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Autore: May Begood    30/12/2014    3 recensioni
[UkHun] [Inghilterra x Ungheria]
Ungheria conduce una vita tranquilla: è rimasta in contatto con Austria a tal punto che entrambi vengono visti ancora come un Impero; frequenta spesso Francia e Spagna per stare in compagnia dell'amico/nemico ormai ex Prussia; si dedica alla sua casa e ignora quasi del tutto ciò che avviene oltre l'Italia o la Russia.
Per questo rimane sconvolta dall' intervento di Inghilterra, determinato ad aprirle gli occhi, e poi il cuore, trascinandola prima in una semplice collaborazione, poi in un rapporto amichevole che sfocerà nella passione più ardente.
Ad ostacolare la loro relazione interviene Scozia: non accetta, infatti, il fatto che suo fratello sia riuscito ad averla. Inventa quindi delle scuse per tenerli distanti e farsi avanti con Ungheria per il puro gusto di farlo.
Anche Romania è contrario alla loro relazione e minaccia Ungheria di svelare il suo segreto alle altre nazioni. Queste credono infatti che il patto fra Inghilterra e l'altra sia per lavoro.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Succede al cuore'
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Gilbert era stranamente silenzioso e tranquillo.
Avevo timore di chiedergli cosa fosse successo perché sembrava anche molto arrabbiato. 
Guardava fisso un punto davanti a sé, oltre il volante e il finestrino, oltre i tergicristalli e il cofano del motore. I pugni erano chiusi e manifestavano un certo nervosismo che non riuscivo a spiegarmi.
Sapevo che prima o poi, da brava amica, avrei dovuto chiedergli quale fosse il problema, ma pensai che forse avrebbe preferito parlarne con Antonio o Francis.
Perciò mi limitai a rivolgergli brevi domande, cui mi rispose a monosillabi, e concentrarmi piuttosto su ciò che mi aspettava in giornata.

Avevo accettato la proposta di Inghilterra, quella che mi vedeva sua stretta collaboratrice (e molto di più). Per cui avrei dovuto intervenire, parlare o meglio discutere sull'ordine del giorno. Avrei dovuto seguire Inghilterra come un'ombra, assicurarmi che tutti i suoi voleri fossero realizzati alla meglio; rimanere in contatto con lui ventiquattro ore su ventiquattro.
E la cosa mi eccitava. Non avrei potuto chiedere di più.
Ma richiedeva anche un certo impegno, come l'essere sempre presente e disponibile, accettare gli orari extra di lavoro, probabilmente affittare una camera a Bruxelles come se fossi una nazione oltreoceano.
Avrei dovuto pensarci prima. 
Una volta arrivata, avrei chiamato Nina per informarla e chiederle di mandarmi almeno una valigia con dentro il necessario per sopravvivere ad una notte e un giorno. 
Mi chiesi se anche Arthur avesse trovato quella stessa soluzione appena cinque mesi prima. Altrimenti non si spiegava la sua presenza attiva lì alla Sede.

Durate il soggiorno in Francia avevo avuto modo di conoscere e accettare i miei sentimenti. Fu facile perché non erano incontrollabili come sarebbero diventati di lì a poco.
Avevo il totale controllo di me.
Anche se la mia nuova preoccupazione era quella di diventare la nazione di cui Arthur aveva bisogno.
Ero rappresentante dell'Est.
I nostri Paesi avrebbero conquistato la giusta indipendenza e si sarebbero rappresentati da soli.

Stavo correndo troppo.
Le votazioni non erano ancora state eseguite.
Ma ero sicura della vittoria.



