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Autore: Sphinx    03/02/2005    4 recensioni
Harry Potter è sopravvissuto a molte battaglie, ma siete sicuri che un ragazzo di sedici anni possa anche sopportare il peso del suo sfortunato destino? Questa storia inizia anni dopo che Harry è venuto a conoscenza della profezia, anni dopo che è fuggito, mentre la guerra infuria. E mentre sarà costretto ad affrontare il proprio passato dovrà anche condurre una partita a scacchi molto particolare...
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Tom Riddle/Voldermort, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ChECKMATE

ChECKMATE

La scala era buia, angusta e stretta e aveva sempre avuto il potere di ricordagli quella, non molto dissimile, che conduceva nel sottoscala della casa dei suoi zii, dove aveva trascorso i primi anni della sua vita. Purtroppo, quella medesima scala aveva però anche la strana capacità di rammentargli gli angusti passaggi segreti che si aprivano tra le mure di Hogwarts, talvolta talmente esigui che, nonostante fosse tanto magro, era costretto a mettersi di lato per poter passare.

Hogwarts… con i suoi passaggi segreti… con i suoi arazzi… le sue aule e i sotterranei…

Era tanto tempo che non tornava più alla scuola, e non osava nemmeno immaginarsi come la decadenza di quegli anni tetri di minacce e attentati l’avesse trasformata. Tante volte avrebbe voluto attraversare nuovamente il cancello, riconoscere nella nebbia il familiare profilo dei cinghiali alati ai lati della cancellata, ma il timore di trovarla troppo diversa da come la ricordava gli rendeva impossibile anche solo avvicinarsi alla Grande Scuola di Magia e Stregoneria, ridotta ad ultimo baluardo di difesa contro le forza dell’Oscuro.

Devi smetterla di scappare… si ripeteva spesso; ma sapeva che il suo cuore non avrebbe mai retto al vedere Hogwarts in rovina, solitaria nella brughiera; così come non aveva retto il conoscere il suo destino…

Lentamente arrivò sul pianerottolo, la luce non funzionava, ormai da molti mesi, ma nessuno si sarebbe mai preso il disturbo di sostituire la lampadina. Reggendo alla meglio il fagotto di viveri e abiti che teneva tra le braccia rovistò con una mano in tasca, cercando le chiavi di quello squallido appartamento che, per quanto si sforzasse, non sarebbe mai riuscito a chiamare "casa".

La porta cigolò, i cardini dovevano essere oliati, ma non l’avrebbe fatto. Entrò nell’oscurità polverosa della stanza e mentre chiudeva la porta non poté fare a meno di notare il proprio riflesso, nello specchio che il precedente inquilino aveva posizionato accanto all’ingresso. Nel riflesso che vide… che vedeva ormai da anni… non riusciva a riconoscere se stesso, come se ciò che era diventato non fosse altro che l’ombra di ciò che era… un ricordo, nulla di più. I capelli spettinati e incolti, la barba non fatta da giorni e negli occhi verdi, spenti, il ricordo di un mondo che era cambiato, tanta malinconia e stanchezza.

Nel voltarsi sussultò: era tornata...

Seduta sul bordo del divano sbrindellato e avvolta in un mantello nero, una figura pallida e smorta osservava con interesse una scacchiera sulla quale i pezzi stavano sparsi, come se una partita fosse stata sospesa.

- Tocca a te - senza neppure voltarsi sussurrò le parole in un sibilo freddo e piatto. La sua voce era priva di ogni forma di calore o umanità ma, sebbene tanto terrificante, non incuteva tanto timore come i suoi occhi.

Harry non avrebbe mai potuto scordare la prima volta che l’aveva vista: anche quel giorno era appena tornato da una delle sue rare visite al mondo, ed era rimasto sorpreso e sbigottito nel trovare quell’uomo in casa sua. Soprattutto era stato atterrito dai suoi occhi, poiché avevano la stessa espressione vuota e distante che, anche se solo per un attimo, avevano assunto anche gli occhi di Sirius; dopo che la sorpresa aveva ceduto il posto alla morte ed era scivolato oltre il Velo.

- Chi sei tu?- aveva chiesto

- Sono venuta a prenderti- e Harry si era sentito gelare.

- E per portarmi dove?-

Ma per quanto avesse voluto morire in tutti quegli anni… morire per dimenticare la delusione sul volto di Ron, le lacrime che rigavano le guance di Hermione… quando se l’era trovata davanti non era riuscito ad accettarla, si era ribellato alla Morte, sfidandola in un’insulsa quanta stupida partita a scacchi.

Per ritardare la sua ora o per vincere la sfida? Non lo sapeva nemmeno lui, forse, semplicemnte lo aveva fatto per codardia.

