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Autore: MagikaMemy    14/11/2008    9 recensioni
E' arrivato il momento di dirsi addio. Il momento di capire che niente, per Sora e gli altri, tornerà ad essere come prima.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12: gite inaspettate, gelati alla fragola e fermate sbagliate

Rikku sistemò le casse di birra a terra, facendo attenzione a non gettare le bottiglie in vetro verde scuro.

Naminè, sorridente, la vide asciugarsi la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto leopardato e riprendere fiato.

Rikku era fatta per questo lavoro, non c’era niente da fare.

Le piaceva stare a contatto con la gente, chiacchierare coi clienti mentre serviva i cocktail, osservare i bambini che giocavano in piscina e poi, gocciolanti, correvano da loro a chiedere un gelato.

Glielo aveva confessato qualche giorno prima, durante l’ora ci chiusura,e Naminè non ne era rimasta sorpresa.

E come avrebbe potuto? Sapeva che Rikku amava conoscere persone nuove.

Quella ragazza, anche se sembrava superficiale, in realtà era molto più profonda di quanto potesse apparire.

“Ok, per stamattina abbiamo finito. Che ne dici di mangiare un boccone al volo? Così poi passiamo a rompere un po’ le scatole a Sora e agli altri al ristorante!” esclamò la ragazza, esuberante.

“D’accordo, ma non esagerare con le prese in giro, mi raccomando.” Fece Naminè, lasciando stare il bicchiere che stava pulendo e togliendosi al volo il grembiule.

Rikku fece lo stesso, poi afferrò le chiavi e le lanciò a Naminè, che con gesto rapido le acchiappò e chiuse il passaggio per andare dietro al bancone.

Ormai facevano così tutti i giorni, e quelli che prima sembravano movimenti buffi e sciocchi ora si erano trasformati in qualcosa di quotidiano e familiare, tanto da compierli meccanicamente, senza pensarci troppo su.

Entrambe gettarono un ultimo sguardo al bar, poi si avviarono verso il ristorante.

“Hai l’aria stanca, Nami-chan. Sicura che vada tutto bene?” chiese Rikku, giocando col portachiavi del cellulare che teneva in tasca.

Naminè sorrise incerta, pronta a mentire.

Era abituata a nascondere i suoi sentimenti agli altri.

Sapeva fingere davvero bene.

Cominciava seriamente a pensare di fare l’attrice, da grande.

Chissà se a Tokyo c’era qualche scuola specifica…

“Sì, sto bene. Sono solo un po’ pensierosa.”

Rikku sembrò non crederle molto, ma decise saggiamente di non interferire oltre.

Al contrario d Yuna, sapeva sempre quando era il caso di porsi dei limiti.

Naminè, vedendola meno loquace del solito, cercò di farla pensare a qualcos’altro.

“Ehi, Rikku-chan…Riku ti piace ancora?” domandò, sapendo che l’altra, sicuramente, si sarebbe risollevata.

E infatti balzò su sé stessa, gli occhi colti dal suo solito bagliore di allegria: “Assolutamente sì! Hai visto quant’è figo in costume?”

“Non faccio caso a certe cose” replicò Naminè, come se per una quindicenne non guardare i ragazzi fosse la cosa più normale del mondo.

Rikku la guardò, contrariata.

“Cosa?! Vuoi dirmi che a te non piace nessuno?” chiese, tra il curioso e l’incredulo.

Naminè abbassò un poco lo sguardo.

…era un po’ più complicato di così…

…per un attimo, sentì il fortissimo impulso di parlare con Rikku, raccontarle della sua indecisione, sfogarsi.

Ma rinunciò ancora prima di tentare.

Sapeva che non ci sarebbe riuscita.

Lei era fatta così: nella sua testa era tutto limpido e ordinato come gli schemi che si faceva Kairi per studiare storia; ma poi, quando si trattava di esprimersi a voce, la gola le si seccava e non trovava mai le parole adatte, sentendosi una perfetta cretina.

“Mettiamola così: l’amore non rientra tra i miei interessi” concluse, sperando che il discorso si chiudesse lì.

