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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    30/12/2014    1 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kerwick

Vendetta

Lo conosceva da quando erano entrambi bambini.

Ci si sarebbe aspettato che in tutti quegli anni avessero creato un legame, in qualche modo. Le mura di Dunchester non erano poi così larghe, e due bambini all’incirca della stessa età, il terzo figlio del barone e il figlio di uno dei suoi più fedeli cavalieri, avrebbero potuto facilmente fare amicizia, giocare e sognare insieme fino a quando non avessero entrambi ricevuto l’investitura.

Ma non successe così.

Kerwick passò tutta l’infanzia tra le mura del castello, servendo suo padre come scudiero. Conosceva molto bene il barone di Dunchester, che lo gratificava ogni volta che lo vedeva svolgere efficacemente e con zelo il suo dovere. Conosceva il suo carattere, le sue attività preferite, il falco che avrebbe dovuto portargli ogni qualvolta avesse avuto voglia di andare a caccia. Sapeva cosa fare per aiutarlo nella vita di tutti i giorni e sapeva cosa non fare per non farlo arrabbiare.

Ammirava suo padre e il barone oltre ogni misura. E conosceva i figli di quest’ultimo.

C’era Richard, il maggiore e l’erede, dallo spirito ardito e tanta voglia di avere successo in ogni cosa. C’era Peter, mite e pacato, che lo salutava sempre con un sorriso sincero. C’era l’unica femmina, l’ultima dei figli di Harald Martewall, Leowyn. Di lei Kerwick avrebbe potuto parlare all’infinito senza stancarsi mai.

Il terzo degli eredi era Geoffrey.

Kerwick aveva sentito dire spesso che la sua esistenza, per quanto fosse cara ad Harald, non era mai stata necessaria. Da un punto di vista prettamente razionale, era curioso che vi fosse un terzo figlio maschio ad arricchire un matrimonio combinato come quello di Martewall e sua moglie. Due eredi facevano sempre comodo, il terzo solitamente si poneva a capo di un’abbazia, oppure si addestrava per i tornei. Non avrebbe mai ricevuto un’eredità. I Martewall non erano baroni così ricchi da poterla concedere a più di due eredi, più la dote per la figlia femmina.

Sentiva parlare molto spesso della famiglia Martewall, dai suoi genitori, quando si riunivano a tavola nella loro casa in una zona privilegiata del borgo di Dunchester. Suo padre gli raccontava delle sue avventure in guerra passate assieme a sir Harald e il bambino non si stancava mai di ascoltarle. E c’erano giorni in cui si parlava di lui, il terzogenito del barone. I suoi genitori a volte ricordavano il giorno in cui era nato, un giorno in cui il mare era in tempesta, a volte si domandavano quale futuro lo aspettasse.

« Qualcuno nella sua condizione… » aveva mormorato una volta il padre, riflessivo, gli occhi che non vedevano davvero la parete della loro casa, in una sera in cui l’ombra nera della guerra incombeva su di loro e si percepiva sulla pelle. « Può avere solo una vita ordinaria e stagnante o gloriosa e difficile. Senza nessuna via di mezzo. »

Kerwick non aveva compreso il senso delle sue parole. E non aveva cominciato allora ad osservare Geoffrey e a studiarlo, perché da sempre il terzogenito aveva attirato la sua attenzione più di ogni altro. Non aveva mai osato rivolgergli la parola, provava una sorta di timore che solo i bambini timidi e insicuri potevano avere.

 Davanti a lui si sentiva a disagio. Non che credesse che fosse un bambino cattivo, semplicemente Geoffrey non aveva mai mostrato di aver notato la sua presenza in quegli anni, troppo concentrato su altro e soprattutto troppo superiore a lui, sotto diversi aspetti. Kerwick ammirava la sua forza d’animo, ma non gli si avvicinava, in parte per paura di venire trascinato in qualche guaio, come era oramai un’abitudine per il suo piccolo signore, in parte perché si sentiva veramente inferiore a lui. Lui, che aveva mostrato un talento per la scrima così palese che sir Harald, con orgoglio, non aveva avuto dubbi fin da subito su quale carriera Geoffrey avrebbe intrapreso.

