Capitolo 12: gite inaspettate, gelati alla
fragola e
fermate sbagliate
Rikku sistemò le
casse di birra a terra, facendo attenzione a non gettare le bottiglie
in vetro
verde scuro.
Naminè, sorridente,
la vide asciugarsi la fronte imperlata di sudore con
un fazzoletto leopardato e riprendere
fiato.
Rikku era fatta per
questo lavoro, non c’era niente da fare.
Le piaceva stare a
contatto con la gente, chiacchierare coi clienti mentre serviva i
cocktail,
osservare i bambini che giocavano in piscina e poi, gocciolanti,
correvano da
loro a chiedere un gelato.
Glielo aveva
confessato qualche giorno prima, durante l’ora ci chiusura,e Naminè non
ne era
rimasta sorpresa.
E come avrebbe
potuto? Sapeva che Rikku amava conoscere persone nuove.
Quella ragazza,
anche se sembrava superficiale, in realtà era molto più profonda di
quanto
potesse apparire.
“Ok, per stamattina
abbiamo finito. Che ne dici di mangiare un boccone al volo? Così poi
passiamo a
rompere un po’ le scatole a Sora e agli altri al ristorante!” esclamò
la
ragazza, esuberante.
“D’accordo, ma non
esagerare con le prese in giro, mi raccomando.” Fece Naminè, lasciando
stare il
bicchiere che stava pulendo e togliendosi al volo il grembiule.
Rikku fece lo
stesso, poi afferrò le chiavi e le
lanciò a Naminè, che con gesto rapido le acchiappò e chiuse il
passaggio per
andare dietro al bancone.
Ormai facevano così
tutti i giorni, e quelli che prima sembravano movimenti buffi e
sciocchi ora si
erano trasformati in qualcosa di quotidiano e familiare, tanto da
compierli
meccanicamente, senza pensarci troppo su.
Entrambe gettarono
un ultimo sguardo al bar, poi si avviarono verso il ristorante.
“Hai l’aria stanca,
Nami-chan. Sicura che vada tutto bene?” chiese Rikku, giocando col
portachiavi
del cellulare che teneva in tasca.
Naminè sorrise
incerta, pronta a mentire.
Era abituata a
nascondere i suoi sentimenti agli altri.
Sapeva fingere
davvero bene.
Cominciava
seriamente a pensare di fare l’attrice, da grande.
Chissà se a Tokyo
c’era qualche scuola specifica…
“Sì, sto bene. Sono
solo un po’ pensierosa.”
Rikku sembrò non
crederle molto, ma decise saggiamente di non interferire oltre.
Al contrario d Yuna,
sapeva sempre quando era il caso di porsi dei limiti.
Naminè, vedendola
meno loquace del solito, cercò di farla pensare a qualcos’altro.
“Ehi,
Rikku-chan…Riku ti piace ancora?” domandò, sapendo che l’altra,
sicuramente, si
sarebbe risollevata.
E infatti balzò su
sé stessa, gli occhi colti dal suo solito bagliore di allegria:
“Assolutamente
sì! Hai visto quant’è figo in costume?”
“Non faccio
caso a certe cose” replicò Naminè, come
se per una quindicenne non guardare i ragazzi fosse la cosa più normale
del
mondo.
Rikku la guardò,
contrariata.
“Cosa?! Vuoi dirmi
che a te non piace nessuno?” chiese, tra il curioso e l’incredulo.
Naminè abbassò un
poco lo sguardo.
…era un po’ più
complicato di così…
…per un attimo,
sentì il fortissimo impulso di parlare
con Rikku, raccontarle della sua indecisione, sfogarsi.
Ma rinunciò ancora
prima di tentare.
Sapeva che non ci
sarebbe riuscita.
Lei era fatta così:
nella sua testa era tutto limpido e ordinato come gli schemi che si
faceva
Kairi per studiare storia; ma poi, quando si trattava di esprimersi a
voce, la
gola le si seccava e non trovava mai le parole adatte, sentendosi una
perfetta
cretina.
“Mettiamola così:
l’amore non rientra tra i miei interessi” concluse, sperando che il
discorso si
chiudesse lì.
Rikku aprì la bocca,
e per un istante sembrò voler dire qualcosa, forse chiederle una
spiegazione
della sua frase esauriente.