Rikku aprì la bocca, e per un istante sembrò voler dire qualcosa, forse chiederle una spiegazione della sua frase esauriente.

Ma, vedendo gli occhi dell’amica che, incerti, si abbassavano verso terra, decise di lasciar perdere, meritandosi la silenziosa gratitudine dell’altra.

Arrivarono al ristorante senza dire nulla, e Rikku finalmente si rilassò quando Sora le salutò dall’interno, rendendo l’atmosfera più leggera.

Una volta entrate, Sora le raggiunse, un vassoio sul quale era rimasta un po’ di insalata in mano, pronto per essere lavato da una Yuna alqauanto isterica.

“Ragazze! Pausa pranzo?” chiese, contento di vederle.

Naminè sorrise timidamente: Sora era peggio dei cani, ti faceva le feste anche se non ti vedeva da solo cinque minuti.

…doveva ammettere che era proprio carino, con la divisa da cameriere.

Sora indicò alle amiche il tavolo del buffet, dove Roxas, tutto concentrato, stava sistemando un piatto di fritti misti (sentendosi quasi male, oltretutto, visto che a lui il fritto dava la nausea).

Naminè gli lanciò uno sguardo contrariato, mentre Rikku si osservava intorno, agitando frenetica il capo e facendo ondeggiare i capelli biondi legati in due codini alti.

“Il mio Ricchan non è ancora arrivato?” domandò, super emozionata.

Sora, sentendo il nomignolo della gal, sentì una fitta allo stomaco e inarcò un sopracciglio, nervoso.

Che strano…si sentiva quasi…non so…arrabbiato…

A cos’era dovuta quella sensazione?...eppure, fino a un attimo fa stava bene…

Non fece in tempo a rispondersi che sentì una mano posarglisi sulla spalla.

Sussultò e a momenti gli prese un infarto quando si ritrovò davanti la faccia bruttissima di Xaldin, che lo guardava come se fosse un piccione spiaccicato sul parabrezza d’un camion.

“Ehy, capelli-ad-asparago!” lo chiamò, e Sora per un attimo si chiese come, esattamente, la sua chioma potesse assomigliare a degli asparagi.

Ok, forse la sua acconciatura era un po’…come dire…’ribelle’…ma insomma, quel soprannome non era molto carino…

Sbuffò sonoramente, ricordando le prese in giro dei compagni delle medie.

I ragazzini, nella pubertà, sapevano essere davvero crudeli.

Un momento…anche lui era nella fase della pubertà…quindi…oh Dio!

Forse anche lui era crudele e non se n’era mai accorto!

Xaldin, vedendo quella specie di marmotta fuori misura immersa nel suo mondo di pensieri senza senso, gli diede un colpo alla testa (molto poco delicatamente, aggiungerei) con lo straccio sporco da cucina, facendolo saltare su sé stesso come fosse un petardo.

“Ma dico, sei impazzito boss?!” chiese Sora, la mano nel punto dolorante e le lacrime agli occhi.

Xaldin, in tutta risposta, mostrò lo straccio con fare minaccioso.

“Ascoltami, accidenti! Ehy, Roxas, vieni anche tu per favore!”

Roxas, sentendosi chiamare, abbandonò con gioia la sua occupazione e si avvicinò, mentre Sora chiedeva a Xaldin ‘perche trattava Roxas come una principessa’ (citando le sue esatte parole).

Naminè studiò per un istante il volto di Roxas.

…ok, doveva essere successo qualcosa con Axel.

C’erano stati sicuramente degli sviluppi, aveva un’espressione troppo strana…anzi, a dirla tutta, sembrava quasi felice…

Per lei era una cosa insolita, perché solitamente non amava impicciarsi degli affari altrui, ma era troppo curiosa di scoprire le novità della sua (tormentatissima) vita sentimentale.

Si sentiva anche un po’ autolesionista, a dirla tutta…

“Che succede, Xaldi-chan? Problemi?” domandò Roxas, sistemando il colletto della camicia.

Xaldin, tenendo Sora per i capelli per cercare di farlo star zitto, impresa quanto mai impossibile, con la mano libera tirò fuori dalla tasca del grembiule macchiato di sugo un pezzo di carta piegato su sé stesso e sgualcito.

