Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Harmony394    31/12/2014    8 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Promises
Look at him, look at me,
That boy is bad, and honestly
He's a wolf in disguise
But I can't stop staring in those evil eyes
 

«No, no ti prego! Lasciaci stare!».

Voci. Sapore di fiele in bocca. Qualcuno sta piangendo.

«E allora fa come ti ho detto! Muoviti, stupida vecchia!».

Un urlo stridulo mi entra prepotentemente in testa. Il mio cuore sussulta ed io mi tiro a sedere di scatto; le mani mi tremano ed un terribile presentimento che mi stringe il petto. La mia lingua è gonfia ed i miei capelli sono pieni di pagliuzze di fieno. Tutto, attorno a me, è offuscato da una patina di nebbia. Dove sono? Cosa sta succedendo?!

«No, no vi prego, sir! Lo giuro, è tutto quello che abbiamo!».
«Non sono uno dei tuoi fottuti sir!».

Il rumore di qualcosa che sbatte viene seguito da un grido più acuto del precedente. I ricordi mi tornano alla mente all’improvviso: Freja. Quella voce appartiene a lei, alla bambina che mi ha aiutata a togliere lo sporco dalla schiena la scorsa notte, mentre l’altra appartiene a… oh, no. Oh no, no, no!

«Cosa state facendo?!» Prima che me  ne renda conto sono fuori dalla casa, i capelli ancora in disordine e gli occhi sporchi degli ultimi rimasugli del sonno. La scena che mi si para dinanzi mi lascia senza fiato: l’uomo anziano che ci ha ospitati è morto. Il suo cadavere è steso davanti alla porta di casa sua, le sue labbra sono distorte in una smorfia ed una ferita mortale allo sterno lascia coagulare viscido sangue grumoso sul terreno. Accasciata pochi metri più avanti, c’è la vecchia donna che mi ha donato vestiti nuovi e puliti. Non è morta, realizzo con sollievo, ma è terrorizzata e con un grosso livido sotto l’occhio destro. I suoi occhi acquosi passano dalla sagoma gracile di Freja ad una più imponente e spaventosa. Il respiro mi si spezza in gola quando incontro gli occhi grigi e feroci del Mastino.

«Basta! Smettetela!», grido, ma lui non mi presta attenzione. Prende un sacchetto dalla cintola della donna, rinfodera il pugnale e fa per andarsene con noncuranza. Accanto a me, la piccola Freja piange disperata e mi osserva con occhi colmi di paura e delusione. Dovrei dirle qualcosa, dovrei fare qualcosa, eppure non riesco a muovere un solo muscolo. La vecchia si alza in piedi con fatica. Io cerco d’aiutarla ma lei mi spinge via con uno strattone.

«Vattene», dice, gli occhi pieni di odio. Alzo una mano per rassicurarla, ma lei sfodera un coltellino da cucina nella mia direzione e me lo punta contro. «Adesso».
Una caterva di parole, di scuse e preghiere mi solleticano la lingua ma nessuna lascia le mie labbra. Decido di fare come mi ha detto e corro via col cuore pesante d’un crimine di cui mi sono resa complice senza volerlo. L’espressione agonizzante del vecchio mi torna alla mente ed il ricordo della testa di mio padre su una picca mi colpisce come un pugno allo stomaco. Rimembro il dolore accecante che mi aveva ghermita, la delusione di essere stata tradita da colui che consideravo il mio principe, ed un conato di nausea mi inacidisce la gola al pensiero che una bambina dolce come Freja possa star provando queste stesse emozioni proprio adesso.

«Come… come avete potuto?!», nemmeno mi accorgo di aver urlato. La mia voce è rotta dalla collera, tutto il mio corpo trema. Il Mastino si volta con lentezza verso di me, lo sguardo impassibile e le labbra serrate. «Ci hanno offerto un riparo, del cibo da mangiare e… e voi…».

«Sì, uccelletto. Ci hanno offerto un riparo e dell’ottimo stufato. E sai cosa mi avevano anche offerto, in caso non fossi stato alle loro condizioni? Una cazzo di soffiata ai Lannister riguardo a dove siamo diretti», sputa a terra, proprio accanto agli scarponi che la vecchia signora e sua nipote mi hanno dato. «Adesso può andarla a fare ai suoi fottuti antenati, la soffiata. Forse loro gli daranno retta».

Tutti i miei muscoli si irrigidiscono, respirare diventa improvvisamente difficile. Lo odio. Lo odio per quello che ha fatto, per la sua strafottenza nei confronti delle persone e della vita umana, per avermi fatto credere che vi fosse un minimo di buono in lui. Mi sbagliavo… È proprio come tutti gli altri: crudele ed egoista! Le lacrime mi pizzicano gli occhi, ma se siano di delusione o di rabbia questo non so dirlo. 

