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Autore: Larceny    31/12/2014    0 recensioni
È una strana danza, quella di due persone che si avvicinano, timide. Nel timore che l'altro si spaventi e fugga via. Si testano i limiti, si esaminano le distanze. Ma poi, dopo la neve arriva la primavera. Cambiamento. Novità. Nuove variabili in una relazione già esitante.
Dorian ha sempre pensato di essere una persona eccezionale, ma c'è più gusto quando si è eccezionali in due.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Trigger Warning per tematiche delicate: menzione di omofobia e bullismo. Better safe than sorry!

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Alaric citofona alle 21.04.

Dorian è già vestito, per lo meno. Deve solo mettersi il giaccone, la sciarpa –il cappello? No col tempo che ha passato a sistemarsi i capelli non ha nessuna intenzione di rovinarli-, i guanti. Chiavi ci sono. Telefono c’è. 

Scende le scale con un passo allegro. Cosa che non è. È più che altro teso. Molto teso. Ma deve mantenere delle apparenze presentabili.

Alaric ha un cappotto lungo scuro che gli si avvolge intorno al petto in maniera criminale. Anche alla vaga luce del lampione solitario in mezzo al giardino del condominio Dorian riesce a vedere il sorriso, e sembra brillare di luce propria.

-Ciao.-

-Ciao.-

Toni attentamente neutrali, anche se Alaric si sta sforzando di trattenere qualcosa. Da come sorride è comunque abbastanza ovvio.

Dorian si siede dal lato del passeggero e si impegna a mettersi la cintura. La macchina è un antico (non c’è un altro termine adeguato per definirla) modello di station wagon, magari una Ford? Scura. Gli interni sono di quella plastica che grida anni Novanta a pieni polmoni. 

Quando mette in moto la radio prende vita e una voce riprende a cantare bruscamente da dove era stata interrotta, ma Dorian non riconosce la voce.


... empty dress on the bed you’ve laid out for tonight,
Maybe I’ll tell you sometime…



È una bella canzone. Dorian non sa perchè ma la cosa lo sorprende. 


Il viaggio in macchina dura meno di cinque minuti, ma è piacevole. Silenzioso. Un’ottima atmosfera per immaginarsi trilioni di scenari e modi in cui la serata può andar storta. Più per colpa sua. 

Il locale è un posto confortevole. I pavimenti sono di legno e hanno l’aspetto vecchio ma curato, mentre le pareti sono dipinte di rosso. È un’unica stanza, illuminata da faretti deboli e da lucine intermittenti sui dorsi dei divanetti. C’è della musica a basso volume, anche se non abbastanza basso da sentire le discussioni degli altri.


Non c’è molta gente –un gruppetto in un angolo, qualche giovane al bancone. Alaric lo guida a sedersi vicino alla vetrina, che specchia, da fuori. Il divano è comodo, anche se la sua morbidezza ne tradisce l’uso. Fa in tempo a levarsi il giaccone e il resto delle cose superflue e a controllare il cellulare prima che Alaric torni con un drink leggero per lui e una bibita analcolica per sè. 

-Ti piace qui?- chiede. È seduto molto vicino e sta scivolando fuori dal suo soprabito, e tutto il lato destro di Dorian è molto caldo.

-È gradevole- approva. –Non mi aspettavo un posto del genere, francamente.-

-Ah no?-

-Magari è la montagna. Qarinus è un posto molto più... vivace.- Beve un sorso perchè ne ha bisogno. –Ma qui è diverso.-

-Da quanto vivi qui?- chiede Alaric.

-Un mese. Più o meno. Sono stato da Josie fino a che non ho trovato un appartamento, una settimana fa- spiega. –Avevo a malapena traslocato quando ho dovuto chiamarti.-

Alaric ridacchia appena, e per quanto sia un suono caldo e gutturale che per qualche strano motivo a Dorian ricorda il miele, lui non riesce a capire perchè l’altro trovi il ricordo divertente. –Gentile, quello che te l’ha venduto.-

-Vero? Passo le serate a studiare piani per placare la mia sete di vendetta. Sarò implacabile.-

Gli occhi di Alaric brillano mentre lo guarda di sottecchi, divertito. –Immagino.-

C’è qualche momento di silenzio, mentre bevono. 

