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Autore: Kira05    30/12/2014    1 recensioni
La guerra contro Gea e i Giganti si avvicina. I sette semidei della profezia stanno ritornando al Campo Mezzosangue quando incontrano una nuova semidea. La ragazza non sembra avere niente di speciale, ma presto i versi della famosa profezia si riveleranno inesorabilmente legati a lei.
Sarà Katja a portare il mondo incontro alla propria fine? Riuscirà a mantenere il giuramento fatto? La battaglia tra Greci, Romani e Giganti sta per avere una svolta che nemmeno l’Oracolo poteva prevedere.
Tratto dalla storia:
“Lo fissò dritto negli occhi: Nico poteva vedere i suoi fiammeggianti di rabbia e traboccanti di lacrime non piante. “Non m’importa,” gli disse “non m’importa ciò che vuoi dirmi, ne ciò che pensi: ho fatto una promessa e ho intenzione di mantenerla.”
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Una storia triste

 



Appena addormentata, Katja cominciò subito a sognare. In realtà fu più una specie di flashback, un ricordo che continuava a tormentarla. 

Si trovava nell’ospedale di Milano. Medici e pazienti le passavano di lato degnandola a malapena di uno sguardo mentre lei camminava fissa davanti a se. Con la borsa della scuola sulle spalle e un libro stretto in braccio, si dirigeva verso il reparto per malattie terminali. Percorse il lungo corridoio fino ad arrivare alla stanza 406. Si fermò davanti alla porta, indecisa se entrare oppure no. Alla fine, preso un respiro profondo, abbassò la maniglia ed entrò gentilmente, chiedendo permesso. La stanza era occupata da un solo lettino e una sedia posta lì a fianco. Una forte luce entrava dalla finestra chiusa, illuminando la donna seduta sul letto: era magra e pallida, i capelli castani ricadevano in disordine sulle sue spalle ossute, gli occhi spenti e fissi sul triste panorama che la finestra offriva, il cortile dell’ospedale e l’altra ala dell’edificio. La donna se ne stava immobile in silenzio e sembrava non aver notato la presenza della ragazzina in stanza. Katja si avvicinò lentamente al lettino. 

- Mamma?- chiamò.

Subito, la donna si ridestò dal suo stato di trance per voltarsi verso l’origine della voce. Quando vide la figlia, un lieve sorriso venne a formarsi sulle sue labbra.

- Ciao, cara - la sua voce era, al contrario di quello che si poteva immaginare, forte e sicura. - Com’è andata a scuola?-

Katja scosse le spalle:  - Il solito…tu, invece? Oggi stai un po’ meglio? -

- Certo - rispose sorridendo la donna, ma ormai la figlia aveva imparato a leggere oltre quel sorriso falso e sapeva quanto dolore celava.

- Sono venuti i medici? - domandò allora Katja.

- Sì… - sussurrò la donna.

- E cosa ti hanno detto?

- Le solite cose: non essendo sicuri di quello che ho, preferiscono aspettare prima di intervenire seriamente.

Katja lasciò cadere pesantemente la borsa a terra.

- Com’è possibile? – esclamò - Come fanno a non capire?

- Calmati Katja… - intervenne l’ammalata.

- No, mamma non mi calmo! Qui c’è in gioco la tua vita e loro non fanno altro che rimandare le cure. Sono dei vigliacchi: mentre tu sei qui già da un mese ormai, loro se ne infischiano e continuano a vivere la loro vita ignorandoti, senza nemmeno provare ad aiutarti! Che razza di medico è uno che..!

- Adesso basta Katja! - la interruppe la madre.

Katja si zittì all’istante: odiava arrabbiarsi così in presenza di sua madre e se ne vergognava moltissimo. 

- Scusa - disse timidamente.

La donna espirò profondamente, poi, quando fu sicura di aver recuperato tutta la calma, disse con il tono più dolce che conosceva: - Siediti, per favore, c’è una cosa molto importante che ti devo dire. Sei ormai abbastanza grande, infatti, per sapere la verità. 

Incuriosita, Katja si sedette sulla sedia, pronta ad ascoltare ciò che la madre aveva da dirle.

Vedendo la figlia attenta, la donna cominciò: 

- So di non averti mai raccontato molto di tuo padre e mi dispiace che tu non l’abbia potuto conoscere. Ti ho sempre detto che ci siamo conosciuti quando ero in vacanza in America e che lui era di origini italo-greche. Tutto ciò, mia cara, corrisponde pressappoco alla verità.

