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Autore: Melabanana_    31/12/2014    5 recensioni
SPY ELEVEN AU. Spinoff, Gazel-centric.
Gazel è un ragazzo cupo e disilluso, senza famiglia, né amici. Quando uno sconosciuto gli offre un posto in un centro d'addestramento per ragazzi "speciali", Gazel accetta perché non ha nulla da perdere, ma questa decisione potrebbe rivelarsi molto più di una semplice svolta. È un punto di rottura: la sua vita sta per cambiare per sempre. Rating arancione per: tematiche delicate, violenza.
Autrice: Roby
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Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era stretto intorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Ciao... ebbene sì, questa sera doppio aggiornamento! Questa storia è uno spin-off della mia long-fic Spy Eleven, incentrato sul personaggio di Gazel. Vi auguro una buona lettura, le altre note dell'autrice saranno in fondo ♥

Act1 - Light blue.
«No light, no light in your light blue eyes…»
(No light, no light - Florence & The Machine)
 
Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era annodato attorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
 
Quando aprì gli occhi, si stupì di non trovarsi all’orfanatrofio dove aveva trascorso gli ultimi sei anni della sua vita. La sua stanzetta era stretta e poco ariosa, maleodorante a causa del puzzo di sudore che veniva dalla lavanderia di fronte; i due edifici erano separati a malapena da un vicoletto, ma in pratica da alcune finestre dei piani inferiori ci si affacciava direttamente nel negozio di là, il che se non altro rendeva più facile il passaggio delle ceste di biancheria. Quella sfortunata coincidenza impediva anche al sole, o alla luna, di arrivare fin lì, per cui l’ambiente era sempre freddo e inconfortabile.
Ma, per quanto brutta, quella stanza a lui piaceva.
Aveva, infatti, il grande vantaggio di non essere mai del tutto al buio. Le tapparelle erano rotte da innumerabili ere ed erano state lasciate com’erano perché le riparazioni erano costose: nella camera, quindi, c’era sempre almeno una scia di luce (che fosse quella del neon della lavanderia di giorno o quella dei lampioni di notte a lui andava bene ugualmente) e anche quando non c’era, la stanza era in una posizione così isolata che poteva benissimo lasciare la luce accesa e nessuno si sarebbe lamentato.
Quando aprì gli occhi quella mattina, però, non era in camera sua e capì subito che non ci sarebbe tornato mai più. Si trovava in una macchina nera, con sedili di pelle morbidi e appiccicosi. Davanti a lui erano sedute due persone; non riusciva a vedere chi fosse alla guida. L’auto fece una curva ad U e si fermò.
-Ehi, ti sei svegliato? Dai, scendi, siamo arrivati- disse qualcuno dai sedili davanti, non avrebbe saputo dire se fosse il guidatore o il suo compagno.
Il ragazzino fece schioccare la lingua contro il palato, seccato, ma obbedì. Aprì la portiera e scivolò fuori con circospezione, aspettandosi una pistola puntata alla tempia. Aveva imparato da tempo che la sua ostilità nei confronti del genere umano era spesso reciprocata: era il destino dei diversi. E lui era molto diverso dagli altri bambini.
Nessuno lo aggredì quando mise piede fuori dall’auto, e nemmeno quando girò su se stesso, mangiando con gli occhi i dintorni. C’era un buon odore di ciliegi nell’aria e non ne era certo di aver mai visto un cielo così azzurro, così pieno di luce. Per il momento il posto gli piaceva.
Il rumore della portiera lo distrasse. Qualcuno era sceso dall’auto dopo di lui. Lo riconobbe, era la persona che era seduta al posto a fianco al guidatore, nonché quello che era venuto a prenderlo all’orfanatrofio, e non per adottarlo. Era un ragazzo alto, un po’ curvo, che aveva tratti orientali, occhi a mandorla stirati sino ad apparire chiusi –e lui invece era certo che osservasse molto attentamente ogni suo movimento- e capelli ricci neri.
Sorrise. Il ragazzino non ricambiò.
-Sei il benvenuto al centro di allenamento numero undici, signorino… Gazel, giusto? È il tuo nome o il tuo cognome?- disse l’orientale, sbirciando in fretta alcuni fogli che aveva in mano.
-Non lo so. Lei si limiti a chiamarmi così- rispose secco il ragazzino.
L’altro annuì e smise di fare domande perché aveva capito che era sincero, o forse perché aveva semplicemente deciso che in fondo non erano affari suoi. In ogni caso, Gazel si sentì sollevato. Odiava dover rispondere a domande su se stesso –era probabilmente la persona che ne sapeva di meno al mondo. Aveva perso tutti i suoi ricordi d’infanzia, almeno quelli precedenti al giorno in cui i responsabili dell’orfanatrofio l’avevano trovato e accettato nell’istituto, un giorno che onestamente avrebbe preferito rimuovere insieme al resto.
-Non crede sia scortese chiedere il mio nome senza prima essersi presentato?- sbuffò.
L’altro lo guardò con condiscendenza. –Certo. Hai perfettamente ragione, ti chiedo perdono per i miei modi poco gentili…- disse. Gazel non capì se fosse sarcastico o meno.
-Il mio nome è Choi Chang Soo. Sono una Spy Eleven- aggiunse. Pronunciò quelle ultime due parole in un'altra lingua, con un tono che dava per scontato che lui sapesse di cosa si trattava. Gazel non lo sapeva.
 
Choi Chang Soo lo guidò all’interno di una grotta scavata nel fianco di una montagna, nascosta tra gli alberi di ciliegio; alla fine del lungo, sinuoso ed umido cunicolo, c’era una porta in acciaio laminato che sembrava chiedere di essere aperta. Chang Soo appoggiò il palmo al centro di un pannello, una luce verdognola gli illuminò per un attimo le dita, e poi la porta si aprì scorrendo verso la parete di roccia, a destra. Gazel osservò tutta la scena con interesse: gli pareva di essere finito in un film di spionaggio. E, forse, era proprio così.
All’interno, la grotta non sembrava affatto una grotta.
Non aveva un pavimento roccioso ed irregolare, ma lunghe lastre di mattonelle color sabbia. Sule pareti di tufo bianco erano appese cartine geografiche e altri poster che il ragazzino non riuscì a leggere. Due tavoli erano disposti ai lati, lasciando un corridoio nel mezzo, e dall’alto pendevano vari lampadari rettangolari che inondavano di luce elettrica l’intera stanza. Sul fondo, c’erano diverse porte, tutte di metallo, e attraverso una di esse, l’unica aperta, si vedevano delle scale a ricciolo, il che lasciava intendere che ci fossero altre camere più in basso. Ma, prima che Gazel potesse guardare meglio, qualcuno si mise in mezzo.
