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Autore: emrys_    30/12/2014    4 recensioni
La prima canzone dei DriveShaft venne rilasciata esattamente otto anni fa. "Doomsday" invase la scena musicale inglese spodestando band ben più famose di quella composta dai quattro originari di Portsmouth. Forse il successo fu dovuto, in parte, allo scandalo che accompagnò l'uscita del loro primo album: "Pauper Lunatic". Ciò non toglie che ad oggi i DriveShaft rappresentino una pietra miliare nella storia della musica britannica.
Noi di MTV vi proponiamo una compilation dei loro brani più celebri con tanto di introduzioni tratte direttamente dagli appunti, scritti di proprio pugno, della cantante Ophelia Withmore, appunti annotati in un moleskine blu che di recente è stato venduto ad un'asta per la bellezza di 5.300 sterline.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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bumblebee

Traccia 3


Bumblebee – 4.14

 12 Dicembre

 

Il rumore della pioggia era un contorno perfetto al caldo del letto di Turner. Abbracciai più forte in cuscino che sprigionò una folata di profumo. Sorrisi, affondandovi il viso.

"I'm caught up in love, and I'm in ecstasy
What can I do now, when nothing's the same?"

Lo sentii avvicinarsi, ma non mi mossi. Lentamente le lenzuola mi scivolarono via dalle spalle e una mano calda le sostituì. Turner percorse l’intera lunghezza della mia schiena con due dita. Seguendo la mia spina dorsale. Si fermò all’altezza dei reni.
«Hai una schiena bellissima» disse assorto.
«Ti piacciono le cose strane» dissi voltandomi verso di lui. Era su un fianco, faceva leva su un braccio per potermi sovrastare. Il lenzuolo  gli era scivolato fino sul fianco. Mi persi nella pallidità del suo petto nudo.

"And all that i know, I wanna do it again
Life is so simple when you are with me"

Turner non disse niente. Mi prese la spalla sinistra e la tirò verso di se costringendomi a voltarmi verso di lui. Prima che me ne accorgessi la sua bocca era già sul mio costato. Gli infilai le dita tra i capelli e chiusi gli occhi vittima del desiderio quando cominciò a lasciarmi dei baci seduttori sul seno.

Ogni volta mi stupivo di come una persona così pallida potesse essere così calda.

«A me piacciono le cose semplici» disse alzandosi per baciarmi.
«A te piace solo il sesso» ridacchiai e mi sistemai meglio sotto di lui.
«Potrebbe essere» sorrise ed io lo feci di rimando. Turner aveva uno strano potere su di me, non sapevo dargli un nome, ma quando ero con lui il mondo si fermava e scompariva.
Aveva la spaventosa facoltà di diventare il mio tutto.

"'Cause when we're together, I'm in ecstasy
I'm in ecstasy
I'm in ecstasy
I'm in ecstasy...."

 

 


 

 

Quando sentii suonare il citofono ero già pronta da ormai quarantacinque minuti. Anche se mentalmente non ero pronta affatto.
Anzi, non ero nemmeno sicura di quello che avevo deciso di indossare visto che non potevo immaginare dove Turner mi avrebbe portato a cena. Troppo elegante? Troppo poco elegante?
Forse facevo in tempo a….

