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Autore: Karmageddon    30/12/2014    2 recensioni
Ci guardiamo e allo stesso tempo non ci guardiamo, viviamo in silenzi così grandi che nella mia testa sono solo enormi conversazioni con tante parole che ho fatto bene a dimenticare. A tutti dicevo che ti odiavo, che mi avevi solo fatto del male senza sforzarti, così dicevo anche di casa mia, del luogo in cui vivevo. Casa sei tu ma tu non sei casa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La città di notte mi affascina, ogni città. Non penso che l’avrei mai detto anche parlando della mia città. 
Il viaggio in treno impediva ai miei occhi di rimanere aperti ma, tra il buio delle palpebre e la breve visione di una città che brucia in un insieme di mille colori, ho capito di essere a casa. Perché è vero, l’ho sempre rinnegata come casa, ho sempre passato la mia breve esistenza in questo posto sperando solo di andarmene, ma alla fine, qui sono nato, qui sono cresciuto, qui mi sono innamorato e qui sono diventato me stesso. Ricordavo ancora la strada dalla stazione a casa mia, ma quella volta era diverso, non avevo quella calda sensazione che provi dopo essere tornato a casa da un lungo viaggio, il mio non era un viaggio, era un cambiamento. Ti accorgi della bellezza delle semplici cose, come percorrere una semplice strada guardando gli edifici dal finestrino, solo quando è da tanto che non ti succede. Alterno la mia vista tra la città e i miei genitori che guidano in silenzio per la stanchezza. Ma poi, cos’altro può farti sentire a casa più dei tuoi genitori? Mi illudevo di potermene andare senza lasciarmi niente indietro, la verità è che ho lasciato tutto indietro. Da quando ho lasciato questa fetta del mondo ho sempre avuto un senso di nostalgia generale, i lunghi viaggi serali in autobus ascoltando gli Smiths, sigarette di ogni tipo fumate tra i vari portici e scalini nel centro, le ore passate in via San Francesco a parlare del futuro, del presente e di altri argomenti più grandi di noi, una nostalgia positiva, come quando finisci un buon libro. Se lo dicessi al mio vecchio me, quello sedicenne, pieno di sbalzi d’umore e di sogni ancora troppo astratti, a cui non va bene niente e per cui tutto è troppo piccolo, noioso e scialbo, probabilmente mi riderebbe in faccia. Ma è così, senza saperlo, mi è mancata questa città, così come tutto quello che rappresentava. Era il capitolo uno, l’inizio cui pagine ho ormai girato quasi definitivamente e alle quali concedo un breve sguardo per rinfrescarmi la memoria. Ero tornato ed avevo sfogliato di nuovo quelle pagine, con un nuova visione, sapendo già cosa succedeva nel capitolo seguente.
La mia adolescenza l’ho passata sognando nuovi luoghi, nuove esperienze ma soprattutto sognando lontananza. Non mi andava bene niente e mi stava tutto stretto.
Ho attraversato sempre le stesse vie e camminato sempre su gli stessi sampietrini, parlando con persone di ogni tipo. Dicono che le amicizie che ti fai quando si è giovani sono quelle più fragili e cavolo se è vero. Ho visto così tante persone andare e venire, tornare e andarsene di nuovo, ho vissuto così tante delusioni e fatto tante risate che si potrebbe dire che ho vissuto all’apice di ogni emozione, come tutti gli altri adolescenti fanno. Ho conosciuto le persone a cui ho detto tutti i miei segreti, le persone a cui ho detto tutte le mie peggiori bugie e le persone che più mi hanno fatto sognare. Un mese sei il mio miglior amico e il mese dopo ci imbarazza salutarci, un mese ci diamo delle occhiate nei corridoi, e il mese dopo siamo insieme seduti per terra dietro le palestre della scuola a fumare e a parlare di quanto faccia schifo la nostra classe. Pensavo che fosse un problema mio, del posto e del modo in cui vivevo, ma ora ho capito che è così che va, le persone vanno e vengono come fa tutto. Tutto prima o poi va e viene, la felicità, la sensazione di essere a casa, il disagio nello stare in un dato luogo.
Le ore totali passate a guardare il cielo che ogni volta è diverso, a camminare sotto la pioggia e per un po’ dimenticarsi che si è bagnati, fa freddo e che probabilmente avrei preso l’influenza, i viaggi in treno guardando ogni volta quel dannato edificio blu che si vede da ogni terrazzo della città, sono tutte cose che puoi vivere in qualsiasi città del mondo, ma questa, è casa.
E poi penso a te, che sei sinonimo di casa, non per la sicurezza che vorrei tanto mi infondessi, ma perché siete due entità che devono essere concepite insieme perché entrambi vi ho nella mente, e forse, nel cuore. Perché tu sei per me sofferenza, gioia, amore, sfinitezza, illusione, sogno, come lo è casa. Perché tu eri qui e non so più se tu lo sia ancora. Perché ti ho voluto e tu no, perché io non ho voluto questo posto e forse questo posto ha voluto tenermi. Casa per me è confusione, insicurezza, coraggio, paura, come lo sei tu.
Ci guardiamo e allo stesso tempo non ci guardiamo, viviamo in silenzi così grandi che nella mia testa sono solo enormi conversazioni con tante parole che ho fatto bene a dimenticare. A tutti dicevo che ti odiavo, che mi avevi solo fatto del male senza sforzarti, così dicevo anche di casa mia, del luogo in cui vivevo. Questo è ciò sui si fonda il vostro rapporto e ciò che vi accomuna. Forse in realtà non vi ho odiati così tanto, forse non vi ho mai odiati del tutto. Forse non potevo neanche farlo.
Casa sei tu ma tu non sei casa.
Ora capisci da dove vengo, da dove veniamo?
Capisci qual è il problema?
Capisci perché me ne sono andato?


Capisci dove sbaglio?

 

  
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