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Autore: MarySmolder_1308    30/12/2014    1 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
Delle voci avevano affollato la mia testa, ognuna diceva la sua.
“No, non può essere”
“Chissà, magari è un semplicissimo ritardo che non implica nient’altro”
“Mary, non essere idiota, sai benissimo che l’interruzione del ciclo è il primo sintomo di una gravidanza”
“Già, ma ci sono altri sintomi. Per esempio? Le nausee mattutine. A me non sembra di aver avuto nausee mattuti”.
La mia mente mi ripropose la mattina del matrimonio di Rose e Steve.
 
“Ti vuoi andare a mettere quel dannato vestito? Sto bene” dissi per l’ennesima volta, mentre ero in ginocchio sul pavimento del bagno.
“La mia damigella d’onore ha rimesso due volte, come posso minimamente pensare di vestirmi?” Rose mi guardò con disappunto, inarcando un sopracciglio.
“Forse dovresti semplicemente pensare al fatto che, se non ti vesti oggi, non ci sarà nessun matrimonio” le feci notare.
“Questo è vero, ma – si inginocchiò accanto a me, poggiando una mano sulla mia spalla – non posso farlo, senza te accanto. Sei la persona più vicina a una sorella che ho. Devi essere lì al mio fianco, a camminare lungo la navata prima di me e a sorridere – si arrestò un attimo – e a piangere – scoppiammo entrambe a ridere, poi continuò – Steve è l’uomo che amo e sogno questo giorno da sempre, davvero. Semplicemente voglio il tuo sostegno. Chiaro?”
“Cristallino – le accennai un sorriso, poi sospirai – E va bene. Iniezione sia!”.

 
“Ok, manteniamo la calma, non deve essere per forza una gravidanza. Magari era un’indigestione, una coincidenza”
“Non essere fin troppo ottimista, non ci spererei tanto”
“E tu non essere pessimista”
“Ah, ti odio!”
“Tranquilla, il sentimento è ricambiato”
“Ok, basta voi due” dissi, forse un po’ troppo ad alta voce.
Ma che diavolo stavo facendo? Rimproveravo me stessa? Che situazione!
“Allora, pensiamo: il ciclo sarebbe dovuto arrivare verso i primissimi giorni della vacanza, perciò – sussurrai – Avrà usato protezioni il mese scorso, giusto?”.
 
“Sono a casa” urlai, chiudendo il portone d’ingresso.
Tolsi il cappotto e le scarpe, posai la borsa, indossai le pantofole e, solo allora, mi guardai intorno.
Moke, Thursday e Damon giocherellavano con dei pupazzetti di lana ai piedi del divano. A parte quella dinamicità, il resto era tutto fermo immobile.
Dove cavolo era finito Ian?
Improvvisamente un odorino molto allettante giunse dalla cucina. Era un insieme di ingredienti, questo lo capivo, ma non riuscivo bene a identificarli. Cosa stava cucinando?
Incuriosita, mi avviai.
“Grazie per aver risposto al mio ‘Sono a ca” mi bloccai all'istante.
Ian era di spalle e aveva in mano una bottiglia di vino bianco, con cui stava sfumando qualsiasi cosa ci fosse all’interno della padella. Tuttavia, non era questa la cosa sconvolgente, bensì il fatto che riuscissi chiaramente a vedere il suo marmoreo lato B.
“Sa’” sussurrai, fissandolo e deglutendo.
“Oh, ciao” Ian si voltò, sfoggiando un sorriso beffardo.
“T-tu s-sei” balbettai, indicandolo imbarazzata.
“Cosa? Cosa sono?” disse divertito, poggiando la bottiglia di vino.
Subito dopo, spense i fornelli e mi si avvicinò lentamente.
“Nudo. Sei nudo. Stai cucinando nudo” mormorai sommessamente, non riuscendo nemmeno a guardarlo in faccia.
“Mary, cavolo, l’hai visto nudo milioni di volte, riprenditi!” pensai, schiaffeggiandomi mentalmente, ma era inutile.
“Sì, beh, te l’avevo detto che l’avrei fatto. O sbaglio?” chiese.
Non ricevette alcuna risposta.
“Mary, il mio viso è di qua” mi alzò il mento con due dita, cercando di trattenere una risata.
“Sei nudo. Stai cucinando nudo” ripetei, come se si fosse incantato un vecchio giradischi.
“Lo so” sorrise nuovamente e mi tolse il cardigan.
“Sei anti-igienico” ribattei, cercando di essere razionale e restare ferma nella mia decisione.
“Non è vero, mica ho cucinato con il grande Smolder” mi fece notare, togliendomi la maglietta.
“Non sei divertente”
“Difatti – si interruppe, baciandomi prima una spalla e poi l’altra, mentre mi privava del reggiseno – non è mia intenzione esserlo”
“Sei uno stronzo. E uno scorretto. Uno stronzo scorretto”
“Può darsi. Ma ricorda sempre che sono il tuo – sottolineò quell’aggettivo -  stronzo scorretto – detto questo, cominciò a baciarmi la pancia, scendendo sempre più giù, mentre mi slacciava i pantaloni – Vieni con me ai PCA. Sii la mia accompagnatrice”.
Cominciai a respirare affannosamente, mentre Ian mi toglieva le pantofole, i pantaloni e le calzette.
“Di’ di sì, dai!” mi incitò con voce sensuale, sottraendomi anche gli slip e baciandomi in corrispondenza di un osso del bacino. Pian pianino baciò sempre più in basso.
Chiusi gli occhi, cercando di trovare qualcosa a cui appigliarmi. Reclinai il capo e mi morsi il labbro inferiore.
“Mary” mi chiamò con un sussurro, mentre era ancora in ginocchio dinanzi a me.
“Al diavolo” riaprii gli occhi, lo feci alzare e, spintolo a muro, cominciai a baciarlo, facendo aderire il mio corpo al suo.
Ian mi prese le gambe e ribaltò le nostre posizioni. Il muro era gelido. Ebbi i brividi.
“Ok, cambiamo posto” disse, quasi senza fiato, mentre le sue labbra cercavano di divorare ogni centimetro del mio corpo.
“Meglio” dissi, respirando più affannosamente.
Inizialmente si diresse verso il divano, poi deviò verso il tavolo del soggiorno.
“Ci reggerà?” chiesi incerta.
“Scopriamolo” ammiccò.
Mi sdraiò su quella superficie legnosa e per un attimo si arrestò, ammirandomi. Non appena si mise sopra di me, cominciò nuovamente a baciarmi ovunque. Volto, spalle, seno, addome. Ogni parte della mia struttura corporea stava cadendo vittima di quelle labbra. Quando per la seconda volta arrivò alle mie zone più intime, non potei fare altro che aggrapparmi ai lati del tavolo e perdermi in quella sensazione indescrivibile. Ian passò chissà quanto tempo a torturarmi in quel modo, mentre le sue mani spaziavano delicatamente lungo il resto del corpo. Questo rendeva quel supplizio ancora più soddisfacente. La mia razionalità andava sempre più perdendosi. Iniziai a boccheggiare, quando le cose divennero più gradevoli, di quanto non fossero prima.
Non resistetti più e urlai il suo nome, innumerevoli volte, mentre un’ondata di piacere mi avvolgeva.
“Hai chiamato?” chiese lui, sghignazzando, a lavoro ultimato.
“Sei davvero anti-igienico” gli lanciai un’occhiataccia per via di quella risata, mentre cercavo di riprendermi.
Ian scosse la testa divertito.
“Non ti muovere” ammiccò di nuovo e sparì per qualche secondo.
 
“Ok, quindi in quel momento è andato a prendere i preservativi. O sbaglio?” battei la testa un paio di volte a muro, mentre cercavo di non considerare i miei ormoni, completamente attivi per quel ricordo, bensì di far tornare alla mente altri particolari di quel giorno.
 
“Rieccomi” disse, quasi gongolando, ancora nudo.
“Dove sei stato?” domandai, quasi esitante, ancora nuda sopra il tavolo.
“In bagno – si scrollò nelle spalle, dopodiché mi fece mettere a sedere – Sai, di solito, dopo l’antipasto viene servito il primo piatto”
“Stai facendo allusione al fatto che siamo sopra un tavolo?”
“Può darsi” sorrise sghembo ed entrò in me, senza chiedere.
Lo guardai sorpresa, mentre il sorriso non svaniva dal suo volto.
Mi ritrovai sopraffatta, ancora e ancora, da quell’uomo passionale, che mi aveva totalmente rapita.
Ogni singola stanza di casa mia divenne protagonista dei nostri istinti.
 
“Non si è mai staccato. Abbiamo fatto orario continuato per tutta casa, quel pomeriggio. Questo vuol dire c-che… c-che… non l’ha messoooo!” dissi disperata con voce strozzata e mi presi il volto tra le mani.
“Mary, sicura che vada tutto bene?” chiese Ian preoccupato, bussando alla porta.
“Sì, non preoccuparti – risposi nervosamente – Torna a letto, ti seguo a ruota”.
Come potevo spiegargli che avevo già una specie di embrione tra i 4 e i 7 millimetri, annidato dolcemente nel mio utero?
Sentii i suoi passi e dopo un po’ uscii dal bagno e mi sedetti sul letto.
“Allora, dove eravamo rimasti?” Ian cominciò a baciarmi il collo dolcemente.
Avrei voluto strappargli il lenzuolo e fregarmene della situazione, ma non potevo. Riuscii a rifiutarlo a malapena.
“N-n-no, aspetta” dissi con la voce tremante per l’agitazione, allontanando il suo volto dal mio corpo.
Mi guardò confuso e continuai ancora più agitata: “Perché invece di… sai – cominciai a gesticolare, indicando le nostre parti intime che si univano – non parliamo un pochino?! Parlare fa bene. In un rapporto, la comunicazione è importante”
“Vuoi parlare, adesso?” trattenne a stento una risata.
Provò nuovamente a baciarmi.
Rifiutarlo fu ancora più difficile, ma riuscii nell’impresa.
“Va bene – si sdraiò e mise le mani dietro il capo – Di che vuoi parlare?”.
Mi appoggiai sul suo petto.
“Non so, ad esempio… Cosa vorresti in questo momento che senti che manca nella tua vita? Rispondi sinceramente”
“Mmm vediamo… Allora, quel mitico orso polare, anche se so che è impossibile; riportare i miei amati gatti a casa, cosa che farò tra breve, appena rientriamo; nuotare con i delfini, credo sarebbe una cosa incredibile; salvare uno o due cani dal canile e adottarli, sempre se tu voglia, dato che ne hai paura; costruire una riserva per uccelli in giardino; adottare un corvo, mi sono innamorato dei corvi facendo Damon; e per finire, come ciliegina sulla torta…”
“Ecco ci siamo! – pensai speranzosa, probabilmente con una faccia da emerita idiota – Ora dirà ‘figlio’ e tutto andrà per il meglio”
“Un cavallo nero purosangue! – mi guardò estasiato, peggio di un bambino – Dio, sarebbe splendido! Già mi immagino cavalcarlo ad Halloween per Atlanta vestito da Zorro. Paul morirebbe d’invidia” scoppiò a ridere.
Mi paralizzai.
“Non ha detto ‘figliooo’!” urlai dentro di me nel panico.
Attorno a me tutto divenne nero, finché una luce non mi illuminò dall’alto.
“Ma che? Dove mi trovo?” dissi confusa.
Mi guardai intorno, poi gridai sorpresa: avevo un pancione enorme! Ian apparve davanti ai miei occhi vestito da Zorro, sul suo purosangue nero.
“Ian, aspetta!” dissi disperata.
“No, Mary, avevo detto purosangue nero, non figlio. Perciò… addio!” rispose secco e in modo profondo, poi cavalcò lontano da me.
“Ian, no, ti prego!” urlai a squarciagola.
“Mary?” Ian mi toccò una spalla e mi riportò alla realtà.
“Sì?” chiesi, ancora scossa dal flash che la mia mente idiota aveva appena sfornato.
“Ma a che pensavi?”
“Niente, niente” scossi la testa e sorrisi.
“E tu? Cosa vorresti ora come ora nella tua vita che senti ti manca?” mi accarezzò i capelli.
“Non ci ho ancora pensato – risi nervosamente e guardai l’orologio – Uh, ma guarda, si è fatto tardi! Notte” conclusi in fretta, gli diedi un bacio stampo e chiusi gli occhi.
Ian brontolò qualcosa sulla passione e spense la luce.
 
