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Autore: XfoundX    31/12/2014    2 recensioni
Elizabeth Hunt e Cole Harris sono amici sin dalla nascita. hanno affrontato ogni passo della loro vita insieme, senza che mai nulla riuscisse a separarli. almeno fino ad ora: Beth e Cole stanno per andare al college, cosa cambierà?
tratto dal primo capitolo:
"ma perchè ti importa tanto quello che pensa quello sbruffone!?" la vocine della sua coscienza si era finalmente fatta sentire. aveva ragione, a lei non era mai importato niente di Adam Harris. e di certo non le sarebbe iniziato ad importare ora.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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ADAM:
 
«qualcuno mi può spiegare come è possibile? Sono passate quasi venti ore e non avete trovato niente?» sapeva di essere ingiusto, sapeva che non era colpa di Grace se la polizia non aveva ancora trovato traccia di Elizabeth.
I parenti da cui Grayson si era trasferito, in Florida,  non avevano più sue notizie da un paio di mesi, più o meno da quando Cole e Eric lo avevano incontrato la prima volta.
Questo però non stava a significare che il colpevole fosse lui, almeno non per la polizia.
«Scusa Grace, non volevo alzare la voce» sua madre lo guardava impietosito mentre parlava al telefono con la madre di Liz «vi hanno detto qualcos’altro?» la donna sembrava esausta, molto più di lui.
Liz era la sua unica figlia, praticamente una ragione di vita. «non molto. Mi hanno detto che sperano di poter parlare presto con Nora, sempre che lei abbia visto qualcosa» già, Nora ormai doveva essere sul punto di riprendersi «va bene, ci risentiamo» chiuse la telefonata e mise il telefono in tasca «niente?» non sapeva se sua madre voleva solo mettere il dito nella piaga o se sperava di farlo sentire meglio parlando.
Sospirò, scompigliandosi i capelli «no. Io vado in ospedale da Jake, ho bisogno di uscire da qui» poteva leggere tutta l’apprensione negli occhi di sua madre, ma almeno aveva capito che era inutile stare a questionare.
Stava per infilarsi la giacca, quando il portone di casa si aprì, lasciando entrare Eric e Cole «hey, stai uscendo?» gli chiese suo fratello.
 Avevano tutti l’aria sconvolta, non riusciva a credere di trovarsi in una situazione simile «volevo andare in ospedale a vedere come sta Nora» Cole guardò l’orologio «l’orario di visite è appena finito, non credo che ti faranno entrare. Probabilmente anche Jake è dovuto uscire» Adam sbuffò sonoramente.
L’unica via d’uscita che era riuscito a trovare era impraticabile al momento. Riappese la giacca, esausto di tutta quella situazione, e si lasciò crollare sul divano.
«hai dormito almeno un po’?» gli chiese Eric, sedendosi accanto a lui. Sua madre si mise a preparare il caffè, giusto per tenersi occupata «no, non ci riesco» disse, tenendo per se il resto della verità.
Non poteva nemmeno pensare di entrare in una delle camere da letto. Ovunque guardasse, continuava a vedere Liz, ecco perché voleva uscire di lì.
Avevano avuto così poco tempo da passare insieme, avevano potuto condividere così poco.
Continuava a maledirsi, non poteva credere di averci messo tanto a capire che non la odiava.
Ci aveva messo troppo tempo per smettere di credere alla stupide idee che si era messo in testa da solo.
Troppo tempo a convincersi che il suo modo di vivere - rifuggendo ogni tipo di contatto sincero – era sbagliato.
Ma soprattutto aveva fatto male a non proteggere la sua ragazza.
Avrebbe dovuto chiamare la polizia la prima volta che lo aveva incontrato, avrebbe dovuto chiamare la polizia quando la aveva bloccata, costringendola a parlare.
La sua Liz era troppo buona per dire di no a qualcuno che soffriva.
Troppo, troppo buona.
Quando, la notte in cui aveva fatto l’idiota al club, lei gli aveva sussurrato che lo amava al buio della loro camera, emozioni contrastanti lo avevano animato.
Sapeva che lei pensava si fosse addormentato, come sapeva che lei aveva bisogno di trovare il suo tempo per dirglielo.
Tutto quello che veniva da Liz doveva essere spontaneo, nessuno avrebbe mai potuto costringerla a fare o dire qualcosa.
Tutto quello che provava era così genuino e totalizzante che quasi ti paralizzava sul posto.
E lui aveva permesso che gli scivolasse tra le dita.
Afferrò distrattamente la tazza che sua madre gli stava porgendo, pensando al sorriso di Liz quando sentiva l’odore della caffeina ancora prima di essersi svegliata.
Stava diventando patetico, ma non gli importava. La rivoleva con sé, a qualunque costo.
Il suo cellulare squillò, facendoli sussultare tutti.
Sullo schermo brillava il nome di Jake, così si affrettò a rispondere.
Se fosse stato chiunque altro avrebbe lasciato scattare la segreteria «Jake» disse semplicemente, non era in vena di parlare «è sveglia. Nora si è svegliata» il suo amico sembrava sull’orlo delle lacrime per il sollievo «come sta?» domandò, passandosi una mano tra i capelli «un po’ intontita, non che me la facciano vedere. I suoi genitori mi detestano, pensano che sia colpa mia. La sento urlare dalla sala d’aspetto, vuole vedermi» sentiva, più che vedere, il sorriso del suo migliore amico dall’altra parte della cornetta «gli agenti le hanno parlato?» quella era l’informazione che gli premeva ottenere, ma prima di tutto aveva voluto accertarsi che entrambi stessero bene. «ancora no. Quando si è svegliata, l’infermiera è andata a chiamarli, stanno arrivando» la gabbia toracica del ragazzo sembrò allargarsi un po’, permettendo all’ossigeno di entrare. Ma ancora non gli sembrava di respirare normalmente.
Solo quando Elizabeth fosse stata tra le sue braccia, sana e salva, solo allora avrebbe preso a respirare di nuovo «va bene, fammi sapere appena sai qualcosa. Sono contento che Nora stia bene» e, nonostante il tono da funerale, lo pensava sul serio «anche io. Mi dispiace per Liz, vorrei essere lì ma…» Adam lo interruppe, sarebbe crollato se avesse terminato la frase «lo so, ma adesso devi prenderti cura di lei. ci risentiamo» chiuse la chiamata senza dare a Jake il tempo di replicare.
Tutti lo fissavano, quasi fosse una granata pronta ad esplodere «Nora è sveglia, vado a chiamare Grace» annunciò, poi si trascinò per il corridoio. 
Non andò lontano: appena qualche passo ed entrò nella camera di Cole, non avrebbe mai potuto parlare con Grace nella sua camera o in quella di Liz.
Raccolse il poco autocontrollo che gli era rimasto e digitò il numero.
 