Il citofono trillò di nuovo. Scattai: Presi la borsa e un lungo sospiro.
Al signorino non piaceva aspettare.
Scesi le scale con una strana foga che scemò subito quando notai che davanti al mio appartamento c’era solo un taxi.
«Tu sei Ophelia?» domandò un ometto sulla quarantina col viso nascosto da un berretto da baseball. Notai che aveva ancora il dito alzato vicino al mio campanello, se non fossi scesa probabilmente avrebbe continuato a suonare fino a chissà quando.
«S-Si?» più che una risposta la mia sembrava un’ulteriore domanda.
«Bene, andiamo» tentennai credendo che il tassista sconosciuto non si riferisse a me.
«Parla con me?»
«Sei tu Ophelia, no? Sono un amico di Al. Mi ha cortesemente ordinato di accompagnarti al ristorante» L’ometto, che non si era nemmeno presentato, fece cenno verso l’auto nera parcheggiata davanti a noi. Mi guardai intorno, aspettandomi che qualcuno da dietro una siepe sbucasse all’improvviso all’urlo di ‘BUSTEEED’ mostrandomi dov’erano le telecamere nascoste. Sì, perché quello doveva essere uno scherzo. Quella situazione non era per niente normale.
«Andiamo che se arriviamo tardi poi se la prende con me»
Decisi di cedere e fidarmi, dopotutto stavo per andare a cena con il frontman degli Arctic Monkeys, cosa poteva esserci di normale?
In macchina il tassista, che poi scoprì chiamarsi Joe, parlo a lungo di cose noiose. Mi poneva delle domande alle quali si rispondeva da solo. Non che me ne crucciassi, anzi, non avevo nessuna voglia di parlare. Mi resi conto che sentivo una certa eccitazione allo stomaco, anche se non volevo ammetterlo, avevo voglia di vedere Turner. Volevo imparare a conoscerlo, perché da sua fan, mi ero fatta un’idea alquanto romanzata su di lui. Sentivo il bisogno di capire se quel comportamento da sbruffone era solo una montatura, ma ogni volta che credevo di aver inteso il suo modo di ragionare ecco che Turner cambiava improvvisamente come uno sbuffo di fumo di sigaretta.

 

 

Non riconobbi il ristorante che Joe mi aveva indicato, ma eravamo rimasti in auto per almeno quaranta minuti quindi non mi stupii.
«Rockstar sushi bar» lessi.
Sorrisi tra me e me “Rockstar”, Turner, davvero?
Il posto non sembrava smodatamente estroso, l’insegna bianco-rossa non era nemmeno troppo appariscente, non che mi aspettassi mi portasse da Scalini, ma un sushi bar mi pareva un po’… scialbo?
Tuttavia, appena misi piede all’interno del locale le mie impressioni vennero subito smentite. Il posto era bellissimo, molto giapponese ovviamente, ma lo stile era moderno e pulito. Una attraente donna in kimono rosso mi si avvicinò dedicandomi un sorriso abbagliante.
«Posso aiutarla?» oh, amavo l’accento giapponese.
Tentennai. Non sapevo bene cosa dire, preferii evitare di fare il nome di Turner «Credo che qualcuno mi stia aspettando» dissi incerta.
«Mi dice il suo nome, per cortesia?» La donna estrasse dalle enormi maniche del suo abito una penna ed un quaderno rosso anch’esso. La guardai accigliata, come poteva stare lì dentro?
Insomma voglio dire, quelle maniche non erano così grandi…
«Signorina?»
«Si?»
«Il nome»
«Ah… Ly-Lyla» borbottai imbarazzata. La donna non si scompose.
«Non abbiamo nessuna Lyla»

Sgranai gli occhi «No?»
«No»
Il panico mi prese lo stomaco. Per un attimo pensai di scappare fuori nella speranza che Joe non se ne fosse già andato.
E se questo fosse solo un brutto tiro di Turner? magari ora era nascosto da qualche parte a ridere di me.
O magari, molto semplicemente, mi aveva preso in giro.

E ora? Mi domandai con quasi le lacrime agli occhi. Non potevo sopportare l’idea che lui non fosse venuto, il mio orgoglio e la mia autostima non mi avrebbero dato tregua se fosse davvero stato così.
Proprio mentre credevo di essere in caduta libera «Ophelia» quasi strillai. La giapponese fece uno scatto all’indietro, decisi di non curarmene «Cerchi: Ophelia» ripetei sperando di avere ragione.

