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Autore: May Begood    07/02/2015    3 recensioni
[UkHun] [Inghilterra x Ungheria]
Ungheria conduce una vita tranquilla: è rimasta in contatto con Austria a tal punto che entrambi vengono visti ancora come un Impero; frequenta spesso Francia e Spagna per stare in compagnia dell'amico/nemico ormai ex Prussia; si dedica alla sua casa e ignora quasi del tutto ciò che avviene oltre l'Italia o la Russia.
Per questo rimane sconvolta dall' intervento di Inghilterra, determinato ad aprirle gli occhi, e poi il cuore, trascinandola prima in una semplice collaborazione, poi in un rapporto amichevole che sfocerà nella passione più ardente.
Ad ostacolare la loro relazione interviene Scozia: non accetta, infatti, il fatto che suo fratello sia riuscito ad averla. Inventa quindi delle scuse per tenerli distanti e farsi avanti con Ungheria per il puro gusto di farlo.
Anche Romania è contrario alla loro relazione e minaccia Ungheria di svelare il suo segreto alle altre nazioni. Queste credono infatti che il patto fra Inghilterra e l'altra sia per lavoro.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Succede al cuore'
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Fummo interrotti da Alfred che informava Arthur della sua partenza e me dell'arrivo della mia valigia spedita da Budapest. Inghilterra si era ripreso, ma continuava a tenersi stretto a me finché non fu costretto a staccarsi. Era davvero tardi, e noi non avevamo finito di lavorare. Non saremmo stati capaci di riprendere. Fuori era scuro, pioveva, faceva freddo. E la finestra dello studio di Inghilterra, dove eravamo, era l'unica che lasciava fuoriuscire la luce artificiale. Solo notando questo particolare, sentii la stanchezza pesarmi sugli occhi. 
  -Che peccato, la giornata è finita. - disse Arthur sospirando. Sorrise timido e mi si avvicinò per baciarmi una guancia.
  -Avrei voluto trascorrere qualche altro minuto con te.
  -Potresti accompagnarmi in camera. - risposi prontamente, desiderosa di condividere con lui l'ultima parte della giornata. 
Non sapevo cosa gli stavo proponendo. Volevo solo averlo vicino ancora un po', senza parlare di cose che avrebbero potuto ferirlo.
  -Tocca a me parlare.
  -Non sei troppo stanca? Hai gli occhi rossi, e...
  -Nem, assolutamente. Voglio che tu venga in camera con me.
  -D'accordo. Allora dammi la valigia. Lascia che la porti io.

Mi accompagnò nella stanza che mi era stata assegnata. Questa era simile a tutte le altre e forse uguale a una minor parte. La tappezzeria era di colore bronzeo con piccoli disegni dorati che creavano un certo movimento sulle pareti. I mobili antichi, ma ben conservati, erano pochi: c'erano un armadio, due comodini agli estremi dell'enorme letto a baldacchino e un piano scrittura in un angolo. Di fronte al letto, quasi nascosta all'occhio di chi entrava, c'era una porta che conduceva alla toilette. 
Sapevo che nelle camere da letto riservate alle donne c'era anche uno specchio accanto all'armadio, ma io l'avevo rifiutato perché non ne sentivo la necessità.
Chiusi la porta e lo invitai ad accomodarsi. 
Rimase composto, tranquillo, seduto su una poltrona mentre io svuotavo la valigia e riepivo l'armadio. Non disse nulla. Si limitava a sorridermi se voltavo lo sguardo su di lui e non lasciava andare nessuna emozione. Infatti mi bloccai, perché non sapevo come continuare a trattenerlo. Manifestava un atteggiamento tipico della sua gente: perfettamente immobile, cauto, né severo né compiaciuto. 
Ero talmente insicura che la prima domanda che gli rivolsi fu:
  -Tutto bene?
  -Yes. Stavo pensando.
  -A cosa?
  -A te. Mi stavo chiedendo come avessi vissuto, quale è la tua storia, perché non so assolutamente nulla. 
Cercai un'altra poltroncina su cui sedermi, ma prima che potessi decidermi lui fece cenno di avvicinarmi e mi costrinse a sedere sulle sue gambe. Timorosa, obbedì, ma finalmente ero vicina ad Inghilterra, molto vicina. Potevo appena voltare il viso e incontravo il suo. Muoveva le mani sui miei fianchi in modo quasi impercettibile e il movimento ondulatorio delle sue dita mi rilassata e risvegliava i miei sensi. In più, mi ammutolì.