ELIZABETH:
 
Grayson la aveva lasciata da sola, più o meno mezz’ora prima.
Come se non bastasse averla legata al letto, aveva anche chiuso a chiave la porta e appeso al pomello il cartellino “non disturbare”.
Le mani non le facevano male, non le sentiva proprio più.
Le caviglie non andavano molto meglio. Quelle ancora formicolavano, le aveva legate poco prima di uscire, affermando che era solo un piccolo espediente per dissuaderla nel caso in cui avesse avuto ancora l’idea malsana di fuggire da lui.
Come aveva fatto ad innamorarsi di lui? i ricordi le si affollarono confusi nella mente. Ricordava bene la sera in cui lo aveva conosciuto, sembrava impossibile che fossero passati più di due anni

“Il locale era pieno, avevano fatto una fila interminabile per avere la possibilità di giocare a bowling. Avevano cenato in una pizzeria poco distante, poi erano arrivati lì.
La gente era più di quante se ne aspettassero. Quel sabato sera era particolarmente freddo per gli standard di Los Angeles, in molti sembravano aver avuto la loro stessa idea.

Avevano giocato a biliardo fino a che il loro nome non era stato chiamato.
Quella sera non erano solo loro quattro: purtroppo per lei, in quel periodo, sembravano tutti intenzionati a trovarsi una ragazza.