«Come faranno adesso? Avete rubato il loro denaro, colpito la vecchia signora e… e…».
«Non sarebbero comunque sopravvissute all’inverno, con o senza questo argento».
«Questo non potete saperlo!».
«Oh sì che lo so. Le hai viste anche tu: sono deboli, non hanno difese, l’inverno sta arrivando e se sono fortunate qualche predone le ucciderà presto… E l’argento non serve ai morti».

Digrigno i denti e stringo forte i pugni lunghi i fianchi, il cuore gonfio di amarezza e di furia. Ad Approdo del Re assistevo ad ingiustizie come questa ogni giorno, ma lì era diverso. Lì non potevo ribellarmi, non potevo dire nulla o avrebbero tagliato la mia, di testa. Con il Mastino è diverso. Lui non mi farà del male perché altrimenti perderebbe la ricompensa, eppure... eppure credevo che almeno lui… che almeno lui fosse diverso. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo su tutto!

 Lui continua ad avanzare senza dire una parola, incurante di aver appena condannato a morte tre persone che gli avevano offerto un rifugio e del pane da mettere sotto i denti. Non gliene importa niente, realizzo mentre lo guardo andar via. Questo mi ferisce più di qualsiasi rasoio Non gliene importa!

«Siete… siete solo un assassino!», le parole lasciano le mie labbra di prepotenza. A pochi metri da me, il Mastino si arresta. «Nessun vero cavaliere si sarebbe mai comportato così! Un vero cavaliere non avrebbe mai fatto del male ad una bambina e sua nonna! Voi… voi siete solo un uomo perfido, egoista e meschino! Ed io… io vi detest—», un gemito spezza le mie parole quando le dita forti del Mastino mi afferrano con forza il braccio.

«Non ci provare, ragazzina», il suo volto deturpato è così vicino al mio che posso sentire il suo fiato caldo contro la pelle, l’ odore metallico del sangue e del ferro. Ad un tratto ritorno la bambina spaventata che ero al torneo del primo cavaliere del Re, quando lui mi aveva raccontato della sua cicatrice e di come suo fratello gli aveva premuto la faccia contro la brace. «Non osare paragonarmi ad uno dei tuoi cavalieri del cazzo. Vuoi sapere cosa fanno i “veri cavalieri” che tanto ti piacciono alle bambine come te o quell’altra laggiù? Le stuprano, fanno loro del male perché non possono difendersi, tagliano loro le lingue e le braccia e le gambe», la sua stretta sul mio braccio si fa più prepotente. Provo a districarmi da lui, invano: è troppo forte per me. «È stato proprio il cavaliere mio fratello ad uccidere mia sorella, lo sai? Una cosina graziosa proprio come te, ma più piccola. La riempì di botte tante di quelle volte d’ammazzarla. Gli altri cavalieri e servitori che vivevano nella nostra fortezza lo sapevano, erano a conoscenza di ciò che Gregor si divertiva a farle, dei lividi che le lasciava sulla pelle e del piacere che provava nel farlo, ma non osavano muovere un dito perché avevano tutti paura lui. Mia sorella aveva dieci anni quando venne uccisa da uno dei tuoi adorati cavalieri. Dieci anni ed il viso viola per i troppi pugni ricevuti…», serra la mascella così forte da far scricchiolare i denti. Un luccichio d’angoscia sormonta il suo sguardo, ma viene presto sostituito da una furia feroce, colma di dolore e rimpianto. Mi strattona verso di lui. «Prova a paragonarmi di nuovo ad uno di loro, ragazzina, ed arriverai dal tuo caro fratellino senza lingua. Sono stato chiaro?».

 Annuisco spaventata e la sua presa si allenta di getto, lasciandomi libera di tornare a respirare. Non sapevo che avesse avuto una sorella. Un brivido mi corre lungo la schiena, disgustandomi: mi rifiuto di credere che il mondo possa essere un posto tanto terribile da lasciar passare inosservata la morte di una bambina innocente. Eppure quando Joffrey mi aveva umiliata più e più volte di fronte l’intera corte, mai nessuno aveva sollevato un grido di protesta quindi perché avrebbero dovuto farlo gli uomini di Casa Clegane? Lo stomaco mi si stringe in una morsa. È orribile. Com’è possibile che gli dèi accettino tutto questo?

All’improvviso, non so più come sentirmi. Sono furiosa col Mastino per quello che fatto alla famiglia della piccola Freja, ma allo stesso tempo provo tristezza per lui. Ripenso a mia sorella Arya ed una mano invisibile mi stringe il cuore quando ripenso che sarebbe potuta esserci lei al posto di sua sorella… o forse io.
Il silenzio che aleggia attorno a noi è più assordante di mille gridi. Per tutto il tragitto, nessuno di noi due dice una sola parola; l’aria è così tesa da potersi tagliare, il cielo si annuvola e piccole goccioline d’acqua bagnano il mio volto. Quando saliamo in groppa a Straniero, è il Mastino a spezzare il silenzio.