Dopo aver ritirato i bagagli, un’ondata di giornalisti ci venne incontro.
“Ma non dormono mai questi?” sussurrai a Ian sorridendo forzatamente.
“A quanto pare” rise.
I giornalisti si avvicinarono abbastanza da poter porre delle domande.
“Ian, la Norvegia è un paese accogliente?”
“Siamo stati continuamente aggiornati dai tuoi tweet e dalle vostre foto pubblicate su Instagram, ma c’è ancora qualche aneddoto da raccontare?”
“Hai sentito la mancanza di Atlanta?”
“Come avete trascorso il giorno di San Valentino?”
“Com’era il cibo?”.
Ian si schiarì la voce e, sorridendo, cominciò a rispondere: “Uno alla volta per favore. La Norvegia è abbastanza accogliente, un po’ freddina, però, sapete, questo fattore viene nascosto dalla straordinaria bellezza dei paesaggi. Consiglio vivamente di visitarla. Aneddoti da raccontare? Preferirei evitare” rise.
“Perché? Aneddoti imbarazzanti?” chiese uno di loro con malizia indiscreta.
I primi pensieri che mi vennero in mente furono l’orso polare carino e coccoloso e l’imitazione della scena vaporosa di Titanic.
 
L’acqua scorreva sui nostri corpi, mentre continuavamo ininterrottamente a baciarci. Nemmeno fossimo alla nostra prima esperienza di coppia.
Era il nostro terzo giorno in Norvegia e non riuscivamo ancora a darci un contegno. Era come rivivere le prime settimane della nostra fresca relazione, quando ogni secondo era buono per appartenerci. Stessa identica situazione. Ogni volta che si era in albergo, fare qualcosa di diverso ci era quasi proibito dai nostri corpi, che continuavano a richiamarsi a vicenda, anche durante il giorno. Era un qualcosa di insostenibile e tremendamente bellissimo allo stesso tempo.
Ian mi prese il volto tra le mani, lasciandomi dapprima un bacio stampo, poi schiudendo le sue labbra. Attorcigliai le dita tra i suoi capelli e gli morsi il labbro inferiore. Ian ricambiò quel gesto afferrandomi le ginocchia. In breve tempo mi ritrovai avvinghiata a lui.
Il vapore cominciò a palesarsi sempre di più, mentre Ian si insinuava in me.
“Oddio!” mi lasciai sfuggire quell’esclamazione, presa dalla foga del momento.
Intanto che mi tenevo stretta alla sua schiena con una mano, battei l’altra sul box doccia in vetro e la trascinai sempre più in basso, finché non presi a toccare il marmoreo lato B del mio uomo.
“L’ho detto io che questo faceva molto Titanic – disse Ian con voce affannata – Nonostante Jack e Rose non fossero dentro una doccia in Norvegia”
“Every night in my dreams” cominciai a canticchiare, anche se non avevo molto fiato in quel momento.
“Ma finiscila”.
Scoppiamo entrambi a ridere.
 
Ovviamente non riuscii a trattenere la mia tipica risatina imbarazzata.
I giornalisti mi guardarono in modo strano e Ian continuò a parlare: “Sta sicuramente pensando all’orso polare” mi strinse la mano.
“Sì, certo, all’orso polare” commentai mentalmente.
“Mi hai beccato” dissi, alzando la mano libera in segno di resa.
Dopo aver raccontato tutto l’aneddoto riguardante la mancata adozione dell’adorabile palla di pelo bianca, Ian rispose alle altre domande, permettendo così ai giornalisti di congedarsi e andare via abbastanza soddisfatti e a noi di tornare a casa indisturbati con John.
“Ah, casa dolce casa!” disse Ian sereno, entrando le valige, dopo aver salutato il suo fidato autista-amico.
“Dio, sono stanchissima! E’ una fortuna che domani sia il mio giorno libero. Rose e Steve hanno davvero pensato a tutto” sospirai e mi avvicinai al divano.
Ian mi seguì e mi fece accoccolare su di lui con aria trionfante.
“Che hai?” lo guardai.
“Niente, sono solo felice di poterti avere tutta per me per un altro giorno. Che ti va di fare?” mi sussurrò romantico, cominciando ad accarezzarmi delicatamente le mani e le gambe.
Quel tono e quel tocco furono un campanello d’allarme.
Scattai immediatamente  all’in piedi e cominciai a gesticolare.
“Potremmo uscire” gli risposi.
“Uscire ad Atlanta, dove, ti cito testualmente, ‘ci sono giornalisti anche dentro i cassonetti e non potremmo nemmeno darci un bacetto sulla guancia’? Ma sei sicura di star bene? Forse hai la febbre…” lasciò la frase in sospeso e mi guardò.
“No, sto benissimo, è solo che… mi va di fare shopping domani. Dai” addolcii la voce per convincerlo.
“Ma, ma – cercò di controbattere, poi sospirò – E shopping sia”
“Ah, il mio angelo! – lo baciai contenta – Ora andiamo a letto, su” gli tesi una mano e sorrisi.
 
Avevamo passato un’intera mattinata all’insegna dello shopping più sfrenato e ci eravamo fermati in un piccolo ristorante in centro per pranzare. Stavamo per andarcene, quando Ian notò un suo amico, Martin, al tavolo vicino con la moglie e la figlioletta e subito mi trascinò con lui per salutarlo. Dopo esserci presentati, loro continuarono a parlare del più e del meno e io mi intrattenni con la moglie, Naomi.
“Da quanto tempo siete sposati?” le chiesi.
“Oh, io e Martin ci siamo sposati prestissimo, circa ventenni. Quindi, mmm – corrugò la fronte – accidenti, sono già quindici anni! E tu e Ian da quanto tempo state insieme?”
“Nove mesi”
“Siete una coppia giovane ancora, ma splendida, davvero. Non fartelo scappare, è veramente un uomo d’oro”
“Lo terrò a mente” sorrisi.
Naomi ricambiò il sorriso e, solo quando si toccò il cappotto in corrispondenza del ventre, notai una piccola sporgenza e capii che non era sola.
“A che mese sei?”
“Quinto inoltrato”
“Sapete già il sesso?”
“Sì, è una femminuccia. Almeno terrà compagnia all’altra – sorrise e rivolse lo sguardo alla bambina che Martin aveva in braccio, che poteva avere al massimo un anno – Mary, ti dispiacerebbe prendermi il passeggino di Leah?” tornò a guardarmi, facendo una smorfia imbarazzata, e lo indicò.
“Ma certo che no” sorrisi e lo presi.
Guardai il passeggino per un po’ imbambolata, poi provai ad aprirlo per aiutare la moglie di Martin, ma niente.
Provai di nuovo, niente.
“Mi dispiace, non riesco ad aprirlo. Ho avuto a che fare con dei bambini, ho un sacco di nipoti, sia ‘veri’ – feci le virgolette – che acquisiti, quindi non è la prima volta che maneggio un passeggino, ma chissà perché”.
Stavo per continuare a straparlare, ma Naomi, sorridendo, mi disse: “Tranquilla, è normale per chi non ha ancora dei figli in casa riuscire subito nell’intento” e aprì quell’aggeggio.
Guardai istintivamente la mia pancia. Il ciclo non era ancora arrivato e questo confermava ancora di più la mia ipotesi.
Ogni attimo che passava, una piccola cellula si aggiungeva a quel piccolo essere.
Oppure no.
Stavo impazzendo.
Con la scusa del bagno, mi allontanai un momento e chiamai Rose.
“Ehi, tesoro, pronta per tornare domani? Io e Steve siamo tornati a lavoro oggi, uffa, mi mancano le Galapagos. Ma sai che”
“Rose, aspetta. Io devo dire una cosa. In teoria non dovrei dirla a te, però non posso dirla a lui, perché non ne sono sicura, ma tutto sembra confermare questa cosa e”
“Ok, Mary, calma, respira. Cos’è successo?”
“Credo di essere incinta” sussurrai.
“Tu cosa? Oh Cristo, e Ian come l’ha presa?”
“Non l’ha presa, non lo sa. Te l’ho appena det”
“Non lo sa?! Ma sei impazzita? Cos’è, vuoi urlargli ‘sorpresa’ mentre sei in travaglio?”
“To – completai sommessamente la frase, poi risposi alla sua strigliata – Ma no, è che ancora non ne sono sicura al cento per cento”
“Vieni in ospedale, subito. Prenderemo un test di gravidanza e vedremo”
“D’accordo, a tra poco” riattaccai.
Tornai al fianco di Ian.
“Ehi, ma dov’eri finita?” sorrise, cingendomi un fianco.
“Ero in bagno. E, a tal proposito, io” la mia voce si ridusse a un sussurro.
“Tu?” Ian mi guardò con aria interrogativa.
“Io devo andare in ospedale adesso”
“Come mai? Stai bene?” mi guardò preoccupato, prendendomi il volto tra le mani.
“No. Cioè: sì, sto bene, è solo c-che – cominciai ad agitarmi – ci devo andare per fare una cosa”
“Che cosa?”
“E che cosa? – balbettai a bassa voce, poi feci una risatina nervosa – E sai, cose da ospedale! Scusami” gli diedi un bacio stampo, poi salutai Naomi, Martin e la loro piccola Leah e andai verso il mio luogo di lavoro.
Era una fortuna che non fosse così distante o avrei dovuto aspettare il taxi e quindi Ian avrebbe potuto fare più domande.
Sospirai di sollievo, mentre pian piano mi avvicinavo alla meta.
“Mary!” Rose mi corse incontro, non appena misi piede al pronto soccorso.
“Crane! Non si urla in ospedale. E decisamente non si corre” il Capo sventolò l’indice, riprendendo la mia folle amica e facendola arrestare di colpo.
“Capo, ce l’ha con me?” chiese, di rimando, innocente.
“Sì”
“Beh, solo per informarla, mantengo il mio cognome, quindi” lasciò la frase in sospeso e arricciò le labbra.
“Che il tuo cognome sia Crane o Davis non importa, il concetto rimane quello. Chiaro? – non appena finì di parlare, il Capo mi notò – Floridia! – esclamò sorpreso – Cosa ci fa qui?”
“Io in realtà non sono qui. Nel senso che non sono in servizio, perché ricomincio domani”
“Appunto. Quindi perché è qui?”
“Perché Rose mi deve dare una cosa, che… ehm… può darmi solo oggi, perché… ehm… domani potrebbe non esserci più” parlai con esitazione, più o meno citando ‘Grey’s Anatomy’.
Conclusi annuendo col capo, per enfatizzare quella pessima performance.
Beh, almeno io avevo la scusa di non fare l’attrice come mestiere!
“Ok – il Capo se ne lavò metaforicamente le mani e si diresse verso una sala trauma – L’importante è che non tocca pazienti mentre è fuori servizio” disse con un tono di voce lievemente più alto.
“Ma non aveva detto che non si poteva alzare la voce in ospedale?” chiese Rose perplessa.
Il dottor Richardson si voltò.
“Ma io sono il Capo, Davis” scoppiò in una fragorosa risata e proseguì il suo cammino.
La moglie di Steve sbuffò.
“Rose, non pensarci. Piuttosto, concentriamoci. Dobbiamo fare il tutto senza farci beccare da quelle” indicai lievemente con la testa le telecamere.
“O da quelli” Rose puntò l’indice contro la troupe vicino al bancone delle infermiere.
“Giusto”
“Ok, dobbiamo agire come spie in incognito. Ci servono dei nomi in codice” parlò esaltata, battendo le mani alla fine per l’idea, secondo lei, geniale.
“Assolutamente no”
“Dai, sarà divertente!”
“D’accordo – roteai gli occhi – Che nomi desideri?”
“Beh, per te ‘Orsa’ senza ‘mamma’ e per me mmm”
“’Mosca’? Guarda ovunque, quindi è circospetta”
“Ci sto! E chiameremo il tutto… rullo di tamburi… ‘Operazione Cobra’”
“Hai riguardato ‘Once Upon A Time’ di recente?”
“Sì, ma questo non c’entra. Il cobra striscia silenziosamente e noi dobbiamo strisciare fino alla farmacia silenziosamente per afferrare la nostra preda, ovvero il test” mentre parlava, si mosse come un serpente.
“Ok, muoviamoci”
“Bene, che l’ ‘Operazione Cobra’ abbia inizio”.
Andammo verso la parte sud della struttura. Volevamo aspettare che Sally, di turno in farmacia, si allontanasse dalla sua postazione per rubare uno o due test, ma, vedendo che non si smuoveva da lì, la affrontammo direttamente.
“Mary, ma non dovevi tornare domani?”
“Già, ma… sai, non riuscivo a stare lontana da questo posto” risi, sperando di essere credibile.
“Allora, di che avete bisogno? Che posso fare per voi?” sorrise.
“Eccoo” sussurrò Rose.
“Ci servirebbero dei test… di gravidanza” pronunciai le ultime due parole così velocemente, che Sally mi chiese di ripetere più e più volte.
“Insomma, ci servono dei” Rose stava per rispondere esasperata, gridandolo a gran voce, ma la fermai.
“Abbassa la voce, ti prego”
“Uh, giusto!” si avvicinò alla nostra collega e le sussurrò all’orecchio.
“Ma certo” Sally mi sorrise.
Allontanatasi dalla sua postazione, tornò dopo qualche minuto con un sacchetto.
“Privacy assicurata così. Poi fammi sapere però, eh” mi fece l’occhiolino.
“Ma certo – ricambiai il sorriso – Grazie” dissi riconoscente.
Rose mi prese a braccetto e ci dirigemmo verso i bagni.
 