La figura aveva lunghi capelli biondi che scintillavano alla luce e, per un momento, Gazel ebbe dubbi sul suo sesso. L’abbigliamento non lo aiutava; lo sconosciuto o la sconosciuta portava un pantalone di tela, con una specie di fazzoletto a quadretti neri e fucsia legato in vita, a coprire il bacino, e una maglia beige molto più ampia della larghezza delle sue spalle. Sul collo nudo pendevano numerose collane di sottili fili dorati.
-Aphrodi. Puntuale come al solito- lo salutò Chang Soo con un sorriso. Si girò verso Gazel.
–Gazel, questo è Aphrodi. Sarà il tuo compagno di stanza e, per i primi giorni, il tuo tutor. Puoi chiedergli tutto ciò che vuoi.
Il ragazzo dai capelli biondi –a questo punto era indubbio che fosse un maschio- fece un piccolo cenno col capo. Gazel lo squadrò e tutto ciò che gli venne da chiedersi fu se Aphrodi fosse un nome o un cognome. Era forse come lui?
-È un piacere conoscerti, Gazel. Sono Afuro, Afuro Terumi, ma tutti qui mi chiamano Aphrodi- disse. Gazel annuì, non potendo fare a meno di avvertire una lieve delusione.
-Dai, vieni. Ti porto a vedere la mia… nostra camera- Afuro si corresse rapidamente. Magari era uno di quelli a cui non piaceva dividere… non che Gazel ne fosse entusiasta.
Chang Soo gli diede una spintarella d’incoraggiamento e non parve impressionato dall’occhiata glaciale che gli fu lanciata in risposta. Si rivolse ad Afuro:- Bene, io vado. Te lo affido.
Poi si girò, aprì una delle tante porte e sparì nei cunicoli della base.
Una volta rimasti soli l’uno di fronte all’altro nella stanza, i due ragazzi si fissarono.
Afuro sospirò, per un istante parve incerto, ma recuperò subito il sorriso e l’aria sicura di sé. Si posò una mano sul fianco e piegò leggermente il capo di lato; i capelli e le collane gli scivolarono tutti sulla spalla destra che la maglia lasciava scoperta.
-Allora, andiamo? Sei pronto?- domandò.
Gazel fece lentamente di sì con la testa e aspettò che l’altro s’incamminasse prima di seguirlo per accertarsi che tra loro si mantenesse una certa distanza. Non gli piaceva stare troppo appiccato agli altri. Si soffermò ad osservare la tromba delle scale che scendeva vorticosamente verso le membra oscure della caverna e, trovandosi ad interrogarsi su quanto fosse profonda, ogni singola parte del suo corpo entrò in tensione. Ma non avrebbe fatto scenate isteriche il primo giorno. Si sforzò di reprimere l’ansia, si concentrò sul proprio respiro e iniziò a scendere. Afuro era già parecchi gradini più sotto.
-Ehi, Gazel- la sua voce rimbombò tra le pareti di tufo –da dove vieni?
Odiava le domande, ma parlare era meglio che stare ad ascoltare i propri battiti. Lo avrebbe aiutato a distrarsi.
-Dallo Shinsekai- disse, piatto. L’altro fece un fischio.
–Wow. E ti divertivi?
-No.
-Mi hanno detto che è un posto dove ci si diverte.
A questo Gazel non rispose. Forse lo Shinsekai era davvero un posto così; anche lui lo aveva sentito dire, ma era difficile accertarsene dal momento che stava sempre chiuso in casa a leggere.
-Quanti anni hai?- Afuro cambiò argomento bruscamente.
-Quattordici-. O almeno, questa era la sua età ufficiale. Quando lo avevano trovato, da piccolo, in una casa abbandonata, i responsabili dell’orfanatrofio gli avevano dato otto anni e da allora ne erano passati sei, perciò... quattordici.
-Ah, sono più grande di te- esclamò Afuro, come se questa fosse, in qualche modo, una vittoria. Non specificò di quanto fosse più grande, ma non pareva avere più di sedici anni, quindi non doveva esserlo di molto.
Improvvisamente il biondo si fermò e si voltò; Gazel si trovò a pochi centimetri da un viso rosato, lineamenti dolci e femminili e occhi rossi con ciglia nere e lunghe. Si immobilizzò come un gatto davanti ai fari di un’auto e trattenne il respiro.
Afuro lo osservò con attenzione per qualche istante, poi si ritrasse senza una parola e riprese a camminare; in realtà, mancavano poco più di una decina di gradini al termine della scala e Gazel apprese con sollievo che anche quella parte della base era ampiamente illuminata. Inoltre, la loro stanza si rivelò essere una delle più lontane ed isolate rispetto alle altre: anche questa era una bella notizia.
Afuro accelerò il passo per superare le porte che non lo interessavano e puntò dritto verso la propria; appena fu abbastanza vicino da toccare maniglia e serratura, tirò fuori un mazzo di chiavi argentee, rivestite di gomma colorata, dalla tasca dei pantaloni e le scosse davanti ai suoi occhi. –Ne avrai uno anche tu, Chang Soo lo ha già ordinato. Questa gialla apre la mia… nostra stanza- disse, gliela fece vedere e poi si lanciò a spiegare a cosa servissero le altre. Gazel ascoltò con attenzione, cercando di memorizzare i colori. La cosa strana era che, infanzia a parte, la sua memoria funzionava benissimo; anzi, in genere non gli servivano più di trenta secondi perché la sua mente catturasse un’immagine, che poi conservava per sempre. Il maestro se n’era accorto soltanto quando gli aveva chiesto cosa avesse imparato dal libro che aveva assegnato alla classe e lui, senza battere ciglio, gli aveva recitato un intero paragrafo sulla capacità di rigenerazione delle lucertole, riprendendo parola per parola il testo.
-Questo bambino è un genio- aveva detto. Gazel avrebbe preferito che non l’avesse fatto: i piccoli geni non piacciono mai a nessuno e lui, che già non aveva grandi capacità di fare amicizia, si era ritrovato ben presto circondato dall’ostilità e l’invidia degli altri ragazzini, specialmente i più grandi, che si sentivano in qualche modo sconfitti. Avrebbe voluto che il maestro avesse tenuto per sé la sua ammirazione, ma era tardi. Gazel non aveva mai avuto amici e, dopo qualche mese di tentennamenti, aveva deciso che non ne aveva bisogno. I bambini potevano essere molto crudeli e gli adulti troppo ciechi per notarlo.
-Gazel, tu preferisci il letto di sopra o quello di sotto?
Afuro lo strappò ai propri pensieri. Aveva aperto la camera ed era entrato lasciandolo sulla soglia. Gazel si affacciò e vide subito il letto a castello addossato alla parete sinistra.