La cameriera fece scorrere gli occhi sul quaderno. L’ultima volta che mi ero sentita così nervosa davanti ad una donna con un libro è stato quando ho dato il mio GCE.
Il sorriso sul volto della giapponese si fece ancora più grande quando, finalmente, trovò la mia prenotazione. «Mi segua, prego»
Attraversammo tutta la sala, senza fermarci. Mi stava portando nelle cucine?
Proprio quando stavo per chiederglielo, imboccammo una scaletta a chiocciola nascosta dal resto della sala. Arrivammo direttamente in una stanzetta arredata come il resto del locale, ma meno illuminata. Il tavolo era accanto alla finestra e Alex Turner guardava fuori assorto nei suoi pensieri di poeta.
Capii che quella stanza doveva essere stata espressamente richiesta proprio da lui, che mi regalò un sorriso istintivo appena i nostri occhi si incontrarono.
«Ce ne hai messo di tempo»
«Il tempo è relativo»
«Vero» concordò «probabilmente avevo solo voglia di vederti» abbassai lo sguardo, consapevole che quella non sarebbe stata l’ultima volta che lo facevo.
Don Giovanni del cazzo.

Finalmente la cameriera se ne andò lasciandomi sola con lui. Mentre mi toglievo la giacca, Turner si alzò per scostarmi la sedia accanto a lui, ma io mi sedetti di fronte.
Sorrise ironico.
«Come vedi» cominciò una volta seduto «mantengo le promesse. Ti ho portato a cena» Feci un mezzo sorriso. Certo, l’ultima volta che l’avevo visto era stato meno di una settimana prima, ma il suo invito a cena era arrivato al nostro primo incontro: quasi tre mesi fa.
«Con tre mesi di ritardo» gli ricordai, infatti.
«Dettagli trascurabili» fece un cenno stizzito della mano.
Mi guardai intorno. L’atmosfera era più romantica di quanto mi sarei aspettata. Deglutii a vuoto ricordandomi del motivo per cui avevo accettato il suo invito: farci vedere insieme. Facile a dirsi, ma Turner sembrava aver preso tutte le premure possibili.
«Joe si è comportato bene?» domandò rompendo il silenzio.
«Ha parlato tutto il tempo»
«Tipico»
«Mi aspettavo venissi tu» azzardai.
«Ho preferito evitare le solite… seccature» capii che si riferiva ai paparazzi. Ottimo. Come cavolo sarei riuscita a farci beccare se lui partiva così già dal primo appuntamento?
«Avresti potuto avvisarmi»
«Mi piacciono le sorprese»
«A me no» precisai. Turner sogghignò alzando le mani in segno di resa.
«Pardon» disse con tono strascicato.
Notai solo ora che portava gli occhiali da sole. Caratteristico di Turner indossarli nei posti chiusi e poco illuminati. Lui era sempre così perfettamente studiato che mi sembrava di finire in uno dei videoclip di AM ogni volta che lo guardavo.
Portava il ciuffo perfettamente spettinato.
La bocca perfettamente socchiusa.
La camicia perfettamente sbottonata.
Quest’ultima mi stava dando dei problemi. Era una semplice camicia rosa antico, ma il modo in cui la indossava. Mio Dio. Potevo vedere il suo busto e ogni volta che si muoveva avevo un assaggio del suo pettorale, ma la camicia perseverava con ostentazione a precludermi la vista del capezzolo. Era ridicolo eppure quella danza di seta mi stava facendo innervosire. Non che io abbia mai avuto un culto singolare per i capezzoli maschili, ma il sapere che era lì e che non potevo vederlo mi torturava. Si trattava di una questione di millimetri, potevo quasi distinguere il punto preciso dove la pelle cominciava ad incupirsi attorno all’aureola, ma niente! Sembrava che anche le pieghe della sua camicia fossero perfettamente studiate. Il fastidio era tale che mi sembrava di essere appoggiata ad un muro di pietra e che una delle rocce mi si puntasse in mezzo alle spalle.

 