Cole si era portato Tiffany Blake, una ragazza con cui lei aveva scambiato appena due parole da quando la conosceva. Considerando che si conoscevano da quando avevano cinque anni, Beth era abbastanza convinta che fosse una specie di record.
Nolan continuava a fare l’idiota, il tentativo di far colpo sulla sua accompagnatrice le faceva venire da ridere, ma sarebbe stato più divertente se almeno si fosse ricordata il nome di quella ragazza.
Jay era in compagnia di Lisa, come sempre negli ultimi sei mesi. Erano carini insieme, ma a lei Beth stava antipatica, non le piaceva tutto il tempo che passava con il suo ragazzo.
La sua ancora di salvezza era Eric, e non solo perché lui non la avrebbe lasciata in un angolino per provarci con qualcuna. Da come guardava Cole di sottecchi, Beth avrebbe scommesso che era geloso, ma ogni volta che tirava fuori l’argomento, lui negava spudoratamente di essere interessato al suo migliore amico.
Erano andati a fare shopping qualche settimana prima, e lei ancora non aveva finito di vedere tutto quello che Eric le aveva fatto comprare. Il suo amico insisteva che ormai Beth non poteva più andare in giro in jeans e felpe sformate. Così si era assunto la responsabilità di dare un tocco “ femminile” al suo guardaroba, per la felicità di sua madre.
Quella sera indossava una gonna a vita alta che le scendeva morbida sui fianchi, allargandosi a trapezio, di un tenue beige, con sopra una camicia di jeans. Aveva indossato delle calze colorate per smorzare l’effetto, ma rimpiangeva ancora i suoi amati pantaloni.
«Beth, tocca a te» la aveva richiamata alla realtà Eric, tornando a sedersi accanto a lei.

Si era alzata, si era sistemata le maniche arrotolate fino al gomito della camicia, e si era diretta alla pista. Aveva allungato una mano per prendere una delle palle, lo sguardo concentrato sui birilli.
Almeno finché la mano non era andata a sbattere contro quella di qualcun altro.
Tempo di voltarsi e lo sguardo era stato catturato da quello glaciale di un ragazzo, i capelli biondi spettinati e il sorriso sbilenco di chi ha appena combinato una malefatta «scusa, prima le signore» non aveva staccato gli occhi dai suoi, Beth non riusciva nemmeno a ragionare.
Che cosa stava facendo?
Le ci volle un attimo per ricollegare il cervello «no, tranquillo. È colpa mia, non ero attenta» sorrise appena, le guance in fiamme per l’imbarazzo.
Era il ragazzo più bello che avesse mai visto! E sì che di ragazzi carini ne frequentava a bizzeffe.
Mandò mentalmente un ringraziamento a Eric per averla costretta a vestirsi bene «una ragazza così carina non dovrebbe mai chiedere scusa» replicò, lasciandola di stucco.
Aveva la bocca riarsa, non credeva di essere ancora in gradi di parlare «se anche i miei amici la pensassero come te, allora la avrei sempre vinta io» scherzò, senza nemmeno sapere bene che cosa stava dicendo.
Di sicuro la faccia era di tre striature diverse di colore dalla vergogna.
Si spostò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in evidente imbarazzo «non ci credo, il tuo ragazzo deve per forza pensarla così»
ci stava provando con lei?

Beth non ne era sicura, non ci si ritrovava spesso in quelle situazioni «probabilmente lo penserebbe se ne avessi uno» il sorriso del ragazzo si allargò, mandando in tilt quel poco che era rimasto di sano del suo cervello.
«Gray! Hai finito di importunare quella povera ragazza? Noi ci stiamo invecchiando qui!» la voce di uno dei suoi amici la aveva riportata alla realtà.
Il ragazzo lo ignorò «io sono Grayson» allungò una mano verso di lei, e lei la afferrò un po’ riluttante «Elizabeth» aveva replicato, un po’ incerta.
Il sorriso del ragazzo fu sostituito da un’espressione quasi di scherno, non che lei ci capisse qualcosa. Ormai era completamente fusa «quante probabilità avrei di ottenere il tuo numero di telefono se te lo chiedessi?» come se qualcuna potesse dirgli di no! Beth ci mise qualche istante a riprendersi «per scoprirlo devi solo chiedermelo».”