Kerwick ci metteva una settimana per imparare ciò che lui imparava in un giorno. Gli voleva bene, ma da lontano, dato che con la timidezza che si ritrovava ad avere da bambino non sarebbe riuscito a stargli dietro o a farsi apprezzare da lui, che possedeva un carattere così dinamico.

Geoffrey era l’irrequieto, il solitario, il ribelle. Le regole imponevano al suo spirito troppi limiti e lui sentiva irrimediabilmente l’istinto di superarli. Geoffrey era il contestatore, il sognatore, l’arrabbiato e l’idealista. E quello che finiva sempre per far tirare fuori la verga dal padre per più volte.

Era testardo e orgoglioso. Sir Harald lo rimproverava di continuo di voler fare sempre di testa sua e di avere poca capacità d’ascolto, e Kerwick era d’accordo con lui non solo perché era il suo signore, ma anche perché la testardaggine di Geoffrey era visibile chiaramente a tutto il castello. Il piccolo barone però aveva dimostrato più volte di avere inventiva ed audacia, soffriva terribilmente una volta che aveva finito di litigare col padre, ma non per questo era disposto a cedere se riteneva qualcosa ingiusto.

Ammirava senza riserve suo padre, lo si poteva notare chiaramente, e faceva di tutto per non mostrarsi troppo dispiaciuto quando veniva punito. Kerwick non ricordava una sola volta in cui lui avesse tentato di sottrarsi ad una punizione, una volta che il padre gli si poneva davanti con lo sguardo severo.

Harald lo rimproverava duramente, molte volte e anche davanti ai servi o agli scudieri. Subito dopo però Kerwick vedeva una punta di orgoglio nei suoi occhi e nel suo sorriso, a stento nascosto. Un vero sentimento di collera e un vero sentimento d’orgoglio che si contendevano il posto in uno sguardo. La cosa che più lo rattristava, era il sospetto che quella fierezza Geoffrey non avesse mai potuto vederla.

« Sir Harald ha una vera e propria predilezione per lui. »

La madre di Kerwick aveva guardato suo marito, quella sera, con aria scettica, scuotendo la testa. « se dovesse avere una predilezione per uno dei suoi figli, non sarebbe per lui. »

« Ti sbagli. » ribadiva sir Kerwick con un sorriso sicuro.

Il tempo passò e sir Harald andò in guerra col figlio Richard. Peter invece li avrebbe seguiti per una parte di strada, per poi far visita ai monaci del monastero di Glenheaven, come era suo desiderio da molto tempo. Sir Harald l’aveva accontentato, perché Peter era un ragazzino così gentile e arrendevole che non farlo dopo così tanto tempo e sapendo che non sarebbe stato presente per chissà quanti mesi l’avrebbe persino fatto sentire in colpa.

 Kerwick aveva visto solo allora, per la prima volta, paura nello sguardo di Geoffrey. Quegli occhi solitamente così risoluti anche di fronte alla verga di sir Harald, in quel momento fremevano d’angoscia e il petto si alzava e si abbassava con meno naturalezza. Non c’era solo paura, ma anche tanta rabbia. Kerwick la guardava con preoccupazione e capì solo qualche giorno dopo, quando assistette ad un allenamento di Geoffrey dai movimenti particolarmente esasperati.

Provò una sottile vergogna. Suo padre gli aveva detto che era normale che provasse paura, e che anche lui aveva paura, per questo non avrebbe potuto portarlo con lui. Disse che era ancora molto giovane e avrebbe avuto tutto il tempo per seguire il suo cavaliere in guerra come scudiero e che per ora doveva solo sentirsi sollevato ed allenarsi tanto. Kerwick gli aveva creduto subito e non aveva più avuto dubbi, né aveva provato imbarazzo nel restare a Dunchester. Suo padre disse che anche sir Harald aveva detto le stesse cose ai suoi figli, che sarebbero dovuti rimanere soli per quei mesi, perché la madre li aveva lasciati ormai da tempo, tanto che Leowyn se la ricordava solo vagamente.

Però, oramai Kerwick lo sapeva. Geoffrey non avrebbe mai neanche provato a non sentirsi arrabbiato.