-Meglio sopra- rispose. Più vicino alla luce, pensò, ma non lo disse. Afuro sorrise, felice della sua scelta, e solo allora Gazel notò i vestiti buttati in ordine sparso sul letto inferiore: chiaramente il biondo aveva chiesto per cortesia, ma aveva già deciso. Chissà cosa avrebbe fatto, se la sua scelta non gli fosse calzata a pennello? Gazel lasciò scivolare lo sguardo sul resto dell’ambiente. C’erano due scrivanie, di cui una traboccante di roba, al punto che qualcosa era caduta pure sulla sedia accostata accanto: Afuro non aveva proprio l’aria di essere abituato a dividere ed era probabile che avesse liberato l’altro tavolo delle proprie cose solo all’ultimo momento, per lui. Per il suo nuovo compagno di camera.
Al contrario di ciò che Gazel si aspettava, però, Afuro non sembrava contrariato dalla sua presenza. I suoi sorrisi, il suo tono amichevole ed i suoi modi disponibili sembravano onesti. Ma non si poteva mai sapere: gli esseri umani erano particolarmente bravi a mentire.
-Allora, che ne dici?- domandò Afuro.
Gazel non sapeva che tipo di aspettative avesse l’altro, ma rispose con la massima sincerità.
-Non è male. La mia vecchia camera era più larga, ma qui mi piace abbastanza.
Il biondo annuì e iniziò a sistemare i propri abiti, li piegava e li accatastava nei cassetti di un mobile di antica fattura che stava incastrato tra le due scrivanie. Canticchiava qualcosa in una lingua che Gazel non conosceva. D’un tratto, s’interruppe e si girò a guardarlo.
-Dammi i tuoi bagagli- disse –così metto i tuoi abiti nel cassettone.
Gazel batté le palpebre e rimase in silenzio, impassibile.
-Non hai niente? Nemmeno una borsa piccina picciò? Nulla nulla?- Afuro lo guardava incredulo.
-Pensavo fosse ovvio- replicò il ragazzino mostrando le mani vuote. Non aveva mai avuto niente di cui gli importasse davvero, a parte i libri, ma quelli non erano suoi. Erano dell’orfanatrofio, come gli abiti che stava indossando e tutti quelli che aveva portato in passato. Non c’era nulla che potesse definire veramente suo.
Afuro si riprese in fretta dalla sorpresa. –Oh. Beh… vorrà dire che chiederò a Chang Soo di procurarti qualcosa… e nel frattempo ti presterò qualcosa di mio- disse. Afferrò una maglietta nera, con lo scollo a V e le maniche a tre quarti, gli si avvicinò e gliela poggiò sul petto, prendendo ad occhio le misure. –Mmm, dovrebbe andare. Sei così magro!- disse, come se lui stesso non fosse stato uno spillo. –Vuoi cambiarti subito? Non hai sudato? Vorrei poterti far fare una doccia, ma si può solo dopo gli orari di allenamento… Beh metti questa mentre ti cerco dei pantaloni-. Afuro gli ficcò la maglia tra le mani, poi tornò a frugare nei cassetti.
Gazel si sfilò lentamente la t-shirt consunta che portava da due giorni e mezzo e la lasciò cadere a terra, dandole un calcio per togliersela letteralmente dai piedi, poi infilò l’altra maglietta dalla testa. Gli stava vagamente stretta di spalle ed era un po’ troppo lunga, ma non gli importava. Si arrotolò le maniche fino alle ascelle; intanto, Afuro si girò a porgergli un paio di bermuda color cachi. –Per le scarpe non posso aiutarti… dovrai tenere i sandali- avvisò.
-Va benissimo così- tagliò corto Gazel, tolse i pantaloni e si mise in fretta i bermuda. Quelli gli stavano meglio, più giusti della maglietta. Avevano varie tasche lungo le gambe, non molto utili per lui che non aveva niente da tenerci, ma non scomode.
-Sembri ancora più scheletrico- commentò Afuro, scoraggiato. Con una mano gli sollevò il mento e studiò il suo volto. –Ah, lo sapevo… prima non riuscivo a vederti bene perché non c’era abbastanza luce, ma hai un bel viso, soprattutto gli occhi… hanno un certo non so ché. Forse è il colore. Mi piacciono molto, comunque- osservò. Gazel ricambiò lo sguardo. Non riusciva a scorgere nulla se non sincerità negli occhi di Afuro; ciononostante, scostò bruscamente la sua mano e si ritrasse al contatto fisico, spinto da una crescente irritazione.
-Oh. Scusa. Non ti piace essere toccato?- L’occhiata gelida che Gazel gli rivolse fu una risposta sufficiente, e Afuro smise di fare domande, riprendendo a mettere ordine tra le proprie cose.
Gazel si arrampicò sul letto e si stese. Il cuscino era duro e il soffitto giallognolo, notò. Rimpianse di non essersi portato almeno uno dei libri dell’orfanatrofio –non servivano a nessuno là, senza di lui sarebbero rimasti ad impolverarsi sugli scaffali. Che spreco.
Chiuse gli occhi e, prima di accorgersene, si addormentò.
 
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-Dovevi essere davvero stanco… sei crollato come un sasso!
Gazel rimase in silenzio, contemplando l’idiozia di quel paragone. La voce di Afuro lo innervosiva, era troppo alta e troppo rumorosa, ma al tempo stesso lo confortava: ascoltare le sue futili chiacchiere lo distraeva dalla sensazione di claustrofobia che la tromba di scale gli dava. Era soffocante e gli faceva formicolare le dita mentre queste si stringevano convulsamente alle ringhiere di ferro battuto.
Afuro non pareva aver notato la sua tensione, o magari pensava che lui fosse così normalmente. Non fece più commenti sul suo aspetto o sul suo modo di fare; in realtà, parlava soprattutto di se stesso: in meno di mezz’ora, Gazel apprese così che aveva quindici anni ed era del Capricorno, che gli capitava spesso di essere scambiato per una ragazza (su questo Gazel non aveva dubbi, però evitò con tatto di farglielo notare) e che veniva dalla periferia di Tokyo, ma aveva origini coreane. Chissà quanto ancora della sua vita sarebbe riuscito a raccontargli prima che finissero le scale. Era probabile che si sarebbe dilungato ancora molto, dopotutto aveva ben quindici anni e trenta scalini dalla sua parte…
Solo in quel momento Gazel si rese conto che, in effetti, c’era qualcosa che voleva chiedere, e che di certo lo interessava molto di più.
-Cos’è una... Spy Eleven?- domandò, interrompendo Afuro, che intanto gli stava elencando i suoi colori preferiti (guarda caso, erano proprio quelli con cui erano segnate le chiavi). Alla sua domanda, gli rivolse un’occhiata sorpresa.
-Cosa?- sbottò Gazel, irritato. Afuro si riscosse.