Da li le cose si erano sviluppate velocemente. Le aveva mandato un messaggio quella sera stessa, chiedendole di uscire.
Lei si sentiva così eccitata dalla prospettiva che un ragazzo così attraente fosse interessato a lei che non ci aveva pensato due volte a dirgli di si.
Con Grayson era facile parlare, aveva un chè di magnetico che la ipnotizzava. Avrebbe potuto ascoltarlo per ore senza stancarsi.
Era talmente presa che, quando – qualche mese dopo – lui aveva iniziato a farsi pressante e asfissiante, a lei non era importato.
Si era sentita così amata!
Era convinta che Grayson tenesse a lei talmente tanto da non riuscire nemmeno a pensare di stare senza di lei. ma la linea tra il desiderio e l’ossessione era sottile, molto più di quello che lei poteva sapere all’epoca.
 
ADAM:
 
«ah, sei qui. Credevo che fossi scappato dalla finestra» disse Cole, entrando nella sua stanza.
Lui annuì, appoggiando una cornice sopra la scrivania di suo fratello. Liz lo guardava con un sorriso smagliante da dietro il vetro, abbracciata a suo fratello.
Portavano delle enormi orecchie da topolino «non sapevo che tu e Liz foste andati a Disneyland» constatò, senza riuscire a guardare suo fratello.
Lui si avvicinò a prese a sua volta la foto «si, è stato l’estate scorsa. Per il suo compleanno. Lei pensava che la avremmo portata al mare, come tutti gli anni» la voce gli si venò di tristezza «tu credi che sia stato Grayson?» domandò, schietto, senza distogliere lo sguardo dall’immagine «si. Non so spiegarti il perché, ma so che è lui» lo sguardo che aveva rivolto alla sua ragazza quel pomeriggio continuava a tornargli in mente «è per questo che dobbiamo trovarla in fretta» Cole si concentrò su di lui «so che Grayson non ti piace, non piace nemmeno a me, ma ameno sappiamo che tiene a lei, anche troppo. non le farebbe del male, no?» la vista gli si sfocò per un attimo.
Suo fratello non lo sapeva, doveva dirglielo?
Liz aveva mantenuto il segreto perché si vergognava troppo di quello che si era lasciata infliggere.
Ma non era colpa sua, non lo era mai stata «no, purtroppo non lo sappiamo» dissentì, ancora indeciso «pensi che  sia impazzito del tutto?» indagò lui, avevano iniziato a tremargli le mani «Cole… era violento, con Liz» suo fratello alzò lo sguardo su di lui, confuso «chi?» poteva quasi leggere la speranza di aver capito male, la speranza che fosse lui, quello ad essere impazzito «Grayson. Ecco perché Liz ha ottenuto l’ordinanza del giudice. Quel lurido bastardo le metteva le mani addosso» Cole spalancò gli occhi, trattenendo il fiato «ma lei… lei non…» azzardò qualche passo per la stanza «perché non me lo ha detto?! Chi altro lo sa?» Adam deglutì a vuoto «non lo ha detto a nessuno. Se sua madre non lo avesse scoperto per caso, probabilmente la storia sarebbe finita in maniera completamente diversa. Se ne vergogna da morire» quando Cole lo guardò di nuovo, aveva gli occhi velati di lacrime «però a te lo ha detto» Adam prese un bel respiro profondo «si, ma solo perché era costretta. Sai anche tu quanto possa essere geloso delle mie cose. Liz non voleva che mi comportassi così con lei. fidati, se avesse potuto non lo avrebbe detto nemmeno a me» tentò di rassicurarlo, con scarsi risultati «io le ho detto che tu sei come lui, la ho… SE LO AVESSI SAPUTO NON AVREI MAI DETTO QUELLE COSE
!» urlò, passandosi una mano tra i capelli «è la mia migliore amica, praticamente una sorella. E pensa che io la odi!» Adam non sapeva nemmeno bene come fosse successo, ma si ritrovò a stringere forte suo fratello a se «lei lo sa che non la odi. Sa quanto tieni a lei, ecco perché non ti ha detto niente. Lei ti considera suo fratello» le spalle di Cole era squassate dai singhiozzi «vedrai che andrà tutto bene» non sapeva se stava cercando di consolare lui o se stesso, ma era la cosa giusta da dire «come fai ad esserne così sicuro?» gli chiese Cole, la voce impastata dal pianto «perché la nostra Liz è troppo cocciuta per rinunciare a farti una lavata di capo come si deve» tentò di sdrammatizzare, la gola secca e il cuore pesante.
Doveva per forza andare a finire bene, non sarebbe sopravvissuto altrimenti.
Nessuno di loro ce la avrebbe fatta.
Cole stava per aggiungere qualcosa, quando la porta si spalancò di colpo, rivelando un Eric con gli occhi spiritati «presto, venite a vedere!» praticamente urlo, quasi trascinandoli fuori di lì.
Che cosa altro era successo adesso?!
 
