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Autore: PeNnImaN_Mercury92    31/12/2014    2 recensioni
Fu solo quando John e io ci trasferimmo a Londra, nel 1970, che lui entrò a far parte della band che gli avrebbe cambiato la sua vita e in qualche modo stravolse anche me, perché mi fece innamorare di una persona che non avrei mai concepito essere il mio tipo di ragazzo ideale.
E' infatti una storia d'amore che non mi sarei mai aspettata, e ora che lo racconto a te posso dimostrartelo...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP. 20 Ecco perché mi chiamano Mrs Fahrenheit.

Il giorno dopo, un tranquillo lunedì mattina, mi svegliai prima del solito, alle cinque, con un terribile mal di testa.

Mi stava letteralmente scoppiando, sentivo anche dei fischi nelle orecchie ed ero addirittura bollente sulla fronte.

Ero un tipo che solitamente non soffre quasi mai di nulla, per cui tutto era abbastanza strano.

Svegliai John, intento ancora a dormire.—John?—gli scossi il braccio.

Nessuna risposta. Dovetti scrollarlo più volte.

Poi si decise ad aprire gli occhi.—Rose? E' ancora presto, perché mi hai svegliato?—disse con la voce impastata.

—Ho un terribile mal di testa e ho la fronte che mi bolle.—risposi gemente.

Immediatamente, lui mi mise una mano sulla testa.—Scotti tantissimo.—si alzò.—Mettiti sotto le coperte. Vado a prendere il termometro a mercurio. Non prendere freddo o peggiori la situazione.

Feci come aveva detto, infilandomi nel suo letto.

Per mia grande fortuna, lui era molto premuroso con me.

Dopo un po', tornò con un termometro in mano.

Lo misi sotto il braccio e aspettammo cinque minuti.

Poi tirai fuori il termometro e vidi la temperatura, riportato in gradi: trentotto e quattro.

Lo mostrai a John.—Credo che per oggi sia meglio che tu non esca. Dirò anche a Ver che oggi pomeriggio non puoi andare a lavoro se la temperatura non si abbassa. Vai a metterti nel tuo letto, ti verrò a portare più tardi il tè. Ah, oggi abbiamo le prove, quindi non arriverò molto presto.

Obbedii, ritornando nella mia stanza.

Un po' più tranquilla, cercai di riposare per un'altra buona mezzoretta.

Subito dopo, John arrivò da me con una tazza fumante di tè.

La sorseggiai a vari intervalli, perché era veramente calda.

Fattesi le sette, John andò a scuola e io rimasi nel letto.

Avendo ancora un forte mal di testa, rimasi buona parte della mattinata a dormire.

Alle dieci circa, decisi almeno di cambiarmi. Il pigiama di lana mi stava troppo pesante.

E infatti mi diedi una rinfrescata in bagna e indossai dei pantaloncini blu e una maglia a lunghe maniche grigia.

Avevo bisogno di compagnia, così andai in salotto, presi il giradischi e me lo portai in camera mia.

Misi "Please Please Me" e lasciai libere le voci e gli strumenti dei Fab Four.

La musica, invece di peggiorare la situazione, la miglioravano solamente, o almeno con me aveva questo effetto.

Non avevo molta fame, così mi andai a preparare un semplice toast con il formaggio e ritornai in macchina.

E così passò la mattinata, ma dopo aver pranzato, ebbi anche l'impressione che mi fosse diminuita la temperatura.

E infatti, dopo aver rimisurato la temperatura, rimasi soddisfatta quando vidi che da trentotto era passata a trentasette e uno.

Ma avevo ancora un dolore alla testa.

Sfortunatamente, quando si passa un'intera mattinata senza fare nulla, è abbastanza noioso.

Ma alle tre e mezza di pomeriggio, sentii la porta aprirsi.

—John? Sei tu?—urlai, troppo pigra per andare a controllare.

Ci pensò lui ad arrivare da me senza troppe pretese.

—Eccomi. Come ti senti?—mi chiese, toccandomi la fronte.

—Credo che la temperatura si sia abbassata.—dissi.

—Sì, scotti molto di meno. Perché non te la rimisuri?

Presi il termometro dal comodino sul quale era appoggiato e lo misi nuovamente sotto il braccio.

—Hai ancora mal di testa?—chiese poi.

—Qualche dolore ce li ho, purtroppo.

Quando sfilai il termometro e vidi la temperatura ulteriormente bassa ai trentasei gradi e mezzo, rimasi sollevata.

Lo mostrai a John, anche lui abbastanza appagato.

—Bene, almeno la febbre non l'hai quasi più. Tra un po' esco, vado a fare due passi. Puoi rimanere da sola ancora un po'?