POV Ian
Rientrai in casa, sistemando al proprio posto tutto ciò che io e Mary avevamo comprato prima di pranzo. Mi era dispiaciuto davvero tanto che fosse dovuta correre in ospedale, ponendo così fine al suo ultimo giorno di ferie, però cominciavo a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava affatto. Negli ultimi due giorni e mezzo si era comportata in modo fin troppo strano, come se avesse voluto deliberatamente evitarmi.
Ma perché lo faceva? Avevo fatto per caso qualcosa di sbagliato in Norvegia?
Mille dubbi cominciarono a divorarmi e non mi lasciarono in pace, finché Mary non rientrò. Determinato a parlarle, mi avvicinai.
“Mary” cominciai, ma lei mi interruppe subito: “No, aspetta, prima devo parlarti io”.
Mi fece accomodare sul divano e continuò: “Sono certa che in questi ultimissimi giorni hai notato i miei comportamenti strani e mi scuso per questi. Il fatto è che avevo un dubbio e dovevo risolverlo prima di darti delle spiegazioni, solo che non l’ho fatto subito perché ero spaventata dalla tua reazione e poi… Dio, quel cavallo purosangue era quello che volevi, non”.
La guardai sempre più confuso e la bloccai: “Dubbi su cosa? E che c’entra il cavallo?”
“Ecco – il suo volto diventò sempre più rosso – credevo di essere incinta e che mi avresti lasciata per il cavallo e tutte le altre cose che desideri”
“Ma… perché?”
“Perché in quel discorso, l’ultima sera in albergo, non hai detto ‘figlio’”.
Scoppiai in una fragorosa risata e mi alzai.
“Non l’ho detto perché credevo fosse sottinteso, sciocchina – sorrisi e le accarezzai il volto, poi la pancia – E perciò se-sei” balbettai.
“Non lo so. Ti spiego, ho un ritardo di ben tre settimane. Pensavo mi dovessero venire i primi giorni della vacanza, ma in realtà dovevano arrivare già al weekend del matrimonio di Rose e Steve. Cosa che ho constatato in bagno con Rose. Insomma, non riesco nemmeno a farmi dei conti corretti, che razza di”
“Mary, non divagare. Perché ancora non ne sei sicura?”
“Avevamo l’acqua, avevamo i test, dovevo solo bere e fare pipì sopra quei bastoncini, ma... non ci sono riuscita. Non ero sicura della tua reazione e poi i test possono dare dei falsi risultati, perciò ho restituito i test e abbiamo optato per un modo più sicuro”
“Quale?”
“Le analisi del sangue – Mary tirò fuori una busta bianca dalla borsa – Le abbiamo fatte di nascosto e le abbiamo portate in laboratorio. Abbiamo contrattato con un nostro collega, affinché esaminasse subito quella fiala. Alla fine, quando ho preso in mano la busta, Rose mi ha detto che non era giusto che scoprissi con lei l’esito, positivo o negativo che fosse. Quindi, eccomi qui, con una busta in mano che segnerà la nostra vita. Credo” mi guardò.
La strinsi forte.
“Ti amo e, se arriveranno, amerò anche i nostri figli. Perciò aprila” le diedi un bacio sui capelli e sciolsi l’abbraccio.
“Ok” annuì.
Strappò la parte superiore della busta e tirò fuori i fogli, leggendo attentamente le analisi.
“Ian”
“Allora?”
“Ho il valore di BhCG a 1500”
“Quindi?”
“Quindi sono incinta” alzò lo sguardo con le lacrime agli occhi.
“Aspettiamo un bambino” dissi, sorridendo a trentadue denti.
“Aspettiamo un bambino” ripeté senza fiato.
Ci guardammo per un altro istante, poi ci abbracciammo, stringendoci come mai prima di quel momento.
“Aspettiamo un bambino” dicemmo in coro.
 