“Dovete farmi un favore. Andate in città, dal mio fornitore di fiducia, e consegnateli questa lista.”

Sora, che non aveva sentito una parola, tutto preso com’era nel cercare di liberarsi dalla stretta di quella specie di incrocio tra King Kong e un pokèmon gigante, riuscì finalmente a dileguarsi, per poi guardare Xaldin dritto negli occhi.

“…emh…non ho capito.” Disse, con la voce d’un bimbo di appena sette anni.

“Non sforzarti, So.” Si limitò a dire Roxas, mentre sia Xaldin che Rikku e Naminè alzavano gli occhi al cielo, per nulla stupiti.

Certo, doveva essere una cosa tropo complicata, per un cervello di pulce come lui.

Xaldin, saggiamente, decise di ingorarlo e rivolgersi più che altro a Roxas, il quale lo osservava un po’ preoccupato.

“Ok, ma…chi diavolo è questo? E come ci arriviamo, in città? E’ la prima volta che veniamo da queste parti!” disse tutto d’un fiato, ma mentre Xaldin stava per rispondere il rumore dell’ingresso della sala che si apriva fece girare il gruppetto all’istante.

Sulla porta c’erano Demyx e, con sommo terrore di Roxas, Axel, che li salutarono con due sorrisi stampati sui volti abbronzati.

“Ehilà, vecchia capra! Ogni anno la stessa storia, eh?” fece Axel, rivolgendosi a Xaldin.

Roxas temette per un attimo che il più grande, come suo solito, avrebbe fatto qualcosa di imbarazzante, come abbracciarlo o provare a strappargli un bacio.

Invece, per la prima volta, Axel si limitò a lanciargli uno guardo rapido, per poi tornare a concentrarsi su Xaldin, come se fosse stato un gesto senza signficato.

Mnetre Xaldin e Axel iniziavano la dodicesima lite della settimana (secondo il conto che stava tenendo Sora, almeno, ma vista la sua scarsa conoscenza dei numeri non si sarebbe stupito se il calcolo fosse stato sbagliato), avvertì una strana sensazione…come…se si sentisse…

…triste?

No, un momento, non…non poteva essere!!!!

Axel gli stava lontano…non era quello che voleva?

Non era ciò per cui aveva lottato per settimane?

Certo che lo era, diamine!

…ma allora perché si sentiva…così…dannatamente messo da parte?!

***

“Axel, sei sicuro di ricordare la strada?”

“Certo che me la ricordo, non sono mica scemo! E comunque non ci vuole chissà che genio, l’autobus ci porta dritti dritti là davanti..”

Sora, Riku, Roxas e Axel erano seduti agli ultimi posti del mezzo di trasporto pubblico, preso poco lontano dal villaggio.

Il secondo si era unito al gruppetto per una pura coincidenza: visto che Kairi si era offerta di fare al suo posto il turno di pomeriggio, lui aveva deciso di approfittare delle ore di libertà inaspettate per comprare una speciale maschera del viso che, secondo quella scellerata della madre, facevano solo da quelle parti, e rendeva la pelle ‘più liscia di un sedere di un bambino’.

Ora, tralasciando il paragone alquanto vomitevole…la sua genitrice schizzofrenica non poteva, per una volta, fare a meno di uno dei suoi capricci da ragazzina viziata di alta aristocrazia?

Certo che no! Lo aveva chiamato minimo sette volte, negli ultimi due giorni, per ricordargli di quella stramaledetta crema!!!

Lo aveva tormentato, sul serio.

Insomma, Riku aveva preso la decisione di togliersi quel peso dallo stomaco e andarci direttamente quel giorno, almeno non ci avrebbe più pensato.

Ma quando aveva incrociato, all’uscita del club, Sora e quegli altri due matti, a momenti non collassava sull’asfalto del parcheggio.

E così eccoli qua, tutti e quattro zitti come se stessero andando al patibolo.

Anche Sora era stranamente silenzioso, e guardava distrattamente fuori dal finestrino con una cuffietta dell’I-pod di Roxas.