- Dicono che giochi a scacchi, è vero?-

- Sì-

- E se facessimo una partita?-

- A quale scopo?-

Aveva impiegato qualche secondo a rispondere, mentre nel suo cuore una parte di lui non voleva fare altro che seguire quella figura e l’altra si aggrappava con tutte le forze a quei brandelli di vita: - Se vinco te ne andrai, non tornerai più…-

- Se invece vincessi io?-

- Ti seguirò, senza una parola, senza un lamento…

Harry appoggiò il fagotto, che stringeva ancora tra le braccia, sul tavolo e si avvicinò al divano, senza parlare, scrutando la figura ancora assorta nella contemplazione della scacchiera.

Gettò uno sguardo alle pendine, disposte come soldati di un piccolo esercito: aveva già perso un cavallo e una torre, due pedoni; e un suo alfiere era in grave pericolo.

Non era mai stato un campione a scacchi, Ron lo era… un maestro… un genio in quel settore… Avrei dovuto sfidarla a Quidditch… pensò tristemente e, nell’espressione che i lineamenti della Morte assunsero, senza neppure guardarlo, capì che pensavano la stessa cosa.

Si sedette e spostò il cavallo che gli restava: se il suo avversario avesse voluto strappargli l’alfiere avrebbe perso la torre.

- Sei uscito-

Senza distogliere gli occhi dalla scacchiera Harry rispose, pacatamente: - Sì-

- Perché?-

- Dovevo. Un uomo non può stare sempre rinchiuso-

- Ricordo che Ginny ha provato tante volte a convincerti, ma non sei mai uscito…

- Zitto!-

Ginny… Ginny che andava a trovarlo tutti i giorni, implorandolo di uscire di casa, di tornare da Silente e di parlargli… Ginny che scappava via, la testolina bassa e gli occhi pieni di lacrime… Ginny che se ne andava per non tornare mai più…

Le imposte sbatterono, spinte dal vento: Settembre era appena iniziato ma le folate erano fredde, sferzavano il volto dei passanti e strappavano le foglie dagli alberi.

- Qualche giorno fa ho visto una bambina- riprese Harry, la voce bassa, triste - Era accanto alla madre, con una busta viola in mano… La agitava allegra mentre la donna tentava di togliergliela di mano… "Ancora una volta mamma! Ti prego! Fammela rileggere solo un’altra volta!"… -

La figura non alzò il volto mostruoso, ma Harry era sicuro che avesse smesso di concentrarsi sulla partita per dedicare la sua attenzione a lui: - E allora?-

- Era la lettera per Hogwarts… - e mentre pronunciava quella semplice frase sentì i propri occhi diventare lucidi -Lei era felice, ma la madre aveva rughe di preoccupazione e incertezza sul viso: Hogwarts non è più sicura… Un tempo era il posto più bello che esistesse… Il posto più sicuro, che esistesse. Ricordo l’effetto che mi faceva osservare il castello dal fuori, con tutte le luci accese nelle sale. Emanava protezione. La prima volta che l’ho visto… non so dirti cosa ho provato…- scosse la testa e continuò: - Ora… le mura di Hogwarts non sono più sicure. I genitori hanno paura di lasciare lì i loro figli, temendo che l’Oscuro possa colpire con la violenza del suo esercito… L’atmosfera, dicono, è quasi insopportabile… ma non è rimasta che Howarts, come scuola… e non è più neppure sicura…-

Per la prima volta la Morte alzò lo sguardo, puntando i gelidi occhi sul viso di Harry: - E di chi è la colpa?- sibilò.

Qualcosa si risvegliò nel cuore di Harry, quelle parole lo colpirono con più violenza di qualsiasi fattura, maledizione o incantesimo mai creato. Scattò in piedi urlando, con la voce resa roca dagli anni in cui non l’aveva quasi mai usata: - FALLA FINITA! LA COLPA NON E’ MIA! LA COLPA-NON-E’-MIA!!!-

Senza perdere la calma, senza neppure alterare minimamente i tratti del volto antico, la Morte domandò: - E di chi altri è, allora?-

- Silente…- Sussurrò quel nome a fior di labbra, in un sospiro appena udibile. Gli occhi fiammeggianti e le mani strette a pugno, con le unghie che si conficcavano nel palmo; teso per la rabbia e scosso dal dolore che quei ricordi provocavano.

- Come, scusa?- chiese il suo interlocutore, ancora immobile. Harry avrebbe giurato che si stesse divertendo a torturarlo, a fargli rivivere il passato, che il giovane vedeva scorrere nitido negli occhi della Morte, come un film babbano, di quelli che Dudley passava ora a guardare, incantato sul divano e la mano grassa tuffata in una scodella di poc-corn.

- Silente…- ripeté, con più vigore. Riversando in quell’unica parola tutto l’odio che in quel momento aveva in corpo.

- Davvero?- ora Harry era sicuro che la Morte si stesse divertendo. Infieriva, colpiva e si ritraeva per prendere la carica e colpire ancora. Le sue parole lo ferivano come stilettate nonostante fossero pronunciate con voce piatta, priva di qualsiasi sfumatura.