- Che intendi dire? - la interruppe la figlia dubbiosa.

- Ascoltami attentamente: quello che sto per raccontarti può sembrare assurdo, ma è la pura verità e , ti prego, devi credermi, ne va della tua incolumità. Vedi, tuo padre è un dio immortale, più precisamente un dio olimpico.

Katja era sbalordita: che la malattia fosse peggiorata e sua madre fosse impazzita? Ignorando lo sguardo stupito e spaventato della figlia, la donna continuò: 

- Io all’inizio non lo sapevo, me lo raccontò solo quando gli dissi di essere incinta. Mi disse che nostro figlio non sarebbe stato un comune mortale, ma un semidio, con poteri e capacità sovrumani, ma anche con un terribile futuro, pieno di mostri e pericoli. L’unico modo per farlo sopravvivere sarebbe stato mandarlo al Campo Mezzosangue o una cosa del genere. Lì sarebbe stato addestrato per diventare un eroe e avrebbe potuto avere un futuro. Ovviamente mi arrabbiai, pensando che mi  stesse prendendo in giro.

Katja era sconvolta. 

- E lui? Cosa ti ha risposto? - riuscì a chiedere.

- Niente. Prima di sparire per sempre mi disse che lui sarebbe riuscito a proteggerti fino al tuo sedicesimo anno di età, che sarà fra una settimana esatta.

Katja sentiva le goccioline di sudore scenderle lungo la schiena. La sua gola era secca, ma non c’erano bottiglie d’acqua in stanza. Non capiva. Non riusciva a capire niente della storia che le aveva raccontato sua madre. Era così assurda e confusa che non poteva essere vera, era troppo irreale. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento e il suo corpo era scosso da forti tremori. Poi sentì una stretta fredda alle mani. Katja alzò gli occhi verso sua madre, che stringeva forte le mani della figlia. 

- Lo so che questa storia può sembrare assurda, ma è la verità, devi credermi! - disse la donna guardandola in faccia, disperata.

- Io…io ti credo, - rispose Katja, stupendosi delle sue stesse parole - ma anche così non ha senso. Chi è mio padre? Chi sono io veramente? Sono una specie di mostro per caso?

Nonostante il suo tentativo di fermarle, abbondanti lacrime cominciarono a scendere e rigare le guance della ragazza. Tutto ciò non poteva essere vero. Tutto quello che stava vivendo doveva essere un sogno, o meglio, un incubo. La madre le sorrise con tenerezza.

- Tu sei e resterai sempre Katja Giardini, la mia bambina, e questo non cambierà mai.

Mentre diceva queste parole, la donna tirò più vicino a se la figlia e la strinse in un caloroso abbraccio. Katja si lasciò coccolare e continuò a piangere in silenzio, finendo per bagnare il camice della madre. Alla fine sciolse l’abbraccio e, guardando negli occhi la madre, le chiese: 

- Adesso quindi cosa devo fare?

- Penso sia ora di cercare questo famoso Campo. Se è vero ciò che mi disse tuo padre, presto la tua vita e quella delle persone che ti circondano saranno in grave pericolo. - Vedendo però quanto sua figlia fosse spaventata, le disse per rassicurarla: - Comunque non preoccupiamocene proprio ora, abbiamo ancora una settimana di tempo!

Katja le sorrise grata. 

- Vediamo, invece, il libro che mi hai portato questa volta. - continuò la donna.

La ragazza lo raccolse da terra dove era caduto e lesse il titolo ad alta voce: “Piccole donne”. 

- Ah beh, uno dei miei libri preferiti! Saresti così gentile da leggerlo ad alta voce? Mi sento troppo stanca per leggerlo per conto mio…

Così Katja cominciò a leggere sotto lo sguardo fisso della madre, facendo prendere vita ai personaggi del libro e catapultandole in un altro mondo, dove dei e semidei non erano altro che miti antichi. Katja continuò a leggere fino a che gli occhi della madre non si chiusero e la luce si tinse dei colori del tramonto. Solo allora la ragazza richiuse gentilmente il libro e, senza fare rumore, si alzò dalla sedia, raccolse le sue cose, diede un bacio in fronte alla madre e uscì dalla stanza, pronta per tornare a casa e cucinare la cena. Quella fu l’ultima volta che vide sua madre. Morì, infatti, la stessa notte, nel sonno. I medici si scusarono con i famigliari, dicendo che avevano fatto il possibile, ma Katja sapeva che non era così e per questo non li perdonò mai. 

