, e tendendomi inconsapevolmente verso di lui.

-No- risponde secco, anche se non in maniera cattiva. Semplicemente, mi fa capire di non continuare quel discorso.

Torno a sedermi composta, e abbasso lo sguardo, improvvisamente ferita da questo suo atteggiamento. Io gli parlo in maniera aperta della mia situazione familiare e di ciò che voglio fare, senza particolare problemi, mentre lui tende a dirmi solo lo stretto indispensabile.

-Due domande per me-continua lui come se nulla fosse- c’è un posto che vorresti visitare?-

-Roma, è così antica e bellissima- rispondo tranquilla, anche se dalla mia voce traspare un misto di tristezza e imbarazzo per ciò che è successo poco fa.

-Il tuo libro preferito?-

-‘Orgoglio e Pregiudizio’.-

Sorride e posa le posate nel piatto vuoto:-In effetti, mi ricordi un po’ Elizabeth Bennet-

Lo fisso meravigliata, posando anche io le posate nel piatto, anche se il mio è mezzo pieno:-Hai letto quel libro?-

Annuisce mentre chiama il cameriere:-Ho dovuto. Gradisci il dolce?-
Gli faccio segno di no con la testa, e lui paga il conto facendo finta di non sentire le mie proteste.

Quando usciamo dal museo una ventata di aria gelida mi colpisce in pieno volto e, per quanto sia fredda, è piacevole: è come se finalmente mi stia svegliando da un sonno profondo.

Crono si schiarisce la voce e si volta verso di me-:Ti va di andare a sederci a Trafalgar o vuoi tornare a casa?-

Lo guardo per qualche secondo, e decido che prima della fine di questa sera otterrò delle risposte alle mie domande, quindi gli dico che per me va benissimo sederci in piazza.

Per tutto il tragitto nessuno dei due parla e, quando arriviamo nella piazza, ci sediamo, ancora in silenzio, dalla fontana.
Nonostante siano le nove di sera e faccia un freddo cane, la piazza è gremita di persona, la maggior parte delle quali turisti con macchine fotografiche appese al collo e strani accenti.

Stufa di questo silenzio mi volto verso Crono, porto entrambe le gambe, incrociandole, sul marmo della fontana e gli domando:-Hai un fratello o una sorella?-
In un primo momento mi guarda stranito, poi ghigna, si mette nella mia stessa posizione in modo tale che sia più facile guardarmi negli occhi e mi ripaga con la stessa moneta:-Ti stai divertendo?-

Sbuffo contrariata e incrocio le braccia al petto:-In caso non lo avessi notato, signorino, ho risposto a quasi tutte le tue domande in maniera aperta e sincera e tu invece non mi hai detto nulla di te. E l’idea del gioco è stata tua. Quindi- continuo sciogliendo le gambe e riportandole sul terreno- se vuoi una risposta a quella domanda, l’avrai: no, non mi diverto, perché non è così che si gioca- termino il discorso voltandomi dall’altra parte.

So che probabilmente penserà che sono una bambina, o riderà di me, ma ora come ora non mi interessa molto.

Dopo qualche minuto di silenzio lo sento schiarirsi la voce, ma, imperterrita, decido di non voltarmi.

-Ho un fratello, più grande di me. Io e lui non andiamo molto d’accordo. Lui è … diverso, è perfetto. I miei genitori lo adorano e non vedo perché non dovrebbero. A scuola è il migliore, è impegnato in un sacco di servizi di volontariato, ha trovato una ragazza intelligente che probabilmente sposerà e non ha mai procurato problemi al ‘nome della famiglia’. Non lo vedo quasi mai, per fortuna-termina guardandomi negli occhi, dato che, nel frattempo, mi sono di nuovo voltata verso di lui.

Annuisco e punto lo sguardo verso le mie scarpe incerta su cosa dire e anche piuttosto sconvolta da questa improvvisa dichiarazione.

Crono si avvicina un po’ a me, in modo tale che le nostre spalle si sfiorino e mi da una leggera spinta, per farmi alzare lo sguardo:-Pensi davvero che io sia una capra inconsapevole?-domanda sorridendo leggermente e io arrossisco, ricordando l’altro giorno al parco, quando lo avevo apostrofato in questo modo.