Il castano lanciava di tanto in tanto delle occhiatine nervose a Riku, ma questi, più deciso che mai a non guardare nella sua direzione, fingeva di essere sovrappensiero.

Axel, seduto tra Riku e Roxas, parlava al cellulare a bassa voce senza degnare Roxas di alcuna attenzione, cosa terribilmente insolita.

Il più piccolo lo vide chiudere la conversazione come se avesse appena fatto a pugni con qualcuno, e per un attimo si pentì di aver tenuto le cuffie di quel maledetto I-pod così alte.

Axel, sentendosi osservato, si girò inconsciamente verso Roxas, e appena i loro occhi si incrociarono Roxas, con finta indifferenza, finse di guardare il soffito del bus.

Axel, rassegnato, rimase in silenzio.

Fortuna che non mancava molto, all’arrivo.

Certo, non era abituato a un Sora così taciturno.

Sembrava la copia più scema di Riku.

Chissà, forse anche a loro era successo qualcosa.

Beh, comunque sia, non erano affari suoi.

Aveva già abbastanza problemi per sé, non era proprio il caso di pensare anche a quelli degli altri, non era mica un cazzo di psicologo o roba simile.

Nervoso, si torturò la pellicina del pollice destro sovrappensiero, mentre, con la luce che, dal finestrino, gli arrivava dritta in viso, cercava di non guardare Roxas.

**

“Ci abbiamo messo meno di quanto pensassi” ammise Riku, sedendosi sul marciapiede.

Axel, con la stessa faccia di uno appena uscito da un cimitero a mezzanotte la sera di Halloween, si accese la sigaretta che teneva in equilibrio tra le labbra, poi inspirò piano, risistemando in tasca l’accendino su cui erano disegnati dei coniglietti, un regalo di quel cretino di Demix.

Roxas lo vide sedere accanto a Riku e fumare in silenzio, e per un istante sentì la voglia di parlargli, di litigare con lui, di gridargli addosso che era un pervertito, come faceva sempre.

Quel rapporto così innaturale tra loro stava cominciando a stargli più stretto del maglione che sua nonna gli regalava ogni Natale, sbagliando puntualmente le misure.

La verità è…che si era pentito di essersi lasciato andare, la sera prima.

Aveva fatto un errore madornale, a sfogarsi in quel modo con uno come Axel.

Eppure una parte di lui, in quel momento…lo aveva fatto piangere senza riuscire a controllarsi.

Axel, dal canto suo, voleva solo cercare di allontanare i suoi stupidi atteggiamenti da pedofilo e riuscire a parlare con Roxas.

Perché era chiaro che quel ragazzo aveva avuto un passato segnato da qualcosa, qualcosa che ancora non era riuscito a capire, ma che avrebbe scoperto.

Voleva saperlo.

Voleva sapere tutto, di lui: lo shampoo che usava, il suo film preferito, se era bravo o no ad educazione fisica.

Roxas era, per lui, un continuo porsi domande, un grande punto interrogativo che, a sua volta, nascondeva tanti piccoli segreti.

Non riusciva a spiegarsi perché, ma ormai si era rassegnato.

Pensare a Roxas, guardare Roxas, sognare Roxas era diventata una droga.

Un qualcosa da cui era ormai totalmente dipendente, come le sigarette.

Era una cosa anormale, e lo sapeva.

Ne era dannatissimamente consapevole.

Ma non poteva più rinunciarci.

Con un gesto deciso, buttò la sigaretta a terra e alzò il viso.

“Roxas.”

Il ragazzo, che era appoggiato al muro del negozio del fornitore da cui erano appena usciti, sollevò lo sguardo dalle sue scarpe, senza riuscire a parlare.

Vide Axel sorreggere il suo sguardo, e i suoi piedi, prima che lui potesse controllarne i movimenti, si avvicinarono con passo incerto.

Riku e Sora, entrambi in stato catatonico per il sonno (Sora soprattutto, visto che era come i bambini e il pomeriggio doveva dormire, sennò diventava intrattabile), studiavano la scena senza osare rompere il silenzio per primi.

Roxas si fermò davanti al surfista senza il coraggio di guardarlo in faccia, e Axel, dopo essersi alzato, gli prese la mano, incredibilmente teso.