«Fottuta pioggia. Ci mancava solo lei…».

Sul suo volto sporco di fuliggine e sangue scorre una lunga goccia d’acqua, poi un’altra e poi un’altra ancora, ma neanche quando altre migliaia di gocce bagnano il suo ed il mio volto dico qualcosa. Rimango in silenzio, a pensare; i capelli appiccati al viso e le dita tremanti. La pioggia porta via lo sporco, diceva la vecchia Nan, E anche il dolore. Ed io non sono più certa che ciò che scorre sul viso di Sandor Clegane sia solo semplice pioggia.


 
 
Sandor.

Apro gli occhi. È tutto buio attorno a me. Dove sono? Mi tasto la cintola dei pantaloni: non ho più il mio pugnale né la spada. Perché è tutto così buio? L’uccellino. Sansa. Perché non è qui?!

Sandor.

Di nuovo quella voce. Mi guardo attorno, ma non vedo nessuno.

«Chi sei?! Fatti vedere!», grido al nulla, ma la voce mi ritorna indietro come un’eco. Non c’è nessuno qui a parte me, e la cosa mi mette in agitazione. Sono morto? Che cazzo è successo? E dov’è Sansa? Avevo promesso di riportarla a casa, di tenerla al sicuro. Dov’è? Perché non si fa vedere?! Fottuti dèi, perché nessuno mi risponde?! «Rispondimi, cazzo!».

Un improvviso profumo di fiori aleggia nell’aria. Faccio un passo indietro e qualcosa di appiccicoso mi umetta le dita. Mi volto: gigli… sono dei gigli. Migliaia e migliaia di gigli. Ma non sono dei gigli comuni: c’è della rugiada sopra i loro steli. Rugiada rossa, densa. La sfioro con un dito: è sangue.

Aiuto!

Un urlo riecheggia nella mia mente. In un primo momento penso che si tratti della voce dell’uccelletto, ma poi realizzo che è troppo infantile per essere la sua, troppo diversa e, contemporaneamente, troppo familiare. Una risata si fa largo nella stanza: è spietata, cattiva, piena di odio. Un terribile fetore di carne bruciata e delle urla disumane e che invocano pietà riempiono le mura di quello che ha tutta l’aria di essere il fortino dei Clegane. Le mani mi tremano senza ragione, un enorme peso mi grava sul petto e respirare diventa quasi impossibile. Le urla si fanno sempre più sguaiate, la risata più cattiva e crudele… e all’improvviso capisco.

È la mia voce, questa.

Mi volto e vedo Gregor: un ghigno bastardo gli incurva le labbra ed uno scintillio sinistro nei suoi occhi scuri gli attraversa lo sguardo. Sotto di lui c’è il bambino di soli sei anni che ero stato una volta, la pelle della faccia gli si scioglie sotto la morsa del fuoco contro cui lo sta premendo. Si dibatte disperato mentre i muscoli del viso diventano vivi, scarlatti, pieni di piaghe. Supplica che quell’agonia abbia una fine, implora pietà, ma nessuno accorre in suo soccorso. Fra le sue dita, mi accorgo, vi è il cavaliere di legno di Gregor.

Non devi avere paura, passerotto.

Un ricordo lontano mi investe. Il me stesso di sette anni mi si para davanti, la cicatrice che gli deturpa il volto è scura e terribile. Si lascia curare l’ennesimo occhio nero da Alina, mia sorella: i capelli scuri le scendono gonfi sulle spalle strette e gli occhi grigi squadrano la ferita al mio viso. “Non devi avere paura, passerotto”, dice. Il me stesso del passato storce le labbra.

 “Non sono uno stupido uccellaccio. Smettila di chiamarmi così”, ribattee Lei gli fa la linguaccia sorride malinconica. Ha solo otto anni, eppure sembra portarsi dietro tutto il peso del mondo. Anche la sua guancia è gonfia, eppure il suo sorriso è gentile come al solito. Il profumo dei gigli si mischia a quello del sangue, il pianto soffocato di Alina mi sussurra nell’orecchio.

Devi dirlo a nostro padre, Alina, lui farà qualcosa. Ti manderà lontano da qui e Gregor non ti picchierà più!”, la supplica il me stesso di otto anni, ma lei scuote la testa e si asciuga le lacrime con il dorso della mano. “Se mi manderà via non potrò più vederti, passerotto. E chi ti medicherà le ferite se io non ci sarò più?”, il sorriso che lei gli rivolge è un sorriso spento, amaro, non adatto a una bambina di nove anni, ed il livido viola che ha sul collo fa pugni con la sua pelle nivea. 