                                                            

*

 

Il castello era in fermento e cercava notizie ovunque, ma queste arrivarono in modo non frammentario solo con il ritorno di sir Harald. Geoffrey era stato molto solo in quei mesi. Passava del tempo con la sorellina quando ne aveva voglia, ma sfuggiva con ammirevole destrezza alla compagnia dei suoi istruttori o delle balie. Kerwick sentiva uno strano bisogno di tenerlo d’occhio, e il suo carattere stava mutando pian piano, divenendo più sicuro con l’età. Aveva provato a parlargli, un giorno in cui Geoffrey non era riuscito a nascondere la rabbia e l’angoscia che lo tormentavano e in cui lui aveva buone notizie da portargli.

« Signore?»

Geoffrey non si voltò. Rimase col braccio leggermente alzato e con un pugnale pronto ad essere lanciato nella mano.

« Cosa c’è? »

« Abbiamo buone nuove, signore! Alcuni abitanti del borgo dicono che hanno sentito dire che vostro padre sta tornando!» affermò Kerwick gongolante. Geoffrey lanciò il pugnale e fece quasi centro sul bersaglio, cupo in viso.

«Sono solo voci. » replicò laconico, e Kerwick vide la tristezza dipingersi nel suo sguardo.

Geoffrey si accorse della sua occhiata e lo osservò arrabbiato, incrociando le braccia al petto.

« Altro?» chiese, gelido.

Kerwick abbassò il capo imbarazzato.

« No, signore. »

« Allora puoi andare. E aspetta che tornino le sentinelle prima di credere alle notizie. »

Kerwick annuì dispiaciuto. Lui e il giovane barone avevano la stessa età, ma Geoffrey, nonostante il fisico smilzo, pareva senza dubbio più grande.

Il bambino si voltò un’ultima volta prima di lasciarlo solo.

« Siete ancora arrabbiato con sir Harald? »

Geoffrey serrò la mascella, andò a recuperare il suo pugnale e non rispose.

« Io… se permettete…» cominciò esitante Kerwick, che non aveva molta voglia di chiudere il discorso così presto. « Io penso che dovr…»

« Io penso che dovresti farti gli affari tuoi. Vattene via. » ordinò secco Geoffrey, con una punta dell’aria capricciosa tipica dei ragazzini, interrompendolo con uno sguardo infastidito. Kerwick aveva le orecchie rosse.

« Scusate…» poi, un attimo prima di girarsi, respirò a fondo e si inchinò con la fretta dell’imbarazzo. Si presentò velocemente, biascicando tutto d’un fiato. Geoffrey annuì con noncuranza.

« Guarda che lo so chi sei. » disse, con un tono tra l’impaziente e l’infastidito.

Il sorriso di Kerwick divenne raggiante d’orgoglio e soddisfazione.

 

 

*

 

Kerwick vide Geoffrey guadagnarsi il rispetto di quelli che sarebbero presto diventati i suoi uomini, in un modo assoluto che non lasciava spazio a dubbi e perplessità nella mente dei soldati.

Lui non aveva bisogno di convincersi di nulla. Era già da molto tempo che lo ammirava, il suo atteggiamento fiero e distaccato e orgoglioso anche nei momenti più bui, il suo spirito indipendente e la sua impazienza nel diventare adulto, tutto questo gli aveva fatto capire che lo avrebbe seguito con ancora più ardore di quanto avrebbe fatto coi suoi fratelli.

Era stata una considerazione non ponderata ma quasi istintiva, che si era consolidata col passare del tempo. E non vi era quindi una teoria logica per spiegarla, ma forse a Kerwick non serviva. Non gli serviva sapere perché avrebbe dato ogni fibra dei suoi talenti per servire il suo giovane e scontroso signore. Sapeva che Geoffrey si meritava il suo rispetto e la sua lealtà, e tanto gli bastava.