Il sogno cambiò: ora si trovava in cima a un’arida collina: sotto di lei marciava un enorme esercito, con uomini in armature antiche ed enormi scudi. Era una scena sbalorditiva e Katja rimase con la bocca aperta a osservarla.

-  Hai visto?- le disse un voce vicina. Solo allora la ragazza si rese conto di avere compagnia: una donna di mezza età stava guardando vicino a lei il panorama. La cosa inquietante? Quella donna era fatta di terra e, quando si voltò a guardarla in faccia, Katja vide che i suoi occhi erano scuri e privi di ogni emozione, celati dietro un sottile velo terroso. La donna le sorrise: - Ammira l’esercito che sta per portare una nuova guerra civile! Sangue e lacrime bagneranno il suolo, il mio suolo; dolore e morte segneranno un nuovo capitolo della storia. Tu, cara la mia bambina, sei l’unica che può evitare il massacro.

Katja stava per chiederle spiegazioni, per domandarle chi fosse e cosa centrasse lei in una guerra, ma all’improvviso divenne tutto buio.

 

 

Si svegliò con le lacrime agli occhi e un forte mal di testa. Si mise a sedere sul letto e sospirò: quanto le mancava sua madre, con il suo sorriso dolce e le sue maniere affettuose. E sua zia. Quando i suoi pensieri corsero a lei, Katja cercò subito di scacciarli dalla mente. Era rimasta un po’ a riflettere sul suo sogno, quando qualcuno la chiamò.

-  Ehi, vedo che sei sveglia! Hai riposato bene? – disse Piper, entrando nella stanza con degli asciugamani puliti. La ragazza era vestita con i soliti jeans e una semplice maglietta, ma i capelli adesso erano sciolti, tenuti indietro da alcune treccine. Guardando Katja sembrava essere molto preoccupata e la ragazza si domandò il perché. 

- Benissimo grazie – rispose Katja, tentando di essere il più convincente possibile, ma Piper la guardò di traverso.

- Se lo dici tu – replicò, appoggiando gli asciugamani sulla scrivania.

- Sai, –continuò – hai dormito per molto tempo e non sei stata tanto bene.

- Quanto tempo? – domandò Katja.

- Cinque giorni e sei notti.

- Così tanto? – si sorprese l’ospite e Piper le rispose: - Sì e, come ti dicevo, sei stata anche male nel frattempo, ma fortunatamente adesso stai meglio e questa è la cosa importante! Comunque, qui ci sono dei vestiti puliti e degli asciugamani: quando sarai pronta, vieni su che è già ora di cena!

Ma la ragazza nel frattempo era già scesa dal letto e si era data un’occhiata allo specchio. La vista che aveva avuto non doveva esserle piaciuta molto, perché Piper la vide sbiancare un poco e non poté fare altro che compatirla: la ragazza aveva una quantità indefinita di cicatrici biancastre di tutte le forme e misure sulle gambe e le braccia e i bei capelli mossi e castani erano diventati un nodo unico; durante la malattia era dimagrita parecchio e adesso sembrava ballare nel suo pigiama da tanto gli era diventato grande. Piper e le ragazze avevano fatto il possibile per rimetterla in forma: infatti, mentre i ragazzi combattevano contro mostri di ogni genere durante il viaggio di ritorno, loro erano rimaste sottocoperta per la maggior parte del tempo, curandole le ferite, cambiandole la pezza per la fronte e assicurandosi che la febbre non salisse. La maggior parte delle cicatrici sarebbe sparita di lì a poco grazie agli effetti benefici del nettare, ma ne sarebbero rimaste comunque parecchie e, per farle riprendere un po’ di forma fisica, ci sarebbe voluto un po’ di tempo. La ragazza aveva comunque mantenuto un po’ del fisico atletico che aveva avuto una volta e, Piper ne era sicura, dandole una bella spazzolata ai capelli sarebbe ritornata come nuova. O quasi.

La figlia di Afrodite le fece un sorriso incoraggiante: - Bene, ti lascio prepararti in pace…

Stava già per uscire dalla stanza quando la ragazza parlò.