Il profumo dei gigli svanisce e resta solo quello del sangue. Un lungo latrato si innalza nella stanza, freddo come la morte. Un vecchio septon sfiora la spalla del me stesso bambino e scuote la testa: “Mi dispiace, figliolo”, sussurra. Ma io so che non è vero, che non gli dispiace. Se a qualcuno fosse dispiaciuto, Alina non sarebbe morta, Gregor non l’avrebbe picchiata fino a mandarla dritta ai Sette Inferi e le cose sarebbero andate diversamente. È colpa loro… è colpa loro!
La risata di mio fratello tuona attorno a me, terribile come un incubo. Lo vedo con le mani piene di sangue, l’armatura macchiata di rosso, gli occhi grigi luccicanti di depravata gioia. Fra le dita possenti, tiene un uccellino dalle piume scarlatte.

«C’è ancora qualcosa che posso strapparti», dice. L’uccellino piange, il suo canto si trasforma in un grido alto e straziante. Con orrore, mi accorgo che è la voce di Sansa.

«NO!» Apro gli occhi, tirandomi a sedere. Un conato di vomito mi inacidisce la gola. La testa sembra scoppiarmi: il battito del mio cuore continua a rimbombarmi nella mente. Tu-Tum Tu-Tum Tu-Tum Tu-Tum. Afferro la fiasca con dentro il vino attaccata alla mia cintola e ne bevo lunghe sorsate, sperando per un momento di annegarci dentro. Il pianto dell’uccelletto mi rimbomba ancora nelle orecchie. Era solo un incubo. Solo un fottutissimo incubo, smettila di agitarti.

«State bene?», per poco non mi soffoco. Mi volto verso quella voce che ormai conosco troppo bene e gli occhioni azzurri della ragazzina Stark incontrano i miei. Sembra preoccupata. «Voi… avete urlato, prima».

Merda. Ci mancava solo questa. Mi passo una mano sul volto e cerco di far finta di niente. Non mi piace dare spiegazioni. Le spiegazioni portano a fare domande ed io odio le dannate domande, soprattutto appena sveglio. Sbuffo, i nervi a fior di pelle: è colpa sua. Se ieri non mi avesse fatto incazzare, portandomi a ripensare a mia sorella, a quest’ora non avrei fatto quel cazzo di sogno di merda e starei alla grande. Fottuta ragazzina Stark. Fottuti sogni. Fottuto mondo.

«Cosa ci fai sveglia a quest’ora? È appena l’alba» Mugugno, la bocca che sa di fiele. I primi raggi di sole tingono il cielo di rosa e azzurro e l’aria fresca del mattino mi solletica il collo. Il vecchio aveva ragione: l’inverno sta davvero arrivando, e questa volta non basterà un semplice focolare per riscaldarsi.

« Vi ho sentito urlare e mi sono svegliata. Avrei voluto chiamarvi, ma temevo che… ecco… che poteste arrabbiarvi. Lo fate sempre, dopotutto…», pigola, per poi arrossire un attimo dopo. «P-Perdonatemi, non volevo offendervi… è… è solo che voi—».

«Risparmiami le tue scuse del cazzo, ragazzina. Non mi interessano» Non mi va di stare a sentire le sue paroline cortesi, mi ci pulisco il culo con quelle. Ho altro a cui pensare. Al ghigno sardonico di mio fratello che continua a pararsi davanti i miei occhi, per esempio. Scuoto la testa e bevo un altro sorso di vino. Che gli Estranei lo portino alla dannazione.

Sulle labbra di Sansa danzano una decina di domande, ma io le conosco già tutte. Le scocco un’occhiataccia, stufo del dannato silenzio che si è venuto a creare.  «Ti concederò una sola domanda, ragazzina. Solo una. Avanti, falla. So che muori dalla voglia», prendo un’altra sorsata. Il vino mi brucia lo stomaco, così come i ricordi mi bruciano il petto. Lei mi guarda, quasi a volersi accertare se potersi fidare o meno, ed una punta di fastidio mi preme sotto le unghie. «Fai questa fottuta domanda, cazzo!».

Lei sussulta e trattiene il fiato. I suoi occhi fissi sulla mia cicatrice. «Che… che sogno avete fatto?».

Per un istante, un breve, pericolosissimo istante, ho una disperata voglia di raccontarle tutto: di Alina, di Gregor… di lei, l’uccellino stretto fra le grinfie di quel mostro senza scrupoli. Voglio farlo. Voglio davvero farlo. Ma al ricordo di mia sorella perdo il controllo, e prima di rendermene conto le mie dita artigliano il suo braccio.