Bruxelles era ancora fredda, ma accogliente, la giusta immagine della serenità dopo un intero odioso anno trascorso chiusa dietro quattro mura a scrivere e compilare scartoffie.
Finalmente Gilbert parve più tranquillo e tornò a sorridere, sempre con la sua aria beffarda, superiore. Raggiunse il fratello senza salutarmi e scomparve dalla mia vista.
Non riuscii a capire il perché di tale atteggiamento finché non notai che si stava muovendo verso la direzione opposta a quella da cui proveniva Antonio.
Salutai l'ispanico con entusiasmo, ma non ricevetti risposta.
Guardava l'albino preoccupato.
Mi convinsi che lui doveva già sapere cosa turbava l'amico. 
Sospirò prima di ricambiare il saluto.
  -Hola, Eliza...
  -Antonio. Come va? Ti vedo abbattuto.
Di nuovo sospirò. 
Non riusciva davvero a far finta di nulla.
  -Nada, no te preocupes. Gil y Fran hanno litigato, anche con me.
  -Oh, mi dispiace. Posso sapere il perché?
  -Incomprensioni. 
Mi lasciò anche lui senza farmi capire un bel niente.
Mi dispiaceva vederlo così e sapere che quei tre avevano litigato. 
Per cosa, poi? 
Ne avrei parlato con Francis appena possibile. Senza dubbio avrebbe cercato un appoggio e allora fiducioso si sarebbe confidato.

Rimasta sola, mi decisi a mantenere la mia promessa e cominciai a cercare Inghilterra un po' ovunque.
Guardai in ogni sala del corridoio principale, ma trovai solo giovani che si confrontavano riguardo le elezioni o chiacchieravano delle loro vacanze natalizie; qualche nazione appartata che cercava intimità con il partner (ovviamente con qualche sorpresa); Vladimir con un braccio ingessato che spuntò non appena ebbe occasione di avvicinarmi. A parte qualche parola di circostanza e brevi frasi sciocche, non mi fermai a parlare con nessuno e mi trattenni dalla voglia di chiedere se avessero già incontrato Inghilterra.
Finché non lo trovai davanti la sala dove sarebbero avvenute le elezioni definitive. Stava chiacchierando con Estonia che era evidentemente il candidato dell'estremo oriente. Russia aveva ceduto a lui il ruolo. Chissà se lo aveva fatto con piacere o gli era stato imposto.
Eduard era un ottimo aggancio e nessuno avrebbe notato la vicinanza tra me ed Arthur. 
Non che fosse da nascondere, la nostra collaborazione. O almeno non ancora. Ma volevo risparmiarmi per il momento la noia di vedere le occhiate maliziose di chi si fingeva mio amico; infatti avevo già avuto modo di vedere le occhiate incuriosite di Bielorussia e Belgio all'ingresso, solo perché non avevo salutato come mio solito, cioè con un abbraccio caloroso e un sorriso.
Non avevo voglia di partecipare al loro gioco quell'anno.
Prevedevo, infatti, un avvenimento più importante.
Così mi avvicinai con passo deciso ai due e fu proprio Eduard a salutarmi per primo, con un sorriso e un cenno della testa.
  -Elizaveta, buongiorno! 
  -A te, Eduard. Bonjour, Arthur.
La nazione britannica fu inizialmente molto sorpresa di vedermi, ma ricambiò educatamente e accettò di stringermi la mano che prima aveva stretto quella dell'estone. 
  -Dunque, ti ringrazio per l'appoggio, Inghilterra. Ti ripagherò appena possibile. Sono in debito con te. Non esitare a chiedere se hai bisogno di qualcosa! Ancora grazie e buona giornata. Ungheria...
Eduard ignorò le parole dell'altro per lasciarci subito soli ed entrare in sala, accompagnato dal suo interprete.
Sorrisi fra me e me. 
Imbarazzata. Eccitata. Un po' sfacciata.
Sentivo che avrei potuto dire o fare qualsiasi cosa.
Alzai lo sguardo su Inghilterra ed inevitabilmente avvertii dei brividi sulla schiena quando mi accorsi che mi stava già guardando con un sorriso gentile sul volto.
Dimenticai all'istante tutta la sicurezza di cui mi ero munita per affrontare quell'incontro e lasciai che il cuore battesse all'impazzata e pompasse abbastanza sangue da rendermi le guance rosse.
Forse lo notò, la luce non mi aiutò granché, ma sorrise altrettanto imbarazzato.
Ed era giustificabile, per entrambi, visto che man mano le lettere erano diventate intime, a volte dirette ed esplicite. La colpa era di entrambi.
Feci per dire qualcosa - forse un saluto - quando fu proprio lui ad interrompermi e, indicandomi la sala in cui era entrato Estonia, disse:
  -Puoi entrare e votare. Ci vuole un attimo. Io ti aspetto qui.
Annuii, sollevata dal fatto che la nostra prima conversazione non fosse stata una di quelle sciocche. Anche se eravamo rimasti a fissarci come due idioti per qualche minuto.
Si appoggiò al muro ed io entrai per scrivere il suo nome ed inserirlo in una delle tre scatole che rappresentavano i candidati di quell'anno. Quella di Inghilterra era verde. Con mia gran sorpresa vidi che la rossa apparteneva a Spagna e la viola ad Austria. Istintivamente controllai, o meglio spiai il numero delle cartelle all'interno dell'ultima scatola. Dovevano essercene al massimo venti, non di più. Quella verde, invece, era pienissima. 
L'esito era quindi chiaro ancora prima del verdetto.