Ma, vedendo gli
occhi dell’amica che, incerti, si abbassavano verso terra, decise di
lasciar
perdere, meritandosi la silenziosa gratitudine dell’altra.
Arrivarono al
ristorante senza dire nulla, e Rikku finalmente si rilassò quando Sora
le salutò
dall’interno, rendendo l’atmosfera più leggera.
Una volta entrate,
Sora le raggiunse, un vassoio sul quale era rimasta un po’ di insalata
in mano,
pronto per essere lavato da una Yuna alqauanto isterica.
“Ragazze! Pausa
pranzo?” chiese, contento di vederle.
Naminè sorrise
timidamente: Sora era peggio dei cani, ti faceva le feste anche se non
ti vedeva
da solo cinque minuti.
…doveva ammettere
che era proprio carino, con la divisa da cameriere.
Sora indicò alle
amiche il tavolo del buffet, dove Roxas, tutto concentrato, stava
sistemando un
piatto di fritti misti (sentendosi quasi male, oltretutto, visto che a
lui il
fritto dava la nausea).
Naminè gli lanciò
uno sguardo contrariato, mentre Rikku si osservava intorno, agitando
frenetica
il capo e facendo ondeggiare i capelli biondi legati in due codini alti.
“Il mio Ricchan non
è ancora arrivato?” domandò, super emozionata.
Sora, sentendo il
nomignolo della gal, sentì una fitta allo stomaco e inarcò un
sopracciglio,
nervoso.
Che strano…si
sentiva quasi…non so…arrabbiato…
A cos’era dovuta
quella sensazione?...eppure, fino a un attimo fa stava bene…
Non fece in tempo a
rispondersi che sentì una mano posarglisi sulla spalla.
Sussultò e a momenti
gli prese un infarto quando si ritrovò davanti la faccia bruttissima di
Xaldin,
che lo guardava come se fosse un piccione spiaccicato sul parabrezza
d’un
camion.
“Ehy,
capelli-ad-asparago!” lo chiamò, e Sora per un attimo si chiese come,
esattamente, la sua chioma potesse assomigliare a degli asparagi.
Ok, forse la sua acconciatura
era un po’…come dire…’ribelle’…ma insomma, quel soprannome non era molto carino…
Sbuffò sonoramente,
ricordando le prese in giro dei compagni delle medie.
I ragazzini, nella
pubertà, sapevano essere davvero crudeli.
Un momento…anche lui
era nella fase della pubertà…quindi…oh Dio!
Forse anche lui era
crudele e non se n’era mai accorto!
Xaldin, vedendo
quella specie di marmotta fuori misura immersa nel suo mondo di pensieri senza senso,
gli diede un colpo alla testa (molto
poco delicatamente, aggiungerei) con lo straccio sporco da cucina,
facendolo
saltare su sé stesso come fosse un petardo.
“Ma dico, sei
impazzito boss?!” chiese Sora, la mano nel punto dolorante e le lacrime
agli
occhi.
Xaldin, in tutta
risposta, mostrò lo straccio con fare minaccioso.
“Ascoltami,
accidenti! Ehy, Roxas, vieni anche tu per favore!”
Roxas, sentendosi
chiamare, abbandonò con gioia la sua occupazione e si avvicinò, mentre
Sora chiedeva
a Xaldin ‘perche trattava Roxas come una principessa’ (citando le sue
esatte
parole).
Naminè studiò per un
istante il volto di Roxas.
…ok, doveva essere
successo qualcosa con Axel.
C’erano stati
sicuramente degli sviluppi, aveva un’espressione troppo strana…anzi, a
dirla
tutta, sembrava quasi felice…
Per lei era una cosa
insolita, perché solitamente non amava impicciarsi degli affari altrui,
ma era
troppo curiosa di scoprire le novità della sua (tormentatissima) vita
sentimentale.
Si sentiva anche un
po’ autolesionista, a dirla tutta…
“Che succede,
Xaldi-chan? Problemi?” domandò Roxas, sistemando il colletto della
camicia.
Xaldin, tenendo Sora
per i capelli per cercare di farlo star zitto,
impresa quanto mai impossibile, con la mano libera tirò fuori dalla
tasca del
grembiule macchiato di sugo un pezzo di carta piegato su sé stesso e
sgualcito.