Sbuffai, ma acconsentii.—Va bene, ma torna presto. Ah, ti ho lasciato un toast nel frigo, vedi di scaldartelo.

Si leccò le labbra.—Mh, grazie.—mi diede un bacio su una guancia e uscì dalla mia camera.

Scossi la testa. Com'era semplice farlo felice.

Non appena riuscì di casa, mi venne una voglia immensa di andarmene in biblioteca.

Purtroppo, se avessi messo solo la punta dei piedi fuori la porta di casa altro che febbre, sarei arrivata a ottanta gradi.

Così, rimasi lì, in camera, ad autocommiserarmi, finché non sentii il campanello della porta.

Rimasi impassibile, visto che John aveva le chiavi.

Ma quando insistette, fui costretta ad alzarmi dal letto.

—John, le chiavi!—urlai ancor prima di aprire la porta.

Quando aprii, rimasi alquanto sorpresa. In fondo, John era uscito solo da una ventina di minuti, non poteva essere già tornato.

—Roger! Vieni, entra.—lo invitai.

—Come ti senti? John ci ha detto che oggi stavi male.—chiese, dopo che ebbi chiuso la porta.

—Poco fa mi è passata la febbre.

—E ora come stai?

—Meglio rispetto a stamattina, ma ho un terribile mal di testa.—spiegai.—Grazie per essere venuto, stavo morendo di noia.

Mi diede un pacchetto incartato.

Lo scartai. Era un libro.

82, Charing Cross Road. Va molto di moda, ultimamente.—spiegò.

Lo abbracciai.—Oh, Roger. Grazie.—ricambiò, stringendomi di più a sé.—Anzi, è meglio che non stiamo a stretto contatto.—mi staccai immediatamente da lui.

Aggrottò la fronte.—Il mal di testa non si mischia, dovresti saperlo.

—Sono comunque ammalata, e poi io sono dentista, non dottoressa, c'è una bella differenza.—ribattei, divertita.

—Voglio un tè.

—Vattelo a preparare da solo, Taylor. E fanne uno anche per me.—lo spinsi verso i fornelli mentre io, con un po' di giramento di testa, mi sedetti al tavolo.

—Come siamo acidi, Deacon.—disse, mettendo a bollire sul fuoco dell'acqua.—Dove sono le bustine?—chiese dopo.

Mi rialzai e andai verso la credenza.—Noi abbiamo l'infuso. Siamo più indietro.—aprii uno degli sportelli dove era conservato.

Non ebbi nemmeno il tempo di afferrarle dall'alto, che lui mi abbracciò da dietro.

Ridacchiai.—Cosa ho detto prima?

—Anche se fossi veramente ammalata, a me non importa.—rispose, prima di cominciare a baciarmi una tempia.—Ehi, Taylor, dovevamo fare il tè.—dissi, scrollandomelo di dosso.

—Che si fotta il tè.

—No, Taylor. Io voglio il tè e anche tu, avanti.—riuscii finalmente ad arrivare ai fornelli e a togliere l'acqua dal fuoco in tempo. La versai in due tazze e misi l' infuso.

Dopo aver preso la sua, si sedette al tavolo.—Roger, io voglio andarmi a stendere sul letto, non è che potremmo bercele lì?—gli chiesi.

—Mh, okay. 

Mi stesi sul mio comodo letto e cominciai a sfogliare il nuovo libro, che era un dolce romanzo epistolare.—Mi serviva proprio un libro nuovo, stamattina mi sono annoiata a morte.

—L'ho scampata bene. Sono contento ti piaccia. Sono stato quasi un'ora in libreria per scegliere.

—Vuoi un applauso?—lo canzonai.

Si smosse dal letto troppo bruscamente, facendomi cadere il contenuto della tazza bollente sulla maglia.—Cazzo, Rog!

—Oh, mio Dio. Scusa!—disse preoccupato, alzandosi.

Era una macchia troppo grossa, non potevo lasciarmela addosso.—Apri l'armadio, nel secondo cassetto in basso dovrebbe esserci una maglia di lana bianca, prendimela.

Presi la sua tazza e la mia e le adagiai sul comodino.

Poi mi tolsi la maglia sporca di dosso, rimanendo in reggiseno.

Dopo aver frugato un po', si girò.—E' questa?—mi chiese, spalancando un po' gli occhi appena mi vide.

Diffidandolo, annuii e allungai il braccio per prendere il maglione, ma lui avanzò verso di me, senza darmela.

Poi si sedette sul letto e con un inspiegabile motivo cominciò a baciarmi.

Mi staccai subito da lui.—Non fare il bambino e dammi questa maglia.