Stavano crescendo entrambi. Kerwick vedeva Geoffrey raggiungerlo in altezza e larghezza di spalle e accentuare la differenza d’abilità militari che li distingueva. Viaggiava molto, spesso da solo, per i boschi e i villaggi del suo feudo, e spesso seguiva il fratello Richard in occasione di tornei o per qualche battuta di caccia. Il suo spirito non tollerava l’inattività. Si era impegnato per gestire i cani da caccia, i falchi e i cavalli, prendendosi la responsabilità di selezionarli e sfruttarli, come se non volesse fermarsi un momento. I soldati gli si rivolgevano sempre più spesso per i motivi più svariati, e molte volte Geoffrey chiedeva loro di fargli da avversari, e loro avevano imparato a non privilegiarlo mai in nessun modo, per evitare la sua rabbia. Sir Harald riponeva in lui una fiducia assoluta, e chiedeva spesso il suo consiglio. Geoffrey si impegnava nel studiare le arti militari e dimostrò di avere una spiccata abilità nei panni dello stratega. La sua dinamicità si era disciplinata, forse, ma non assopita. Il suo sguardo fremeva di continuo, alla ricerca di qualcosa di indefinito, instancabile. L’eco di un’antica ambizione riecheggiava nelle sue iridi assieme a una celata e perpetua insoddisfazione.

Kerwick provò una gioia sincera nel vedere sir Harald conferire al minore dei suoi figli maschi l’investitura a cavaliere. Non avrebbe mai dimenticato il sorriso del barone in quel momento. Volle cingere lui stesso la spada al fianco del figlio, quell’arma che aveva commissionato personalmente. Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su Geoffrey, con fiducia e orgoglio. Sir Harald lo abbracciò, una volta che si fu alzato dalla posizione inginocchiata in cui aveva pronunciato i giuramenti.

Geoffrey era molto giovane, ma decisamente pronto per divenire cavaliere, sotto il punto di vista delle abilità, delle esperienze e dei principi morali.

Diversi mesi passarono e Kerwick li sfruttò impegnandosi ancora più del solito, per raggiungere il suo signore e seguirlo nelle sue esperienze.

Successe troppo rapidamente, ciò che sir Harald più temeva. Da qualche settimana il barone aveva cominciato ad apparire pensieroso, preoccupato, con gli occhi distanti e l’aria ombrosa. Spesso osservava Geoffrey con una ruga d’inquietudine in mezzo alla fronte e emetteva un respiro un po’ più profondo. Tutte le settimane arrivavano dei messaggeri, che parlavano solo con lui e, dopo qualche tempo, coi cavalieri più fidati. Alle domande dei figli non dava risposta.

 

*

 

 

Kerwick non avrebbe voluto comportarsi da spia. Provava, in quel momento, una certa vergogna, e una sorta di sottile disgusto per se stesso. Spiare il suo signore in un momento tanto delicato e privato non gli faceva onore ed era un gesto che sfiorava l’ingiustizia.

Non aveva iniziato di proposito. Semplicemente, si era trattenuto più a lungo nell’armeria e quando aveva attraversato il chiostro per rincasare aveva sentito sir Harald e Geoffrey discutere sotto il porticato.

Era oramai sera inoltrata. L’oscurità era rischiarata solo dalle luci delle torce, ma non così tanto da coprire una distanza più ampia di qualche passo. Le figure del barone e del figlio erano segnate da luci e ombre che le rendevano quasi inquietanti e che accentuavano il dinamismo dei loro volti.

Kerwick poggiò la schiena ad una colonna con le sopracciglia contratte dalla preoccupazione, ancora avvolto dall’ombra.

« Non potete negarmi anche questo! Non adesso, non dopo tutto il tempo in cui ho aspettato e in cui sono rimasto a guardare senza fare niente!» la voce di Geoffrey saettò per il chiostro. Kerwick rabbrividì, non solo a causa dell’aria pungente. Intuiva, anzi, sapeva a cosa Geoffrey stava alludendo. Una volta che le notizie erano state accertate, tutti i feudi avevano saputo della chiamata alle armi di Giovanni Senza Terra. Kerwick sapeva che sir Harald non credeva che non si potesse arrivare ad una tregua prima della venuta dell’anno nuovo, quel periodo era molto instabile e incoerente.

Ma Richard Martewall era morto per una sola battaglia combattuta male dall’esercito inglese.

Anche una sola battaglia poteva bastare, con così poco tempo per organizzarsi, con una situazione così incerta.

E sir Harald non nutriva nessuna stima né fiducia nel suo re.