-Nulla, è che… beh, di solito è una delle prime cose che ti spiegano quando arrivi qui, quindi davo per scontato che Chang Soo… Non hai avuto la lettera?- disse, guardandolo intensamente. Gazel ripensò alla busta di carta gialla che Chang Soo gli aveva dato ore prima, aspettandosi probabilmente che lui l'aprisse e la leggesse mentre lui parlava con i responsabili dell'orfanatrofio. Ma Gazel non l'aveva fatto: l'aveva ficcata nella tasca dei pantaloni, senza aprirla, e doveva essere ancora là. Afuro si stancò presto di aspettare una sua risposta. -Oh, non importa, posso spiegartelo benissimo io, non è una cosa complicata- esclamò. –Nella polizia di tutto il mondo ci sono delle sezioni speciali in cui lavorano persone speciali, come me e te. Persone che hanno dei poteri particolari, capisci…- Fece un gesto con le mani, e Gazel lo interpretò come una scarsa imitazione di un mago che scaglia magie. –Queste sezioni si chiamano Inazuma Agency. Sono undici, in tutto, e i loro capi vengono chiamati Spy Eleven… gli undici più importanti, insomma. I più forti, o i più intelligenti, o i più bravi ad usare il proprio dono… hanno meriti speciali.
Afuro usava decisamente troppo la parola “speciale”, decise Gazel. Ma la spiegazione gli era abbastanza chiara.
-Quindi, Chang Soo è una persona importante. Che ci fa… qui?- Non trovò un modo migliore che descrivere quel posto, se non sottolineando quel “qui” con un’espressione scettica.
–Suppongo che ci siano posti migliori, più confortevoli, sì… ma qui non è male. Per molti di noi è un miglioramento rispetto a dove stavamo prima- ribatté Afuro con noncuranza. Lanciò un’occhiata all'espressione dell’altro e sorrise, ironico.
-Non hai idea di dove sei finito, vero?- tirò ad indovinare, e aveva ragione.
-Potresti dirmelo tu, tanto vedo che ti piace parlare- replicò Gazel, tagliente, guardandolo con sfida.
Afuro si girò di nuovo e salì gli ultimi gradini con dei saltelli.
-Mmm, invece credo che te lo lascerò scoprire da solo- disse, enigmatico. Spinse la porta che aveva davanti e sparì oltre di essa. Gazel sbuffò, buttò uno sguardo dietro di sé e poi lo seguì in fretta.
Ora che si era riempita di persone, la stanza d’ingresso non sembrava più così ampia.
Gazel si guardò intorno, per un attimo la sorpresa prevalse sul suo volto, ma subito riuscì a recuperare la propria maschera di freddezza. Si affiancò ad Afuro, all’apparenza composto e disinteressato, quando in realtà non faceva che scrutare ogni individuo nella camera. Erano almeno una ventina di ragazzi che indossavano una tuta rossa; lui e Afuro erano gli unici a non portarla, il che non fece che aumentare il suo disagio. Sentiva gli sguardi di tutti addosso.
Chang Soo entrò in quel momento, apparendo da un portoncino situato sotto uno sperone roccioso, squadrò la folla di persone e fece una faccia soddisfatta.
-Tutti in orario, bene- disse –così possiamo cominciare subito gli allenamenti.
Gazel si voltò di scatto verso Afuro. –Allenamenti?- sibilò. Il biondo fece spallucce.
-Oggi andremo nel campo interno. Faremo solo esercizi di corpo a corpo, per un po’ niente simulazioni, capito?- Chang Soo fece una pausa e guardò con rimprovero nella generica direzione di alcuni ragazzi. Due di loro spiccavano in modo particolare per via dei capelli rossi, un infelice accoppiamento con il colore della tuta; il più basso era pettinato in un modo che Gazel giudicò ridicolo, con una specie di fiamma sulla testa: sbuffò ed incrociò le braccia al petto, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’altro.
Chang Soo riprese senza far caso al loro scambio.
-Se è tutto chiaro, andiamo. Non voglio perdere tempo prezioso- esclamò, quindi si voltò e tornò da dove era venuto, questa volta con un manipolo di persone che lo seguivano in fila indiana. Gazel trascinò Afuro verso la fine.
-Cosa significa?- chiese sottovoce. –Cosa dobbiamo fare? Io non so combattere! Non insegnano queste cose dove sono cresciuto!
-Se Chang Soo pensasse che non è cosa per te, avrebbe detto qualcosa. Ma non l’ha fatto, perciò deve credere che tu ce la possa fare- rispose Afuro. Poi, notando un leggero allarme nei suoi occhi, gli mise una mano sulla spalla e aggiunse:- Non preoccuparti, negli scontri corpo a corpo l’uso dei poteri non è permesso… E senza poteri la maggior parte della gente qui non vale granché. Anche il dono più forte non ti serve, se ti manca il cervello.
-Certo- mormorò Gazel, cupo, osservando la corporatura massiccia di due dei ragazzi che camminavano in testa alla fila. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutta la sua astuzia per non portarsi a casa un osso rotto, sul piano della forza non aveva speranze… Con la coda dell’occhio spiò il viso di Afuro, che sembrava del tutto tranquillo. Gazel capì che da lui non avrebbe avuto altri aiuti, per cui inspirò profondamente e, rassegnato al suo destino, mantenne il passo con i pugni stretti lungo i fianchi.
Quando il corridoio finì, si ritrovò insieme agli altri in una camera larga e di forma trapezoidale: il pavimento era rivestito da uno spesso strato di gomma arancione, del tipo che si trova sui campi d’atletica, e le pareti erano di vetro opaco. Gazel alzò il viso verso i neon azzurri attaccati al soffitto e, quando lo riabbassò, vide che uno dei due rossi, quello più alto, lo stava guardando. Aveva i capelli lisci legati in un codino dietro la nuca.
Distolse subito lo sguardo non appena i loro occhi s’incrociarono –i suoi erano di un verde stinto, questo Gazel fece in tempo a notarlo. Entrambi tornarono a guardare davanti a sé, dove Chang Soo stava dando le istruzioni per l’allenamento.
-Afuro, oggi vai tu contro Nagumo- stava dicendo, e il biondo e il ragazzo che si chiamava Nagumo (quello con i capelli a forma di fiamma) si fecero avanti.
-Direi che mi devi qualcosa dalla volta scorsa…- ringhiò Nagumo scrocchiandosi le nocche delle mani. Afuro non parve intimidito, assunse un’aria pensosa mentre con un elastico si legava i capelli.
-Mmm… intendi quando ti ho buttato a terra? Oh, mi spiace, ma non è colpa mia se hai poco equilibrio, Haruya. Del resto, tu mi hai tirato un pugno nel fianco, se non sbaglio... Guarda, ho ancora il livido- ribatté, sollevando un angolo della maglietta per provare quanto detto. La coda di cavallo gli ricadde sulla schiena, lasciando fuori solo due ciocche ai lati delle orecchie.