ELIZABETH:
 
Grayson era tornato, l’aria trafelata e una busta in mano «siamo quasi pronti alla partenza, sei contenta?» disse entusiasta, sedendosi accanto a lei sul letto «ti ho portato un regalino!» sembrava sinceramente felice, il che scatenò il panico in Elizabeth.
Che altro aveva in mente?
«purtroppo per noi, quel fallito del tuo passatempo ha fatto rilasciare una tua descrizione, quindi dovremmo cambiarci. Vedrai, ti piacerà» Liz aveva spalancato gli occhi, incapace anche solo di respirare. Non voleva le sue mani su di lei, non le avrebbe tollerate.
Era tutto sbagliato, talmente sbagliato che non riusciva nemmeno a dargli un senso.
Lui tirò fuori una camicia di jeans e una gonna beige e la vista le si offuscò «eri così bella quella sera. Avrei voluto prenderti lì, sulla pista» sospirò, accarezzando distrattamente il tessuto «ti ho seguito quella sera sai? volevo essere sicuro che nessuno di quei ragazzi ti mettesse le mani addosso. Sapevo che eri quella giusta» lacrime calde e indesiderate le solcavano le guance, incontrollate.
Grayson era mai stato normale? Ripensare hai primi passi della loro storia riportava a galla troppi brutti ricordi, quasi peggiori quel momento.
Non poteva permettere al panico di bloccarla, non poteva permettere che lui la portasse via.
Anche se non sapeva dove si trovava in quel momento, dovevano essere per forza a Los Angeles. Altrimenti non avrebbe avuto tutta quella fretta di andarsene.
Lui si inumidì le labbra, facendo scorrere lo sguardo su di lei. Liz sentì l’impellente bisogno di farsi una bagno nell’acido.
Avrebbe sopportato il suo tocco?
La televisione gracchiava in sottofondo, riempiendo il silenzio della stanza. Stava per metterle le mani addosso, quando il suo cellulare squillò, distraendolo.
Non sapeva chi potesse mantenersi in contatto con quel mostro, ma al momento gliene era infinitamente grata.
Lui osservò lo schermo per un attimo, imprecando tra sé «devo rispondere, è il nostro contatto fuori città» le spiegò, sorridendole di sbieco come aveva fatto quella sera.
Un brivido la percorse mentre lui si chiudeva la porta alle spalle, lasciandola di nuovo sola.
Fu a quel punto che Elizabeth notò lo schermo del televisore.
Il volume era troppo basso perché lei potesse capire bene quello che stavano dicendo, ma la sua foto e una foto di Grayson continuavano ad essere mostrate, incitando le persone che potevano averli visti a chiamare il 911.
Doveva prendere tempo, Grayson non doveva sapere che erano sulle loro tracce, sarebbe andato nel panico.
Una nuova determinazione di fece spazio in lei, dandole una speranza.
Non si sarebbe arresa così facilmente.
 
ADAM:
 