“Dovete farmi un
favore. Andate in città, dal mio fornitore di fiducia, e consegnateli
questa
lista.”
Sora, che non aveva
sentito una parola, tutto preso com’era nel
cercare di liberarsi dalla stretta di quella specie di incrocio
tra King
Kong e un pokèmon gigante, riuscì finalmente a dileguarsi, per poi
guardare
Xaldin dritto negli occhi.
“…emh…non ho
capito.” Disse, con la voce d’un bimbo di appena sette anni.
“Non sforzarti, So.”
Si limitò a dire Roxas, mentre sia Xaldin che Rikku e Naminè alzavano
gli occhi
al cielo, per nulla stupiti.
Certo, doveva essere
una cosa tropo complicata, per un cervello di pulce come lui.
Xaldin, saggiamente,
decise di ingorarlo e rivolgersi più che altro a Roxas, il quale lo
osservava
un po’ preoccupato.
“Ok, ma…chi diavolo
è questo? E come ci arriviamo, in città? E’ la prima volta che veniamo
da
queste parti!” disse tutto d’un fiato, ma mentre Xaldin stava per
rispondere il
rumore dell’ingresso della sala che si apriva fece girare il gruppetto
all’istante.
Sulla porta c’erano
Demyx e, con sommo terrore di Roxas,
Axel, che li salutarono con due sorrisi stampati sui volti abbronzati.
“Ehilà, vecchia
capra! Ogni anno la stessa storia, eh?” fece Axel, rivolgendosi a
Xaldin.
Roxas temette per un
attimo che il più grande, come suo solito, avrebbe fatto qualcosa di
imbarazzante,
come abbracciarlo o provare a strappargli un bacio.
Invece, per la prima
volta, Axel si limitò a lanciargli uno guardo rapido, per poi tornare a
concentrarsi
su Xaldin, come se fosse stato un gesto senza signficato.
Mnetre Xaldin e Axel
iniziavano la dodicesima lite della settimana (secondo il conto che
stava
tenendo Sora, almeno, ma vista la sua scarsa conoscenza dei numeri non
si
sarebbe stupito se il calcolo fosse stato sbagliato), avvertì una
strana
sensazione…come…se si sentisse…
…triste?
No, un momento,
non…non poteva essere!!!!
Axel gli stava
lontano…non era quello che voleva?
Non era ciò per cui
aveva lottato per settimane?
Certo che lo era,
diamine!
…ma allora perché si
sentiva…così…dannatamente messo da parte?!
***
“Axel, sei sicuro di
ricordare la strada?”
“Certo che me la
ricordo, non sono mica scemo! E comunque non ci vuole chissà che genio,
l’autobus ci porta dritti dritti là davanti..”
Sora, Riku, Roxas e
Axel erano seduti agli ultimi posti del mezzo di trasporto pubblico,
preso poco
lontano dal villaggio.
Il secondo si era
unito al gruppetto per una pura coincidenza: visto che Kairi si era
offerta di
fare al suo posto il turno di pomeriggio, lui aveva deciso di
approfittare
delle ore di libertà inaspettate per comprare una speciale maschera del
viso
che, secondo quella scellerata della madre, facevano solo da quelle
parti, e
rendeva la pelle ‘più liscia di un sedere di un bambino’.
Ora, tralasciando il
paragone alquanto vomitevole…la sua genitrice schizzofrenica non
poteva, per una
volta, fare a meno di uno dei suoi capricci da ragazzina viziata di
alta aristocrazia?
Certo che no! Lo
aveva chiamato minimo sette volte, negli ultimi due giorni, per
ricordargli di
quella stramaledetta crema!!!
Lo aveva tormentato,
sul serio.
Insomma, Riku aveva
preso la decisione di togliersi quel peso dallo stomaco e andarci
direttamente
quel giorno, almeno non ci avrebbe più pensato.
Ma quando aveva
incrociato, all’uscita del club, Sora e quegli altri due matti, a
momenti non
collassava sull’asfalto del parcheggio.
E così eccoli qua,
tutti e quattro zitti come se stessero andando al patibolo.
Anche Sora era
stranamente silenzioso, e guardava distrattamente fuori dal finestrino
con una
cuffietta dell’I-pod di Roxas.
Il castano lanciava
di tanto in tanto delle occhiatine nervose a Riku, ma questi, più
deciso che
mai a non guardare nella sua direzione, fingeva di essere
sovrappensiero.