Mi resi conto dell’assurdità della situazione, era lui che doveva fissarmi il decolté e non il contrario! Eppure non potevo farne a meno. Turner era come un fuoco, ammaliante, ipnotico e dichiaratamente pericoloso.
Si mosse di nuovo e io capii che dovevo farlo smettere.
«Puoi abbottonarti la camicia?»
Aggrottò le sopracciglia e mi guardò stranito «Come scusa?»
«Per l’amor del cielo abbottonati la camicia!» sbottai distogliendo lo sguardo che era stato di nuovo catturato dalla sua pelle pallida.
«Questa sì che è una richiesta strana» disse allacciandosi un bottone.
Bè si era sprecato
.
«Altre richieste?» decisi di cogliere la palla al balzo.
«Via gli occhiali» mi rispose con una smorfia da bambino, ma non mi arresi «via» insistei.
Quando cedette rimasi stupita dal vedere sul suo viso delle profonde occhiaie nerastre. Aveva le pupille dilatate e gli occhi stanchi, ma dormiva quell’uomo?
«Anche io avrei una richiesta» alzai un sopracciglio facendogli intendere che poteva continuare. «Vieni più vicino» 
Col piede scostò la sedia che avevo ignorato poco prima. Smisi di respirare per un paio di secondi.
«Se stiamo di fronte è più comodo parlare» dissi cercando una scusa.
«Da lì non sento il tuo profumo» Cosa potevo rispondere a questo?
Lo accontentai.

Mi accomodai, l’odore di tabacco misto ad un costoso dopobarba mi colpì come uno schiaffo. I miei sensi sembravano tutti all’erta, come se mi fossi buttata in una pozza d’acqua gelata. Quel profumo, lo potevo quasi sentire mentre si attaccava alla mia pelle. Centimetro per centimetro. 
«Sai quando un uomo scosta la sedia ad una donna, lei è tenuta a sedersi sulla sedia che lui le ha gentilmente scostato. Proprio quella.» puntualizzò riferendosi a poco prima.
«Altrimenti lui la minaccia di tenere gli occhiali da sole per tutta la serata?» Piegò la testa di lato e sghignazzò.
«Non permettendomi di fare il cavaliere hai messo in dubbio la mia virilità»
Sorrisi e feci di no con la testa.
«Turner»  parlai come se stessi spiegando ad uno studente che il brutto voto non era frutto della complessità della materia, ma della sua poca attitudine allo studio. «sei un uomo, di un metro e ottanta scarso» feci scorrere lo sguardo su di lui, fingendo di soppersarlo «peserai sì e no 70 kg, e oltretutto, hai addosso una camicia rosa. Se tra di noi c’è qualcuno che mette in dubbio la tua virilità: non sono io»
Rimase zitto per un po’, poi aprì la bocca e strizzò gli occhi «ouch» disse portandosi una mano sul cuore «questa fa male»
«Quale parte?» mi lasciai scappare un sorriso che cercai di fermare mordendomi il labbro inferiore.

«I 70 kg» spiegò «ne peso 65! Dove me li vedi 5 kg in più?» Verso la fine della frase scimmiottò una cadenza omosessuale che mi fece scoppiare a ridere.
La sua risata non si aggiunse alla mia. Si limitò a sorridere, appagato dall’avermi fatto ridere per la prima volta da che ci eravamo conosciuti.
Quando tornai seria i nostri occhi si incontrarono in un minuto vuoto. Non eravamo più al Rockstar Sushi Bar  non eravamo più da nessuna parte. Si bagnò le labbra e quel semplice gesto mi parve così sessuale che non ebbi la forza di respirare. Mi passai una mano sul collo, stringendomi nelle spalle e abbassai lo sguardo. Ero arrossita.
Se mai un giorno qualcuno mi avesse chiesto di descrivere Alex Turner in tre aggettivi, da quel momento seppi, che carnale avrebbe fatto parte di quel gruppo.

 

Nonostante la testa china sentivo che mi stava ancora guardando. Questa situazione non prometteva nulla di buono. Io ero lì con uno scopo! Non dovevo distrarmi. Eppure non riuscivo a capacitami di come quei maledetti occhi neri mi piacessero così tanto.
Forse era l’idea di piacergli che mi affascinava? Credo che fosse il desiderio sporco col quale mi guardava. Era la lussuria di quello sguardo che mi faceva sentire un beat nella testa. All’improvviso avevo un’idea che mi rimbalzava contro le pareti della mente e volevo darle delle parole.
Sentivo il bisogno inguaribile di scrivergli una canzone.