«Sai cosa piacevano a mia sorella, ragazzina? Gli uccelletti. Amava quelle bestie piumate come se fossero i suoi cazzo di figli. Mentre tutti a casa nostra possedevano un cane, lei aveva una gabbia piena di uccelli che lasciava sempre aperta. Non è giusto chiuderli in gabbia, diceva, soffrono, diceva. Io pensavo fossero tutte stronzate e non la ascoltavo. Chi se ne fregava di quei fottuti uccelletti? Che morissero pure, per quanto me ne importava», la mia voce è simile allo stridio del ferro. La testa inizia a girarmi. Vino… ho bevuto troppo vino e l’ho bevuto troppo in fretta. Sansa, sotto di me, mi fissa con occhi sgranati e labbra tremule. «Aveva persino cominciato a chiamarmi passerotto. Che razza di cogliona… Ti sembra forse che abbia la faccia da passerotto, io? Ti sembro uno di quei dannati uccellini canterini come te?!».

Lei chiude gli occhi e cerca di ritrarsi dalla mia stretta. «Basta, per favore, mi state mettendo paura… ».

« Tutto ti fa paura! Guardami. Guardami! », e lei mi guarda. I suoi occhi sono su di me, posso leggervi dentro tutta la paura e l’amarezza che celano. Non sono gli occhi di una ragazzina come le altre, questi: sono occhi stanchi, pieni di ombre, di chi ha visto e passato troppe cose in troppo poco tempo. Sono occhi pieni di dolore. Sono li stessi occhi di mia sorella. «Sai cosa c’era nel mio sogno, uccellino?», la mia voce si abbassa fino a divenire un flebile sussurro. Parlare mi diviene improvvisamente difficile, persino pensare lo è. «C’era Gregor, tutto tronfio nella sua armatura ed il mantello bianco, e c’era Alina, mia sorella. Mi diceva che andava tutto bene. Me lo diceva sempre, quella stupida. Andava tutto così bene che adesso è tre metri sottoterra a far da concime ai vermi!», mi allontano da lei di colpo. Non voglio vederla. Non voglio farlo. Guardare i suoi occhi mi fa pensare ad Alina, ed io non voglio più pensare a lei. È morta, cazzo. Morta!

Qualcosa si posa sulla mia schiena, delicata e gentile. Mi giro e incontro gli occhi di Sansa, troppo simili a quelli di Alina. La bestia dentro di me si dimena come impazzita, in preda alla collera. Voglio uccidere qualcuno, urlare fino a graffiarmi la gola, sfogarmi. L’odio che mi lambisce il petto è devastante, mi soffoca e mi impedisce di respirare. Morti. Moriranno tutti. Li ucciderò tutti.

«Quando sarò di nuovo a Grande Inverno», dice, la voce piccola e sottile. «Mi prenderò cura di tutti gli uccellini che avranno bisogno di cure, così vostra sorella sarà felice. Lo prometto».

La furia si dirada e un improvviso calore al petto prende il suo posto. Sansa resta in silenzio, a fissarmi con gli occhi tristi di chi condivide il dolore della perdita, la sua piccola mano è ancora posata sulla mia spalla. Sono costretto ad allontanarmi da lei per non baciarla. La voglio, fottuti dèi. Voglio quelle sue paroline appena sussurrate, quel suo broncio da bambina, quegli occhi chiari e pieni di malinconia. Voglio l’oro, certo, ma voglio anche lei – donna, bambina o qualsiasi cosa sia. Voglio vederla sorridere, voglio confortarla quando ne avrà bisogno, voglio che si conceda a me di sua spontanea volontà e mi doni le sue gioie e i suoi dolori e il suo desiderio. Voglio lei.*

Passa un po’ di tempo prima che possa di nuovo respirare normalmente ma quando ci riesco aiuto Sansa a salire in groppa a Straniero, intenzionato ad andarmene da qui il più presto possibile. Mi isso sulla sella e, quando le sono accanto, sento la sua schiena premere contro il mio petto. I suoi capelli rossi sono messi di lato, lasciandole il collo scoperto, ed il desiderio che ho di baciarle il collo è spietato, senza freni. Fottuti dèi, non ce la faccio più. Non ce la faccio più.

«Qualcosa non va? Siete pallido» Borbotta lei, ed io vorrei prenderla a schiaffi. È colpa tua se sto così, dannazione. Smettila di guardarmi, di parlarmi, di imbronciare le labbra a quel modo. È colpa tua. Smettila… smettila, smettila, smettila!

«Sto bene», grugnisco, ma è evidente che non sto bene per niente. I movimenti di Straniero fanno sì che il suo bacino sfiori per pochi attimi i miei fianchi, l’odore di pulito che emanano i suoi capelli mi riempie le narici. Del sudore freddo mi imperla la fronte. Fottuti dèi… così non va bene. Non va bene per niente. «Tu, piuttosto, alza quel cappuccio e non aprire bocca per nessun cazzo di motivo. Nessuno deve riconoscerti. Sono stato chiaro?».