Inghilterra ebbe i due terzi delle votazioni destinate al rappresentante europeo. 
Dopo il suo discorso breve e conciso, i nostri cominciarono i festeggiamenti con spumante e qualche dolce prima di tornare alle scrivanie.
Estonia divenne rappresentante dell'Oriente, Cuba del continente americano, Turchia dell'africano. Unica novità dell'anno era una sottopresidenza che mi riguardava e che abbracciava i paesi dell'Est a me particolarmente vicini.
Non avevo capito quanto fosse importante il mio ruolo finché non sentii il boato di applausi dopo che Inghilterra mi ebbe presentata come sua collaboratrice, senza chiamarmi sul palco, ma solo indicandomi e sorridendomi. 
Ucraina mi abbracciò dopo il verdetto e mi fece i complimenti.
Forse non aveva capito che la mia votazione dipendeva da quella di Inghilterra. O forse non le importava saperlo.

Uscita dalla sala, dopo la vittoria, cercai subito Inghilterra che mi rivolse uno sguardo diverso da quelli che mi aveva mostrato fino a quel momento.
Non sapevo che avesse un così bel modo di guardare e di far sentire speciale qualcuno. Non credevo fosse nelle sue capacità. Nelle sue lettere avevo solo percepito un poeta, un uomo che desiderava stare in dolce compagnia, non un seduttore.
Sembrava che i ruoli si fossero invertiti: adesso era lui a cercarmi e a dover tirarmi fuori dalla folla che voleva a tutti i costi stringermi la mano e rubare un pezzo di me.
Penso sia stato quello ad infiammare Inghilterra e fargli desiderare di avermi tutta per sé.
Infatti corse in mio aiuto e mi afferrò il braccio prima che rimanessi bloccata ad ascoltare le lusinghe vuote delle altre nazioni.
  -Con il vostro permesso - disse - rubo la vostra rappresentante. Abbiamo molto di cui parlare, progetti da fare, problemi da risolvere!




Dopo pochi minuti eravamo nel suo ufficio.
Mi stringeva a sé e mi teneva appoggiata ad una parete. 
E mi baciava con voglia, mi toccava timoroso i fianchi e sospirava impaziente.
Io non potevo non ricambiare quel desiderio.
Ero aggrappata alle sue spalle e premevo il petto contro il suo per riuscire ad avere un contatto più diretto con il suo corpo. 
 Mugolò contro la mia bocca e si staccò per riprendere fiato, cosa di cui ebbi necessità anche io. Dopo averci dato un'occhiata e constatato di aver perso il controllo, ridemmo imbarazzati, ma soddisfatti di non aver perso tempo.
Perché erano quel bacio e quel contatto ciò che avevamo desiderato durante le feste e dichiarato attraverso le lettere. È quello che stavamo aspettando.
Non riuscii a staccarmi da lui.
Anche Arthur sembrava voler concentrarsi sui documenti che ci attendevano, ma vedendo che esitavo a lasciar andare il suo braccio e cercavo la sua bocca, tornava a spingersi contro di me.
Non so quanto rimanemmo attaccati l'uno all'altra.
Ogni bacio, ogni tocco diventava più intenso e frenetico. Era diverso dalla prima volta dietro la tenda, quasi un mese prima. 