Axel, seduto tra
Riku e Roxas, parlava al cellulare a bassa voce senza degnare Roxas di
alcuna
attenzione, cosa terribilmente insolita.
Il più piccolo lo
vide chiudere la conversazione come se avesse appena fatto a pugni con
qualcuno, e per un attimo si pentì di aver tenuto le cuffie di quel
maledetto
I-pod così alte.
Axel, sentendosi
osservato, si girò inconsciamente verso Roxas, e appena i loro occhi si
incrociarono Roxas, con finta indifferenza, finse di guardare il
soffito del
bus.
Axel, rassegnato,
rimase in silenzio.
Fortuna che non
mancava molto, all’arrivo.
Certo, non era abituato
a un Sora così taciturno.
Sembrava la copia
più scema di Riku.
Chissà, forse anche
a loro era successo qualcosa.
Beh, comunque sia,
non erano affari suoi.
Aveva già abbastanza
problemi per sé, non era proprio il caso di pensare anche a quelli
degli altri,
non era mica un cazzo di psicologo o roba simile.
Nervoso, si torturò
la pellicina del pollice destro sovrappensiero, mentre, con la luce
che, dal
finestrino, gli arrivava dritta in viso, cercava di non guardare Roxas.
**
“Ci abbiamo messo
meno di quanto pensassi” ammise Riku, sedendosi sul marciapiede.
Axel, con la stessa
faccia di uno appena uscito da un cimitero a mezzanotte la sera di
Halloween,
si accese la sigaretta che teneva in equilibrio tra le labbra, poi
inspirò
piano, risistemando in tasca l’accendino su cui erano disegnati dei
coniglietti, un regalo di quel cretino di Demix.
Roxas lo vide sedere
accanto a Riku e fumare in silenzio, e per un istante sentì la voglia
di
parlargli, di litigare con lui, di gridargli addosso che era un
pervertito,
come faceva sempre.
Quel rapporto così
innaturale tra loro stava cominciando a stargli più stretto del maglione che sua nonna gli regalava ogni Natale,
sbagliando puntualmente le misure.
La verità è…che si
era pentito di essersi lasciato andare, la sera prima.
Aveva fatto un
errore madornale, a sfogarsi in quel modo con uno come Axel.
Eppure una parte di
lui, in quel momento…lo aveva fatto piangere senza riuscire a
controllarsi.
Axel, dal canto suo,
voleva solo cercare di allontanare i suoi stupidi atteggiamenti da
pedofilo e
riuscire a parlare con Roxas.
Perché era chiaro
che quel ragazzo aveva avuto un passato segnato da qualcosa, qualcosa
che
ancora non era riuscito a capire, ma che avrebbe scoperto.
Voleva saperlo.
Voleva sapere tutto,
di lui: lo shampoo che usava, il suo film preferito, se
era bravo o no ad educazione fisica.
Roxas era, per lui,
un continuo porsi domande, un grande punto interrogativo che, a sua
volta,
nascondeva tanti piccoli segreti.
Non riusciva a
spiegarsi perché, ma ormai si era rassegnato.
Pensare a Roxas,
guardare Roxas, sognare Roxas era diventata una droga.
Un qualcosa da cui
era ormai totalmente dipendente, come le sigarette.
Era una cosa
anormale, e lo sapeva.
Ne era
dannatissimamente consapevole.
Ma non poteva più rinunciarci.
Con un gesto deciso,
buttò la sigaretta a terra e alzò il viso.
“Roxas.”
Il ragazzo, che era
appoggiato al muro del negozio del fornitore da cui erano appena
usciti,
sollevò lo sguardo dalle sue scarpe, senza riuscire a parlare.
Vide Axel sorreggere
il suo sguardo, e i suoi piedi, prima che lui potesse controllarne i
movimenti,
si avvicinarono con passo incerto.
Riku e Sora,
entrambi in stato catatonico per il sonno (Sora soprattutto, visto che
era come
i bambini e il pomeriggio doveva dormire, sennò diventava
intrattabile),
studiavano la scena senza osare rompere il silenzio per primi.
Roxas si fermò
davanti al surfista senza il coraggio di guardarlo in faccia, e Axel,
dopo
essersi alzato, gli prese la mano, incredibilmente teso.