-Tu sei nato qui, mi hai detto- afferma Dorian.

Alaric mugugna il suo assenso mentre mette giù il bicchiere. –Non proprio qui. In un villaggio vicino. Più su.-

-C’è civiltà più in alto?-

Questo libera un abbaio di risata dall’altro. –Sì, c’è.-

-Ammetto che la nozione mi sorprende. Fatico a concepire come sarà la mia vita nei prossimi tre giorni, ora come ora, ma non riesco nemmeno ad immaginare come possa vivere della gente ancora più al freddo- prosegue Dorian, riferendosi alla tormenta imminente. –E ti informo del fatto che ho un’immaginazione molto fervida.-

-Non tanto diversamente da qui.-

È piacevole parlare di niente. La sua lezione su Feuerbach al momento gli sembra il ricordo di un’impresa titanica.

-Non ti piace il freddo, deduco?- chiede Alaric.

-Non ci sono abituato. E fra il freddo e una spiaggia calda a Creta sceglierei la seconda ad occhi chiusi.- È un po’ malinconico ricordarsi di casa, mentre basta guardare fuori da quella vetrina per vedere le strade umide e le piante coperte di ghiaccio.

-Perchè te ne sei andato, allora?- lo incita Alaric.

È una grossa domanda. Dorian traccia il bordo del suo bicchiere con un indice, il liquido dorato all’interno fermo. Non sta bevendo un granchè. Da una parte vorrebbe essere più ubriaco. Dall’altra c’è una parte della sua mente che gli suggerisce che sia meglio essere sobrio per parlarne.

-Devo aver... accennato a dei dissapori, con la mia famiglia.-

Alaric annuisce. –Non devi dirmelo per forza-, e sorprendentemente copre una mano con la sua e Dio, com’è possibile che questo individuo sia così caldo? Ha la febbre?

-Non c’è problema-, c’è in realtà, perchè Dorian ha passato più tempo ubriaco di quanto voglia ammettere anche a se stesso per via di questa storia. Ma c’è una bella atmosfera, e prende un altro sorso dal bicchiere anche se la roba è leggera, solo per avere un’ombra di coraggio. –È una questione complicata... e un po’ patetica.-

La cosa positiva di Alaric è che non preme. Sta lì, leggermente chino verso di lui per sentirlo (ha abbassato la voce?), la mano appoggiata sulla sua e anche tutto il resto del suo lato sinistro, tanto che si sente pizzicare.

-I miei genitori sono molto... all’antica-, c’è un lampo di riconoscimento negli occhi di Alaric ma Dorian non li sta guardando. –Ormai ho trent’anni e... sai come vanno queste cose. Volevano dei nipoti. Un matrimonio. C’era questa ragazza...- È un’abitudine nervosa quella di toccarsi il pizzetto, quasi più dell’evitare compulsivamente lo sguardo dell’altro.

Dov’è finita la sua eloquenza? 

Alza lo sguardo e Alaric trova i suoi occhi, come se non li stesse guardando prima. Si sforza di mantenere il contatto.

-Buona famiglia. Ricca. Beh, una sera a cena è saltato fuori che avrei dovuto sposarla... Non ne fui particolarmente contento. Nel senso che, insomma, nessuno aveva pensato di avvisarmi. ‘Ah, Dorian caro, prima che mi dimentichi, ti abbiamo combinato un matrimonio con la figlia degli Harimann, quella carina, sì? Cerca di essere puntuale, martedì alle quattro!’; ‘Certo, papà!’, avrei dovuto rispondere- e c’è veleno nella sua imitazione, nel tono della sua voce. –Ovviamente non volevo. Non mi... non sono come avrei dovuto essere, e questo chiaramente a mio padre non fece piacere. Glielo dissi, quella sera. Lo avevo sempre saputo, io... ma lui no.-

Dorian beve. Anche dopo il clink del bicchiere sul tavolo, resta in silenzio.

-Non l’ha presa bene, immagino- fa Alaric, che sembra aver intuito.