Intanto Chang Soo continuava a fare le coppie e, alla fine, Gazel non aveva idea di quali fossero stati i criteri di scelta: a parte Afuro e Nagumo, infatti, le altre coppie non erano formate per accostamento di stazza, anzi pareva che ci fosse del sadismo nella scelta degli abbinamenti. Per esempio, l’altro rosso, che si chiamava Kiyama, fu abbinato ad uno dei due giganti, una specie di skinhead grosso il doppio di lui sia in altezza che in larghezza.
E poi, naturalmente, il secondo gigante se lo beccò lui. Chang Soo li chiamò per ultimi.
-Gazel, so che sei appena arrivato, ma desidero che tu prenda parte alle esercitazioni come tutti gli altri. Ti servirà per capire come funziona l’addestramento- gli disse, serio, ma con un sorriso d’incoraggiamento. –Inoltre, se tu non ci fossi, saremmo dispari! Eun-Young, oggi non dovrai fare rotazioni. Hai un compagno tutto per te, prenditi cura di lui.
-Sarà fatto- ribatté il gigante con una voce roca e profonda che ricordava un rombo di tuono. Aveva occhi vitrei, quasi bianchi, capelli e barba violetti e un mento molto sporgente.
Gazel sostenne il suo sguardo cercando di non mostrarsi nervoso: era difficile non lasciarsi intimidire, dal momento che l’altro lo sovrastava di almeno una ventina di centimetri, per non contare le braccia massicce e il petto teso come un tamburo. Sembrava potesse esplodere da un momento all’altro e la pelle così rosa lo faceva assomigliare ad uno dei cattivi di Dragonball.
Chang Soo li fece sparpagliare per il campo, di modo che ogni coppia avesse uno spazio sufficiente, e quando diede il cenno d’inizio Eun-Young fece un ghigno che non prometteva nulla di buono. Gazel ebbe appena il tempo di intuire la sua mossa e scansarsi rapidamente di lato prima che l’altro gli si scagliasse contro e cercasse di colpirlo con un grosso pugno; non riuscì però a prevedere il secondo colpo, e un violento pugno allo sterno gli mozzò il fiato in corpo. Cadde in ginocchio e rimase a terra, boccheggiante. Da sotto la frangia dei suoi capelli bianchi, poteva vedere il volto trionfante di Eun-Young.
-Che ti prende, novellino? È già finita?- lo stuzzicò, per poi incrociare le braccia al petto e scoppiare in una fragorosa risata. Gazel lo trovò odioso, ma non rispose alla provocazione, come questi aveva forse sperato; invece, da dov’era, si guardò intorno e osservò gli altri: nessuno faceva caso a loro, erano troppo impegnati nei propri combattimenti.
Nagumo aveva atterrato Afuro sulla pancia, ma il biondo era riuscito ad serrargli le spalle con i piedi e l’aveva costretto a mollare la presa, tirandolo all’indietro fino a fargli fare una capriola di lato. Gazel spostò lo sguardo ed individuò Kiyama e il suo avversario: nonostante ci fosse un’enorme differenza di dimensioni, il primo non era affatto intimidito e, quando finì a terra, non si perse d’animo, con le gambe attanagliò quelle del compagno e lo tirò giù.
-Ragazzi, qualcuno mi dà il cambio? Questo qui è già andato…- stava dicendo Eun-Young con un finto tono lamentoso. –Se vuoi ti do un handicap, posso combattere su una gamba sola…
Gazel decise che era il momento di farlo stare zitto.
Era certo di non avere la forza sufficiente a trascinarlo giù, ma per fargli perdere l’equilibrio sì: imitando il movimento di Kiyama, fece leva sulle mani e girò su se stesso, rapidamente, mirando alle gambe dell’altro.
Eun-Young, che si era messo davvero su una gamba sola, perse subito l’equilibrio; l’attacco lo colse talmente di sorpresa che non fece a tempo a mettere le mani avanti come protezione, per cui cadde di faccia emettendo un verso secco di dolore. Gazel restò a guardarlo mente si tirava su, con una mano premuta contro il naso che gocciolava sangue: la smorfia infuriata del suo avversario gli diceva che fosse il caso di allontanarsi velocemente, solo che non riusciva a rialzarsi.
-Sei morto, novellino- grugnì Eun-Young, rimettendosi in piedi. Si passò una manica sul volto, spalmando il sangue sul volto, e alzò i pugni contro di lui. –Questo è il tuo primo e ultimo giorno qui. Ti romperò tutte le ossa di quel misero corpicino- minacciò tra i denti digrignati.
Gazel non aveva dubbi che l’avrebbe fatto. Iniziò ad arretrare quanto più rapidamente poteva rimanendo a terra, con le gambe e le mani nude che sfregavano contro la gomma rovente, ed intanto si spremeva le meningi in cerca di un’idea che potesse salvargli la pelle. Una parte di lui sperava che Chang Soo li avrebbe bloccati prima che Eun-Young gli fracassasse una spalla, o peggio il cranio, ma non ne era del tutto certo. Alla fine, ovunque si trovasse, era sempre quella la sua unica certezza: non poteva fidarsi di nessuno.
Mentre rifletteva, si trovò immerso in un chiarore azzurrino: alzò la testa di scatto e scoprì di trovarsi proprio sotto uno dei faretti. Sorpreso, seguì con lo sguardo la direzione della luce, che si rifletteva contro le pareti opache e si spargeva sul pavimento; per un attimo ne fu accecato e nella sua memoria vennero a galla alcune cose lette in un libro di scienze, tempo prima.
Quello era il momento di mettere fine a quell’assurdo scontro.
Gazel raccolse tutte le sue forze per scattare in piedi e si spostò proprio in mezzo al largo fascio di luce bianca riflessa dalle due pareti opposte. Eun-Young si scagliò su di lui con un grido di guerra e, come Gazel aveva previsto, rimase accecato al punto da non vedere più cosa aveva davanti o dietro, così che il ragazzino poté facilmente sgusciare via. Il gigante grugniva e si agitava, dando pugni all’aria nel tentativo di colpirlo; infine, sbatté contro la parete più vicina e ricadde all’indietro con un tonfo sordo. Stavolta, non si rialzò, ma restò steso sulla schiena, e solo allora Gazel si rilassò.
Pochi secondi dopo, Chang Soo soffiò nel suo fischietto di ceramica e tutti i combattimenti si interruppero. Benché fosse curioso, Gazel non si girò per vedere chi avesse vinto tra Afuro e Nagumo, o tra Kiyama e l’altro colosso. Ogni singolo respiro gli procurava un dolore acuto alla cassa toracica e avvertiva un leggero ronzio, il rombo del suo stesso sangue, nelle orecchie.
Era così stordito che non si accorse che Afuro si era avvicinato finché la sua voce (un rumore improvvisamente troppo vicino, troppo alto) non lo fece sussultare.