“Noi ci facciamo un giro. Ci vediamo al club.” Disse a Riku, come se gli stesse dando un ordine.

Riku tacque, ccome sempre, e fece un breve cenno col capo, per poi alzarsi anche lui.

Sora vide Roxas e Axel allontanarsi, le loro dita intrecciate in modo un po’ impacciato.

Percepì un sentimento del tutto estraneo, che non aveva mai provato prima d’allora.

Qualcosa di…pericolosamente nuovo.

Riku notò che li seguiva con lo sguardo, gli occhi e la mente assorti in chissà quali pensieri.

“…oggi sei strano.”

Sora, tornando alla realtà, sussultò per la sorpresa.

…oh, merda…

Che cosa gli stava succedendo?

Non riusciva più nemmeno a guardare Riku in faccia…

Si girò verso il muro, e a momenti non prese in faccia un passante, che, borbottando, svoltò appena in tempo per evitare lo scontro.

“..Ah! Mi scusi!”gridò scusandosi, e per tutta risposta quello gli disse di andare a farsi un viaggetto a…beh, non specifichiamo.

Erano di nuovo soli, a quella stupida fermata di quello stupido autobus.

Sora sentiva le gambe dolergli, ma non voleva sedersi accanto a Riku, quindi decise di resistere e non cedere alla sua (ormai celeberrima) pigrizia cronica.

Riku non lo degnava di uno sguardo, e Sora, ancra una volta, sentì il desiderio di leggerli nellamente, sapere a cosa stava pensando, vedere le stesse immagini che vedeva lui nella sua testa.

Aspettarono altri dieci minuti, più o meno, durante i quali si sentì solo il brusìo della folla venire dal centro, poco distante da lì.

Poi arrivò il pullman, in ritardo di almeno un quarto d’ora, e Sora sospirò di sollievo non appena lo vide avvicinarsi, un po’ sbarellante.

Mentre timbrava il biglietto, Riku lo sorpassò e andò a sedersi in un posto da due, lasciando libero il sedile accanto al suo.

Sora lo vide accavallare le gambe, imbronciato, e poggiare il mento su una mano, guardando fuori.

La macchinetta fece uscire il ticket e lui, una volta recuperatolo, andò a mettersi accanto all’amico.

Il bus era già ripartito, e loro erano da ben ventiquattro minuti che non riuscivano a scambiarsi nemmeno una parola.

Sora provò un irrefrenabile odio verso sé stesso.

Era patetico!

Si stava comportando in modo assolutamente patetico…insomma, diamine, era stato uno scherzo!

SOLO uno scherzo!

Quel bacio non era significato niente!

…e allora perché continuava a pensarci? Perché rivedeva quella scena ripetersi dentro di lui all’infinito?

Gli sembrava di sentire ancora le labbra di Riku sulle sue, come fossero un marchio invisibile che aveva lasciato su di lui per sempre.

Impulsivamente, si alzò di scatto non appena l’autobus iniziò a fermarsi.

“Io scendo qui!” quasi gridò, senza nemmeno vedere quale fermata fosse, e praticamente correndo si avviò verso la porta.

Riku scattò in piedi.

“Sora, ma dove cavolo vai?! Non dobbiamo scendere!” urlò, infuriato.

Sora sembrò non averlo nemmeno ascoltato, e non appena le porte si aprirono balzò fuori.

Riku fece appena in tempo a lasciare il pullman, col fiatone, che quelli era già ripartito, lasciandoli in una via di quella stupida città.

Sora, vedendoselo davanti, fu preso dal panico, e provò a scappare.

Riku lo prese per un polso e lo sbattè contro il muro.

“Ahia! Cazzo, Ri, mi fai male!”

“COSA DIAMINE TI E’ SALTATO IN MENTE?! SI Può SAPERE?!”

Sora ammutolì di botto vedendolo tanto arrabbiato.

Erano di nuovo soli.

E che cassiopea, tutte le strade deserte di quel buco di città dovevano prenderle loro?!

Riku, vedendo che Sora non rispondeva, sentì la rabbia salirgli ancora di più in corpo.