“Noi ci facciamo un
giro. Ci vediamo al club.” Disse a Riku, come se gli stesse dando un
ordine.
Riku tacque, ccome
sempre, e fece un breve cenno col capo, per poi alzarsi anche lui.
Sora vide Roxas e
Axel allontanarsi, le loro dita intrecciate in modo un po’ impacciato.
Percepì un
sentimento del tutto estraneo, che non aveva mai provato prima d’allora.
Qualcosa
di…pericolosamente nuovo.
Riku notò che li
seguiva con lo sguardo, gli occhi e la mente assorti in chissà quali
pensieri.
“…oggi sei strano.”
Sora, tornando alla realtà,
sussultò per la sorpresa.
…oh, merda…
Che cosa gli stava
succedendo?
Non riusciva più
nemmeno a guardare Riku in faccia…
Si girò verso il
muro, e a momenti non prese in faccia un passante, che, borbottando,
svoltò
appena in tempo per evitare lo scontro.
“..Ah! Mi
scusi!”gridò scusandosi, e per tutta risposta quello gli disse di
andare a
farsi un viaggetto a…beh, non specifichiamo.
Erano di nuovo soli,
a quella stupida fermata di quello stupido autobus.
Sora sentiva le
gambe dolergli, ma non voleva sedersi accanto a Riku, quindi decise di
resistere e non cedere alla sua (ormai celeberrima) pigrizia cronica.
Riku non lo degnava
di uno sguardo, e Sora, ancra una volta, sentì il desiderio di leggerli
nellamente,
sapere a cosa stava pensando, vedere le stesse immagini che vedeva lui
nella
sua testa.
Aspettarono altri
dieci minuti, più o meno, durante i quali si sentì solo il brusìo della
folla venire
dal centro, poco distante da lì.
Poi arrivò il
pullman, in ritardo di almeno un quarto d’ora, e Sora sospirò di
sollievo non
appena lo vide avvicinarsi, un po’ sbarellante.
Mentre timbrava il
biglietto, Riku lo sorpassò e andò a sedersi in un posto da due,
lasciando
libero il sedile accanto al suo.
Sora lo vide accavallare
le gambe, imbronciato, e poggiare il mento su una mano, guardando fuori.
La macchinetta fece
uscire il ticket e lui, una volta recuperatolo, andò a mettersi accanto
all’amico.
Il bus era già
ripartito, e loro erano da ben ventiquattro minuti che non riuscivano a
scambiarsi nemmeno una parola.
Sora provò un
irrefrenabile odio verso sé stesso.
Era patetico!
Si stava comportando
in modo assolutamente patetico…insomma, diamine, era stato uno scherzo!
SOLO uno scherzo!
Quel bacio non era
significato niente!
…e allora perché
continuava a pensarci? Perché rivedeva quella scena ripetersi dentro di
lui
all’infinito?
Gli sembrava di
sentire ancora le labbra di Riku sulle sue, come fossero un marchio
invisibile
che aveva lasciato su di lui per sempre.
Impulsivamente, si
alzò di scatto non appena l’autobus iniziò a fermarsi.
“Io scendo qui!”
quasi gridò, senza nemmeno vedere quale fermata fosse, e praticamente
correndo
si avviò verso la porta.
Riku scattò in
piedi.
“Sora, ma dove
cavolo vai?! Non dobbiamo scendere!” urlò, infuriato.
Sora sembrò non
averlo nemmeno ascoltato, e non appena le porte si aprirono
balzò fuori.
Riku fece appena in
tempo a lasciare il pullman, col fiatone, che quelli era già ripartito,
lasciandoli in una via di quella stupida città.
Sora, vedendoselo
davanti, fu preso dal panico, e provò a scappare.
Riku lo prese per un
polso e lo sbattè contro il muro.
“Ahia! Cazzo, Ri, mi
fai male!”
“COSA DIAMINE TI E’
SALTATO IN MENTE?! SI Può SAPERE?!”
Sora ammutolì di
botto vedendolo tanto arrabbiato.
Erano di nuovo soli.
E che cassiopea,
tutte le strade deserte di quel buco di città dovevano prenderle loro?!
Riku, vedendo che
Sora non rispondeva, sentì la rabbia salirgli ancora di più in corpo.
“CHE COS’HAI, EH?!