-Hai visto? Te la sei cavata benissimo!- si congratulò. –Te l’avevo detto che qui non brillano per intelligenza…- aggiunse, adocchiando con un sorriso soddisfatto il corpo svenuto di Eun-Young, che giaceva ancora a terra. Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma la voce di Chang Soo sovrastò le sue parole.
-Per oggi basta così. Avete un’ora per darvi una ripulita, medicare eventuali ferite e prepararvi per la cena- avvisò, poi si girò e fece cenno all’avversario di Kiyama di aiutare Eun-Young a riprendersi a rimettersi in piedi. Lo skinhead sospirò, scosse il capo ed obbedì. Gazel notò che, al contrario di Eun-Young, aveva un’aria tranquilla e paziente che contrastava con le sue dimensioni minacciose. Kiyama era stato più fortunato di lui.
Mentre uscivano, nuovamente in fila indiana, Eun-Young gli scoccò un’occhiata furiosa, ma Gazel lo ignorò, scegliendo invece di concentrarsi su Afuro e il suo racconto di come aveva magistralmente battuto Nagumo.
-Haruya è agile e furbo, ma non è molto paziente, attirarlo in trappola è una passeggiata. Ora che ci penso, devo assolutamente presentartelo- stava dicendo il biondo.
-Perché? Ci somigliamo?- si sforzò di chiedere, esausto.
-No, anzi, siete quasi agli antipodi. Vi odiereste- rispose Afuro ridendo. Gazel non poté fare a meno di chiedersi cosa ci trovasse di tanto divertente, e soprattutto come facesse ad essere così allegro nonostante avesse un labbro spaccato, un livido sulla clavicola e chissà quanti altri nuovi segni sulle parti del corpo ora coperte dai vestiti.
Lui, al contrario, era assolutamente di cattivo umore e sentiva anche una vaga nausea, al punto che credeva di poter vomitare da un momento all’altro. Sperò che le docce non fossero troppo lontane. Non era sicuro di poter camminare ancora per molto.
Per fortuna, le sue preghiere vennero esaudite: gli spogliatoi non erano molto distanti dalla sala addestramento e le cabine doccia erano parecchie, segno che chiunque le avesse progettate era stato abbastanza sveglio da calcolare la presenza di almeno venti ragazzotti sudati. Certo, proprio perché erano molte, erano addossate l’una all’altra, strette e con zero privacy ad eccezione delle tre sottili pareti di plastica ingiallite, ma a nessuno dei ragazzi pareva importare. Avrebbe potuto causare imbarazzo se ci fosse stata qualche ragazza, ma siccome non ce n’erano, tutti si liberarono in fretta dei propri abiti e corsero a lavarsi.
Gazel se la prese un po’ più comoda, più che altro perché trovò estremamente difficile sfilare i bermuda dalle proprie gambe doloranti; quando finalmente riuscì a spogliarsi, si appropriò dell’ultima doccia sulla sinistra, aprì il getto d’acqua fredda e alzò il viso con un sospiro di sollievo. Poco dopo gli sfuggì un sibilo di dolore perché le ferite su mani e gambe avevano iniziato a bruciare: solo allora si accorse di quanto fossero scorticate. La gomma di quel campo era stata più crudele di quanto si aspettasse. Lavò via il sangue e si passò rapidamente le dita nei capelli bianco-azzurri per sciacquarli. Se avesse potuto, sarebbe rimasto sotto l’acqua gelida in eterno. Lui amava il freddo, cosa strana perché amava anche la luce.
-Gazel? Sei ancora lì? Ti ho portato uno dei miei ricambi. Chang Soo ha detto che ci vorrà un po’ per farti avere vestiti, tuta e tutto il resto- la voce squillante di Afuro richiamò la sua attenzione. Gazel si girò e vide un braccio teso davanti a lui, con un asciugamano di spugna e alcuni abiti piegati.
Chiuse la manopola, afferrò l’asciugamano e, dopo esserselo legato in vita, uscì.
-Grazie- borbottò a bassa voce. Afuro scosse il capo, i suoi occhi fissi sul torace nudo dell’altro.
-Okay, a parte il fatto che sei davvero scheletrico… ouch, quello deve aver fatto male. Dopo ti porto in infermeria, se non ci mettiamo un po’ di pomata non andrà mai via- commentò.
Gazel lo guardò confuso, poi abbassò il volto e capì.
-Oh- sfiatò quando notò il livido nero-violaceo che gli macchiava la pelle, là dove c’era lo sterno. Ripensò al pugno che aveva ricevuto. Non c’era da stupirsi che gli facesse male il petto.
Afuro gli tese un paio di slip bianchi e Gazel li mise senza dire nulla, in fondo gli bastava avere qualcosa da mettersi addosso; non si lamentò nemmeno quando si trovò ad indossare una maglietta blu con più glitter di quanti mai ne avesse visti in tutta la sua vita, ed un paio di pantaloncini grigi slabbrati. Avanzò verso la panca su cui aveva lasciato i vecchi vestiti, intenzionato a restituirli ad Afuro e a rimettersi le scarpe.
Era impegnato ad allacciare le fibbie dei sandali quando qualcuno gli si avvicinò, coprendogli la luce. Gazel alzò gli occhi per scoprire chi l’avesse investito con la propria ombra e si trovò davanti a Kiyama e un altro ragazzo dai capelli castani tenuti su da una fascia arancione.
-Ehi, benvenuto!- lo salutò quest’ultimo con un largo sorriso. Gazel notò con orrore che aveva la voce ancora più alta ed allegra di quella di Afuro. Gli fece venir voglia di scappare a gambe levate, ma non lo fece perché Kiyama gli stava tendendo la mano.
-Ciao- disse, accennando un lieve sorriso. –Io mi chiamo Kiyama, Kiyama Hiroto.
-Ed io sono Endou Mamoru!- esclamò il suo amico, in modo così solare che Gazel avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. –Tu sei Gazel, giusto? Ma è un nome o un cognome?
Gazel represse un verso frustrato e strinse le mani sugli spigoli delle panca. Che brutta idea, realizzò un secondo dopo, quando la sensazione di mille spilli gli ricordò dei propri palmi graffiati.
-Non lo so. Chiamatemi solo Gazel- si sforzò di rispondere gentilmente, e siccome Kiyama continuava a stare con la mano sospesa, in attesa che lui la stringesse, gli mostrò le proprie ferite. All’altro bastò un’occhiata per convincersi a ritrarre la mano.
-Wow, quelle non le avevo notate- intervenne Afuro. –E guarda le gambe! Cavolo, io in infermeria ti porto subito.- Fece una smorfia crucciata e gli afferrò un braccio, tirando perché si alzasse.