-  Sono un vero disastro – disse. Piper fu sorpresa di questo suo intervento. Si voltò e la guardò seria, ma non poté fare a meno di provare tenerezza per lei.

-  No che non lo sei, penso tu ti debba solo sistemare un po’ i capelli e poi vedrai che ritornerai come prima!

Notando che la ragazza non sembrava molto convinta, le disse: - Non ti preoccupare, ci penserò io!

Piper mise una sedia di fronte allo specchio e vi fece accomodare Katja, poi prese una spazzola e cominciò a pettinarle i capelli. Inizialmente l’altra si sentiva piuttosto in imbarazzo, ma le chiacchiere di Piper, che non aveva mai smesso di parlare, la misero presto a suo agio. Mentre la figlia di Afrodite le spazzolava i capelli, le sembrò di ritornare a casa, dalle sue cuginette, che adoravano pettinarle i capelli, creando acconciature bizzarre. Piper le raccontò del Campo Mezzosangue, delle loro avventure per sconfiggere Gea, del Campo Giove. Non raccontò mai i dettagli, non sapendo ancora se si poteva fidare completamente di lei, ma il suo istinto le diceva che quella ragazza non era malvagia, né tanto meno una spia. Katja ascoltava attenta, incantata da quel mondo pieno di magia. A un certo punto Piper annunciò: 

-  Bene, ho finito! Che te ne pare?

Katja era sbalordita: ora i capelli le ricadevano in morbide ciocche sulle spalle, incorniciandole delicatamente il viso.

- Non so proprio come ringraziarti!

- Ma figurati! Ora finisci di vestirti, così poi raggiungiamo gli altri, ok?

 

 

 

 

Uscita di nuovo all’aria aperta, Katja fu contenta di rivedere la luce del sole. Tutti i suoi nuovi compagni erano sul ponte: Leo ai comandi, Frank vicino a Hazel e Nico che guardavano oltre il parapetto, Annabeth, Percy e Jason che discutevano su una futura strategia. Katja rimase come incantata: le sembrava di essere finita in un altro mondo. Era rimasta talmente imbambolata, che non si accorse di una figura bassa e tozza che stava per saltarle addosso fino a quando non se la trovò di fronte, ma fu abbastanza rapida da evitarla all’ultimo. La figura gridò “A morteeee!”, un grido di battaglia davvero molto carino e originale, e si schiantò contro il parapetto. Si rialzò subito in piedi, o almeno, sulle zampe. Katja pensò di essere ancora rintontita dal sonno, così si strofinò gli occhi e ritornò a fissare l’omino: no, non stava avendo delle allucinazioni, quell’essere era davvero metà uomo e metà capra! Katja si sforzò di ricordare dove aveva già sentito parlare di creature del genere: in teoria, pensò, questo dovrebbe essere un fauno, ma non mi sembra un tipo da saltellare per i prati raccogliendo margherite…eppure io credevo fossero tutti così!, pensò.

–Intruso! C’è un intruso sulla nave! – gridò quello.

Stava per avventarsi di nuovo contro di lei, ma Frank e Jason lo trattennero per le braccia.

-  No, Coach, non è intruso! È la semidea che abbiamo salvato, si ricorda? Glielo abbiamo già raccontato!

Il satiro digrignò i denti, ma alla fine smise di opporsi e i due ragazzi mollarono la presa. 

-  Va bene... ma se scopro che è un nemico allora ci penserò io a darle una lezione. È chiaro, ragazzina?

Katja per poco non scoppiò a ridergli in faccia: non riusciva a prenderlo sul serio, non con quella grossa pancia da Babbo Natale!

Leo la chiamò dai posti di comando:

-  Buongiorno Bella Addormentata! Dormito bene, eh? Ora che sei sveglia posso finalmente darti il benvenuto ufficiale sull’Argo II! Io sono Leo, il comandante supremo, e questi qui sono tutti i miei sottoposti!

Piper roteò gli occhi, visibilmente esasperata, ma non disse niente. Gli altri salutarono la nuova arrivata con fare più contenuto, anche se qualcuno, in particolare il ragazzo dagli occhi verde mare, le rivolse un sorriso sincero. D’un tratto calò un silenzio pesante: quell’interruzione aveva colto di sorpresa tutti. Fu Hazel a rompere il silenzio per prima.

-  Che ne dite se andiamo a mangiare?- propose.