“CHE COS’HAI, EH?! PERCHE’ NON MI PARLI PIU’?!” gridò, come se fosse impazzito.

Sora sentiva la schiena dolergli, ma non gli importava.

Gli occhi di Riku che fissavano i suoi occupavano tutti i suoi pensieri.

“Io…io…non…”

Riku si spostò, allontandosi un poco, come se fosse spaventato dalle sue stesse reazioni.

Nascose la bocca con un polso, un gesto che, Sora lo sapeva, faceva per controllare la rabbia, per evitare di sputargli addosso qualche altro insulto.

“…la verità è che quel bacio ti ha scombussolato.”

Sora arrossì di botto, mentre il suo cuore sembrò fare una capriola come l’acrobata del circo dove lo aveva portato sua madre a sette anni, a Shinjuku*.

Riku sembrava non volere una risposta: la sua era stata un’affermazione, come se fosse trato di nascosto nella sua testa e avesse letto nei suoi (incasinatissimi) pensieri.

Lo guardava, senza osare avvicinarsi, forse perché temeva le sue stesse reazioni.

Che cosa buffa…proprio Riku, che riusciva sempre a mantenere il controllo anche nelle situazioni più ingarbugliate e critiche…ora, senza un motivo ben preciso (o forse era lui a non capirlo) sembrava più nervoso di un insetto a cui un bambino ha strappato le ali per gioco.

Sora cercò di studiare il suo viso per qualche attimo, e non potè non notare che, con la luce del sole che glielo illuminava, era terribilmente affascinante.

Gli sembrò quasi di vederlo per la prima volta.

Come se, fino ad allora, lo avesse guardato ad occhi chiusi.

“…io non…” provò a dire, ma le parole gli morirono in gola prima che potesse finire la frase.

Diamine, gli girava la testa!

Riku, senza aspettare che Sora facesse ordine nei suoi pensieri, si avvicinò rapidamente e appoggiò un braccio sopra la sua testa, contro il muro dove era tesa la schiena dell’altro.

Sora, da qualche centimetro sotto, vide gli occhi del ragazzo tuffarsi nei suoi senza paura, e qualcosa in lui, per la prima volta, si sbloccò.

Provò a pensare a Kairi, a concentrarsi sull’immagine dei suoi capelli rossi e lisci, alle sue labbra sempre piegate in un sorriso, alle sue orecchie su cui, talvolta, appuntava degli orecchini a forma di fragola.

Ma tutto questo non gli impedì di continuare a reggere lo sguardo di Riku su di lui.

Non voleva mostrarsi debole.

Non aveva paura di lui.

Non aveva paura di quei sentimenti che, da quel giorno a ristorante, piano piano si erano affacciati nel suo cuore.

Eppure non riusciva ad ammetterlo.

Forse perché non era pronto per..una cosa del genere.

Forse perché si era reso conto che…quelle emozioni…non erano le stesse che provava quando vedeva Kairi.

Erano più forti.

Erano più grandi.

***

Incredibile quanto potesse sudargli la mano in un momento del genere.

Roxas avrebbe tanto voluto asciugarsela contro la maglietta e rimetterla nella tasca dei jeans, ma non osava cercare di ribellarsi.

Axel lo aveva afferrato con una tale sicurezza…ma, al tempo stesso, la sua presa era stata morbida e dolce, come le scuse che si rivolgono a qualcuno dopo un litigio feroce.

Avevano lasciato Riku e Sora da almeno un’ora, e ancora il suo cuore non era tornato a battere regolarmente.

“…ehy, ti si scioglie il gelato.”

Roxas si risvegliò dalla specie di trance in cui era caduto, e rapidamente leccò il suo cono, senza però troppa voracità.

Axel cercò di non guardare la lingua dell’altro, ma i suoi occhi andarono a finire lì da soli senza che lui riuscisse a controllarli, e ancora una volta si sentì un pervertito e mezzo pedofilo.

Deciso più che mai a distrarsi, assaporò con la paletta un po’ della sua coppetta alla fragola, ma ad un tratto Roxas lo guardò con quei suoi occhioni fin troppo grandi e azzurri come il mare, e lui ancora una volta non ci capì più niente.