PERCHE’ NON MI PARLI PIU’?!” gridò, come se fosse impazzito.
Sora sentiva la
schiena dolergli, ma non gli importava.
Gli occhi di Riku
che fissavano i suoi occupavano tutti i suoi pensieri.
“Io…io…non…”
Riku si spostò,
allontandosi un poco, come se fosse spaventato dalle sue stesse
reazioni.
Nascose la bocca con
un polso, un gesto che, Sora lo sapeva, faceva per controllare la
rabbia, per
evitare di sputargli addosso qualche altro insulto.
“…la verità è che
quel bacio ti ha scombussolato.”
Sora arrossì
di botto, mentre il suo cuore sembrò
fare una capriola come l’acrobata del circo dove lo aveva portato sua
madre a
sette anni, a Shinjuku*.
Riku sembrava non
volere una risposta: la sua era stata un’affermazione, come se fosse
trato di
nascosto nella sua testa e avesse letto nei suoi (incasinatissimi)
pensieri.
Lo guardava, senza
osare avvicinarsi, forse perché temeva le sue stesse reazioni.
Che cosa
buffa…proprio Riku, che riusciva sempre a mantenere il controllo anche
nelle
situazioni più ingarbugliate e critiche…ora, senza un motivo ben
preciso (o
forse era lui a non capirlo) sembrava più nervoso di un insetto a cui
un
bambino ha strappato le ali per gioco.
Sora cercò di
studiare il suo viso per qualche attimo, e non potè non notare che, con
la luce
del sole che glielo illuminava, era
terribilmente affascinante.
Gli sembrò quasi di
vederlo per la prima volta.
Come se, fino ad
allora, lo avesse guardato ad occhi chiusi.
“…io non…” provò a
dire, ma le parole gli morirono in gola prima che potesse finire la
frase.
Diamine, gli girava
la testa!
Riku, senza
aspettare che Sora facesse ordine nei suoi pensieri, si avvicinò
rapidamente e
appoggiò un braccio sopra la sua testa, contro il muro dove era tesa la
schiena
dell’altro.
Sora, da qualche
centimetro sotto, vide gli occhi del ragazzo tuffarsi nei suoi senza
paura, e
qualcosa in lui, per la prima volta, si sbloccò.
Provò a pensare a
Kairi, a concentrarsi sull’immagine dei suoi capelli rossi e lisci,
alle sue
labbra sempre piegate in un sorriso, alle sue orecchie su cui,
talvolta,
appuntava degli orecchini a forma di fragola.
Ma tutto questo non
gli impedì di continuare a reggere lo sguardo di Riku su di lui.
Non voleva mostrarsi
debole.
Non aveva paura di
lui.
Non aveva paura di
quei sentimenti che, da quel giorno a ristorante, piano piano si erano
affacciati nel suo cuore.
Eppure non riusciva ad
ammetterlo.
Forse perché non era
pronto per..una cosa del genere.
Forse perché si era
reso conto che…quelle emozioni…non erano le stesse che provava quando
vedeva
Kairi.
Erano più forti.
Erano più grandi.
***
Incredibile quanto
potesse sudargli la mano in un momento del genere.
Roxas avrebbe tanto
voluto asciugarsela contro la maglietta e rimetterla nella
tasca dei jeans, ma non osava cercare di
ribellarsi.
Axel lo aveva
afferrato con una tale sicurezza…ma, al tempo stesso, la sua presa era
stata
morbida e dolce, come le scuse che si rivolgono a qualcuno dopo un
litigio
feroce.
Avevano lasciato
Riku e Sora da almeno un’ora, e ancora il suo cuore non era tornato a
battere
regolarmente.
“…ehy, ti si
scioglie il gelato.”
Roxas si risvegliò
dalla specie di trance in cui era caduto, e rapidamente leccò il suo
cono,
senza però troppa voracità.
Axel cercò di non
guardare la lingua dell’altro, ma i suoi occhi andarono a finire lì da
soli
senza che lui riuscisse a controllarli, e ancora una volta si sentì un
pervertito
e mezzo pedofilo.
Deciso più che mai a
distrarsi, assaporò con la paletta un po’ della sua coppetta alla
fragola, ma
ad un tratto Roxas lo guardò con quei suoi occhioni fin troppo grandi e
azzurri
come il mare, e lui ancora una volta non ci capì più niente.