-  Buona idea! In effetti comincio a sentire i crampi allo stomaco – rispose Percy- Coach Hedge, perché non scende di sotto a preparare la tavola?

Il satiro gli rivolse un’occhiata truce: - Ma certo! Prima devo farvi da babysitter, adesso devo prepararvi da mangiare….volete anche che vi pulisca il sedere, visto che ci siamo?

-  Coach, io non intendevo….- disse Percy, visibilmente dispiaciuto, ma il satiro se ne era già andato offeso. 

-  Bene! –intervenne Annabeth- Il viaggio in fondo non sta andando così male: manca meno di un giorno e arriveremo al Campo. Inoltre, sono già riuscita ad avvertire Chirone di un nuovo arrivo!

Sembrava molto compiaciuta. Katja fece mente locale su chi diavolo fosse Chirone. Poi si ricordò: il centauro.

-  Non vedo l’ora di tornare a casa! – disse con aria sognante Percy, poi si rivolse ad Hazel e Frank – Vedrete, vi piacerà un sacco!

Il ragazzone cinese rispose con un sorriso poco convinto: ora che lo vedeva meglio, Katja notò che era davvero alto, con due braccia che avrebbero potuto spezzare il collo di chiunque senza il minimo sforzo. O almeno, questa era l’impressione che aveva lei.

Jason però sembrava poco contento della notizia:  - Io eviterei di festeggiare troppo in fretta: Gea risorgerà fra tre settimane, i Romani stanno per dichiarare guerra e non sappiamo se Arion è arrivato a destinazione con l’Athena Parthenos. 

Piper gli mise una mano sulla spalla: -  Io invece penso dovremo essere più ottimisti: ci abbiamo messo solo una settimana per tornare a casa, mentre all’andata il viaggio era durato molto di più! E poi gli attacchi dei mostri sono diminuiti: forse Gea e i Giganti si stanno indebolendo, forse le cose andranno finalmente per il verso giusto.

Jason non replicò. Nessuno in realtà credeva alle parole di Piper, lei per prima: non poteva essere diventato di colpo tutto così facile, ci doveva essere qualcosa sotto, ma era bello poter credere almeno per un po’ che finalmente la fortuna stesse dalla loro parte. La voce del Coach Hedge che li chiamava dabbasso interruppe la riunione. Katja si sorprese della velocità con cui aveva cucinato il satiro: com’era stato possibile?

Annabeth diede l’ordine al Coach di rimanere sul ponte a controllare la situazione, poi scese sottocoperta, seguita subito dagli altri. Imbarazzata, non sapendo cos’altro fare, Katja li seguì: era appena entrata nella mensa che già aveva trovato i piatti dei suoi compagni pieni e loro seduti per mangiare. Ogni piatto era riempito di una pietanza diversa, tranne il suo che era vuoto. Era in imbarazzo, perché si sentiva fuori posto, ma il sorriso rassicurante di Piper la tranquillizzò subito.

-  Vieni, siediti vicino a me. – le disse – Vedi Katja, questi sono piatti speciali: puoi decidere di mangiare qualsiasi cosa tu voglia e magicamente questa ti comparirà nel piatto. Prova!

Katja però non si era ancora seduta che Frank era saltato in piedi dal suo posto: 

- In realtà, ragazzi, prima di iniziare a mangiare penso sia meglio organizzare le difese: Jason ha ragione, il viaggio non è ancora concluso e Gea può attaccarci da un momento all’altro: occorre quindi organizzare…

- Oh andiamo, Frank! – la interruppe Leo – Rilassati! Siamo quasi arrivati a casa, noi siamo ancora vivi, la nave è ancora intatta e la nostra ospite non ci ha lasciati per passare a miglior vita.

-   In effetti, penso sarebbe anche ora di sapere un po’ di più su questa “ospite” – disse brusco Nico. 