POV Mary
Entrai nello spogliatoio, in anticipo rispetto all’inizio del turno, certa che avrei trovato la mia Davis lì.
“Buongiorno” Rose mi sorrise estasiata, non appena si voltò.
Mi venne incontro e mi abbracciò.
“Giorno – mormorai, stringendola – Ancora non ci credo”
“Ma devi, perché è reale”
“Lo so, ma ancora ci sono tanti controlli da fare e comunque prima del primo trimestre non bisogna cantare vittoria” sciolsi l’abbraccio, dubbiosa.
“Mary, ma finiscila! E’ una cosa bella e dovete esserne felici. Non rovinarti la gioia di questo momento, piuttosto abbracciala” sorrise nuovamente.
“Ti voglio davvero tanto bene”
“Anche io”
“Vai a casa ora, giusto?”
“Yep! Steve sta per finire il turno, quindi avremo tutta una mattinata e il primo pomeriggio per riposare, mangiare e altro” parlò vagamente.
“Siete due bestie insaziabili” feci una risatina.
“Ha parlato la castità fatta persona – sgranò gli occhi, toccandomi la pancia e canzonandomi – Piuttosto che parlare con me, cerca Kate. Sbaglio o hai un’ecografia da pianificare?”
“Non sbagli – stavolta fui io a sorridere istintivamente, sfiorando il mio ventre con la mano destra – Spero non sia già impegnata in qualche emergenza”.
Chiacchierammo un altro po’, dopodiché arrivò Steve e i due sposini se ne andarono.
Mi cambiai, poi chiesi a qualcuno se avesse visto Kate.
L’ultima infermiera l’aveva notata al pronto soccorso per un consulto. Scesi e cominciai a guardarmi intorno, peggio di un avvoltoio. A un certo punto, mi arrestai. Kate stava camminando verso gli ascensori. Dovevo raggiungerla. Presi delle cartelle dal bancone delle infermiere, senza che Jo se ne accorgesse, tutta presa da una telefonata. Quasi muovendomi in punta di piedi, cominciai a camminare dietro alla nostra personalissima Izzie. Tuttavia, improvvisamente si voltò. Le cartelle, che tenevo tra le braccia, caddero per terra.
“Oh, non ti avevo vista” disse seria, piegandosi sulle ginocchia per raccoglierle.
“Non preoccuparti” le sorrisi.
Prese tutte e tre, me le porse.
“Grazie” sorrisi nuovamente.
“Ci si vede” mi salutò in modo strano, quasi ‘obbligato’, riprendendo a camminare.
Dopo qualche secondo, avevo appena ripreso a muovermi anch’io, quando si voltò di nuovo, per poco non facendomi cadere.
“Mi stai seguendo?” mi domandò con aria interrogativa, infilando le mani nelle tasche del camice bianco.
“Io? N-no, che dici – scoppiai a ridere, nervosamente, mettendo delle ciocche di capelli dietro le orecchie – Non ti seguo. Affatto”
“Ok. Allora buon lavoro”
“A te” la salutai con la mano, in maniera impacciata.
Eravamo sul punto di ripetere la stessa scenetta, ma Kate sbuffò, guardandomi nuovamente.
“Mary, quale diavolo è il tuo problema?” mi chiese, alterata.
“Non ho nessun problema”
“Allora smettila di seguirmi. Oggi davvero non è giornata. Se non è per lavoro, proprio oggi non ti voglio tra i piedi”
“Kate – pronunciai il suo nome, dopo essermi ripresa da quell’insolita reazione – Non volevo farti arrabbiare, scusami”
“Oh, non volevi fare molte cose, ma non è che tu ci sia riuscita”
“Si può sapere a cosa ti stai riferendo? I-io non capisco” scossi lievemente la testa, confusa, accantonando definitivamente l’idea di dirle della gravidanza.
“Inizialmente non capivo perché, ma avevo bisogno, quasi disperatamente, che tu mi dicessi che sono una persona orribile. Davvero orribile”
“Perché?” mi allarmai.
“Perché ero di turno l’ultimo dell’anno, il che è deprimente, perché tutti eravate a divertirvi, mentre io ero qui, praticamente da sola, con nulla da fare, perché tutti sono troppo impegnati a fare il conto alla rovescia che a farsi male per permettermi di curarli, perciò sono andata a letto con Alex. Nella stanza del medico di guardia. Più di una volta. E non solo quella sera. In quest’ultimo mese e mezzo ho continuato e continuato e ogni volta quel senso d-d-di – balbettò per un momento – colpa non faceva altro che ingrandirsi. Fino a stanotte. Stanotte tutto è cambiato” sorrise smagliante.
“Kate, davvero non capisco”
“Perché ho realizzato – continuò il suo discorso, quasi ignorandomi – che non dovevo essere io a sentirmi una persona orribile, ma tu. Ti senti così matura e pura e poi non ti rendi nemmeno conto di aver preso il cuore di una persona e di averlo stritolato, quasi fino a lasciarne solo un cumulo di ceneri. Quindi la persona orribile sei tu, non io. Io sto cercando semplicemente di riparare ciò che tu hai rotto”
“Kate, ma che”
“Mentre stava per arrivare uno degli orgasmi più belli della mia vita, lui mi ha chiamata ‘Mary’. Ecco a cosa mi riferisco. Non ho la minima idea di cosa sia successo tra voi e del perché tu lo odi così tanto, ma, davvero, parlatene, perché la situazione sta degenerando. Sempre di più. Specie per lui”.
Detto questo, girò i tacchi e se ne andò.
Ero ancora a bocca aperta, quando il cercapersone cominciò a trillare. Emergenza in arrivo. Scossi la testa per quella discussione e andai all’ingresso dell’edificio, giusto in tempo per vedere un’ambulanza arrivare.
Aprii l’ombrello per non bagnarmi e mi avvicinai.
“Cos’abbiamo?” chiesi, quando le porte dell’ambulanza si aprirono e i paramedici scesero una barella.
“Mandy Kingston, 50 anni, svenuta al supermercato. Ha avuto delle convulsioni, mentre venivamo qui, che abbiamo trattato con 5 mg di Diazepam, adesso stabile” Matthew mi informò sulle sue condizioni e mi accompagnò fin dentro il trauma center 3.
Non appena spostammo la donna sul lettino dell’ospedale, ebbe nuovamente delle convulsioni. Le somministrammo anche stavolta il Diazepam, così che il suo corpo potesse acquietarsi.
“Ok chiamate Crane di neurochirurgia, grazie” ordinai alle infermiere.
“Crane è fuori servizio”
“Giusto. Ehm, chiamate chi è di turno”
“Abbiamo qualcosa di ortopedico qui?” disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai.
“No, tornatene pure da dove sei venuto” risposi, un po’ più acida del solito.
“Oh, dolcezza, andiamo! Perché oggi quest’improvviso caratter” Alex, che stava parlando con tono beffardo, si arrestò.
Sgranò gli occhi e boccheggiò per qualche secondo, incapace anche solo di prendere aria.
Dopo aver riacquistato lucidità, blaterò un ‘Ok, non è un caso ortopedico’ e andò via.
Guardai quella reazione un po’ stranita.
Subito dopo la porta si aprì e il dottor Perry, primario di neurochirurgia, fece il suo ingresso.
“Allora, cos’ha questa donna?”.
Diedi tutte le informazioni con tono professionale, poi uscii da quella saletta. Non aveva problemi all’apparato cardiopolmonare. Non era una mia paziente precedente. Non c’era motivo per cui io restassi lì.
Salii su un ascensore per andare in reparto. Le porte stavano per chiudersi, quando Alex si insinuò tra di esse, facendole riaprire.
“A che piano vai?” mi chiese, esitante ma comunque sorridente, come se quel momento di perdizione fosse svanito nel nulla.
O, perlomeno, come se stesse cercando di farlo svanire.
“Al quarto. Tu?”
“Al terzo” disse, premendo il bottone.
Le porte si chiusero e l’ascensore cominciò a salire.
“E non potevi salire dopo?” chiesi secca.
“E perdermi l’ebbrezza di una conversazione con te?” scosse la testa, facendo una risatina.
“Ti ignoro, che è meglio”.
Alex stava per controbattere, quando il mezzo tremò. Di colpo si accese la luce d’emergenza.
“No. No, no, no! Si è fermato!” dissi esasperata, guardando allibita quella flebile luce e cominciando a pigiare più tasti, sperando magari di ottenere qualche risultato.
Invano.
“Così non lo fai ripartire, tutt’altro” disse con nonchalance.
“Ma bene, perfetto! Ora sono bloccata in questo buco con l’ultimo uomo con cui vorrei essere di tutto il pianeta”.
Alex scosse la testa.


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=AmK7QMj_tNg




“Certo che sei incredibile – mi guardò – Riesci a leggere nel profondo tutti quelli che varcano la soglia di quest’ospedale, riesci a comprendere quasi tutta la popolazione mondiale, ma me no. Perché me no?” alzò la voce.
Strinsi i pugni, cercando di mascherare la sorpresa. Non mi aveva mai parlato con quel tono così frustrato. Kate aveva ragione. Tutto questo lo stava distruggendo. Nonostante mi dispiacesse, ripensai istintivamente a tutti quei momenti irritanti e di disagio che avevo passato per causa sua e non potei fare a meno di alterarmi anch’io.
“Forse perché negli ultimi cinque anni hai saputo solamente fare apprezzamenti sessuali sulla mia persona? Forse perché, da quando ti ho conosciuto, non hai fatto altro che cercare di scoparmi? Scoparmi e basta? E allora perché cavolo io dovrei cercare di conoscerti, quando è palesemente evidente che tu ti vuoi avvicinare a me solo per potermi sbattere, in tutti i sensi, contro la parete di questo dannato ascensore? Non sono una figurina rara che ancora non sei riuscito a ottenere e non lo diventerò, stanne certo. Sono una persona, maledizione” gli urlai contro, gesticolando.
“E tu come cavolo hai fatto a non capire che il sesso, l’essere beffardo e tutto il resto fanno parte di una cazzo di maschera e basta? I-io… sai chi è la paziente che è arrivata? Quella con le convulsioni? – indicò le porte dell’ascensore, come se quella donna fosse appostata lì dietro – E’ mia madre. La riconosco, perché ho una sua foto nel portafogli, non per altro, perché ha abbandonato me e mio padre, quando io avevo solo due anni. Da quel momento, mio padre ha cominciato a bere. Sempre di più. Non era mai abbastanza. Ricordo ancora che, quando ero un po’ più grande, sui sei anni, ogni volta che collassava, prendevo un’aspirina e la preparavo, attendendo il momento in cui si sarebbe svegliato. Ho vissuto così fino ai miei undici anni. Poi mio padre è morto e hanno iniziato a mandarmi in tante famiglie. La mia permanenza in ognuna non durava più di due mesi”
“Alex”
“Non ho mai pensato davvero al lavoro del medico, fin quando non ho aiutato un ragazzo, mentre ero di turno al bar in cui lavoravo, durante il liceo. Si era fratturato un braccio, non ricordo come, e io, senza sapere qualcosa sulla medicina, fermai l’emorragia e steccai il braccio con un pezzo di compensato, trovato in ufficio. Poi”
“Alex, ti prego, non”
“Capisci adesso? Il sesso è una maschera, perché… perché, Mary, tu sei buona. Sei davvero una delle persone più buone e compassionevoli di questo mondo. Forse la più buona e compassionevole. E io ho bisogno di un po’ di buono e di compassione nella mia vita, perché, per il resto, eccetto Rose e Steve, sono circondato da merda, che mi ha rovinato, che mi ha reso chi sono ora, un bastardo e stronzo gigolò. Ho bisogno che tu mi veda, non che tu mi guardi. Ho bisogno che tu mi legga, come un libro aperto. Ho bisogno che tu mi capisca, perché io… io… Io ti amo, perché mi fai credere che ci sia ancora speranza per me; che, nonostante sia stato ripudiato quasi da tutti quanti, io possa essere salvato – si avvicinò sempre di più – Essere amato. Nonostante il mio pessimo passato. Nonostante la mia quasi ormai insormontabile corazza, ricca di cinismo e ironia”
“Alex – pronunciai il suo nome tesa, avendo capito le sue intenzioni; indietreggiai – non avvicinarti di più, ti pre”.
La mia frase restò spezzata.
Le labbra di Alex avvolsero le mie con esigenza e sofferenza. Le sue mani contornavano il mio volto. Mi spinse verso la parete dell’ascensore, bloccandomi le braccia con le sue, senza tuttavia permettere alle sue mani di distaccarsi dal mio volto.
“Non è mai stata mia intenzione farti credere di essere una figurina da collezione, seppur rara. Tu vali molto di più di questo. Tu s-sei… sei come un angelo custode per me. T-tu” non continuò la frase, piuttosto riavvicinò le sue labbra alle mie.
Riuscii a liberare una mano, con cui lo presi per le spalle e lo allontanai da me con delicatezza, cercando di trattenermi dal mollargli un ceffone.
“Perché hai aspettato tutto questo tempo per dirmelo? Perché non hai cercato di approcciarti in modo diverso da ‘Belle mutandine’ o ‘Gattina’ o da ‘Buongiorno, Mary’,  detto mentre ti facevi un’infermiera per caso?”
“Avrebbe fatto differenza?”.
Restai per un attimo senza parole.
“Mary, rispondi alla mia domanda” Alex sgranò gli occhi, guardandomi.
“No – abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo poco dopo – Tuttavia non capisco perché ora. Alex, io sto con Ian”
“Lo so”
“E non ti amo”
“So anche questo. Ti si legge in faccia” sorrise amaramente, per poi fare una smorfia.
“Allora cosa ti aspetti che faccia, scusami?”.
Non ebbe il tempo di rispondere alla domanda. Le luci si riaccesero e l’ascensore ripartì. Ben presto arrivammo al terzo piano.
“Devo andare” mormorò e uscì.
Mi toccai le labbra senza parole.
 
“Dottoressa Floridia” dissero i nuovi tirocinanti del reparto perplessi.
“Sì?” mormorai con voce flebile, scuotendo lievemente la testa e tornando coi piedi per terra.
“Le sta suonando il cercapersone” una di loro lo indicò con timore, forse spaventata dalla mia reazione.
Afferrai quell’aggeggio. Era la sala operatoria 4, dunque, la mamma di Alex.
“Ehm, voi restate qui a compilare le cartelle, io devo scendere” spiegai velocemente e uscii dal reparto di cardiochirurgia.
Arrivata in presala, mi lavai velocemente, poi entrai nella camera operatoria.
“Ho fatto più in fretta che pote” mi arrestai, guardandoli più attentamente.
Erano tutti fermi, con le mani perse in aria.
Solo allora sentii un suono acustico costante divenire sempre più forte.
“No” sussurrai, sgranando gli occhi.
“E’ andata in fibrillazione quando l’abbiamo staccata dal bypass e non c’è stato niente da fare – il dottor Perry parlò con tono serio, professionale – C’è qualcuno da avvisare?”.
 