“…perché ci siamo
allontanati?” chiese il più piccolo, il tono di voce che tradiva un po’
di
nervosa ingenuità.
Axel lasciò
definitivamente perdere il gelato per concentrarsi su di lui.
Ok, era il momento
giusto per dirgli la verità.
“Ecco…volevo parlare
di ieri.”
Aveva usato una voce
pacata, cercando di non spaventarlo, ma Roxas si sentiva intimorito lo
stesso.
…quel gelato
cominciava a stargli sullo stomaco.
“Non ho niente da
dire” ribattè acido, spostando il viso dall’altra parte, come a voler
dire che,
per quanto lo riguardava, la conversazione poteva anche finire lì.
Non sarebbe stato un
problema, per lui: era abituato a restare in silenzio.
Era molto meglio che
parlare ininterrottamente come quel cretino di Sora.
Il silenzio aiuta ad
ascoltare ciò che non si sente quasi mai.
Axel cercò di capire
quello che gli stava passando per la testa, ma come sempre la mente di
Roxas
era più difficile da comprendere di un messaggio criptico scritto in
cinese.
Ancora una volta, lo
vide leccare frenetico il gelato che continuava imperterrito a colare
lungo il
cono, e provò uno straziante senso di vuoto.
Non ne poteva più,
quel ragazzino lo stava facendo diventare matto.
“Senti,” cominciò,
sforzandosi di non spaventarlo “non voglio costringerti a parlarne, se
non
vuoi. Farò finta che non sia successo nulla. Per me non è un problema.
E’ solo
che…”fece una pausa, cercando un qualcosa di dannatamente giusto da
dire, ma la
gola sembrava essersi seccata tutto d’un botto.
Roxas lo interruppe
prima che potesse riprendere quella sottospecie di discorso, roteando
impaziente gli occhi come un bambino che ascolta controvoglia la
ramanzina del
padre, uguale a tutte le altre.
“Non è che non
voglio parlarne…cioè, non perché sei tu, comunque. Non l’ho mai detto a
nessuno. E’ successo tanto tempo fa.”
Vedendo Axel che lo osservava per nulla convinto gli venne spontaneo
abbassare
lo sguardo e riprendere ad assaggiare il gelato di malavoglia.
Axel si rese conto
che se ne sarebbe potuto andare in qualsiasi momento.
Se si fosse trattato
di qualcun altro, lo avrebbe già fatto: l’avrebbe mollato là, lui e il
suo
stupido gelato, andandosene per la sua strada senza stare troppo ad
arrovvellarsi
il cervello per uno che non vuole neanche spiegargli del perché la sera
prima
gli si è gettato addosso a piangere sul suo giubbotto.
Ma sapeva di non
avere il coraggio.
Perché si trattava
di Roxas.
Sospirò e si alzò in
piedi, guardando davanti a sé.
Roxas lo vide incamminarsi
verso un secchio dall’altra parte della piazzetta gremita di gente e si
chiese
perché, perché non riusciva a parlargli.
Eppure, sentiva di
volerlo.
Sul serio.
Ma forse, la ferita
non era ancora chiusa del tutto.
Forse, riaprirla gli
faceva ancora troppo male.
Axel tornò da lui,
facendosi largo tra i bambini che affollavano alcune giostre poco
lontane, ma
si fermò davanti alla panchina senza sedersi, a fissarlo come fosse
stato un quadro
o un poster affissi alla parete della sua camera.
Roxas si sentì
abbrustolire peggio di un marshmellow, con quegli occhi verdi e
taciturni che
si buttavano nei suoi, ma riuscì a trovare la forza di parlare.
“…mi dispiace…so che
ho sbagliato, ieri sera…non…non avrei dovuto metterti in mezzo.”
Sbiascicò,
incerto e con poca voce.
Sentì le lacrime
arivargli agli occhi, e più velocemente possibile si alzò e provò a
correre
via, a scappare ancora una volta, a non guardarlo.
Ma Axel, per sua
grandissima sfortuna, era più veloce di lui, e in men che non si dica
lo aveva
già afferrato per una spalla, bloccandolo.
“...sto male da
morire quando piangi…però…” si avvicinò alle sue labbra, cauto, e Roxas
sentì
un brivido percorrergli tutta la schiena “…sei bellissimo, con gli
occhi
arrossati.”