  -Parla, Elizaveta.
  -Cosa vuoi sapere?
  -Tutto. Dall'inizio. Quello che ricordi, man mano che ricordi.
  -È molto.
  -Domani ci alzeremo tardi. E lavoreremo tutta la giornata.
  -Davvero?
Annuì tranquillo e si allungò di poco per baciarmi. 
Mi lasciai incantare da quel gesto e dalla dolcezza con cui mi aveva guardata un attimo prima e mi sembrò quasi di riprendere fiato. Perciò iniziai a raccontare piccoli aneddoti sulla mia infanzia e continuando a parlare ricordai più particolari e quindi impiegai vari minuti per descrivere qualsiasi cosa. 
Parlavo e parlavo sotto il suo sguardo attento, accompagnato da innocenti carezze che dopo un po' si trasformarono in languide coccole. 
Ero entusiasta di quelle attenzioni; avevo sperato che succedesse, prima o poi. Mi piaceva il modo in cui mi guardava e sfiorava, come se mi stesse studiando di nascosto. 
Rallentò solo quando la mia voce si incrinò raccontando di Russia e delle sue strane torture. Si fermò e mi afferrò le mani e poi i capelli per scoprirmi il viso. Con una mano mi asciugò il viso, poi lasciò che io mi appoggiassi alla sua spalla. E mi cullò.
Dopo che mi fui tranquillizzata, mi chiese:
  -Ho delle domande.
  -Dimmi.
  -Prussia e tu eravate così affiatati e spesso mi sono chiesto se fra voi ci fosse qualcosa di più. 
Sospirai. Era un argomento un po' delicato, cui avevo già risposto a molti e che era stato chiuso su esplicita richiesta mia e di Gilbert.
  -Non poteva finire bene. Entrambi ci abbiamo pensato, ma non ne abbiamo mai parlato perché entrambi sapevamo che non avrebbe fatto bene a nessuno. Il nostro è un rapporto superiore. Ci sentiamo attraverso i pensieri, non c'è bisogno di parole. 
  -Quindi non c'è mai stato nulla?
  -No, mai.
  -Neanche fisicamente? Perdonami, ma non ho capito cosa vi unisce così tanto.
Sorrisi: -Lo sappiamo lui ed io solamente.
Annuì e si accontentò di quella risposta.
Dopo un po' riprese, estremamente imbarazzato:
  -E Roderich?
  -Roderich era mio marito.
  -Yes, I mean: voi siete stati sposati per tanto tempo. È l'unico che hai avuto?
  -Arthur, non capisco cosa mi stai chiedendo.
  -Se hai avuto degli amanti. Se sono il primo dopo Roderich.
  -Igen. Sì.
Con suo permesso, mi allontanai per chiudere le tende, cosa che  facevo abitudinariamente la sera affinché la luce del giorno non mi svegliasse. Cominciavo ad essere stanca, ma non potevo rinunciare alla dolce compagnia e neanche volevo mandarla via.
  -Elizaveta...
  -Sì?
  -Dormiamo insieme stanotte. 
Era già in piedi quando fece quella proposta che mi lasciò molto sorpresa e avrebbe potuto ben capirlo dallo scatto che feci nel voltare il viso dalle tende alla sua figura appena illuminata da una lampada. Sorrideva malizioso. Ovviamente cercava un sì, ma rimasi in silenzio per un po', curiosa di vedere se avrebbe insistito. E invece anche lui rimase in silenzio. Perciò gli concessi il sì.

Si allontanò per prendere le sue cose ed io ne approfittai per prepararmi, perché era fin troppo chiara la fine della giornata. Avremmo dormito nello stesso letto, che nonostante l'ampiezza era piccolo per due persone, cosa che ci avrenbeu costretti a dormire l'uno abbracciato all'altra. E il bisogno di coccole, che certamente sarebbe sorto, avrebbe portato ad altro. La domanda che mi posi, riflessa nello specchio con aria eccitata, fu "Sono pronta?". 
Lo ero.
Da quando l'avevo baciato, era fin troppo evidente. 
Perciò permisi al solo accappatoio di avvolgermi e coprirmi. Sotto di esso, nulla.
Uscii dal bagno e trovai Arthur accanto al letto, intento ad abbottonare il pigiama. Mi avvicinai a lui con passi lenti e lo sguardo abbassato, perché sapevo che mi stava guardando e stava cercando di capire come mai le mie gambe fossero così scoperte, nonostante la notte fresca. Che risposta gli avrei dato?