-No- sussurro- e, prima che tu me lo chieda, non mi fai nemmeno schifo. Cioè, questo Crono, il ragazzo che mi ha portato al British, che ha letto ‘Il giovane Holden’, non mi fa schifo per niente. Quello dell’altro giorno è completamente diverso, non è te.-

Mi interrompo e scuoto la testa, sorridendo leggermente: non so quello che dico ormai.

Guardo l’orologio che ho legato al polso e mi stupisco nel constatare che sono quasi le dieci. Mi alzo frettolosamente dalla fontana e mi volto verso Crono:-è tardi, devo tornare a casa-

Lui sbatte le palpebre e mi mette a fuoco, come se fino a quel momento fosse stato su un altro pianeta. Si alza senza dire nulla e mi affianca.

Per tutto il viaggio di ritorno non fiata, poi, quando siamo nei pressi della mia abitazione, mi ferma delicatamente per un polso e mi fa voltare verso di lui. Lo guardo incuriosita mettere la mano in tasca e tirare fuori il coltello, lo stesso coltello dell’altro giorno, e poggiarlo sul palmo della mia mano.

-Guardalo bene, per piacere-mi dice con un fil di voce, lasciando andare in mio polso e avvicinandosi a me, quasi a sfiorare con la sua fronte piegata la mia testa.

Io faccio come mi ha detto e porto il coltello sotto ai miei occhi, passo l’altra mano su tutta la superficie e, arrivata a metà, all’altezza del manico, scopro una fessura, come se il coltello si potesse dividere in due, aprire a metà.

Tiro su lo sguardo e lo punto in quello di Crono, chiedendogli silenziosamente se posso tirare le due parti. Lui annuisce semplicemente.

Afferro entrambe le parti con mano poco salda e le tiro: sorpresa vedo le due parti allontanarsi e constato che la lama del ‘coltello’ non è una vera lama, perché quello non è un vero coltello. Mentre sfilo le due parti, con decisamente troppa forza, da dentro casca qualcosa e Crono la prende al volo prima che cada per terra, poi mette anche quella sul palmo della mia mano: una penna. C’è qualcosa inciso sopra, ma sono troppo stupita per avvicinarla ai miei occhi e capire cosa ci sia scritto.

-Una penna, è un vecchio cimelio di famiglia che mi porto sempre dietro-sussurra il ragazzo non appena alzo lo sguardo su di lui.

-Non è un coltello vero-sussurro meravigliata, e felice, per quella nuova sorprendente scoperta.

Lui mi fa segno di no con la testa e io gli porgo di nuovo la sua penna. Lui la rimette dentro la custodia e la infila nella tasca della giacca.

Io sto immobile lì, affianco a lui, con le braccia lungo i fianchi non sapendo cosa dire.

-Non dirlo a Jackson, per piacere. Mi diverte vedere quella faccia spaventata su di lui-ghigna, ma il ghigno scompare subito quando annuisco.

Si avvicina a me e, prima che io possa fare qualsiasi cosa, mi posa un bacio sulla guancia:-Buona notte, Annabeth- mi sussurra all’orecchio prima di voltarsi e allontanarsi velocemente.

-Crono- urlo all’improvviso, prima di vederlo scomparire del tutto.

Lui si volta e mi guarda con aria interrogativa:-Si, mi sono divertita questa sera- urlo ancora, per rispondere alla sua domanda silenziosa. Prima di vedere la sua reazione, prima ancora che le mie parole arrivino a lui, mi volta e corro nel mio portone, senza girarmi a guardarlo.

Salve a tutti, sono io, tornata dopo una vita d’assenza.
Mi sembrava impossibile finire il 2014 senza aggiornare la mia storia, quindi ho riscritto il capito, perché si, avevo perso la prima stesura dopo che il mio computer è morto. Evito anche di propinarvi qualsiasi scusa, sono morta e basta.
Intanto tendo a precisare che il British chiude mi sembra alle 17:30, tranne il venerdì che chiude un po’ dopo, quindi la cena tra Crono e Annabeth è del tutto impossibile nella vita reale lol Ditemi che ne pensate del capito, se sono shippabili o meno, se ci sono errori e le solite cose. Fra pochi giorni sono due anni dalla pubblicazione del primo capitolo di ‘What if’, sono stati i due anni più veloci della mia vita, ma sono felice di aver avuto voi lettori in questi due anni. Grazie mille per le recensioni, per i preferiti, i seguiti e grazie anche a chi ha letto solo un capitolo. Grazie mille. Vi auguro un meraviglioso 2015, vi lovvo, Giuls

   
 
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