“…perché ci siamo allontanati?” chiese il più piccolo, il tono di voce che tradiva un po’ di nervosa ingenuità.

Axel lasciò definitivamente perdere il gelato per concentrarsi su di lui.

Ok, era il momento giusto per dirgli la verità.

“Ecco…volevo parlare di ieri.”

Aveva usato una voce pacata, cercando di non spaventarlo, ma Roxas si sentiva intimorito lo stesso.

…quel gelato cominciava a stargli sullo stomaco.

“Non ho niente da dire” ribattè acido, spostando il viso dall’altra parte, come a voler dire che, per quanto lo riguardava, la conversazione poteva anche finire lì.

Non sarebbe stato un problema, per lui: era abituato a restare in silenzio.

Era molto meglio che parlare ininterrottamente come quel cretino di Sora.

Il silenzio aiuta ad ascoltare ciò che non si sente quasi mai.

Axel cercò di capire quello che gli stava passando per la testa, ma come sempre la mente di Roxas era più difficile da comprendere di un messaggio criptico scritto in cinese.

Ancora una volta, lo vide leccare frenetico il gelato che continuava imperterrito a colare lungo il cono, e provò uno straziante senso di vuoto.

Non ne poteva più, quel ragazzino lo stava facendo diventare matto.

“Senti,” cominciò, sforzandosi di non spaventarlo “non voglio costringerti a parlarne, se non vuoi. Farò finta che non sia successo nulla. Per me non è un problema. E’ solo che…”fece una pausa, cercando un qualcosa di dannatamente giusto da dire, ma la gola sembrava essersi seccata tutto d’un botto.

Roxas lo interruppe prima che potesse riprendere quella sottospecie di discorso, roteando impaziente gli occhi come un bambino che ascolta controvoglia la ramanzina del padre, uguale a tutte le altre.

“Non è che non voglio parlarne…cioè, non perché sei tu, comunque. Non l’ho mai detto a nessuno. E’ successo tanto tempo fa.”
Vedendo Axel che lo osservava per nulla convinto gli venne spontaneo abbassare lo sguardo e riprendere ad assaggiare il gelato di malavoglia.

Axel si rese conto che se ne sarebbe potuto andare in qualsiasi momento.

Se si fosse trattato di qualcun altro, lo avrebbe già fatto: l’avrebbe mollato là, lui e il suo stupido gelato, andandosene per la sua strada senza stare troppo ad arrovvellarsi il cervello per uno che non vuole neanche spiegargli del perché la sera prima gli si è gettato addosso a piangere sul suo giubbotto.

Ma sapeva di non avere il coraggio.

Perché si trattava di Roxas.

Sospirò e si alzò in piedi, guardando davanti a sé.

Roxas lo vide incamminarsi verso un secchio dall’altra parte della piazzetta gremita di gente e si chiese perché, perché non riusciva a parlargli.

Eppure, sentiva di volerlo.

Sul serio.

Ma forse, la ferita non era ancora chiusa del tutto.

Forse, riaprirla gli faceva ancora troppo male.

Axel tornò da lui, facendosi largo tra i bambini che affollavano alcune giostre poco lontane, ma si fermò davanti alla panchina senza sedersi, a fissarlo come fosse stato un quadro o un poster affissi alla parete della sua camera.

Roxas si sentì abbrustolire peggio di un marshmellow, con quegli occhi verdi e taciturni che si buttavano nei suoi, ma riuscì a trovare la forza di parlare.

“…mi dispiace…so che ho sbagliato, ieri sera…non…non avrei dovuto metterti in mezzo.” Sbiascicò, incerto e con poca voce.

Sentì le lacrime arivargli agli occhi, e più velocemente possibile si alzò e provò a correre via, a scappare ancora una volta, a non guardarlo.

Ma Axel, per sua grandissima sfortuna, era più veloce di lui, e in men che non si dica lo aveva già afferrato per una spalla, bloccandolo.

“...sto male da morire quando piangi…però…” si avvicinò alle sue labbra, cauto, e Roxas sentì un brivido percorrergli tutta la schiena “…sei bellissimo, con gli occhi arrossati.”