La foto di Liz e Grayson stava passando a ripetizione su tutti i canali. Il signor Hunt doveva aver fatto un sacco di pressioni per avere una copertura mediatica così estesa. Eppure anche lui avrebbe fatto la stessa cosa se solo avesse potuto.
Finalmente erano sulla pista giusta , adesso dovevano solo sperare che non si fossero allontanati molto dalla città.
Il suo cellulare squillò, riportandolo per un momento alla realtà «Jake» non aveva nemmeno bisogno di guardare il numero per sapere che lo stava cercando in quel momento «ti giuro, in questo momento ho una voglia matta di spaccare la faccia a quel tizio» Adam sbuffò, lui aveva voglia di ucciderlo, riempirlo di botte non sarebbe stato sufficiente «ti hanno fatto vedere Nora?» gli chiese, sperando di sviare l’argomento: non poteva permettersi di perdere il controllo, la rabbia non era ben accetta in quel momento «sono con lei proprio ora, ha cacciato i suoi genitori finché non mi hanno fatto entrare» un sorrisetto gli increspò le labbra, era decisamente una cosa da Nora «ti vuole parlare, te la passo» Adam attese, mentre osservava Cole e Eric intenti a guardare la televisione.
Dove era sua madre? «ti prego, dimmi che lo hanno preso. Perché dovrà pregare di rimanere dietro le sbarre. Se mai mi dovesse capitare tra le mani…» Adam quasi si mise a ridere. Se la situazione non fosse stata così grave, probabilmente lo avrebbe fatto «fidati, è un sentimento condiviso. Come ti senti?» chiese, sperando di distrarre anche lei come aveva fatto con il suo ragazzo «un po’ intontita, ma sto bene. Potrò rilassarmi solo quando tutto questo delirio sarà finito. Va bene che Liz mi piace e sono contento che tu sia uscito dal giro, ma non pensavo che una sola ragazzina potesse portare tanto scompiglio!» tentò di ironizzare, strappandogli un altro sorriso.
Sua madre spuntò dal corridoio, lo sguardo allucinato.
Era talmente preoccupato per Liz e concentrato a non crollare che non si era minimamente curato delle persone che gli stavano intorno.
«Adesso devo andare, ci risentiamo appena so qualcosa, salutami Jake» e attaccò, ormai già concentrato su sua madre «che c’è?» le chiese, avvicinandosi alla donna «mi ha chiamato Grace, ha detto che hanno una segnalazione, che sembra buona pista» il suo cuore perse un battito, sua madre non poteva illuderlo così «qui in città?» chiese con un filo di voce, ormai anche l’attenzione di Cole e Eric era rivolta a loro «si, un motel poco distante da qui. Il ragazzo della reception giura di averlo visto non meno di un quarto d’ora fa» lui spalancò gli occhi, incredulo «è sicuro che sia lui?» sua madre appoggiò il telefono sul bancone della cucina, aveva l’aria di aver bisogno di sedersi «ha detto qualcosa a proposito di un video di sorveglianza, ma è talmente agitata che a stento son riuscita a capire il nome del posto» una sferzata di energia lo colse, l’adrenalina che scorreva sempre più in fretta «come si chiama?»
 
ELIZABETH:
 
Elizabeth non sapeva da quando l’avviso era stato messo in onda, ma sperava che fosse abbastanza. Faticava a respirare nell’attesa del rientro di Grayson, ma non poteva permettersi di pensare che non sarebbe finita bene, per lei. Doveva continuare a resistere, solo un altro po’.
La sua famiglia la stava cercando, il minimo che potesse fare era stringere i denti.
Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per metabolizzare l’esperienza, dopo.
Il respiro le si bloccò in gola quando Grayson rientrò di corsa, sbarrando la porta dietro di lui, per poi spostarci davanti il tavolino e le poltrone «MALEDIZIONE!» urlò, passandosi una mano tra i capelli per la frustrazione «tu!» puntò la pistola verso di lei «sei solo una lurida troia! Se non avessi permesso a quell’idiota di infilartisi nelle mutande, adesso potremmo essere altrove, felici e insieme!» non capì di cosa stava parlando fino a che non sentì le sirene provenire dall’esterno.
La luce lampeggiante blu e rossa dei lampeggianti proruppe nella stanza attraverso le finestre, facendo scendere le lacrime sempre più velocemente.
La situazione poteva evolversi solo in due modi: Grayson la avrebbe usata come merce di scambio oppure la avrebbe uccisa.
Visto il modo in cui la guardava, Elizabeth puntava sulla seconda.
«lasciami andare, usami per andartene di qui. E’ solo me che vogliono, non…» Grayson le diete uno schiaffo, così forte che le si annebbiò la vista. In bocca sentiva il sapore del suo sangue.
Non poteva svenire in quel momento, non poteva dargli quella soddisfazione «sei in trappola, non puoi…» altra frase, altro colpo.
Il ragazzo camminava avanti e indietro, nella confusione più totale.
Stava per parlare di nuovo, quando la finestra andò in mille pezzi.  
Il fumo riempì la stanza in pochi secondi. poi, più nulla.
 