Cercai di farmi forza, di togliere l'accappatoio non appena lui alzò lo sguardo, ma fu proprio quello a bloccarmi. Cosa avrebbe pensato di me, che mi spogliavo con tanta naturalezza? 
Perciò le mie mani rimasero attaccate al tessuto, sul petto, ed io impietrita davanti ad Inghilterra. Ero talmente tesa che quando Arthur mi prese il braccio per incoraggiarmi e per attirare la mia attenzione, la mia mano si mantenne all'accappatoio e per questo parte del petto rimase scoperto.
Non sussultai: arrossii e alzai piano la testa per vedere la sua reazione.
Manteneva lo stesso contegno, ma si notava che era sorpreso, o forse scosso.
Era una situazione molto simile a quella che secoli prima avevo condiviso con Gilbert, quando scoprì che ero una donna. 
Ma con Arthur la situazione era diversa: non divertente, ma molto intima.
Rimase a fissarmi dalla testa ai piedi, senza dire né fare niente.
Sorrise senza alcuna malizia stavolta. 
Mi prese per un fianco e avvicinò a sé dolcemente. Potevo appoggiare il viso sul suo collo. Poi, con un solo gesto, sciolse il nodo che teneva chiuso l'accappatoio e lo lasciò in questo modo scivolare ai miei piedi. 
Rimasi ferma, completamente nuda di fronte a lui, e attesi la prossima mossa perché non sapevo come procedere: se potevo accarezzarlo, o baciarlo, se dovevo ricambiare o inventarmi altro.
Arthur risolse sfiorandomi il collo con le labbra, scendendo verso la spalla, salendo sul mento; fece questo tre volte, poi mi baciò con desiderio. Una mano scivolò sulla schiena per lasciare che il mio corpo premesse contro il suo. Sospirai sollevata. Finalmente stava accadendo. La sua bocca scese sul collo lasciando una scia umida, e mi fece rabbrividire quando respirò contro la mia pelle. 
Aprii la camicia azzurra del pigiama e gli accarezzai il petto e dunque l'enorme cicatrice bianca sul petto. Arthur sospirò e abbassò lo sguardo su di sé.
  -Ti fa male?
  -Dà prurito. 
Mi chinai a baciare il segno bianco per confortarlo. L'atmosfera che si era venuta a creare non venne affatto disturbata da quella osservazione. 
Staccandomi piano dal suo corpo, andai ad infilarmi nel letto, desiderosa di stare comoda accanto a lui. Venne subito dopo.
Si legò a me dopo aver tolto i pantaloni e potei finalmente sentire l'effetto che il mio gesto azzardato aveva provocato su di lui. 
Lo sentii sussurrare contro la bocca, impaziente, non del tutto lucido. Era uno spettacolo. Non capii cosa disse. Non immediatamente.
  -Turn the light off.











Come un mare in tempesta, mi sentivo esattamente così, anche se Arthur era delicato, amabile, romantico. Quello che mi sconvolse fu la sensazione di perdizione che provai: ero stretta a lui, così vicina. Ero diventata Arthur e lui era diventato me. Una sola cosa. E fu bello perché ci eravamo cercati per mesi, e ci eravamo trovati subito, senza aver bisogno di parole, o chiarimenti. A dominarci era solo il bisogno di donarci completamente l'uno all'altra senza preoccuparsi minimamente di ciò che accadeva o che sarebbe accaduto fuori. L'importante era che fossimo soli, lontani da chi ci avrebbe rovinati, da chi ci odiava. 
Non pensavo a nulla, neanche che ad ansimare contro il mio collo e chiamare il mio nome fosse proprio Inghilterra. Avevo gli occhi chiusi, la testa gettata all'indietro, il petto inarcato contro quello di lui e le gambe allacciate ai suoi fianchi per rispondere alla sua passione con altrettanta intensità. Lasciavo andare ogni gemito, non per compiacere quanto per accertarmi che quel momento fosse reale. Lo sentivo. Sentivo Arthur dedicarsi a me: lo aveva fatto con il pensiero, lo stava facendo anche con il corpo. Sussurrava alcune parole quando mi guardava negli occhi e, sebbene non capisci tutto, sapevo che si trattava di parole dolci.
Il suo respiro si spezzò proprio nel momento in cui le sue spinte divennero più decise e lo sentii venire, caldo, dentro di me, mentre sussurrava per l'ennesima volta il mio nome.
   
 
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