«Sì», annuisce lei. Avrà capito che quella del cappuccio è solo una scusa per non sentire il suo profumo? «Andrà tutto bene, vedrete».

Una smorfia mi incurva le labbra. I suoi fianchi sfiorano di nuovo il mio inguine. L’armatura adesso è improvvisamente troppo stretta.

«Ne dubito».
 
 
 
Ci muoviamo verso quello che ha tutta l’aria di essere un villaggio di contadini. Non conosco il suo nome, nessuna insegna lo riporta, ma posso comunque capire che non si tratta di un villaggio ricco: i viandanti sono pochi, si stringono nei loro mantelli per schernirsi dal vento gelido,  i bambini hanno l’aria stanca ed i nasi che gocciolano. Per un istante ripenso a Grande Inverno, al piacevole caldo che aleggiava nella sala principale dove vi era un enorme camino di pietra, ed una punta di nostalgia mi aggroviglia lo stomaco. Vorrei tornare lì, risvegliarmi immersa fra le mie coperte di lana e ascoltare il crepitio del fuoco mentre accarezzo Lady con il dorso della mano. Vorrei essere a casa.

Dietro di me, il Mastino non dice una parola. Le sue parole sono ancora nei miei pensieri, terribili e colme di un’angoscia tale che non avrei mai creduto che un uomo violento come lui potesse provare. Sospiro. Mi sembra assurdo che uno del suo genere possa affezionarsi a qualcuno, ma so bene che sotto quell’enorme armatura che indossa si cela un essere umano come tutti gli altri, con un cuore pulsante e dei sentimenti. Vorrei solo che anche lui lo ricordasse, ogni tanto.

Conosco il dolore del perdere un fratello o una sorella. Insieme a Grande Inverno, anche Bran e Rickon sono caduti. La notizia era stata una pugnalata dritta al cuore quando me l’avevano comunicata e tutt’ora, nel rimembrare i loro visi, ho voglia di piangere. Erano così piccoli… Rickon sapeva a stento mettere due frasi in fila il giorno in cui lasciai Grande Inverno. Avrei voluto averli abbracciarti più spesso, fare loro capire che nonostante non passassi molto tempo in loro compagnia li amavo comunque proprio come amavo Robb ed Arya. Adesso non mi resta più nulla di loro, solo i ricordi. Immagino che per il Mastino sia lo stesso. 

«Quanto distano le Torri Gemelle?» Domando ad un tratto, mossa dal bisogno disperato di riabbracciare Robb e mia madre. Lui grugnisce di disappunto: mi aveva detto di restare in silenzio, dopotutto.
«Non lo so».
Come non lo sa? «Non avete una mappa?», domando, e ringrazio gli Dèi che la mia voce risulti tanto calma. Lui scuote la testa.
«Non mi serve una mappa, uccelletto. Ho il mio istinto. E adesso taci».
«Ma—».
«Taci».

E va bene!, rispondo, ma devo solo aver creduto di averlo fatto, perché la voce mi resta serrata in gola. Sbuffo, le dita che mi prudono per il fastidio, e incrocio le braccia al petto. Perché deve sempre essere tanto aggressivo? Eppure sono stata gentile con lui. Ho cercato di mettermi nei suoi panni e non dire nulla che potesse irritarlo. Perché si comporta così?!

Un improvviso vociare provenire da un angolo della strada attira la mia attenzione, proprio a pochi passi da noi. Mi volto e scorgo la sagoma di una donna dai capelli ramati e gli occhi sgranati che supplica aiuto ai passanti, il volto cinereo ed i vestiti lerci. “Per favore!”, urla, aggrappandosi alla veste d’un signore lì accanto, che la spinge via. “Per favore, aiutatemi. La mia bambina… la mia piccola Jeyne…”.

Non so cosa sia successo. Non ricordo il momento in cui sono scesa da cavallo e sono corsa dritta da lei, incurante delle proteste decisamente poco sommesse del Mastino, né il motivo che mi ha spinto a farlo. Forse è stato quel nome, Jeyne, che mi ha ricordato la mia dolce amica d’infanzia, o forse gli occhi chiari di quella donna, tanto simili a quelli di mia madre; fatto sta che adesso mi trovo qui, proprio davanti a lei, e le mie mani sembrano essere diventate di colpo inutili e pesanti. Cerco di blaterare qualcosa, ma dalla mia bocca non esce un sussurro. Gli occhi della donna si puntano verso di me, ma è solo quando un respiro affannoso e caldo soffia contro il mio collo che comprendo che non è me che sta guardando.

«Prova a scappare un’altra volta, ragazzina, e giuro su quei fottuti dèi che preghi tanto che ti—».