-L’ha presa male. Parlo per eufemismi, s’intende. Sono tornato nel mio appartamento, a quel punto... ero... furioso. Non tanto perchè mi avevano rifiutato...-, un po’ sì. Le parole gli riecheggiano nelle orecchie, lontane, -ma perchè... perchè avevano dei progetti. Perchè io ero il loro progetto, capisci? Le lauree, le lodi, la cattedra, il matrimonio, era tutto il loro... set.-

-Mi dispiace tanto, Dorian.-

-Hah!-, Dorian fa una smorfia, c’è più amarezza di quanto pensasse in quel suono, -Non è finita qui. Il mattino dopo... no, era mezzogiorno. Mi ero ubriacato- si passa una mano davanti agli occhi, -le cose andavano già abbastanza male per conto loro e poi ci si era messo anche mio padre-, perchè si sta giustificando?, -era tutto un... grosso... casino. Morale, mi sono svegliato con qualcuno che citofonava e scopro che mio padre mi ha sguinzagliato uno psicoterapeuta alle calcagna. Per... per curarmi!- e quella parola è leggermente soffocata. –Me ne sono andato. Non aveva senso continuare a restare. Ormai lo scandalo era alla luce del sole... non volevo... non voglio averci più niente a che fare.-

Un braccio scivola intorno alle sue spalle e ora è tutto caldo. Fa molto come quella sera da Cullen, solo che ora c’è un tavolino e l’atmosfera è tutt’altro che casalinga e rilassata. 

Dorian si rende conto di quanto fosse rigido quando il calore di Alaric lo fa sciogliere appena appena. È un abbraccio? Non sta più guardando l’altro e in cuor suo vorrebbe redarguirsi perchè si guarda sempre l’interlocutore quando si parla. Ma non sta più parlando, no?

-Mi dispiace tanto-, e Dorian si chiede perchè in questo periodo tutti risultano essere più vicini di quanto sembrino. Alaric parla vicino alla sua tempia. 

-Va tutto bene. Adesso. Più o meno- si affretta ad aggiungere, perchè quella è una bugia a cui nemmeno lui potrebbe credere, neanche sforzandosi. –Me la cavo. Ho i soldi, e una casa, e un lavoro. È un po’ diverso... Dio, questa cosa sta diventando deprimente-, e Dorian non ce la fa più e si lascia scappare una mezza risata. –Scusa.-

-Ho chiesto io. Non c’è problema- risponde Alaric. Poi, senza che lui chieda, prosegue: -Io non... non ho avuto grossi problemi dalla mia famiglia. Per quello. Più dalla gente.- Si tiene molto vicino, e la mano appoggiata sulla sua stringe appena come una sorta di ancora. –Io... ero alla scuola militare. Volevo fare il soldato.-

-Sul serio?-

-Sul serio- e Alaric ha un tono serio anche se l’incredulità di Dorian lo diverte. I suoi occhi lo tradiscono. –Ho studiato con Cullen. Cioè... in realtà lui era più avanti di parecchie classi. Però ci siamo conosciuti lì, ed siamo diventati amici. Poi è... saltata fuori questa storia. Ed è diventato uno schifo.-

È facile inclinare la testa sulla sua spalla e tenerla lì.

-Gli insulti... non urlati, ovviamente. Non puoi urlare cose del genere. Ma mi arrivavano. Vestiti bruciati, o tinti... non mi picchiavano perchè ero più grosso di loro.-

-Sei parecchio alto.-

-Sempre stato. Ma non serve picchiare la gente per farla stare male. Cullen e un paio di altri sapevano e cercavano di... farli smettere in qualche modo. Ci ha rimediato un braccio rotto, una volta. Lui ci ha messo un po’ di più a farsi grande. Alla fine ho smesso. Perchè... insomma, parliamoci chiaro, quella gente si sarebbe diplomata come me. E se fossi andato avanti... sarebbero stati i miei commilitoni. Non potevo. Così ho lasciato. Ho fatto un corso per professionisti, e beh, sono qui, insomma.-

-Dev’essere stato difficile.-

-Oh, sì. Li ho odiati così tanto. Volevo... volevo diplomarmi lì. È una bella accademia, una delle migliori... ma non potevo. Mi sa che alla fine però ho fatto la cosa migliore. Sono più tranquillo. Felice.-

Dorian non replica. Gli sovviene il fatto che sono in un luogo pubblico e butta un occhio al locale per controllare che nessuno li stia guardando –si stanno abbracciando alla fine, sì. Ma a nessuno sembra importare. 