Tutti si voltarono a guardare il cosiddetto “ospite”, che era rimasto in piedi. Frank si risedette; tutti rimasero come in attesa di un discorso, ma Katja rimaneva immobile. L’aria era carica di elettricità, e con uno come Jason a bordo, pensò Leo, la cosa era del tutto possibile. Il figlio di Efesto tirò fuori alcuni attrezzi dalla sua cintura e si mise a fabbricare qualcosa: cavolo, quanto odiava quei momenti di tensione, ma soprattutto odiava quando Nico si comportava così. Non aveva niente contro di lui, a parte il fatto che gli faceva venire un colpo ogni volta che gli arrivava alle spalle, ma non sopportava la gente che rovinava i bei momenti come quelli. Eccoli lì, tutti sani e salvi in rotta verso casa, con un pacchetto speciale a forma di ragazza per il campo e no che deve arrivare il figlio di Ade a rovinare tutto. Era come se adesso ci fosse un’enorme bomba accesa sul tavolo e nessuno avesse il coraggio di spegnerla o scagliarla via: aspettavano tutti che esplodesse. Leo osservò la ragazza nuova: era imbarazzata, ovviamente, e continuava a stropicciare la maglietta che le aveva dato Piper. Ora che la guardava meglio, Leo dovette ammettere che non era così brutta. Certo, niente di paragonabile alla sua adorata Calypso, ma anche lei era piuttosto carina. Quando l’avevano trovata, sembrava più tra i morti che tra i vivi, ma adesso, dopo una bella ripulita e un po’ di colore in più, era tutta un’altra persona. Aveva i capelli castani e folti, lunghi poco oltre le spalle, e dolci occhi marroni lievemente più scuri; aveva una carnagione olivastra e un fisico atletico, anche se in quel momento troppo magro. Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore dal nervoso. Leo conosceva quel comportamento: era quando si ha un segreto che non si vuole svelare. Percy guardò male Nico: -  Sarà lei a decidere quando raccontare e cosa raccontare e non noi, Nico. Non è giusto che… - ma lei lo interruppe. Parlò, non con una voce timida e imbarazzata, ma forte e sicura. In realtà, a Katja tremavano le gambe all’idea di dover parlare del proprio passato, ma non voleva mostrarsi debole, così accantonò le sue paure e cercò di dimostrarsi più sicura di quanto in realtà non fosse.

-  Ha ragione. è giusto che sappiate chi sono. Innanzitutto io…

Leo però la interruppe: - Fammi indovinare: non è una storia a lieto fine, vero?

Katja abbasso lo sguardo triste: - Veramente…no.

- Fantastico, continua pure allora. Mi piacciono proprio le storie strappalacrime.

Annabeth fece segno a Leo di stare zitto, poi tornò ad osservare Katja. La ragazza, ripreso un po’ di coraggio, ricominciò a raccontare: 