Sandor Clegane viene messo a tacere dallo strillo della donna, che corre dritta da lui e gli afferra il braccio cianciando parole incomprensibili. Disgustato da quel contatto, lui la spinge a terra con una semplice scrollata del braccio e il suo volto si deforma in una maschera nauseata. «Prova a toccarmi un’altra volta e userò il tuo stesso braccio per picchiarti, pezzente», grugnisce.

«Jeyne… la mia piccola Jeyne… persa, sparita, rubata…», mormora la donna, ora a terra e con le lacrime che le rigano il viso scavato. Riservo un’occhiataccia di rimprovero al Mastino e mi affretto ad aiutarla a rimettersi in piedi. Intorno a noi inizia a formarsi una piccola folla di curiosi e d’istinto mi tiro il cappuccio più in su, rimpiangendo di non aver dato retta al Mastino che, dietro di me, mugugna fra i denti bestemmie tanto volgari da farmi drizzare i capelli.

«Si rialzi, avanti…», mormoro al suo orecchio, soffermandomi a guardarla meglio. Ha i tipici lineamenti della gente che vive nei pressi di Delta delle Acque: gli zigomi alti, la pelle pallida e gli occhi chiari. «Cos’è accaduto a vostra figlia?», domando, ma prima che lei possa rispondermi  il Mastino mi prende per le spalle e mi volta verso di lui, il suo volto a pochi centimetri dal mio.

«Che cazzo stai facendo?!», la sua voce è appena un sussurro, ma la furia nei suoi occhi è profonda come l’oceano.
«Dobbiamo aiutarla. Ha perso sua figlia!».
«Non me ne frega un cazzo se hanno rubato sua figlia, cazzi suoi che non sa badarci», ribatte lui, digrignando i denti. «Noi ce ne andremo da qui proprio adesso».
Spalanco la bocca, senza parole. «Voi non potete far—».
«Vi pagherò!», vengo interrotta dalla madre della bambina, che finalmente sembra essere tornata a parlare con chiarezza. La presa del Mastino sul mio braccio si allenta un po’ e i suoi occhi grigi si posano curiosi sulla figura della donna.
«Quanto?».
«N-Non possiedo molto, ma… ma ho del denaro e… e dell’argenteria molto preziosa. Vi prego, mio signore, aiutatemi! M-Mia figlia, la mia piccola Jeyne… lei è stata presa da dei banditi che l’hanno portata nella foresta. Sono certa che li troverete perché loro erano a piedi e… e il pianto di Jeyne… lei… oh, vi prego, vi darò tutto ciò che vorrete!».

Lo sguardo duro del Mastino torna a fissarmi. «Sua figlia è morta, probabilmente l’hanno pure mangiata e digerita. Non perderò tempo prezioso per qualcuno di morto… E poi io non salvo mocciose, fottuti dèi. Ti sembro uno dei tuoi cavalieri finocchi?!».

«Avevate detto che non eravate come vostro fratello!», bercio io, serrando i pugni. Sono consapevole di aver toccato un tasto dolente e una parte di me sussulta di paura quando il suo volto si indurisce. Prendo un respiro profondo. Non mi farà del male, mi ripeto. E spero davvero di non sbagliarmi. «Quella bambina sarebbe potuta essere vostra sorella!».

«Non osare usare mia sorella come scusa!», le sue dita si stringono attorno al mio polso. «La prossima volta che lo farai--».

«Non lo farò», sono stufa delle sue continue minacce e dei suoi sguardi carichi di odio. Ha già condannato a morte una bambina e sua nonna, non resterò di nuovo in silenzio di fronte a un’ingiustizia. «Ma se mi ascolterete e proverete a salvare quella bambina, io vi prometto che farò tutto ciò che vorrete!».

«Non dire cose di cui potresti pentirti, uccelletto», mugugna lui. Dalla presa che esercita sul mio braccio, mi accorgo che è teso come una corda di violino. «Non è mai una buona cosa. Specialmente con me».

«Lo so», rispondo. Lui aggrotta la fronte ed il suo sguardo si fa più penetrante. So già cosa vuole e non ho problemi a darglielo. Robb capirà, dopotutto a lui non cambia nulla avere qualche moneta in più o qualcuna in meno. «Se salverete quella bambina e la riporterete viva da sua madre, prometto di rimanere in silenzio per tutto il resto del viaggio, di non nominare mai più vostra sorella e di darvi tutto ciò che vorrete: oro, argento, terre… tutto. È una promessa».

Sembra in difficoltà. Nel suo sguardo scorgo perplessità, come se stesse cercando di capire quale sia la cosa migliore da fare. Mi guarda con insistenza, tanto da farmi sentire a disagio, e per un attimo sono certa di vedere un lampo di desiderio attraversare i suoi occhi. Distolgo lo sguardo, improvvisamente imbarazzata. No… devo essermelo immaginato.

«Che te ne importa di quella mocciosa? Perché vuoi aiutarla?!».