POV Nina
Battei il piede sul pavimento, tamburellando con le dita sul tavolo, fin quando non mi ritrovai davanti Ian, che mi sventolava una mano vicino al volto.
“Stai bene?” mi chiese.
“Ma certo – annuii con convinzione, cercando di sorridere – Benissimo. Mai stata meglio. Davvero mai. In tutta la mia vita”
“Ok, che succede?” si sedette accanto a me.
“Non è niente. E’ solo un presentimento che ho e non va bene averlo, sul serio. Non fa proprio bene, perché”
“Nina, che cos’è?”.
Sospirai, abbassando per un secondo lo sguardo. Non appena presi coraggio, lo rialzai e sussurrai: “Credo di essere incinta”.
Ian restò per un attimo imbambolato, fin quando non disse: “Anche tu?”.
Subito dopo, si coprì la bocca con entrambe le mani.
Sgranai gli occhi.
“Mary è incinta?!”
“Sì, l’abbiamo scoperto ieri” sorrise istintivamente.
“Ma è una splendida notizia!” esclamai e lo abbracciai.
“Sì, lo so. Spero vada tutto bene. Ancora non ha ultimato il primo trimestre, quindi non vuole dirlo in giro, perciò” lasciò la frase in sospeso.
Sciolsi l’abbraccio e lo guardai.
“Bocca cucita, non preoccuparti” mimai la chiusura di quest’ultima con una chiave.
Ian rise, dopodiché disse, parlando sottovoce, con discrezione: “Torniamo a te. Hai un ritardo di?”
“Qualche giorno. Quasi una settimana – presi un respiro profondo – Non può succedere. No” abbassai lo sguardo di nuovo.
“Nina, non preoccuparti. Può capitare. Stasera parliamo con Mary e vediamo di fare delle analisi. D’accordo?”
“Ok” annuii debolmente.
“Tranquilla. Non bagnarti prima di piovere – mi carezzò i capelli e me li baciò delicatamente – Torniamo sul set ora?” mi chiese, con voce delicata.
“Ok” rialzai lo sguardo.
Stavamo per andarcene, quando notammo che il televisore era acceso, benché fosse in modalità muto.
Uno degli ascensori del Saint Joseph riempiva lo schermo. Nonostante l’illuminazione fosse data solo dalle luci di emergenza, riuscivo a distinguere i due individui. Erano Mary e il suo collega Alex, senza ombra di dubbio. Anche Ian dovette capirlo, perché afferrò il telecomando. Stava per togliere il muto, quando, nella penombra dell’ascensore ancora bloccato, Alex baciava Mary e le sussurrava qualcosa.
Spalancai la bocca.
Mary lo respinse, ma tutta quella scena restava comunque sconvolgente.
Guardai Ian.
“Devo andare” mormorò a denti stretti e uscì.
“Ogni giorno succede qualcosa. Divertente, questa vita!” scossi la testa e uscii anch’io dalla saletta.
 
POV Mary
Cercai Alex al suo reparto, ma non lo trovai. Cominciai a vagare di qua e di là, fin quando non me lo ritrovai davanti, vicino al bancone del bar, a pochi passi da me.
Non appena mi vide, salutò il suo interlocutore e cominciò a camminare in direzione opposta. Corsi e lo raggiunsi, bloccandolo per un braccio. Prima che potesse liberarsi dalla mia debole presa, lo trascinai con me.
“Dove stiamo andando?” mi chiese più volte, senza ottenere risposta.
Stavamo per arrivare in una delle varie stanze del medico di guardia, quando, stufo, si oppose con forza. I ruoli si invertirono. Mi portò nuovamente in ascensore. Premette il bottone del quinto piano, ma, non appena l’ascensore partì, lo arrestò col bottone di stop.
“Allora, sputa il rospo. Che vuoi?” mi guardò con gli occhi spenti.
“Quattro anni fa”
“Cosa?”
“Quattro anni fa avrebbe fatto differenza”.
Alex sgranò gli occhi e mi guardò a bocca aperta, non riuscendo a proferir parola.
Con voce sommessa, quasi terrorizzata, continuai a parlare, esternando tutto quello che tenevo dentro da tutto quel tempo: “L’ho capito quando hai aiutato un paziente, che avevamo tutti e quattro preso in cura, a dire addio alla persona che più amava e che, proprio per amore, aveva lasciato andare più di cinquant’anni prima. E’ stato un gesto così amorevole, così poco da ‘Alex che tutti noi conosciamo’ – feci le virgolette – che mi lasciò stupita. Quel giorno per la prima volta pensai che forse non eri così male, che magari meritavi un’occasione. Non l’ho mai detto a nessuno. Fino a oggi”
“C-cosa?” riuscì a balbettare, senza fiato.
“La sera di quel giorno, dopo essermi cambiata, volevo invitarti a bere qualcosa al bar, ma ti vidi baciare un’infermiera. Ecco, proprio in quel momento mi sono sentita la famosa figurina. E da quel momento mi sono inacidita, seppellendo quella sensazione positiva quasi vicino al nucleo della terra”.
Alex scosse la testa, quasi impercettibilmente.
“Perché tu – sottolineò quel pronome – me lo stai dicendo proprio ora?”
“Perché la prossima cosa che sto per dirti non sarà facile da digerire e voglio che tu sappia che oggi quella sensazione positiva è tornata. Non hai avuto una vita facile. Non ti sei ‘auto-reso’ così. E’ stato proprio tutto ciò che hai vissuto a farlo. E adesso l’ho capito – accennai un sorriso amaramente – Certo, non è il sentimento di quattro anni fa. Non è quello che vorresti tu da me. Ma è pur sempre qualcosa, che ti aiuterà”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
“Ti sto offrendo la mia spalla, Alex”
“Io n-non capisco”
“Tua madre è morta. Il cuore non ha retto l’intervento al cervello”
“C-cosa?” il suo sguardo divenne appannato, spezzato.
Il suo corpo sembrò barcollare. Immediatamente annullai le distanze tra noi e lo abbracciai.
“Sssh, andrà tutto bene. Ora potrà solo andare meglio. Sssh” cominciai a cullarlo, riducendo la mia voce a un sussurro.
 
POV Ian
Parcheggiai l’auto quasi di fronte al pronto soccorso. Probabilmente mi sarei beccato una denuncia, ma in quel momento non importava. Avevo una rabbia dentro che cresceva, sempre di più. Come aveva osato baciarla e toccarla? Grugnii, facendo il mio ingresso nel posto di lavoro di Mary, guardandomi intorno, cercandola. O meglio, cercando Alex.
Un’infermiera mi venne incontro con passi brevi ma veloci. Sembrava indossasse le pattine o una cosa simile.
“Posso aiutarla?” chiese con voce gentile.
Presi un profondo respiro, cercando di non far uscire una voce violenta, poi dissi: “Sto cercando il dottor… ehm… mi pare si chiamasse Walker?” conclusi con esitazione.
“Ah, intende Alex!” rispose stizzita.
Che si fosse fatto pure lei?
“Sì, proprio lui. Dove lo posso trovare?”
“Veramente è andato via poco fa con la dottoressa Floridia”
“Cosa?” risposi, un po’ troppo ad alta voce.
Quell’affermazione mi aveva totalmente colto di sorpresa. Cos’era successo tra loro? Cosa mi ero perso?
Biascicai un ‘Grazie’ di fretta e corsi fuori da quel posto. Quando girai la chiave nel quadro, il mio istinto mi sussurrò di andare a casa di Mary. Era certo che li avrei trovati lì.
Lo seguii. Non appena giunsi nel vialetto, illuminai l’auto di Mary con i fanali della mia.
Aveva avuto ragione.
Scesi dal mio mezzo di trasporto e, prese le chiavi di casa, corsi ad aprire. Mi ritrovai davanti un salone vuoto, con la tavola imbandita. Sgranai gli occhi per un attimo, impaurito. Anzi, terrorizzato.
Stavo per urlare il nome della mia donna a gran voce, quando la vidi arrivare dal corridoio.
“Sei qui” mi abbracciò forte, inspirando il mio profumo.
“Dov’è?” domandai a bassa voce, sembrando più che altro un leone ringhiante.
“Calma i tuoi bollenti spiriti, Mufasa, e, soprattutto, non pensare male. Assolutamente”
“Mufasa?”
“Sì, sembrava stessi ringhiando poco fa”
“Oooh, dillo di nuovo!” imitai una delle iene de ‘Il Re Leone’, citando una delle scene del film Disney.
“Mufasa, Mufasa, Mufasa!” Mary mi assecondò, scoppiando a ridere.
Subito dopo mi baciò, delicatamente ma in modo sicuro e puro.
Quel gesto mi calmò. Chiusi gli occhi per un momento, mentre Mary si scostava dalle mie labbra, avvicinandosi al mio orecchio sinistro.
“Sono certa che hai visto qualcosa in televisione. Ti spiegherò tutto perfettamente, per filo e per segno, sarò più scrupolosa di Julie quando si fissa su una scena, ma per ora ti basta sapere c-che… non ha passato una bella giornata. Forse è stata una delle peggiori della sua vita e-e io non potevo lasciarlo andare così. Non sapendo quello che ora so e che per molto tempo ho ignorato. Sei hai visto quello che penso, allora capirai che glielo devo, Ian. Tu raccogli i randagi per strada. Immaginalo così, come un cucciolo che si è semplicemente perso. Ed è completamente sommerso dalla confusione mentale. E si guarda intorno, cercando di capirci qualcosa, sperando di riuscirci, ma invano. Immaginalo così e permettigli di restare. Immaginalo così e metti da parte la rabbia o la voglia di mollargli un pugno. Anche due. Perché non ha bisogno di questo. Ha bisogno di cure e, soprattutto, di comprensione. Ti prego, Ian” mi guardò implorante.
Come facevo a contraddire quel faccino e quel discorso praticamente perfetto?
“E va bene” sbuffai, sospirando.
“Vieni a salutarlo, su” accennò un sorriso.
Mi prese la mano e mi condusse alla stanza degli ospiti, la stessa stanza in cui avevo dormito io, solo e insieme a lei, migliaia di volte.
“Chissà se le lenzuola profumano di noi” mi domandai, mentre Mary apriva la porta, quasi di soppiatto.
“Alex? – lo chiamò insicura – Ian è tornato a casa”.
Aprì completamente la porta. Entrammo insieme.
Alex, che era seduto sul letto, si alzò immediatamente e mi venne incontro.
I capelli mori scompigliati. Gli occhi castani un po’ gonfi e turbati.
“So che è casa di Mary, ma… grazie per l’ospitalità” disse, cordiale, tendendo una mano.
Non sembrava nemmeno lui!
Chi avevo davanti?
“Figurati” sorrisi, stringendogliela.
“Perfetta recitazione maschera sorpresa, Ian!” pensai, facendo una pernacchia mentale a Mary, che mi prendeva sempre in giro per le mie doti recitative al di fuori del set.
“Avete già cenato?” domandai, guardandoli.
“Oh, no, non mi va molto di cenare. Tra poco vado a letto – Alex guardò improvvisamente a terra, davanti a sé – posso chiederti Mary in prestito per un attimo, Ian?” i suoi occhi si posarono nuovamente su di me.
Un mini Ian dentro di me cominciò ad agitare i pugni, ma la parte più razionale ripensò alle parole di Mary di poco prima.
“Ma certo” risposi, annuendo lievemente.
Mi voltai e uscii da quella stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
A quel punto, esitai. Per un momento pensai di appostarmi lì con un bicchiere e ascoltare, ma, effettivamente, non era giusto.
Presi un altro profondo respiro, cosa che sembrava essere la mia azione preferita in quella serata, e andai in cucina a vedere cosa Mary avesse preparato per noi e per i gatti.
 