Tutto inutile. Come una calamita, avvicinò nuovamente la bocca alla mia.

Lo respinsi mettendogli le mani sul petto.—Roger! Dammi questa fottuta maglia!

Non rispose, anzi, mi sorrise pure malzioso. Mi afferrò le mani e tornò a baciarmi.

Cercavo in tutti modi di allontanarmi da lui, ma in quel momento successe l'inimmaginabile.

Fece cadere il maglione pulito per terra e si sistemò, non curandosi delle mie reazioni, sopra di me, pur non staccando le labbra.

Cominciò ad accarezzarmi il collo con una mano.

Il tutto stava continuando da molto, o meglio, da troppo per me, che ero oramai impotente di fare qualsiasi cosa.

Reagire non sarebbe servito a nulla, soprattutto quando prese una delle mie mani e la fece combaciare dietro di lui.

Comprimeva la sua bocca con la mia talmente tanto che i suoi capelli spettinati cominciavano a solleticarmi la faccia.

Fu difficile, ma inspiegabilmente riuscii a lasciarmi andare.

In quel momento, fui io a controllarlo, spingendo la mia bocca verso la sua.

Le gambe abbastanza minute che avevo non le sentii quasi più sotto le sue muscolose.

Le sue braccia erano strinte voracemente ai miei fianchi.

In pratica ero completamente in suo possesso, non riuscivo a controllare più niente se non la bocca.

La bocca. Anche le labbra erano completamente spappolate. Come al solito le tirava con una forza a me completamente sconosciuta.

Improvvisamente, sentii la sua lingua colpire più volte i miei denti serrati.

Per un paio di secondi ci guardammo negli occhi, poi lasciai libero il varco, facendo sì che le nostre lingue potessero incontrarsi quanto gli parevano.

Continuammo così per un tempo più o meno lungo, in cui la mia mano si alternava ai suoi capelli e alle sue spalle.

Poi lui si staccò bruscamente da me e si sfilò la maglia che aveva addosso, facendola finire a terra insieme alle mie.

A quel punto aveva già le mie mani che gli accarezzavano il petto nudo, mentre lui abbassò la testa, affiorandola nel mio collo e stuzzicandogli i punti più delicati con gli incisivi.

Tutto in quel momento era assolutamente bello a tal punto che la testa, anche se si lamentava con un dolore lancinante, non dava alcun fastidio.

Alzò nuovamente la testa, ritornando di fronte a me.—Roge…

Lui era nuovamente sulle mie labbra.

Sentii poi il campanello bussare e una chiave girare.

Ci bloccammo entrambi e ci ricomponemmo.

—Presto, mettiti la maglia!—dissi, prendendo la sua e la mia da terra e infilandocela nell'esatto momento in cui entrò John.

—Rose, sono… Roger, anche tu, qui?—chiese mio fratello.

—Sì, sono venuto a farle compagnia.—spiegò Roger.

Per far sì che tutto quello che era appena successo non fosse sospetto a John, presi una tazza dal comodino e sorseggiai il tè ormai freddo rimanendo seduta sul letto.

—Io vado a provare qualcosa giù.—disse John ed uscì dalla stanza.

Non appena fu fuori, tirai un grosso sospiro di sollievo e Roger mi notò.—Perché sbuffi? Non ti è piaciuto?

Mi alzai dal letto e andai verso di lui, dandogli un bacio quella volta più calmo e raggiungendo la cucina per posare le tazze, mentre intanto il ritmo del basso si diffondeva in tutta la casa.

Roger, come un cagnolino, mi seguì.—Non ho sentito alcuna risposta.—disse.

—Mi dispiace, ma non possiamo continuare. Credo che per oggi lo spettacolo è finito.—risposi fingendo di essere seccata.

Mi accarezzò il collo ancora mezzo umido dei suoi baci.—Domani sera ci vediamo?

—In realtà, ecco, Liam mi ha chiesto di cenare da lui, domani.—dissi un po' timorosa.

—Che cosa?—urlò.—Non avrai mica intenzione di andarci?

—Oh, dai, Rog. Che sarà mai?

—No, Rose, davvero. Quel tipo non mi fila bene per niente.

—Ti prometto che starò attenta, ma sappiamo tutti e due che non corro nessun pericolo, non è così? Anzi, non è che potresti accompagnarmi? Ti prego.

Mi guardò frustato.—Okay.

—Grazie.

 

Spazio Autore: guarda un po' chi si rivede! Salve a tutti.

Primo, tengo ad augurare a tutti voi un buon anno.

Secondo, questo capitolo è un po', come dire, passionale? Non voglio alzare il rating, mi sembra inutile.

Ma amo troppo 'sti due. Voi no?

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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