È un bel locale.

-Cullen invece... è andato avanti. S’è fatto grosso-, e  Alaric ride appena mentre lo dice, ma non è un suono allegro. –Lo hanno mandato in guerra.-

-Josie me lo ha accennato, sì- ricorda Dorian. Una conversazione a malapena ascoltata dal sedile del passeggero.

-Era orgoglioso. La sua famiglia era orgogliosa. Cullen... i suoi genitori allevano vacche ancora più su di da dove vengo io. Hanno dovuto fare i salti mortali per mandarlo a scuola lì. Sai cosa ci ha guadagnato?-

Dorian scuote il capo, ma immagina dove stia andando a parare.

-Quattro proiettili. Uno nell’addome e tre nelle gambe. Una medaglia al valore, un congedo, e due anni di sedute dallo psicologo per riprendersi dal trauma e smettere di dormire con una pistola sul comodino.- Alaric beve e Dorian sospetta in quel momento che vorrebbe fosse alcol. –Erano in sette, e li hanno ammazzati tutti tranne lui.-

-Merda.-

Si è fatto più tardi.

Finiscono i loro bicchieri, e Dorian è sorpreso dal fatto che abbiano bevuto tutti e due così poco.

-Questa cosa... si è fatta più deprimente di quanto avessi programmato- ammette Alaric a un certo punto.

-L’avevi programmata?- chiede Dorian, divertito, facendo un gesto con la mano a... al tavolo. A loro.

-Un po’. Forse. Diciamo più che me la ero immaginata. Non è che ci sia tanta... gente, qui a Skyhold.- Suona molto più incerto di qualche minuto prima, mentre gli rivelava le parti peggiori della sua gioventù. –Volevo... che fosse bello.-

-È bello- lo rassicura Dorian. –Un po’... emotivamente stancante. Suppongo. Ma da qualche parte dobbiamo pure cominciare.-

-Cominciare-, e il greco non sa se questa è una domanda. Ma Alaric non elabora. Fuori sta iniziando a fioccare.

Si sbrigano a rivestirsi, come tutti, per arrivare a casa prima della tormenta. –Abiti lontano?- gli chiede Dorian. 

-No. Qui a Skyhold. Vicino al fioraio...- gli dà qualche indicazione.

Dorian ride. –Non ho idea di dove sia.-

Anche Alaric ride. –Non importa.- L’abitacolo è buio e il tipo di prima sta cantando ancora quando la macchina parte. I tergicristalli ripuliscono il vetro dai fiocchi.

Accosta davanti al suo condominio.

-Grazie per... tutto- dice Dorian. È un momento un po’ imbarazzante, in cui non sai bene cosa dire, cosa fare con le mani o con gli occhi. 

-Figurati. Grazie per essere venuto. È stato bello.-

-Sì.-

-Vuoi... magari... più avanti...?-

-Sì-, lo interrompe Dorian, grato del fatto che sia più in imbarazzo di lui in quel momento. –Volentieri. Prima di Natale, magari.-

Natale è fra una settimana. 

-Dopo la neve- offre Alaric. Dorian, che guardava fuori dal finestrino, si volta, e lui lo sta guardando.

-Dopo la neve- concorda.

Lui gli tocca una guancia con le labbra e c’è ancora, quella barba che cresce testarda, che punge sulla sua pelle perfettamente liscia. Ma le labbra sono più morbide, e calde, e non ci pensa. È sorprendentemente casto. Come una coppia di adolescenti imbranati.

Più o meno lo sono.

Dorian gli sorride e lascia l’abitacolo per riunirsi al gelido mondo là fuori. È stata una serata... emotivamente stancante, sì. Ma c’è una leggerezza inaspettata nel petto. È una bella sensazione.

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Note: *giggling*

La canzone che ascoltano in macchina è "I go to the barn because I like the" dei Band of Horses. Si dice "dei"? Mi vengono sempre dei dubbi atroci su ste cose.



 
   
 
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