ADAM:
 
La stanza d’ospedale era più piccola di quella in cui era stata ricoverata quando la avevano operata.
Liz se ne stava immobile, il viso teso anche nel sonno.
Quando era arrivata in ospedale, era talmente agitata che le avevano somministrato dei forti tranquillanti. Meglio vederla riposare che urlare.
Quanto era passato dall’ultima volta che la aveva vista addormentata in un letto d’ospedale?
Meno di un mese?
Troppo poco.
Eppure le cose erano profondamente diverse.
L’ultima volta, il loro rapporto era arrivato ad un bivio di cui non sapevano nemmeno l’esistenza: lui era rimasto in sala d’attesa finché non gli avevano detto che stava bene.
Poi se ne era andato, troppo confuso sui suoi sentimenti.
In quel momento, invece, se ne stava seduto accanto a lei: non la aveva lasciata nemmeno un secondo da quando la avevano tirata fuori da quell’inferno.
Gli infermieri avevano continuato a ripetergli che lui non era un parente, che non poteva stare lì.
Ma a lui non importava: nessuno lo avrebbe allontanato di nuovo da lei.
Patrick e Grace si davano il cambio, tentando di tenere buoni gli agenti che pretendevano di parlare con lei.
Adam si perse di nuovo, osservando i segni violacei che stavano comparendo sul viso di Elizabeth, fino ad arrivare ai solchi che le manette le avevano scavano sui polsi e sulle caviglie.
I medici dicevano che la probabilità che lasciassero segni permanenti erano scarsi, lui se lo augurava. Se tutti i giorni Liz avesse dovuto avere sotto gli occhi il ricordo dell’incubo che aveva vissuto, non sarebbe sopravvissuta.
Il medico che era passato a controllarla un paio di ore prima gli aveva detto che l’effetto dei tranquillanti stava per esaurirsi, quindi si sarebbe svegliata da un momento all’altro.
Quasi gli avesse letto nella mente, Elizabeth si mosse, sbattendo convulsamente gli occhi.
Il sorriso gli nacque, spontaneo e incontrollato, mentre le prendeva una mano «ben tornata tra noi» gli disse, entrando nel suo campo visivo «è… è tutto… finito?» aveva la voce roca, ma il medico li aveva avvertiti che era un effetto dei farmaci «si, è tutto finito. Nessuno potrà più nemmeno sfiorarti» la rassicurò, accarezzandole piano il viso.
Lei sussultò, probabilmente doveva sentire dolore «lui è…» tremava visibilmente «dimenticati di lui, non ti potrà più fare nulla» le sorrise, cercando di non mostrare quanto fosse scosso anche lui.
La presa sulla sua mano aumentò «mi dispiace così tanto. Non avrei mai dovuto permettere che potesse accadere, sarei dovuto stare più attento io…» tentò di scusarsi, il senso di colpa che lo divorava «non avresti potuto fare niente di più di quello che hai fatto» era stata Grace a parlare, dalla porta.
Non la aveva sentita arrivare, tanto era concentrata su di Elizabeth. 
La donna si avvicinò e abbracciò stretta la figlia, anche se lui non le aveva lasciato andare la mano. Probabilmente non ci sarebbe riuscito per un po’.
Tenerla stretta gli ricordava che era lì, che sarebbe stata bene.
Che era con lui.
No, non  la avrebbe lasciata andare.
Grace stava sproloquiando, parlando delle indagini che gli agenti stavano svolgendo e di quello che volevano chiederle, ma lei non lo stava ascoltando.
Il suo sguardo era solo per lui, lucido per le lacrime.
Al diavolo il contegno!
Lasciò la sua mano, solo per stringerla a sé, con tutte le forze che aveva.
Lei si lasciò andare, scoppiando in lacrime «g-grazie» riuscì a biascicare tra i singhiozzi.
Lui la strinse solo più forte, per poi guardarla negli occhi «ti amo» la morsa che gli aveva stretto il petto fino a quel momento si allentò, permettendogli finalmente di respirare.
 

SPAZIO AUTORE:

*rullo di tamburi* ecco qua! lo sò, ci ho messo un mezzo secolo, ma spero che ne sia valsa la pena! questo è l'ultimo capitolo, dopo di chè - spero a brevissimo - pubblicherò un epilogo. grazie a chi ha seguito la storia fino a qui, se vi và, fatemi sapere che ne pensate! 

 
  
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