- Come poteva…- iniziò Harry, nuovamente scosso da fremiti. Ma non poté andare oltre: un ticchettio lo fece sobbalzare. Impiegò qualche istante per capire da dove proveniva il rumore, poi vide un gufo bruno e spennacchiato picchettare con il becco il vetro della finestra.

Interdetto il giovane lo fissò. Abitava in uno squallido isolato babbano e aveva, ormai da anni, disdetto l’abbonamento con la Gazzetta del Profeta, eppure, quel rotolo bianco legato alla zampa del pennuto era inconfondibilmente una copia del giornale.

Si voltò per cercare di nuovo gli occhi della Morte, trovare in quei laghi vuoti la risposta alla sua perplessità, ma non vi era più nessuno seduto sul divano.

TiK TiK…

Che mi lasci in pace…

Tik Tik…

Vattene via stupido piccione…

Tik Tik…

Non voglio sapere! Non voglio sapere niente! Non mi interessa ciò che è scritto su quel dannato giornale!!!

CLUNK. Aveva aperto la finestra. Alla fine aveva ceduto.

Nemmeno lui sapeva il perché: forse il desiderio di riabbracciare quel mondo che da ragazzo vedeva come l’unico al quale sentisse di appartenere, e che da troppo tempo rifuggiva… forse un briciolo di coraggio nel gettare uno sguardo su quelle pagine, specchio della società magica stravolta… o forse il semplice desiderio di far cessare quel fastidioso picchiettare.

Era una copia della Gazzetta del giorno prima.

Harry diede un rapido sguardo alla prima pagina e chiuse gli occhi, di nuovo sopraffatto da quella sensazione di paura e vulnerabilità che lo invadeva ogni volta che apprendeva, o confermava, che il Mondo Magico era ormai in crisi… Niente di ciò che ricordava esisteva più e lui non riusciva a sopportare quel cambiamento…

Sì, non riusciva a sopportarlo, ne era terrorizzato; ne aveva abbastanza di vedere tutto ciò che amava stravolto, torturato e barbaramente ucciso…

In quegli anni di lontananza il suo Mondo si era trasformato, diventando irriconoscibile; molto di ciò che era era stato spazzato via e la desolazione era il mantello che l’Oscuro aveva steso sul mondo.

A ogni ora nuovi attacchi di Mangiamorte, nuove perdite tra gli Auror e innocenti e, nonostante ne comprendesse l’ingiustizia non riusciva a muovere un muscolo.

Pur di non vedere il mondo che conosceva svanire, inghiottito dall’Oscurità a cui lui non aveva avuto il coraggio di opporsi, era fuggito, abbandonandolo e lasciandolo lentamente scomparire come se non gli importasse.

No… la colpa non è stata mia… ma di Silente… solamente sua…

Al giornale era allegato un piccolo foglio di pergamena, piegato alla buona e tutto sgualcito. Lo prese, combattuto se leggerlo o no, alla fine vinse il buon senso e la curiosità di scoprire chi glie lo mandava. Lo lesse. Lo ripiegò. Lo appoggiò sul tavolo ingombro di ogni cianfrusaglia.

*

I giorni erano trascorsi tranquilli. O, per meglio dire, erano trascorsi e basta; nella solita strana depressione e cupo intontimento, Harry li aveva vissuti come in trance, come se non gli appartenessero.

La Morte non era più tornata per continuare la partita e lasciava Harry nella snervante attesa e logorato da enormi dubbi.

Quando aveva proposto quella partita non voleva morire, ma adesso… Non sapeva neppure lui cosa voleva fare. Quella che conduceva non era vita, e lo sapeva. Tuttavia non osava fare nulla, nel timore delle conseguenze che le sue azioni avrebbero avuto. Si sentiva come sprofondato in un tunnel sotterraneo, dal quale non aveva né la forza né la volontà per uscire. Era smarrito e non riusciva più a vedere un’uscita.

Era il calar del sole quando sentì qualcuno bussare alla porta.

Sì alzò dal divano sul quale si era gettato diverse ore prima e spalancò l’uscio: - Sei venuta a finire la partita?-

Ma non era la famigliare sagoma infagottata nel grande manto nero che si trovò davanti: era una donna.

Il volto era scarno, gli zigomi pronunciati e le guance segnate dal patimento e dalla denutrizione. La pelle era coperta di graffi, il colorito cinereo e spento. I capelli stopposi e crespi che circondavano il volto parevano un groviglio di rami spinosi e secchi. Le labbra erano screpolate, crepate e rughe premature si erano formate intorno agli occhi… velati e opachi, ma carichi di determinazione e sfavillanti di disprezzo.

Ciò che fece più male ad Harry, che lo colpì come una pugnalata al cuore, fu che nonostante tutti gli anni di lontananza, nonostante quella maschera orribile fosse scesa sul volto della giovane donna, lui riusciva ancora a scorgere la ragazzina allegra che era stata…

- Hermione…

********* Vi prego, mi sarebbe davvero utile un vostro commento!********
  
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