-  Ecco, sì, come prima cosa io…insomma la mia famiglia non è veramente di origine italiana: i miei nonni si trasferirono nel mio paese verso la fine degli anni ’70.  Mia madre crebbe in parte in America e in parte in Italia con sua sorella, imparando entrambe le due lingue. Persino con me, a casa, parlava americano. 
-  Per questo sai parlare così bene la nostra lingua. – intervenne Jason.
Sì. Abbiamo diversi parenti negli Stati Uniti, ma l’unico con cui siamo rimasti veramente in contatto era il cugino di mia mamma. Per il resto, io e mia madre abbiamo sempre vissuto da sole a Milano: non è stato difficile. Certo, vivere tutta la tua infanzia e adolescenza senza mai conoscere il proprio padre non è una passeggiata, ma noi due ce la siamo sempre cavata, sempre. Lei era insegnante di storia dell’arte, ma in realtà le piaceva tutta la storia, dalla preistoria alla storia contemporanea. Era appassionata però di storia antica, in particolare dei miti greci. Quando ero piccola, invece di leggermi le fiabe di Cappuccetto Rosso e Cenerentola, lei mi raccontava delle avventure di Ercole, Achille e Giasone, dell’amazzone Pentesilea e del re Minosse,… Sono praticamente cresciuta in questo mondo, ma mai avrei pensato che fosse reale. Di mio padre non seppi mai niente, se non che lui era di origini italo-greche. Lo odiai. Lo odiai con tutta me stessa. Ogni tanto trovavo mia madre sul terrazzo, che ascoltava le voci provenienti dalla strada, lasciando che il vento le asciugasse le lacrime. Non me lo diceva, ma io sapevo che le mancava, tantissimo. Quale uomo è così subdolo da far soffrire una donna tanto buona come lei? Quale? Me lo sono chiesta così tante volte, che alla fine ho rinunciato a cercare una risposta. Sapete, mia madre era una donna coraggiosa: non avevamo molto, ma non la sentii mai lamentarsi di ciò che non aveva. Ringraziava sempre per quello che aveva. D’altra parte non siamo state mai sole: la sorella di mia madre, zia Claudia, ci fu sempre per noi, ci sostenne e ci aiutò in ogni modo. Anche lei aveva una famiglia, un marito delizioso e due bambine dolcissime. Adoravo quella famiglia. Per me tutto era perfetto così com’era. Forse non ricevevo grandi regali a Natale, non potevo iscrivermi a club sportivi facoltosi e mangiavamo quasi sempre cibo surgelato, ma eravamo felici. Fino a quando mia madre non si ammalò: tumore, dissero i medici, o forse qualcosa di più grave. La ricoverarono e rimase lì per quella che mi sembrò un’eternità. Andavo a trovarla dopo la scuola e stavo con lei fino all’ora di cena: ogni giorno stava sempre peggio, sempre più pallida e sempre più magra. I medici non fecero mai niente per impedire l’avanzamento della malattia, mai. Avevano troppo paura di agire, troppa responsabilità per le loro fragili spalle: non avevano coraggio di prendere un’iniziativa, spaventati dai loro stessi obblighi. Fu mia madre a farne le spese, per colpa della loro vigliaccheria: non avendo ricevuto le adeguate cure, morì. Il vuoto che mi ha lasciato non verrà mai colmato. Dopo la sua morte fui immediatamente lasciata alla famiglia di mia zia. Ero triste, ma almeno avevo il conforto dei miei famigliari. Pensavo che magari, anche dopo la morte di mia madre, sarei riuscita ad andare avanti, a continuare a vivere una vita normale, nonostante il dolore. E invece, dopo appena due settimane, persi anche mia zia. Mi ricorderò di quella sera per sempre: stavamo tornando in macchina insieme. Era buio, in autostrada, e pioveva dirotto. Stavamo ascoltando una musica dolce e lenta alla radio; mia zia mi stava raccontando di quello che Nora e Silvia, le mie due cuginette, avevano fatto in quella giornata. Poi ci fu l’urto: quella creatura maledetta era sbucata fuori dal nulla e ci aveva travolto. Io mi sono salvata praticamente senza un graffio, ma mia zia…lei non ce la fece. Dopo l’incidente decisi di sparire: sapevo che quel mostro stava cercando me, mia madre mi aveva accennato, prima di morire, delle creature del Tartaro e del loro incredibile fiuto. È stata colpa mia se zia Claudia è morta, solo mia. Dovevo andarmene via prima. Dovevo proteggerli, erano una mia responsabilità. Solo una mia responsabilità…io non…

Non riuscì ad andare avanti. Si accorse che stava piangendo, da quanto tempo non lo sapeva. 

Ma ormai era fatta. Aveva tirato fuori quel terribile segreto che teneva nascosto con se da tanto, troppo tempo. Gli altri se ne stavano lì, a guardarla, senza muovere un muscolo. Forse la stavano giudicando per quello che era in realtà: un’assassina. Improvvisamente Piper si alzò in piedi, lasciò il suo posto e si parò di fronte a lei. Katja poté guardarla dritta negli occhi: erano un tripudio di colori che cambiavano continuamente. Erano immobili, l’una di fronte all’altra. A un tratto, Piper l’abbracciò, sussurrandole piano all’orecchio: - Adesso ci siamo noi. Non sei più sola.

Katja rimase allibita: non le aveva detto “passerà”, “ti capisco” o “mi dispiace”. Quelle erano tutte parole inutili, che non sanavano alcun vuoto, ma ciò che Piper le aveva detto era una promessa. 

Sorrise tra le lacrime.

- Grazie - disse.







 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti! Ecco..so che non esiste scusa che regga  per la mia lunghissima assenza, posso solo chiedere scusa a tutti. Davvero, mi dispiace tanto. Spero di farmi perdonare con questo capitolo più lungo degli altri. Se trovate errori di battitura, d’espressione o grammaticali mi farebbe piacere saperlo. Un’ultima cosa: come molti di voi ho letto “La casa di Ade”. So che avevo detto in precedenza che la mia storia avrebbe seguito una trama diversa, ma non posso fare a meno di venire influenzata dalla storia originale. Comunque ripeto che questa storia continuerà ad avere una sua trama personale, sperando che Rick Riordan non mi fulmini con l’aiuto di Zeus per quello che scriverò. Concludendo, spero tantotantotanto che vi piaccia.

Baci Kira05

  
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