-Ci vediamo in giro- disse Kiyama. Gazel annuì senza entusiasmo e assecondò Afuro. Era troppo stanco per reagire, inoltre aveva davvero bisogno di qualcosa che fermasse il dolore. Non sapeva ancora se poteva fidarsi del suo compagno, ma non aveva scelta.
 
xxx
 
La mensa era una stanza circolare, a detta di Afuro situata tra le due sale di addestramento, quella interna e quella esterna (Gazel trattenne un gemito: la sola parola “addestramento” bastava quasi per fargli passare l’appetito), e comprendeva cinque tavoli di legno, separati appena da un paio di centimetri e disposti ad U secondo l’andamento delle pareti, più un settimo: quest’ultimo era più simile ad una cattedra, era ricoperto da una cerata quadrettata ed era il posto riservato a vivande e bevande, una specie di piccolo banchetto che veniva allestito ad ogni pasto.
Solo quando lo vide entrò con indosso un grembiule rosso e le mani occupate da una grande pentola di zuppa di ramen, Gazel scoprì che, almeno in quel posto, Chang Soo faceva proprio tutto, dal cuoco all’allenatore, e grazie a questo riscuoteva molto più che il semplice rispetto per la sua carica da superiore. Le reclute lo ammiravano dal più profondo del cuore. Lo skinhead si sollevò in piedi e si offrì di aiutarlo a preparare i piatti. Ben presto, ognuno si trovò seduto al proprio posto, circondato da altri quattro o cinque compagni, con una scodella di ramen fumante sotto il naso. Gazel sentì l’acquolina formarsi in bocca, il suo stomaco brontolò e gli venne in mente che non toccava cibo dalla colazione: Chang Soo era passato a prenderlo all’orfanatrofio proprio nell’orario di pranzo e, tra una cosa e l’altra, non aveva potuto mettere niente nella pancia. Da sotto la frangia sbirciò gli altri e, non appena li vide tuffarsi nei piatti, prese anche lui il cucchiaio e lo immerse nel brodo bollente; assaggiò, il sapore leggermente piccante gli bruciò il palato, ma aveva troppo fame per rifiutare quel pasto. Finì l’intero piatto in pochissimo tempo e poi svuotò quattro bicchieri d’acqua.
-Pane?- offrì Kiyama, tendendogli una pagnotta integrale nel palmo aperto. A Gazel non era mai piaciuto il pane, ma in quel momento avrebbe mangiato di tutto, motivo per cui ringraziò frettolosamente e cominciò a sbocconcellare il panino. Kiyama gli rivolse un sorriso quasi intenerito. Osservandolo meglio, Gazel si rese conto che l’unica cosa in comune tra i due rossi erano proprio i capelli, e neanche questo era del tutto esatto: Nagumo aveva quella bizzarra fiamma al centro del capo e il suo rosso era più carico, più forte di quelli di Kiyama, che invece erano lisci, a caschetto, con due ciuffi che gli spuntavano a lato delle orecchie.
Kiyama era, tra le altre cose, più alto e slanciato di Nagumo, e più bello. C’era qualcosa di indubbiamente affascinante nel contrasto tra i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle d’alabastro, così bianca sui polsi che si vedeva il blu delle vene in trasparenza. Se non fosse stato per Afuro, probabilmente Kiyama sarebbe stato di gran lunga il più bello tra i ragazzi presenti nella stanza. Era anche stranamente gentile con lui, o più che altro educato. Gazel notò che trattava tutti con un cortese distacco; l’unico per cui pareva fare eccezione era Endou, al quale stava più o meno sempre appiccicato, anche in quel momento.
Senza che avesse capito precisamente il perché, infatti, al suo stesso tavolo si erano seduti Kiyama, Endou, Afuro (beh, su Afuro non aveva dubbi. Non sapeva cosa gli avesse ordinato Chang Soo, ma era chiaro che il biondo era praticamente diventato il suo baby-sitter a tempo pieno, o qualcosa del genere) e, sorpresa delle sorprese, Nagumo.
Afuro non li aveva presentati né nessun altro lo fece.
La cena trascorse il silenzio, interrotta solo da tintinnio di posate, rumori di risucchio e occasionali rutti, e alla fine tutti si alzarono in piedi per ringraziare per il pasto e ripulire i tavoli; piatti, cucchiai e bicchieri di plastica furono lanciati nei larghi cestini della spazzatura, le bottiglie di vetro ammassate in una scatola di cartone dietro la cattedra e Chang Soo sollevò il pentolone per riportarlo in cucina. Prima di uscire, però, si rivolse ai suoi ragazzi.
-Oggi è stata una buona giornata. Mi auguro che sarà così anche domani. Potete tornare alle vostre stanze… fate ciò che volete, ma siate a letto prima delle undici. Non voglio zombie domani a colazione- qualcuno rise, e anche Chang Soo si concesse un sorriso prima di tornare serio. –Gazel, vieni con me. Ho qualcosa da darti… e da dirti- dichiarò, guardandolo dritto negli occhi. Li aveva neri come pietre d’onice. Era la prima volta che Gazel li vedeva davvero.
Annuì lentamente e seguì il suo superiore, tentando di ignorare le occhiate degli altri. Stare al centro dell’attenzione era proprio l’ultima cosa che voleva, ma sembrava essere inevitabile.
 
Chang Soo posò il pentolone nelle cucine, che erano proprio alle spalle della mensa, poi uscì da una porta laterale e percorse un lungo corridoio tappezzato di carta da parati. Gazel, che l’aveva seguito per tutto il tempo senza che si scambiassero una sola parola, rimase per qualche istante rapito dalla bellezza del dragone disegnato sulla carta: si allungava per tutta la lunghezza del corridoio, rosso e dorato e con rifiniture in nero così minuziose da dare l’idea che fosse stato dipinto a mano.
L’ufficio di Chang Soo era l’unica stanza a non trovarsi sul fondo della base. Il lato sinistro era interamente occupato da un basso tavolo di legno su cui erano accatastati fascicoli di fogli e piccoli libricini di velluto. Una porta sul fondo lasciava intendere che la camera proseguisse: era probabile che Chang Soo dormisse là. Gazel si soffermò a guardare le due librerie incastrate dietro il tavolo e si sporse in avanti nel tentativo di leggere i titoli dei tomi, ma alcuni erano in lingue che non conosceva.
-Se ti interessa qualcosa, non esitare a prenderlo. I miei libri sono a disposizione di tutti.- Gazel, colto di sorpresa, si ritrasse di scatto e fece del suo meglio per fingere disinteresse.
-Oh, no, non ricominciare con quell’espressione- lo rimbrottò Chang Soo con un sorriso ironico.
-Una persona che non si interessa a nulla è incredibilmente noiosa, non trovi? Tu sembri una persona interessante. Mi piaci- proseguì –ma hai sempre l’aria di uno che trova tutto noioso. Un quattordicenne non dovrebbe avere l’aria di uno che ha già visto tutto. Oggi ti sei annoiato?