« Ti ho già spiegato le mie motivazioni, Geoffrey, e non sprecherò altro tempo perché ti ostini a non ragionare! » disse sir Harald con un gesto imperioso del braccio, il tono severo e lo sguardo bruciante.

« Allora spiegatemi, che cosa dovrei farmene della mia investitura?!» chiese Geoffrey, sarcastico e amaro, senza timore né prudenza, perché la prepotenza delle sue convinzioni evidentemente superava ogni altro sentimento e la capacità di vedere quel confine invisibile da non oltrepassare.

« Mi avete voluto cavaliere solo per portarvi il denaro dei tornei!»

Kerwick sapeva che non lo pensava davvero. Le sue parole erano dettate dalla rabbia e dalla frustrazione. Ma non per questo avrebbero ferito di meno.

« Come puoi pensare questo?! » la reazione di sir Harald era stata immediata e terribile. Respirò a fondo per riprendere il controllo di se stesso e si allontanò di un passo dal figlio, perché gli si era avvicinato tanto che quasi la sua barba gli sfiorava i capelli. « Non azzardarti mai più a ripetere una cosa del genere. » continuò, col tono più basso, tremante ma controllato. « Mi fa male sapere che pensi questo di me. » affermò infine, ed era chiara la sua ferrea volontà di essere onesto in tutto e per tutto con suo figlio.

Geoffrey abbassò per un momento lo sguardo mordendosi le labbra.

Suo padre allora incrociò le braccia al petto e respirò lentamente l’aria gelida.

« Ti ho voluto cavaliere perché ti credevo pronto. »

« Io lo sono!» affermò Geoffrey serrando i pugni.

« lo so. » sospirò sir Harald. « Ma vorrei che tu avessi più capacità di giudizio e che sapessi comprendere i tuoi limiti. »

Alzò una mano per frenare sul nascere le proteste del ragazzo e ricominciò ad alzare il tono della voce, a renderlo più severo e a stracciare il velo di rassegnazione di cui era intriso e che Geoffrey non sopportava.

« Tu resterai qui perché vivi ancora sotto il mio tetto. Sono costretto a mandare Peter e ad andare io stesso, ma per te posso trovare una giustificazione e lo farò. Non manderò a re Giovanni più di quanto gli devo. »

« E perché? » sbottò Geoffrey« è il nostro re!»

« Ci trascinerà tutti in una guerra inutile che non possiamo affrontare. Non senza una buona guida. Lui non è una buona guida. »

« Come potete saperlo? Tutte quelle voci sul fatto che abbia sacrificato il fratello… non vi è nessuna prova! »

Sir Harald sorrise amaro.

« Ti comprendo, Geoffrey, perché da ragazzo ero esattamente come te. Vedevo ingiustizie dove non c’erano. »

Geoffrey scosse la testa con impazienza.

« Io sono un cavaliere adesso. Siete stato voi ad investirmi di questo titolo e non mi interessa se ve ne pentite…»

« Io non ho mai dett…» provò a protestare sir Harald, tenace.

« Non subirò di nuovo l’umiliazione di restare a guardare senza fare niente! Di vedervi partire senza rischiare nulla di persona per la mia terra e per la mia famiglia! »

Sir Harald sospirò seccato.

« Ora non venirmi a dire che non ti ho fatto fare esperienza. Ti ho lasciato a Dunchester una sola volta, in tutti gli altri miei viaggi ti ho sempre portato con me anche se eri solo un bambino. »

« Quell’unica volta è stata la sola in cui siete andato in guerra. »

« Solo per qualche mese. Poi c’è stata la tregua. »

« E io come facevo a saperlo?!»

Il silenzio calò come una falce spietata tra loro. Ognuno di loro sembrava meditare sulle parole dell’altro. sir Harald senza dubbio pensava al senso di abbandono di Geoffrey. Per quanto riguardava il figlio, Kerwick non riusciva a decifrare i suoi pensieri. Provava costantemente il timore, gelido e terribile, di essere visto e si sentiva in colpa per questo. Voleva solo che si spostassero così da potersene andare senza colpo ferire.

« Tu non sai nemmeno perché vuoi combattere. » sentenziò sir Harald. Kerwick si aspettava da Geoffrey una risposta secca, gelida e furente.