POV Mary


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=tT7lQp-ZnBg




Guardai Ian chiudere la porta. Apparentemente tranquillo, ma sicuramente combattuto interiormente. Trattenni per un po’ il respiro, pensando a come si dovesse essere sentito vedendo me e Alex dentro un ascensore fin troppo stretto a urlarci contro.
Mi morsi il labbro inferiore e tornai alla realtà,voltandomi e poggiando i miei occhi nuovamente su Alex.
I suoi occhi, gonfi e spenti per le lacrime di poco prima, ora apparivano pieni.
Che mi stesse mangiando con gli occhi?
“Cosa volevi dirmi?” interruppi quel silenzio assordante.
Alex rispose dopo qualche minuto: “Scusa, ero immerso nell’ammirarti”
“Alex” sospirai il suo nome, quasi rassegnata.
Quel giorno avevamo passato fin troppe cose insieme, non poteva continuare a comportarsi in quel modo.
“Non dirmi così, ti prego. Mi rendi le cose difficili e, soprattutto, le rendi difficili a te stesso, perché”
“Lo so. Hai messo le cose in chiaro in modo eccelso in ascensore, perciò so benissimo che non mi ami. Ma, nonostante ciò, nonostante l’aver perso definitivamente una persona che avrei sempre voluto poter ritrovare di nuovo, ho avuto una piccola vittoria oggi – annullò le distanze tra noi, prese poco prima in presenza di Ian – perché per la prima volta ho visto quello sguardo che hai sempre cercato di nascondere. Per la prima volta i tuoi occhi mi hanno guardato con affetto ed empatia, quando invece prima erano sempre colmi di rabbia e disprezzo. Oggi, per la prima volta, hai abbattuto le tue barriere, anche con me. E, devo ammetterlo, per quanto non sia andata come voglio io, poter guardare chi realmente sei, non con gli altri, ma con me, Alex Walker, è una vittoria più che soddisfacente. Io ti amo. So che tu non ricambi, ma l’amore è anche questo. L’amore non è per forza scambiarsi le labbra, i corpi, o scattarsi selfies orribili – accennò un sorriso – L’amore è anche guardare chi ami essere felice con un altro uomo ed essere felice per lei, nonostante il sentirsi morire dentro. L’amore è accettare che l’altra persona provi questo grande e accecante sentimento non nei tuoi confronti, ma in quelli di un attore di 35 anni, famoso in tutto il mondo. Non mi serviva che tu mi amassi, Mary. Ciò di cui avevo bisogno era semplicemente la possibilità di farti capire chi sono, cosa provo e di vedere uno sguardo differente nei tuoi occhi. E ho ricevuto tutto questo – mi sfiorò una guancia, delicatamente – Potrò non avere il tuo profumo addosso, potrò non avere il privilegio di assaggiarti e di sentirti ansimare grazie alle mie straordinarie doti, ma finalmente anche io ti ho avuta. Come Steve. Come Rose. Come ogni singola persona che capisce quanto tu sia meravigliosa e bella. Dentro e fuori. Questo mi basta. Stranamente” fece una risatina e avvicinò il suo viso al mio.
“Non puoi farlo di nuovo” sussurrai, completamente spiazzata da quelle parole.
Come avevo fatto a non vedere un animo così complicato e profondamente bello in cinque anni?
“Lo so – disse semplicemente, baciandomi sulla guancia – Buonanotte, Mary” si allontanò da me e si riavvicinò al letto.
“Buonanotte, Alex” accennai un sorriso e uscii da quella stanza.
Entrai in cucina, bramosa di un bicchiere d’acqua.
Mi misi in punta di piedi per arrivare all’armadietto sopra il lavandino.
“Allora?” sussurrò Ian, sopraggiungendo alle mie spalle.
“No, non è stato inquietante, tranquillo” mi voltai, arricciando il naso.
Ian fece una risatina e richiuse l’anta.
“Ehi!” protestai.
“Ho preparato un po’ di bourbon per me e un succo per te di là. Credo sia meglio di semplice acqua dopo la cena. Soprattutto per me” fece una smorfia.
“D’accordo”.
Lasciai che mi prendesse la mano e che mi conducesse in soggiorno.
Mangiammo silenziosamente.
Dopo aver sparecchiato e lavato i piatti, ci accomodammo sul divano.
Prendemmo i rispettivi bicchieri e cominciammo a sorseggiare.
“Ok – presi un bel respiro e lo guardai – Stamattina avevo intenzione di dire a Kate tu sai cosa, tuttavia non ho potuto, perché era molto ostile nei miei confronti”
“Come mai?”
“Ecco – mi arrestai un attimo, esitante – mi ha detto che, da un mese e mezzo a questa parte, va a letto con Alex e che ieri notte quando stava per… sai, raggiungere ‘l’apice’ – feci le virgolette – lui ha detto il mio nome, al posto del suo. Perciò Kate era arrabbiata con me, per tutta questa situazione un po’ imbarazzante. Effettivamente non deve essere carino sentirsi chiamare in un altro modo, mentre stai per avere un orgasmo, anzi, dev’essere proprio orribil”
“Ok, Mary, va’ avanti” Ian annuì, sorridendo.
Stavo straparlando.
“Scusa – risi mortificata – Comunque, poi è arrivata una paziente in pronto soccorso e Alex era strano al riguardo e, beh, alla fine in ascensore ho scoperto che quella donna era sua madre”
“Era? Hai usato il verbo al passato per caso oppure”
“E’ morta oggi pomeriggio”
“Ah”
“E sono stata io ad avvertire Alex, perché ero l’unica a sapere la vera identità di quella donna. E lui è crollato. E-e io non me la sentivo di lasciarlo solo. Non potevo. N-non posso. I-io”
“Mary – Ian poggiò il bicchiere sul vassoio, prendendomi poi una mano – per quanto voglia spaccargli la faccia per essersi avvicinato alle tue labbra, hai ragione. E, soprattutto, hai fatto bene. Non potevi lasciarlo da solo. Non potevi allontanarlo ulteriormente. E ti parlo così, perché ci sono passato. E so cosa vuol dire essere cacciato da te, nel momento in cui se ne ha più bisogno”
“Questo è un colpo basso” mormorai, stringendogli la mano e ripensando alla sera del 10 Marzo dell’anno precedente.
La fatidica sera in cui avevo lasciato andare Ian per il bene della sua relazione.
“Non volevo rinfacciartelo, hai capito male! Volevo solamente dire che quando si passa un momento difficile, si ha bisogno di qualcuno al proprio fianco. Dato che io ho sperimentato l’opposto, capisco perfettamente la situazione e sono fiero di te per non aver lasciato Alex al suo destino e per esserti aperta con lui. Ovviamente non in senso fisicamente letterale. Altrimenti la spaccatura di faccia avrebbe il sopravvento seduta stante” sorrise, come se fosse un angioletto.
Scoppiai a ridere.
“Ehi, piccoletto, tuo padre è una grande persona” sussurrai, toccandomi il ventre.
“E tua madre è un meraviglioso angelo custode” rispose lui, poggiando la mano sulla mia.
Avvicinai le mie labbra alle sue, baciandolo castamente.
“Ti amo”
“Anch”.
Il mio cellulare cominciò a squillare.
“Rimanda la tua dichiarazione a dopo, Smolder” gli feci l’occhiolino.
Tornai in cucina velocemente, sperando che Alex non si fosse svegliato, e afferrai il dispositivo, guardando chi fosse.
“Pronto, Nina?”
“Mary, ti prego, aiutami” rispose la Dobreva con voce affannata.
 