Continuammo finché Arthur non prese a baciarmi il viso, il collo e mi strinse a sé sospirando.
  -Adesso... Adesso dovremmo proprio lavorare.
Sorrisi, ricambiando l'abbraccio e appoggiando il mento sulla sua spalla.
Accarezzò i miei capelli e mi tirò dolcemente verso la sua scrivania. Lasciai che mi portasse alla poltroncina, ma vedendo quante scartoffie ci aspettavano, feci una smorfia e lui lo notò.
  -Di cosa dobbiamo occuparci?
  -Queste sono tutte le tue relazioni. Poi ci sono quelle di Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca...
  -Ah.
  -Non dobbiamo leggerle tutte oggi. Quanto prima possibile. E farne un sunto.
  -Tutto qui?
  -Le tradurremo in inglese. Ma questo è un lavoro secondario.
  -Allora cominciamo.

Leggere e analizzare quei documenti con Arthur fu davvero stimolante.
Sapeva cosa fare, come categorizzare ogni situazione, come inquadrarla, come raccogliere i dati essenziali. E io ero veloce nella traduzione dal russo all'ungherese e al francese per comunicarglielo.
Mi disse che sapeva poche parole di russo. Quando gli chiesi come mai, mi rispose che gli era servito a comunicare velocemente alcune strategie di guerra. Infatti, i termini che conosceva erano militari. 
Mentre segnavo su un foglio gli ultimi dati importanti, Inghilterra preparò del tè.
Così facemmo una pausa perché erano già quattro ore che lavoravamo in modo costante e monotono. Erano le cinque e mezza e avevo bisogno di zucchero.
Mise un cucchiaio di miele nella mia tazzina, e un biscotto sul piattino. Me lo servì con un sorriso, poi prese a camminare per la stanza con il suo tè.
Consumai velocemente quella merenda e mi alzai, perché ero stanca di stare seduta e avevo voglia di sgranchirmi le gambe. Raggiunsi Arthur, vicino la libreria. Gli sorrisi imbarazzata, ma la mia attenzione si spostò sul libro.
  -Quelli sono i tuoi libri?
  -Sì. Li conservo qui.
  -Questo qui-  dissi, indicando quello con la copertina nera più lucida e curata  -Parla di Elizabeth?
Aprì l'anta e prese il libro per mostrarmelo. 
  -Sì, l'ultimo. Questo è un po' più... personale. Non ho voluto metterlo in Biblioteca.
  -Capisco.
  -Come hai fatto a riconoscerla?
  -Dai capelli rossi.
Studiai l'immagine della Regina con attenzione e un po' di gelosia, perché lo sguardo di Arthur si era illuminato e lui sembrava molto distratto. 
  -Era bella?
  -Lo era. Ma non era la sua qualità più evidente. Mary di Scozia era bella. Più bella di lei. Ma Elizabeth era abile, uno stratega. Nessun uomo sarebbe mai stato tanto coraggioso, intelligente. Un re avrebbe perso la ragione e avrebbe fatto qualche pazzia. Elizabeth no. Era tranquilla perché la sua salute non era delle migliori, e quindi non poteva che concentrarsi sulla sua nazione, su di me. Mary si sposò per diventare politicamente forte. Lei no. Elizabeth sposò me. Me! Anche se non era giusto per una umana negare il matrimonio con un simile. Mi sposò, mi fece suo e continuò a rendermi speciale, forte. Quando ero sul campo di battaglia non pensavo a dover vincere. Pensavo alla fiducia che lei mi aveva dato e rifletteva su quanto contava su di me, su quante occasioni mo aveva dato. Sapeva che tipo ero (un ragazzino, capriccioso, ma ambizioso) e mi metteva alla prova. Sapeva che avrei vinto.