Gazel strinse i pugni fasciati e li nascose dietro la schiena.
-Non esattamente- mormorò, neutro. Chang Soo continuò a sorridere e il ragazzino lo fissò con sfida.
–Lei invece si è divertito a vedermi quasi ammazzato da un molosso?- sibilò.
-Calma, calma. Eun-Young è pur sempre un tuo compagno.
-Voleva rompermi tutte le ossa del corpo- fece notare Gazel, irritato. –Parole sue.
Chang Soo si chinò, prese un cuscino da sotto il tavolo e ci si sedette a gambe incrociate.
-Eun-Young ha un temperamento un po’ difficile- riconobbe. –Ma non ti ha rotto le ossa. Sei stato bravo, Gazel. Ti ho visto cercare la soluzione intorno a te ed imparare da ciò che hai osservato: questa è una qualità che apprezzo molto nei miei ragazzi. Sei molto intelligente…
-È questo il motivo per cui sono qui? Perché sono intelligente?- lo interruppe Gazel, scettico. Chang Soo gli lanciò una lunga occhiata, poi sospirò ed incrociò le mani nel grembo.
-Sei qui perché hai un dono. Conoscevo il tuo caso, ma solo quando ti ho visto ho capito che eri davvero come noi. Tu sei un drifter- disse.
-Non so cosa diavolo voglia dire quella parola e non so cosa lei abbia sentito su di me, ma le assicuro che sbaglia. Sono diverso dagli altri, è vero, ma non ho alcuna capacità speciale, o…- Gazel si accigliò e distolse lo sguardo, torvo. -O un dono, o come cavolo vuole chiamarlo lei. Non so fare niente.
-Questo non è esatto. Il giorno in cui ti trovarono…
sordo, per caso? Le ho detto che non c’è nessun dono! Non è successo nulla! Io non so fare niente!- Solo una volta pronunciata l’ultima parola, Gazel si rese conto di aver urlato. Ammutolì all’istante, distolse lo sguardo voltando il viso di lato e si morse il labbro inferiore; poi iniziò ad avvertire un nodo alla gola, la nausea, e il familiare impulso di fuggire via. Chang Soo, al contrario, non parve particolarmente colpito, né in negativo né in positivo. Rimase seduto, calmo, a guardarlo e aspettò che passasse qualche minuto prima di parlare.
Gazel sapeva che gli stava concedendo la possibilità di scappare, tuttavia non lo fece.
-C’è una cosa che mi incuriosisce- disse infine Chang Soo. –Il giorno che sono venuto a prenderti, mi hai chiesto soltanto una cosa, ricordi? Volevi sapere se il posto in cui ti portavo aveva abbastanza luce. Come mai ti interessava saperlo?- domandò, con un tono lento e misurato. Era lampante che non voleva tradire alcuna emozione. Gazel tenne lo sguardo basso: quel gioco potevano farlo anche in due.
-Odio i posti bui- rispose a labbra strette. –Posso andare ora? Sono stanco. Sa, oggi pomeriggio un mio compagno ha cercato di rompermi il cranio- aggiunse, sarcastico.
-Ma certo, vai pure. Gli abiti e la tuta che ho ordinato per te arriveranno fra tre giorni, ti avvertirò io. Spero che ti troverai bene qui- replicò Chang Soo, mite. Accennò alla libreria.
–Se vuoi uno dei miei libri, prendilo pure. È stato un piacere vedere i tuoi occhi accendersi, per una volta. Devi aver vissuto molto nell’oscurità e i tuoi occhi ne sono impregnati. Se odi così tanto i luoghi bui, non vedo speranze per te. Dopotutto…- la sua voce si abbassò fino a diventare un sussurro –…gli occhi privi di luce non possono catturare la luce stessa.
Gazel ignorò il brivido freddo che quelle parole gli procurarono e se ne andò.
Quella persona non gli piaceva, decise. Sembrava gentile ed educato, ed invece voleva solo sputare lezioni di vita, come se ne sapesse più di tutti, come se l’essere di grado superiore gli desse il permesso di dire qualunque cosa gli passasse per la testa. Avrebbe dovuto capirlo.
Le persone mentono.
Le persone non sono mai gentili senza un secondo fine.
È crudele, ma così sono gli esseri umani.
Gli esseri umani sono i più bravi a mentire.
Aveva perso il conto di quante volte quelle frasi erano risuonate nella sua mente, si erano ripetute per tanto tempo che ormai ne era del tutto convinto: le aveva fatte sue.
E la prova di questa teoria era che lui era il primo a mentire sempre.
Girò l’angolo del corridoio e si fermò di scatto, appena in tempo per non sbattere contro Afuro, che lo stava aspettando in piedi a pochi metri dall’ufficio di Chang Soo. Gazel scacciò il pensiero molesto che potesse aver sentito qualcosa, benché fosse verosimile, e lo squadrò da capo a piedi, accigliato, con un’implicita domanda negli occhi.
-Ho pensato che non ti andasse di tornare da solo. Quelle scale sono orrende…- rispose Afuro incamminandosi. Gazel fece un cenno col capo e si accodò a lui.
 
Le scale erano orribili, buie e strette come al solito: per tutto il tempo non fece altro che toccarsi la gola ed immaginare il filo che la stringeva. 


**Angolo dell'Autrice**
Eccomi qua! Era da un po' che pensavo a questo spin-off e spero che l'idea piaccia anche a voi. La storia sarà seguita perlopiù dal POV di Gazel, con qualche eccezione. È un personaggio con una storia un po' particolare, inizialmente non l'avevo approfondito molto, ma in seguito ho iniziato a ricamare su di lui e alla fine ho deciso di dargli più spazio. In questa fic è molto diverso da come lo vedete in Spy Eleven, dove è molto sicuro di sé ed è capace di fidarsi degli altri; qui è ancora un ragazzino triste, disilluso, fa quasi male vederlo così.
La coppia principale è la BanGaze, ma ci saranno anche accenni ad altre coppie, per esempio la HiroEn one-sided (sì, in questo periodo Hiroto è ancora alle prese con la sua brutta cotta per Endou, anche se lo nasconde bene) e un sacco di GazeAfu brotp perché il loro rapporto è una delle mie cose preferite in assoluto (nel caso non lo sappiate, io li shippo anche romanticamente, lol) ♥
Grazie infinite alla mia Bananah che mi ha betato il capitolo mesi or sono (?) -sei un tesoro ♥♥
Bacioni,
     Roby

P.s. Tutti i membri del centro di addestramento sono giocatori realmente esistenti nell'universo di IE, alcuni sono presi dalla Fire Dragon (la squadra coreana del FFI) e altri dalla Zeus Academy :))

 
   
 
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