Roxas capì di aver
perso completamente il controllo di sé stesso.
Il suo istinto gli
diceva di andarsene via, prima che succedesse l’irreparabile.
Ma era il resto di
sé che non accennava a volersi spostare di un centimetro.
Dannato cuore!!
Odiava sentirserlo martellare dentro così forte!
“...posso baciarti?”
Incredulo, sentì il
fiato mancargli per un attimo, e subito alzò lo sguardo per vedere Axel
in
viso.
…aveva usato la sua
seconda voce, quella che quel giorno gli aveva sentito sotto le docce…
…gli stava
chiedendo, per la prima volta, il permesso per qualcosa che non si era
mai
fatto problemi a rubarsi…
Ok, ora avrebbe
dovuto rispondergli di no.
Avrebbe dovuto
girare i tacchi e andarsene, buttando il gelato che aveva ancora in
mano in
terra e bestemmiando dalla rabbia, mandando lui e quella sua mania dei
baci a
quel paese.
E invece socchiuse
gli occhi.
Axel ora lo copriva
quasi del tutto, oscurandogli la luce del sole del tardo pomeriggio.
Le labbra del più
grande indugiarono un attimo sulle sue, come se fossero di cristallo e
Axel
avesse paura di romperle con un movimento troppo brusco.
Poi, con un unico,
breve movimento, si ritrovarono a baciarsi di nuovo.
Ma stavolta c’era
qualcosa di diverso, di completamente estraneo.
Il gelato di Roxas,
a testa in giù, cominciò a gocciolare sull’asfalto.
A lui, però,
non importava assolutamente
nulla: l’unica cosa che contava era il braccio di Axel che gli cingeva
la
schiena, mentre con l’altra mano gli alzava il mento di un poco, per
evitare di
abbassarsi troppo.
Sentì la lingua di
Axel combattere contro la sua, e non riuscì ad opporsi in nessuno modo.
Come se non fosse
più sé stesso, come se il suo corpo non aspettasse altro da chissà
quanto
tempo, con un gesto infastidito gettò il gelato rimanente a terra e
mise le
braccia attorno al collo dell’altro.
Axel, quando si rese
conto di ciò che aveva fatto Roxas, non seppe quale santo ringraziare,
e
sinceramente se ne infischiava altamente.
Roxas lo stava
baciando.
Roxas stava
ricambiando tutto: le sue attenzioni, i suoi gesti, i suoi sentimenti.
E quella frase gli
balenò nella testa come un fulmine, strappandogli unq sorta di
eccitante paura.
Non l’aveva mai
detta a nessuno, ma ora, per la prima volta, la stava pensando.
Dentro di lui,
mentre sentiva quell’esserino così piccolo e basso contro la sua pelle,
solo
poche parole gli innvadevano il cervello, oscurando tutti gli altri
pensieri.
“Roxas…ti amo.”
Note dell’autrice:
Della serie ‘chi non
muore si rivede’ XD!!
Perdonate il ritardo con cui ho aggiornato!!!!!!! Mi dispiace
infinitamente, ma
ho avuto tantisimo da fare!! Però dài,m il capitolo è stato
soddisfacente, no?
Voglio dire…è super romantico! E poi penso che, a livello di trama, sia
stato
il più rilevante di tutta la fanfiction…che, mi dispiace dirvelo, ma
sta
lentamente giungendo al termine! Difatti, ho definitavemtne deciso che
i
capitoli saranno 18! Ma tranquilli, il rpogetto di farne un seguit
ambientato
in inverno credo proprio che si realizzerà, se tutto va secondo i miei
piani…
GRAZIE MILLE PER LA
PAZIENZA, LE RECENSIONI E
I COMPLIMENTI CHE MI FATE!! PURTROPPO, PER PROBLEMI DI TEMPO, NON
RIESCO A
RISPONDERE AI VOSTRI COMMENTI…SPERO SOLO CHE POSSIATE PERDONARMI!
DAVVERO, VI
RINGRAZIO DI CUORE PER LA PASSIONE CHE METTETE NEL LEGGERE LA MIA
STORIA!
CONTINUATE A SEGUIRMI, PER FAVORE ♥♥
Lasciatemi un
commentino, se mi va ^___-
Grazie per aver letto! Al prossimo chappy
*MagikaMemy*