Lasciai che qualche minuto passò, in silenzio, prima di dirgli:
  -È una bella cosa. Quello che ha fatto per te, intendo. Non sapevo che l'avessi sposata. L'amavi?
  -L'amavo perché lei amava me. Rimasi sconvolto quando seppi che la fragile e malata Elizabeth aveva ricevuto la corona. Sai, mi tenevo lontano dalla scelta del mio sovrano. Era debole, come avrebbe fatto a governare e proteggere l'Inghilterra? Ma prima che potessi sottrarsi a lei, aveva già conquistato la mia fiducia. "Io sono sposa dell'Inghilterra" disse. Mai avuta dichiarazione più bella.

Restai ad ascoltare tutto ciò che aveva da dire su di lei, senza interromperlo, sia per la commozione, sia perché sarebbe stato vano. Parlò senza fermarsi, lasciando raffreddare il suo tè. Mi raccontò dell'infanzia, perché disse che non si poteva capire le sue ragioni se non la si conosceva. Poi passò alle guerre, ai corteggiamenti, agli scandali che la riguardavano. Sempre in modo sereno.

  -Era una donna. Una grande donna. Perfino io non potevo darle tutto. Lasciavo che a volte trovasse compagnia. Ma lei si affezionava subito, esattamente come me, e rimaneva costantemente delusa dall'umanità. Solo allora diventava mia. E adesso che non c'è più anche gli altri possono vedere quanto è mia.

Mi mostrò l'anello, gelosamente nascosto e conservato con tutte le sue gioie.
Quando finì di parlare, prese il libro e me lo porse dicendo che era mio; e lo dava a me perché sapeva che solo io avrei capito il significato di quel gesto.
Dopo un po' mi si sedette accanto, su una panca, e cinse la mia vita con un braccio.
Mi sorrise e baciò le mie labbra più di una volta, dolcemente poi in modo avido, aspettando le mie reazioni che non tardarono a venire. Gli accarezzai la nuca, un orecchio, il viso, il collo, infine il petto. 
Avevo ancora tanto da chiedergli sulla sua Regina, ma decisi che non era il momento.

  -Victoria... Victoria, invece, mi ha dato altro. Mi ha dato la possibilità di vivere, di governi un po' la mia esistenza. Mi diceva che non dovevo preoccuparmi, che avrebbe pensato lei a regnare. Elizaveta...
Allontanò piano le mie mani da sé, le strinse come se stesse cercando di prepararmi a qualche brutta notizia.
  -Io voglio raccontarti tutto, ma ho bisogno di sapere che anche tu risponderai a delle domande. Ci sono delle cose di me che non mi piace svelare, e di cui non vado fiero. Ho commesso più crimini con Victoria che nel resto della mia esistenza. Ho frequentato posti che non avrei dovuto e in un secondo momento ho dovuto cancellare le prove. Spesso mi chiedevo se stessi sbagliando, se fossi ancora una nazione, se l'Inghilterra esistesse ancora. Ho ucciso donne e bambini perché non volevo si sapesse in giro che una nazione si godeva nuovi piaceri. Ho agito tramite leggi, persone nullatenenti. 
  -Arthur, anche io ho fatto tutto questo. Ho combattuto contro il mio stesso popolo, i miei familiari. Non dannarti per questo. È passato. Ognuno ha commesso il suo più grande errore.
Avevo cominciato ad abbracciarlo e toccargli la schiena perché sembrava sul punto di esplodere e mi agitava vederlo così turbato. Non avevo capito cosa intendesse, ma successivamente mi avrebbe spiegato.
  -Le donne non sono state la mia fortuna, Elizaveta. Mi hanno portato su, in modo leale o con l'inganno non importa, e poi hanno portato alla mia caduta. Psicologica, direi. Mi facevano sentire sporco e inutile. Prima ero il loro re, poi mi lasciavano andare in squallidi bordelli ad elemosinare un po' di compagnia. Pur senza volerlo. Prima sono William e poi improvvisamente divento Harry. E Diana non c'è più.
   
 
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