 

Eravamo in silenzio da un paio di minuti ormai. Dovevo dire qualcosa oppure quel ritmo che avevo in testa mi avrebbe fatto impazzire. Non mi lasciava nemmeno lo spazio per pensare.
Finsi di interessarmi alla gente che passava fuori dalla finestra «Perché mi hai portato qui?» Scosse la testa, come se lo avessi ridestato da un non so quale pensiero.
«Mi sei sembrata una tipa da sushi e qui fanno quello migliore di tutta Londra» appoggiò un gomito sul tavolo e si avvicinò «Ti piace il sushi, Ophelia?»
Io adoravo il sushi.
«Non mi fa schifo» mi scostai leggermente da lui «Ho un’altra richiesta: Non chiamarmi Ophelia»
Turner fece un’espressione strana, come il principio del broncio di un bimbo. «Ma è un nome così bello»
«A me non piace»
«E’ poetico, bohémienne!»
«Non mi piace!» mi impuntai.
Turner sbuffò e con naturalezza prese a giocare con una ciocca dei miei capelli. «E come dovrei chiamarti, sentiamo?» Appoggiò il viso alla mano con la quale non era impegnato a mandarmi brividi per tutto il corpo.
«Lyla»
Mi abbagliò con un sorriso «She’s the queen of all I’ve seen.» canticchiò «Sei quella Lyla?» Avrei dovuto aspettarmi il riferimento agli Oasis da uno che era cresciuto a pane e accordi di chitarra. Non era di certo il primo che me lo faceva notare ed io mi ero scelta quel soprannome di proposito, ma comunque mi lasciò muta. Cosa mi stava facendo? Turner era il ragno ed io la sua preda. Mi sentivo come se ogni suo gesto fosse un filo aggiunto alla tela che mi stava costruendo attorno. Ma perché?
Deglutii a vuoto ed abbassai lo sguardo.
«Alex, perch…»

 

«Siete pronti per ordinare?»
Alzai la testa con uno scatto, ma quando accidenti era entrata la cameriera? Con un gesto rapido liberai i miei capelli dalle dita magre di Turner, che mi guardò contrariato, ma non si scompose più di tanto.
«Ehm..» borbottai aprendo per la prima volta il menù. Possibile che mi fossi dimenticata che eravamo in un ristorante e che in un ristorante bisogna scegliere cosa mangiare? Cazzo, io ci lavoravo in un ristorante! «Io…. non so» Tutta, tutta colpa di Turner e della sua voce da incantatore di serpenti! Ogni suono che usciva dalla sua bocca mi leccava il lobo dell’orecchio e scivolava verso il timpano con un fremito.
«Ci porti un po’ di tutto» si risolse l’uomo e la voce dei miei pensieri. Lo guardai accigliata, il suo tono si era fatto stranamente scortese.
«Certo» fece la cameriera esibendosi in un inchino prima di scomparire giù per le scale.
Stavo ancora guardando la strana acconciatura della giapponese che si inabissava al piano di sotto quando Turner richiamò prepotentemente la mia attenzione: Mi prese il mento tra pollice e indice facendomi voltare verso di lui.
«Cosa stavi dicendo prima che ci interrompesse?» Scossi la testa, stupita dal suo comportamento. Ora non ero più sicura di voler toccare quell’argomento.
«Non era importante»
«Voglio saperlo» ordinò con un tono brusco che con me non aveva mai usato. «Per la prima volta mi hai chiamato per nome, quindi doveva essere importante» Lo guardai indecisa, cercando di capire cosa gli stesse passando per la mente. Speravo che qualcosa nel suo atteggiamento lo tradisse, ma lui sembrava sempre impassibile e annoiato.
La mano che poco prima giocherellava coi miei capelli ora giaceva, abbandonata, accanto al piatto. Notai un tremolio nervoso del quale non riuscì ad immaginare la causa. Sembrava che qualcosa lo turbasse. Per un momento credetti che non stesse bene, ma un tremore alla mano non era di certo sintomo di influenza.
Non so se Turner si accorse della mia attenzione verso la sua mano, fatto sta che la nascose sotto al tavolo.
«Ti piace farti pregare» constatò «peccato che a me piaccia quando le persone fanno quello che dico»
«Sei un prepotente»
«Può darsi, ma ho imparato che i prepotenti ottengono sempre quello che vogliono»
«E dire che io pensavo fossi uno timido»