Il mio sguardo saetta sulla figura della donna accanto a me, che mi guarda con occhi lucidi. Qualcosa mi preme nel petto ed io non riesco a capire di che si tratta: euforia? Tristezza? Empatia? Rimorso? Forse ognuno di essi. Ciò che è certo, è che non lascerò morire qualcun altro ingiustamente. Ad Approdo del Re non avevo possibilità di ribellarmi ai soprusi di Joffrey, ma ora che sono libera posso diventare la Regina che ho sempre sognato di essere, buona e amata dal popolo.
Serro le labbra. «Perché nessuno lo ha fatto con me quando ero ad Approdo del Re».

Cala il silenzio. La folla di curiosi si è diradata a causa della pioggia che sta iniziando a puntellare il terreno: i capelli del Mastino iniziano a prendere la forma del suo viso, appiccicandosi alle sue guance e alla sua fronte, ed il colore dei suoi occhi diventa freddo come il ghiaccio. Faccio ben attenzione a non guardare la sua cicatrice: è con Sandor Clegane che voglio parlare, non con il Mastino. È alla sua umanità che voglio appellarmi, non all’odio della bestia che cova dentro di lui. Mi mordo il labbro e mi stringo nelle spalle: ti prego, agisci come agirebbe Sandor Clegane, non come farebbe il Mastino. Pensa che quella bambina sarebbe potuta essere tua sorella. Pensa che sarei potuta essere io.

Ad un tratto le labbra del Mastino si stringono in una linea incolore e grave. Con il cuore che sembra volermi uscire dal petto, realizzo che vuole aiutarmi. Prima che un sorriso trionfante possa dipingersi sulle mie labbra, le sue dita si posano con forza sotto il mio mento, alzandolo.

« Se quando tornerò scopro che sei fuggita, uccelletto, io—».
«Mi ucciderete…?».
«No», i suoi occhi sono seri come lapidi. Sono poche le volte in cui l’ho visto tanto austero e qualcosa mi dice che non sta affatto scherzando. «Scuoierò vivo ogni cazzo di persona di questo merdoso villaggio: bambino, uomo o donna che sia. Moriranno tutti a causa tua.  Mi hai capito?».

Annuisco. Non ci provo nemmeno a camuffare la delusione che quelle parole mi provocano. È una bestia. Solo una bestia potrebbe pensare di fare cose tanto orribili e disumane. Non sta salvando la bambina per spirito d’onore, ma per la ricompensa che riceverà dopo.

Fa per andarsene, ma prima di salire in groppa a Straniero si volta verso di me e sul suo volto si apre un ghigno beffardo.

«Hai detto “tutto ciò che vorrete”, ragazzina. Non dimenticarlo quando sarò di ritorno», sussurra, ed un lampo di lussuria gli attraversa lo sguardo. Questa volta, sono certa di non averlo immaginato. Non sento il pianto di gioia della donna accanto a me quando lui parte al galoppo, o la pioggia che scorre lenta sul mio viso appiccicandomi i capelli al viso. Sono troppo intenta a pensare a quello sguardo, al suo significato, alle parole che mi ha rivolto. Mi premo una mano sulle labbra quando, improvvisamente, realizzo ciò a cui alludeva.

Lui… non intendeva del denaro.
 
 
             
- Note dell’autrice.


1) Citazione Tyrion. Era troppo, troppo, troppo bella per non inserirla.
 2) La canzone è “Monster”, di Lady Gaga.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ed eccomi qui!
Come va? Finalmente siamo arrivati all’ultimo dell’anno. Come passerete la vigilia di capodanno? :)
Come al solito, ringrazio tutti voi per il seguito che state dando a questa storia. Siamo giunti ad un capitolo che, anche se può sembrare di transizione (ed in parte lo è), sarà davvero importante per ciò che accadrà nel prossimo. Spero che vi sia piaciuto!
Finalmente ho potuto approfondire il discorso “Alina”. Sì, lo so, è tragico, ma molte teorie dicono che sia andata proprio così. Dopotutto Gregor è una bestia. È uno dei pochissimi personaggi che è cattivo-perché-è-proprio-stronzo-di-suo, senza un motivo particolare. Ed io onestamente mi auguro che faccia una fine tragicissima e super umiliante, tipo quella di Tywin. (che però era un bellissimo personaggio a differenza sua)
Riuscirà il nostro prode (??????????) Sandor a non cedere alla tentazione di fotter-- ehm... *coff-coff* intendevo... di dare sfogo ai suoi istinti primordiali? Lo scopriremo al prosismo capitolo. *musica di Beautiful in sottofondo*


Bacioni, e buon anno nuovo! 

P.S: come al solito, vi lascio il mio link Facebook – caso mai qualcuno volesse contattarmi.
Link: https://www.facebook.com/harmony.efp.9?fref=ts


 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Harmony394