POV Nina
Cominciai a battere il piede, mentre il cronometro dell’Iphone mi mostrava velocemente i secondi che stavano passando.
Mi morsi il labbro inferiore.
“Calma, Nina, calma! – mormorai – Tra poco scoprirai la verità e andrà tutto bene” cercai di rassicurarmi, nonostante avessi in testa il discorsetto di Ian su quegli aggeggi.
I tre minuti passarono.
Era giunto il momento.
“Ok. Diamo un’occhiata” girai il test di gravidanza e osservai il risultato.
Linea blu.
Linea fottutamente blu.
Il test era positivo.
Cominciai a respirare affannosamente.
Non poteva essere.
Istintivamente afferrai il cellulare e chiamai Mary.
“Pronto, Nina?” rispose dopo tre squilli.
“Mary, ti prego, aiutami” dissi agitata.
“Nina, che succede?” il tono di Mary divenne preoccupato.
“I-io ho appena fatto un test di gravidanza ed è positivo. Non sono pronta per un bambino. Sono carini e dolci e teneri, per carità, ma proprio no. Non ne voglio uno ora. E’ troppo presto. Ho venticinque anni. N-non posso. Aiutami” parlai, mentre camminavo su e giù per il bagno, torturandomi i capelli.
“Ok, Nina, calma. D’accordo? Intanto cerca di respirare. Non pensarci, va tutto bene”
“Come posso non pensarci se – alzai il tono della voce, abbassandolo subito dopo – se ho un minuscolo esserino che sta crescendo dentro di me? Non posso non pensarci”
“Sei sola a casa?”
“Sì, Joseph stasera è sul set. Per fortuna. Oddio, cosa farò?” dissi con voce lamentosa.
“Ok, facciamo così: adesso tu vieni qui e passi la notte qui”
“Non vorrei disturbare”
“Oh, non disturbi! C’è già Alex nella stanza degli ospiti”
“E se Alex è lì, io dove dovrei dormire?”
“Ti farei dormire nell’altra stanza, ma è un disastro. Perciò… tu lettone con me e Ian sul divano. Circondato dai gatti. Starà benissimo”
“Ne sei proprio sicura?”
“Sì, non preoccuparti. Coraggio, vieni. Domani mattina mi accompagni in ospedale per il turno e parliamo con Kate e vediamo se è tutto vero o no. Ok?”
“O-ok” balbettai e riattaccai.
Uscii dal bagno, portandomi dietro tutto ciò che avesse avuto a che fare con il test di gravidanza. Joseph non poteva trovare qualche indizio e magari esserne felice. Assolutamente no. Non era una situazione per cui esserlo. Le mani ripresero a tremare.
“Ok, no. Nina, calmati! Devi convincerti che andrà tutto bene” mi dissi ad alta voce.
Passai una mano tra i capelli e tornai in camera. Presi un pigiama e un cambio per il giorno dopo e infilai tutto in una borsa nera. Indossai il cappello bordeaux di lana e il cappotto nero, salutai Lynx, poi andai verso l’auto.
Guidai così velocemente, che arrivai a casa di Mary in meno di dieci minuti.
Mary spalancò il portone e si appoggiò allo stipite.
Scesi dall’auto, ormai spenta, e le corsi incontro.
Mi accolse a braccia aperte.
“Entra, su, che fa freddo!” mi disse affettuosamente.
Chiuso il portone, notai Ian sul divano, già con un paio di coperte addosso.
“Visto? Non ci voleva tanto a farlo sloggiare per una notte” Mary mi sorrise, indicando Ian.
“Ma come sei spiritosa! Sappi che lo sto facendo solo perché si tratta di Nina. Non mi va di certo giù che questa casa stia diventando un ostello” incrociò le braccia, facendo il broncio.
“Si dia il caso che questa – Mary si guardò intorno, poi alzò gli occhi verso il soffitto – sia casa mia – sottolineò quel pronome – ed è stata sempre un punto di riferimento per i ‘randagi’, dal primo anno di specializzazione”
“Non citare ‘Grey’s Anatomy’”
“Va bene, come vuoi, ma il dato di fatto rimane quello, lo sai benissimo. Lo  fai pure tu, seppur con gli animali” Mary fece una linguaccia.
Feci una risatina, mentre si avvicinava a lui.
“Buonanotte, tesoro” mormorò, carezzandogli il volto.
Ian si mise a sedere. Le prese il mento e, una volta alla sua altezza, la baciò.
“Notte a te. E a te” le fece il solletico sulla pancia.
“E a me” commentai sarcastica.
“E a te” Ian ripeté, sorridendo.
Mary mi fece cenno di salire le scale. Non appena mi raggiunse, spense la luce del soggiorno. Insieme, andammo al piano di sopra.
“Va tutto bene?” mi chiese, non appena si mise anche lei a letto.
“Sì” dissi, annuendo col capo, forse per auto-convincermi.
“Capisco che sei preoccupata, ma non bagniamoci prima di piovere. I test”
“Possono risultare falsi positivi. Lo so. Ian me l’ha detto, quando mi ha detto di te – le guardai con la coda dell’occhio la pancia – Come fai a sentirti pronta? Hai ventinove anni! Sei un cucciolo anche tu”
“Nina, siamo semplicemente due persone diverse – mi guardò sorridendo – Io mi sentivo pronta ad avere figli a sei anni. Li ho sempre desiderati, tantissimo. Mi sono sempre immaginata con tanti cuccioli umani attorno, che mi chiamano ‘mamma’ e che tendono le loro braccine paffute verso il mio volto. Tu no. Questo non toglie che non li vorrai in futuro, ma comunque al momento no. Capisco la paura, credimi, ma, davvero, sta’ tranquilla. Domani controlleremo e, da ciò che risulterà, vedremo il da farsi. D’accordo?”
“Ok. Notte Mary”
“Notte Niki”
“E grazie”
“Non ce n’è di bisogno, lo sai” mi sorrise nuovamente, poi spense le luci.
Ben presto Morfeo accolse entrambe tra le sue braccia.
 
Mi risvegliai di soprassalto, avvertendo dei rumori strani.
Guardai l’altro lato del letto. Mary non c’era.
Scostai le lenzuola e mi diressi in bagno, dove la trovai inginocchiata vicino al water.
“Tutto ok?” le domandai, cercando di non andarle dietro.
Il vomito non mi aveva mai fatto un bell’effetto.
“S-sì, non preoccuparti. Sono le nausee mattutine. Non le ho spesso, infatti prima le scambiavo per indigestioni insignificanti. Anche se” si arrestò, prendendo un bel respiro.
Subito dopo, vomitò ancora.
Istintivamente mi voltai, aspettando che finisse.
“Scusa” mormorò, asciugandosi gli occhi e la bocca.
“Non preoccuparti – la guardai, sorridendo – Anche se?” ripetei.
“Anche se stamattina va peggio delle altre poche volte. Non te lo so spiegare. Mi sento come più appesantita”
“Come posso aiutarti?”
“Non puoi, ma non preoccuparti. Tra poco mi riprendo” mi sorrise e si alzò.
Si sciacquò il volto e le mani, poi spalancò la finestra e spruzzò un prodotto per il bagno.
“Scendiamo per la colazione, su – disse energica, come se fino a due secondi prima non fosse stata morente – e ricordati che c’è anche il mio collega Alex. Perciò, acqua in bocca sulla gravidanza. Chiaro?”
“Cristallino”
“Bene” mi prese a braccetto e scendemmo al piano di sotto.
Moke, Thursday e Damon ci accolsero dolcemente, così come un profumo invitante di pancakes.
“Mmm, che odorino! Ian si è proprio superato stamat” Mary si arrestò.
Ian era ancora beatamente addormentato sul divano. Aveva il viso angelico, rilassato, e un braccio che penzolava fuori dalle coperte.
Mary aggrottò la fronte, poi scoppiò in una fragorosa risata.
Ian si svegliò immediatamente, mettendosi a sedere.
Contemporaneamente, Alex ci venne incontro dalla cucina, sfregandosi le mani.
Ci guardammo tutti e quattro silenziosamente per non so quanto tempo, fin quando Ian, con voce ancora impastata dal sonno, non disse: “Mh. Ieri sera sembrava meno imbarazzante la cosa”.
Arricciò un po’ le labbra, poi se ne andò al piano di sopra, per rendersi più presentabile.
Io e Mary facemmo una risatina.
“Buongiorno Alex – calmatasi, la Floridia guardò il suo collega, smagliante – ti ricordi di Nina?”
“Ma certamente – Alex sorrise beffardo, ricordandomi molto Damon – E’ un vero piacere rivederti – mimò un baciamano; dopo una piccola pausa di silenzio, riprese – Posso darti del tu, vero?”
“Se proprio non puoi farne a meno” sorrisi forzatamente e ritrassi la mano.
Alex e Mary scossero la testa divertiti.
“Che c’è?” domandai curiosa.
“Niente. Andiamo a mangiare, su” Mary fece cenno con la testa di andare in cucina.
Ci accomodammo tutti e tre e, non appena Ian ci raggiunse, cominciammo a mangiare.
“Dormito bene?” chiese Mary.
“Magnificamente, grazie” rispose Alex, addentando un pancake.
“Anche io” sorrisi.
“Io sul divano sono stato come in paradiso. Sul serio” Ian sorrise, palesemente sarcastico.
“Bene” Mary mormorò, guardando con la coda dell’occhio tutti quanti, per poi riprendere a mangiare.
Quello fu l’unico scambio di battute per tutta la durata della colazione. Finito il pasto, io, Mary e Alex salutammo Ian e andammo in macchina.
Mentre la dottoressa era concentrata totalmente nella guida, notai dallo specchietto retrovisore che Alex non faceva altro che osservarmi.
“Che c’è?”
“Niente, solo che non mi ricordavo che fossi così sexy” mi fece l’occhiolino.
“Nina, ignora. Alex, non hai imparato niente?” Mary lo guardò per un attimo, alzando le sopracciglia, in disappunto.
“Per tua informazione, sono felicemente impegnata” risposi con tono stizzito.
“Potrai pure esserlo, ma un giorno cederai al mio tremendo fascino” accennò un sorriso divertito.
“Alex, basta!” Mary lo rimproverò, come se fosse alle prese con un bambino.
“Non ci spererei tanto” gli feci una linguaccia.
“Nina, cosa non ti è chiaro della parola ‘Ignora’?”
“Già una donna mi ha parlato così – Alex guardò Mary con la coda dell’occhio, soffermandosi su di lei per qualche secondo – Credimi farò in modo che sarà l’unica. Quindi, sì, un giorno accadrà”
“Oh! – Mary sbottò, dandosi uno schiaffo sulla fronte – Mi arrendo, ditevi quello che volete”
“Mi dispiace davvero ferire il tuo ego – portai una mano al petto, fingendomi dispiaciuta – ma io sarò la seconda donna sulla faccia della terra a non caderti ai piedi. Né in questa, né in altre vite. Posso affermarlo con certezza”
“Ok. Come dici tu” Alex fece spallucce e tornò a guardare il paesaggio al di là del finestrino.
Passai il resto del viaggio un po’ irritata dal battibecco, avuto con quel medico.
Ma come poteva essere così arrogante? Come si permetteva?
Cadere ai suoi piedi!
Ma in quale universo?
Scossi la testa, basita.
Senza che me ne rendessi conto, forse perché troppo immersa nei miei pensieri, arrivammo dopo poco tempo in ospedale.
Alex fu il primo a scendere dall’auto.
“Grazie, Mary. A presto, Cupcake” i suoi occhi caddero su di me.
Mi fece un occhiolino, poi entrò nell’edificio.
“Come fai a sopportarlo?” mi voltai verso Mary, alterata.
“Un giorno capirai” si limitò a dire, accennando un sorriso.
Scendemmo dal mezzo e, una volta entrate, cercammo Kate.
Quando la trovammo, Mary le disse: “Ok, so che al momento non sono la persona più simpatica del pianeta per te, ma questa mia amica ha bisogno del tuo aiuto – le si avvicinò all’orecchio, guardando con diffidenza verso le telecamere e le sussurrò – Crede di essere incinta”
“Ok, vedrò di confermare o smentire questa gravidanza – mormorò a Mary con tono freddo, poi mi guardò – Vieni con me, su!”.
 