Roxas capì di aver perso completamente il controllo di sé stesso.

Il suo istinto gli diceva di andarsene via, prima che succedesse l’irreparabile.

Ma era il resto di sé che non accennava a volersi spostare di un centimetro.

Dannato cuore!! Odiava sentirserlo martellare dentro così forte!

“...posso baciarti?”

Incredulo, sentì il fiato mancargli per un attimo, e subito alzò lo sguardo per vedere Axel in viso.

…aveva usato la sua seconda voce, quella che quel giorno gli aveva sentito sotto le docce…

…gli stava chiedendo, per la prima volta, il permesso per qualcosa che non si era mai fatto problemi a rubarsi…

Ok, ora avrebbe dovuto rispondergli di no.

Avrebbe dovuto girare i tacchi e andarsene, buttando il gelato che aveva ancora in mano in terra e bestemmiando dalla rabbia, mandando lui e quella sua mania dei baci a quel paese.

E invece socchiuse gli occhi.

Axel ora lo copriva quasi del tutto, oscurandogli la luce del sole del tardo pomeriggio.

Le labbra del più grande indugiarono un attimo sulle sue, come se fossero di cristallo e Axel avesse paura di romperle con un movimento troppo brusco.

Poi, con un unico, breve movimento, si ritrovarono a baciarsi di nuovo.

Ma stavolta c’era qualcosa di diverso, di completamente estraneo.

Il gelato di Roxas, a testa in giù, cominciò a gocciolare sull’asfalto.

A lui, però, non importava assolutamente nulla: l’unica cosa che contava era il braccio di Axel che gli cingeva la schiena, mentre con l’altra mano gli alzava il mento di un poco, per evitare di abbassarsi troppo.

Sentì la lingua di Axel combattere contro la sua, e non riuscì ad opporsi in nessuno modo.

Come se non fosse più sé stesso, come se il suo corpo non aspettasse altro da chissà quanto tempo, con un gesto infastidito gettò il gelato rimanente a terra e mise le braccia attorno al collo dell’altro.

Axel, quando si rese conto di ciò che aveva fatto Roxas, non seppe quale santo ringraziare, e sinceramente se ne infischiava altamente.

Roxas lo stava baciando.

Roxas stava ricambiando tutto: le sue attenzioni, i suoi gesti, i suoi sentimenti.

E quella frase gli balenò nella testa come un fulmine, strappandogli unq sorta di eccitante paura.

Non l’aveva mai detta a nessuno, ma ora, per la prima volta, la stava pensando.

Dentro di lui, mentre sentiva quell’esserino così piccolo e basso contro la sua pelle, solo poche parole gli innvadevano il cervello, oscurando tutti gli altri pensieri.

“Roxas…ti amo.”

Note dell’autrice:

Della serie ‘chi non muore si rivede’ XD!! Perdonate il ritardo con cui ho aggiornato!!!!!!! Mi dispiace infinitamente, ma ho avuto tantisimo da fare!! Però dài,m il capitolo è stato soddisfacente, no? Voglio dire…è super romantico! E poi penso che, a livello di trama, sia stato il più rilevante di tutta la fanfiction…che, mi dispiace dirvelo, ma sta lentamente giungendo al termine! Difatti, ho definitavemtne deciso che i capitoli saranno 18! Ma tranquilli, il rpogetto di farne un seguit ambientato in inverno credo proprio che si realizzerà, se tutto va secondo i miei piani…

GRAZIE MILLE PER LA PAZIENZA, LE RECENSIONI E I COMPLIMENTI CHE MI FATE!! PURTROPPO, PER PROBLEMI DI TEMPO, NON RIESCO A RISPONDERE AI VOSTRI COMMENTI…SPERO SOLO CHE POSSIATE PERDONARMI! DAVVERO, VI RINGRAZIO DI CUORE PER LA PASSIONE CHE METTETE NEL LEGGERE LA MIA STORIA! CONTINUATE A SEGUIRMI, PER FAVORE ♥♥

Lasciatemi un commentino, se mi va ^___- Grazie per aver letto! Al prossimo chappy

*MagikaMemy*

   
 
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