«Cosa te lo fa pensare?» mi morsicai l’interno della guancia. Perché cazzo avevo detto una cosa del genere? Cosa potevo rispondere? Che lo avevo letto su internet perché avevo passato il pomeriggio a scrivere “Alex Turner” su Google?
Sorrise sghembo. Aveva capito di avermi colto in fallo «Sai, Lyla, a volte Wikipedia mente»
Chiusi gli occhi per qualche secondo e lasciai che tutta l’aria all’interno dei polmoni mi uscisse dal naso. Forse speravo di morire sul colpo e salvarmi dalla plateale figura di merda che avevo appena fatto.
Purtroppo respirai.
«Sai, Turner, a volte le persone mentono» mi sorrise compiaciuto della risposta che gli avevo dato e sinceramente anche io ero abbastanza fiera di me stessa. Mi era uscita una risposta sagace e non ci avevo nemmeno pensato troppo. Forse era proprio grazie a Turner. L’essere ambigui e misteriosi doveva essere contagioso.
Di nuovo ci incantammo l’uno nel viso dell’altra ed i nostri sguardi si separarono solo quando la donna col kimono ci mise due piatti stracolmi di sushi sotto al naso.
«Servitevi pure» Turner le rispose con un cenno della testa.

 
Stavo morendo di fame, ma con le perle nere di Turner che seguivano ogni mio movimento mi sentivo un po’ a disagio a mangiare.
«Perché mi fissi così?» domandai quando il mio stomaco ebbe la meglio sull’orgoglio.
Si lasciò andare contro lo schienale della sedia e prese a giocherellare con una delle bacchette che ci avevano portato.
«Perché mi piaci, Lyla» ammise con tono scocciato, come se il fatto che non lo avessi capito da sola gli desse noia «ma mi fai anche un po’ paura»
«Ah si?» suonai volutamente molto incredula «temi che diventi come Annie Wilkes
«Fino a che non trovi un martello sono al sicuro»
«Ne ho giusto uno nella borsa»

Lasciò uscire forte l’aria dal naso e fece un mezzo sorriso. «Ho paura di te, Lyla, perché sembri uscita da una delle mie canzoni»








Cornerstone


Chiedo umilmente perdono. Faccio un mea culpa con tanto di inchino e chiedo venia. Purtroppo me ne sono successe di ogni in questi giorni. Pensate che il capitolo era pronto per il 19, ma il mio computer ha deciso di morire. Aggiungeteci le feste di natale e il tempo per riscriverlo sul computer di mio padre ed ecco spiegato il tremendo ritardo. Chiedo scusa davvero.
Per farmi perdonare ho messo la slice of life più sconcia tra le bozze che avevo (buongustaie!) e ho anche deciso di dividere il capitolo in due parti. Riscrivendolo, infatti, mi sono venute in mente nuove idee e siccome da questo incontro dovrebbero delinearsi i carattere dei miei personaggi (ah! magari Turner fosse mio) ho pensato di dedicarvi più tempo.
Spero che questo capitolo vi piaccia e vi ringrazio per le recensioni alle quali corro a rispondere e a chi ha messo la storia tra le preferite/seguite ho visto che siete aumentati e questo non può fare altro che rendermi felice!

La canzone di questo capitolo è Bumblebee, ancora dell'ultimo album dei Kasabian, personalmente ad un primo ascolto mi sembrava solo una gran miscellanea di rumori, ma ora la adoro con tutto il cuore! Spero che piaccia anche a voi!

P.s. Non sono sicura che vi serva, ma se non sapete di cosa parlano non potete capire la battua: Nell'ultimo dialogo Alex e Lyla fanno un gioco sul nome "Annie Wilkies" che è una dei protagonisti del romanzo di Spielberg "Misery non deve morire" la battuta del martello si rifà a Annie che per non lasciar scappare il suo scrittore preferito (lei si considera la sua fan numero uno)         *SPOILER ALERT*      decide di rompergli entrambe le caviglie con un martello.

Vi saluto e vi auguro un buon anno <3

  
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