POV Mary
Uscii dal bagno, dopo aver vomitato per la sesta volta in quella mattinata. Possibile che al posto di sparire, questi sintomi aumentassero? Sospirai, sperando che nessuno mi avesse vista entrare di corsa per rimettere la colazione.
Portai delle ciocche di capelli dietro le orecchie, poi andai verso gli ambulatori. La mia giornata non era ancora cominciata, ma quella di Nina sì. Guardai l’orologio.
“Sì, dovrebbe aver finito adesso” pensai tra me e me.
Non ebbi il tempo di entrare nella zona ambulatoriale, che Nina ne uscì tutta contenta, abbracciandomi calorosamente.
“Avevi ragione, Mary! Non dovevo bagnarmi prima di piovere”
“Che ti ha fatto?” le domandai.
“Le analisi del sangue – sciolse l’abbraccio – Ha detto al tipo del laboratorio di sbrigarsi, perché era ‘questione di vita o di morte’ – fece le virgolette – Se fossi stata incinta, sarei dovuta essere di quasi sei settimane. Più cinque che sei. Comunque, mi ha spiegato che a quel punto della gravidanza, il valore di BhCG dovrebbe essere tra i 2160 e i – strizzò gli occhi per un attimo – e gli 83000 circa. Quando l’esito è arrivato, mi ha fatto vedere che il valore è zero. Quindi quel test era decisamente difettoso” mi sorrise esaltata e mi abbracciò nuovamente.
“Sono felice che si sia risolto tutto – la strinsi – Ora che fai?”
“Corro sul set. Non so quante chiamate perse di Julie io abbia sul telefonino” mi lasciò andare e fece una smorfia.
“Vai, vai, non fare aspettare Grande Capo” risi.
“Grazie, Mary, davvero! – sorrise a trentadue denti – Ci sentiamo” mi mandò un bacio con la mano e se ne andò.
Il cercapersone cominciò a trillare.
Corsi al pronto soccorso. Non appena spalancai la porta, mi pietrificai.
Capelli biondi.
Occhi azzurri.
Tratti del viso inconfondibili.
Era lei.
Era qui.
Di fronte a me.
Di nuovo.
“Valerie Evans, 30 anni, ricoverata nella clinica per malati mentali dal 28 Agosto dello scorso anno, dopo che” disse Ben, il mio specializzando, per informarmi.
“Ha investito Ian e sparato a me” completai la sua frase.
“S-sì” balbettò, guardando prima la paziente, poi me.
“Allora, cos’ha?”
“Ha tentato di togliersi la vita con un bicchiere rotto. Ha lesioni ai polsi, ai palmi delle mani e qualcuna anche al collo. Inoltre ha una tibia rotta. Il fratello dice di averla trovata per le scale priva di sensi. Abbiamo chiamato il dottor Walker per controllarla e abbiamo cominciato”.
Non lo sentii più.
Ero focalizzata su quella figura.
Una donna inerme, quasi serena, ricoperta di sangue.
Perché aveva cercato di suicidarsi?
L’ultima volta in cui i nostri cammini si erano incrociati, sembrava star bene. Sembrava si fosse ripresa.
“Mary” mi chiamò Alex, facendomi sobbalzare.
“Sì?” risposi, quasi distratta.
“Tutto bene?” mi guardò.
“N-no – scossi la testa – s-scusatemi” uscii immediatamente da quella saletta e mi rifugiai sotto le scale, che portavano al primo piano.
Mi accomodai laggiù, beandomi di quel silenzio, sperando che magari mi impedisse di tornare con la mente a quel giorno, che aveva irrimediabilmente segnato e cambiato la mia vita.
Mi presi il viso tra le mani, mordendomi il labbro inferiore.
“Mary” Alex chiamò nuovamente il mio nome con tono così dolce, da farmi scoppiare in lacrime.
“V-vai via, Alex, ti prego” singhiozzai, portandomi le ginocchia al petto.
“E perché mai?” domandò.
Percepii il suo corpo accanto al mio. Si era seduto. Una delle sue mani mi accarezzò la schiena, lentamente.
“Perché non voglio che tu mi veda in queste condizioni”
“Tu mi hai visto in condizioni peggiori meno di ventiquattro ore fa, eppure sei ancora viva. Quindi credo sopravvivrò anche io a vederti così triste”.
Lo guardai e lui accennò un sorriso.
“Non so cosa fare. Tre mesi fa ha cercato il nostro perdono e Ian è riuscito a darglielo, mentre io… io no. Sono scappata. Non sono riuscita ad andare oltre l’incidente. E, ora, eccola qui, che ha cercato di togliersi la vita. E se in mezzo a questa decisione ci fosse la mia scelta, presa a Novembre? Se lei non fosse riuscita a superare il ‘rifiuto’ del perdono? Alex… se avesse provato a uccidersi per colpa mia?” tirai su col naso, sconvolta da quel pensiero.
“Anche se fosse, Mary, non è riuscita nell’intento”
“Sì, ma ha comunque tentato”
“Ma ha fallito. Questo magari vuol dire che è stata mandata qui per un motivo”
“Quale? Farmi venire un opprimente senso di colpa?”
“No. Permetterti di perdonarla adesso. Niente avviene per caso, Mary. Sei riuscita ad avvicinarti a me, dopo cinque anni. E se questo fosse avvenuto ieri proprio perché io potessi parlarti in questo modo oggi? Pensaci bene” mi sorrise, guardando per un attimo in alto.
“Pensi che sia un Suo segno?” toccai il braccialetto con la croce, che indossavo sempre sul polso destro.
“Di solito è Lui ad agire in questo modo. Così incomprensibile, ma allo stesso tempo così pieno di significato” tirò fuori una collana che aveva come ciondolo la mia stessa croce.
“La Tau di San Francesco!” dissi sorpresa.
“La porto sempre con me, come fai tu! – la strinse per un attimo, dopodiché la rimise dentro il camice, si alzò e mi tese una mano – Andiamo, Valerie è ancora viva. Se si sveglia, le potrai parlare”
“D’accordo” afferrai la sua mano, permettendogli di tirarmi su.
Tornammo in saletta.
Valerie era sveglia e un’infermiera le stava mettendo una flebo.
Non appena uscì, Alex mi spinse dentro.
“Ti aspetto dov’eravamo prima. Per sapere com’è andata” mi sussurrò all’orecchio.
Lo sentii inspirare il mio profumo, poi se ne andò.
Guardai la porta chiudersi, dopo mi voltai verso una Valerie con gli occhi sbarrati.
Un misto tra il disorientamento e la sorpresa.
“Ciao” accennai un sorriso.
Valerie continuò a fissarmi con quello sguardo, senza proferir parola.
“Posso accomodarmi?”.
Annuì.
Mi sedetti al suo fianco. Lentamente, scacciando il pensiero di quella pistola, le presi la mano sinistra, quasi del tutto fasciata.
“Sono passati tre mesi e mezzo, lo so. Sono stata una donna abbastanza egoista e ostile nei tuoi confronti, anche se ti sei impegnata per migliorare. Per riuscire a guardarmi negli occhi. Per ritrovare quella serenità, che, nella consapevolezza di una malattia più grande di te, era andata perduta” mi arrestai un attimo, sentendo una piccola fitta al ventre.
“Oh, no! Non vomitare adesso! Che figura ci fai? Insomma, Mary!” mi rimproverai mentalmente.
Presi un bel respiro, cercando di non pensare alla nausea, bensì alla donna che avevo davanti.
Ripresi: “E so che dopo tre mesi è difficilissimo poter ascoltare ciò che qualcuno ha da dire, perché ti sembra solo tanto sbagliato che quel ‘qualcuno’ non abbia avuto il coraggio di parlare prima. Ma eccomi qui. Al tuo capezzale. Non a perdonarti, ma a chiedere il tuo perdono. Perché, per quanto la mia reazione potesse essere comprensibile, non è stata giusta nei tuoi confronti. Hai fatto quel che hai fatto. Sei stata condannata abbastanza per questo e-e non dovevo fartela pesare. Non dovevo continuare a serbare rancore. Dovevo semplicemente comprenderti – annuii lievemente con il capo – e lasciar andare quel che è stato, così che tu potessi aggrapparti a quel che sarà. Mi dispiace. Davvero tanto” abbassai lo sguardo e mi morsi le guance internamente.
“T-ti ho perdonata – parlò con voce rauca, poi schiarendola – quando sei fuggita via. Perché non eri ancora pronta. E l’ho capito”.
Alzai gli occhi e le sorrisi, commossa.
Le carezzai il volto.
Dopo aver controllato che fosse tutto nella norma, feci entrare suo fratello.
“Con permesso, ora vado a controllare altri pazienti”
“Dottoressa Floridia” mi chiamò Nicholas.
“Sì?”
“L’avevo detto al signor Somerhalder che un giorno sarebbe stata pronta – mi sorrise; poi, guardandomi meglio, corrugò la fronte – Si sente bene? Sembra un po’ pallida”
“Tutto bene, non si preoccupi. Ci vediamo dopo” accennai un sorriso e uscii da quella stanza.
Raggiunsi Alex.
“Allora, com’è andata?” mi guardò, smagliante.
“Bene”
“Bravissima! Vieni qui” allargò le braccia.


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=B-P8Ezj2vGI




Lo abbracciai, aggrappandomi al suo camice, come se fosse un’ancora di salvezza.
Cominciò a mancarmi il respiro.
“Mary, mi sembri affannata – Alex sciolse l’abbraccio, angustiato – Tutto ok?”
“Io n-non”.
Il mondo sembrò girarmi intorno, poi divenne tutto nero.
 
Ho il valore di BhCG a 1500”
“Quindi?”
“Quindi sono incinta” alzai lo sguardo con le lacrime agli occhi.
“Aspettiamo un bambino” disse Ian, sorridendo a trentadue denti.
“Aspettiamo un bambino” ripetei senza fiato.
Ci guardammo per un altro istante, poi ci abbracciammo, stringendoci come mai prima di quel momento.
“Aspettiamo un bambino” dicemmo in coro.
 
“Tutto ok?” mi domandò Nina.
“S-sì, non preoccuparti. Sono le nausee mattutine. Non le ho spesso, infatti prima le scambiavo per indigestioni insignificanti. Anche se” mi arrestai, prendendo un bel respiro.
Subito dopo, vomitai ancora.
“Scusa” mormorai, asciugandomi gli occhi e la bocca.
“Non preoccuparti – mi guardò, sorridendo – Anche se?” ripeté.
“Anche se stamattina va peggio delle altre poche volte. Non te lo so spiegare. Mi sento come più appesantita”
“Come posso aiutarti?”
“Non puoi, ma non preoccuparti. Tra poco mi riprendo” le sorrisi e mi alzai.
 
“Se fossi stata incinta, sarei dovuta essere di quasi sei settimane. Più cinque che sei. Comunque, Kate mi ha spiegato che a quel punto della gravidanza, il valore di BhCG dovrebbe essere tra i 2160 e i – Nina strizzò gli occhi per un attimo – e gli 83000 circa”.
 
Riaprii gli occhi di scatto, non riuscendo ancora a respirare bene.
“Mary! Ehi!” Alex mi chiamò urlando, agitato.
I suoi occhi castani erano sbarrati.
“I-il b-bambino – balbettai – Qua-a-alcosa n-non v-va c-col b-bamb-bin-no” gli strinsi con tutta la forza che avevo il braccio, poi persi conoscenza. 
















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Note dell'autrice: 
Buonasera ragazzi! Chiedo perdono per l'immenso ritardo, ma ho avuto un sacco di virus nel computer e, essendo una studentessa fuori sede oramai, dovevo aspettare di tornare a casa mia per poterlo portare dal tecnico. Ma comunque, bando alle ciance! 
Questo capitolo, a mio parere, è stato molto intenso, soprattutto per le parti tra Alex e Mary e per la scena finale!
Cosa ne pensate di Alex?
Cosa pensate che abbia il baby Smolder?
Siete felici che Nina in realtà non sia incinta (così come era felice lei)?
Spero valga la pena leggere dopo tutto questo tempo. Io mi sono impegnata come sempre! 
Grazie in anticipo a chi recensirà, metterà la storia tra preferite/seguite/ricordate o semplicemente leggerà silenziosamente! Per chi volesse aggregarsi al gruppo fb, lascio il link qui di seguito: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Ancora una volta, grazie!
Al prossimo capitolo!
Una buona fine e un buon inizio dell'anno!
Mary :* 

 
  
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