Invece il ragazzo sorrise, agghiacciante, con una sfumatura spietata tra le labbra.

« Credete? »

Il padre attese qualche secondo che aggiungesse dell’altro, prima di perdere la pazienza come faceva sempre quando la preoccupazione lo assaliva.

« Tu rispondi ancora a me!» sbottò duramente la voce di sir Harald, severa, irata, aspra. « E rispondi a Dunchester! Resterai qui a difenderla in caso di bisogno. Ti lascio il pieno controllo del castello, che è ciò che abbiamo di più prezioso! Non ti basta!?»

« Mi chiedete se mi basta?» chiese Geoffrey tra i denti. « Hanno ucciso Richard! Come potete accettarlo in questo modo? Come potete non desiderare che ne muoiano il più possibile? »

Kerwick trattenne il fiato, colpito da quelle parole come se avesse ricevuto una stilettata al petto. Non aveva mai immaginato che ci fosse questo dietro lo sguardo di Geoffrey, che, due anni prima, era diventato fin troppo freddo. Sapeva che vi era celata tanta sofferenza, eppure il ragazzo aveva nascosto bene la sua voglia di vendetta, aveva atteso, terribilmente solo nel suo desiderio di agire al più presto, appena l’occasione si fosse presentata.

Eppure Kerwick non avrebbe dovuto stupirsi. Ricordava col cuore in gola lo sguardo di Geoffrey puntato sulla bara del fratello, e ancor prima sulla sua salma, ricordava ogni sfumatura delle sue iridi anche se aveva avuto il coraggio di guardarle solo per pochi istanti. E ricordava il legame che univa i fratelli Martewall, l’ammirazione di Geoffrey nei confronti di Richard e il modo in cui il più grande insegnava qualche trucco con la spada al fratello minore di cui andava tanto fiero.

Trovarsi di fronte un ostacolo dopo due anni in cui la sua anima si era nutrita di rabbia e odio per sopportare il dolore doveva essere per Geoffrey più che frustrante.

Kerwick sperò con tutte le sue forze che sir Harald lo fermasse.

Non sentì più nulla. Quando si sporse per vedere, vide sir Harald trattenere saldamente suo figlio per il braccio per impedirgli di andarsene, sussurrargli qualcosa mentre Geoffrey ribadiva a voce più alta che sarebbe partito con o senza il suo permesso. Il barone lo fulminò con lo sguardo saettante.

« Dannato ragazzino! Spero almeno che tu possa trovare motivazioni più onorevoli per scendere in battaglia, allora. » sbottò sir Harald alla fine, con un gesto esasperato e un misto di rabbia e preoccupazione negli occhi.

Geoffrey sembrò indolente fino all’ultimo.

« Per adesso le mie mi bastano, padre. »

 

 

 

Ooook….

Mi devo scusare, perché avevo detto che sarei riuscita con ogni probabilità a pubblicare prima di Natale e invece….

Ormai devo farvi gli auguri di buon anno!!!

Che dire… questo capitolo è l’emblema dell’OC. Ho inventato di sana pianta un po’ di cose… il carattere di Kerwick da bambino, il fatto che lui sia cresciuto a Dunchester…

Per alcuni elementi mi sono rifatta alla cronologia storica e al libro, come per azzeccare, più o meno, l’età di Geoffrey alla morte del fratello (che ho evitato di menzionare, ma dovrebbe essere sui quattordici anni, quindi ho fatto diventare Geoffrey cavaliere da molto giovane, a sedici anni. Spero sia verosimile, d’altra parte non si fa altro che dire che è un veterano. E poi me lo immagino sempre più maturo, di certo non il classico ragazzetto con gli occhiali da moscone di terza liceo ).

Per quanto riguarda la furia vendicativa… mi sono accorta che nei capitoli precedenti ho accentuato molto poco questo lato del suo carattere. Un errore da non rifare, Geoffrey è caratterizzato da luci e ombre.

*Jerome annuisce convinto. *( è sempre bello avere la sua approvazione. )

Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto( almeno più di quanto ha convinto me : )…)

Grazie per essere arrivati fino a qui e BUON 2015 (a chi piace festeggiarlo… )!!!!!!

Tacet

  
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