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Autore: Sandie    31/12/2014    5 recensioni
Il piccolo Tsubasa scopre il coraggio di essere sempre sé stesso nonostante le prepotenze di chi non lo accetta per quello che è. L'amicizia e l'affetto della sua mamma e della sua cara amica Yayoi rendono il suo Natale ancora più speciale.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Natsuko Ohzora/Maggie Atton, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve nota introduttiva.

Questa piccola storia natalizia, ispiratami dalle prime pagine del manga, è ambientata nell'inverno precedente il trasferimento di Tsubasa a Nankatsu.

Qui vive ancora a Tokyo con i genitori: suo padre è via per mare, a casa sono rimasti lui e mamma Natsuko. Yayoi è la sua unica amica, oltre ovviamente al pallone. ;-D

Auguro a chi è su questa pagina un Buon Anno e spero abbiate passato un bel Natale!

Sandie.

 

 

Buon Natale, Tsubasa!

 

 

 

Le strade e i negozi del quartiere di Taito erano addobbate con luci, festoni, lanterne illuminate di tanti colori.

Quell'anno il Natale era ancora più atteso perché cadeva di sabato e sarebbe stato quindi considerato un giorno festivo proprio come nei Paesi di religione cristiana.

Yayoi e Tsubasa passeggiavano, infagottati nei loro cappotti e nelle loro sciarpe, ormai da circa un'ora. Chiacchieravano senza pause troppo lunghe.

Il ragazzino aveva palleggiato per quasi tutto il tempo, ma riusciva ad ascoltare anche le parole della sua amica e a dialogare con lei.

Si incontravano e si ritrovavano a passeggiare insieme quasi ogni giorno, anche per ore, senza comunque mai allontanarsi troppo dal loro quartiere. Era ormai un appuntamento atteso da entrambi. Lei fingeva di trovarsi lì per caso, in realtà sapeva perfettamente che a quell'ora sarebbe passato per quel punto della strada e se per caso non si trovava lì, era lui a suonare il campanello del cancello di casa sua e a chiedere se voleva accompagnarlo.

Le piaceva stare con Tsubasa. Parlando con lui, aveva scoperto che aveva qualche altro interesse, oltre al calcio. Anche lui, per esempio, amava guardare gli anime mentre faceva colazione, e leggere i manga oltre alle riviste sportive. Non era quel ragazzino con il pallone al posto del cervello come lo descrivevano ingenerosamente i loro compagni di classe e altri ragazzi della scuola. Certo, aveva un'immensa passione per il calcio, ma non vedeva grosse differenze con le fissazioni di certi suoi "amici" che passavano i pomeriggi a rincretinirsi con i videogiochi e poi ripetevano a scuola le parolacce e le imprecazioni che urlavano quando sbagliavano le mosse e perdevano le partite.

Tsubasa era molto più simpatico ed educato e non le aveva mai negato due chiacchiere, anzi sembrava contento di conoscere almeno una persona che non lo giudicava ed emarginava perché amava e praticava uno sport poco popolare.

 

«Tra poco comincia a fare buio.» osservò Yayoi, guardando il sole ormai al tramonto.

«Sì, forse è meglio rientrare.» concordò Tsubasa «Fosse per me giocherei ancora con il pallone, ma poi chi la sente mia madre?» rise, coinvolgendo anche l'amica.

Decisero così di avviarsi verso le loro abitazioni.

Giunti in una strada a pochi metri dal parco di Ueno, videro un gruppetto di sei ragazzini poco più grandi di loro: li conoscevano perché alcuni di loro erano stati nella loro stessa scuola fino al marzo precedente, e due erano in sesta elementare.

«Ehi, guardate chi c'è! Il calciatore idiota.» disse un ragazzo di prima media ai suoi amici, che ridacchiarono. Era Akira Yamamoto, uno dei più temuti bulli del quartiere.

Yayoi li guardò preoccupata: aveva un brutto presentimento. Tirò Tsubasa per una manica del giubbotto.

«Cambiamo strada. Quei ragazzi vogliono darci fastidio.» gli sussurrò.

Ma il suo amico sorrise e scosse la testa «Non preoccuparti, ci sono abituato e ormai non ci faccio neanche più caso.»

«Ehi, Oozora!» lo chiamò calcando sul cognome e dandogli un'intonazione volutamente ridicola «Cosa ti regalano mamma e papà per Natale?» chiese imitando la vocina di un bambino piccolo.

Tsubasa rallentò il passo, guardando il ragazzino con circospezione, ma dritto negli occhi «Non lo so. È una sorpresa.»

«Ah, è una sorpresa.» disse facendogli il verso e girandosi ancora verso i suoi compari, che ridacchiarono nuovamente. A ogni parola si avvicinava progressivamente a lui e a Yayoi, seguito a breve distanza dagli altri.

«E tu? Com'è possibile che una ragazzina così carina vada in giro con un tipo insignificante come lui?» chiese a Yayoi fissandola con uno sguardo mellifluo.

«Non è un tipo insignificante. Io sto bene con lui, molto meglio che con voi.» rispose tranquilla, guardandolo come se stesse dicendo la più classica tra le ovvietà.

«Sul serio? Dovresti provare a venire con noi, allora …» la provocò, prendendola per un braccio.

«Lasciala stare!» gridò Tsubasa lanciandosi verso di lui. Nello stesso momento, i tirapiedi di Akira corsero verso il pallone abbandonato dal piccolo calciatore e uno di loro lo prese tra le mani. Nello stesso momento, Akira sorrise mordendosi il labbro inferiore e lasciò malamente Yayoi, mettendosi a correre insieme agli altri.

Tsubasa assistette alla scena, frastornato.

Era stata una trappola, per distrarlo e costringerlo a lasciare incustodito il suo pallone.

«Ridatemelo!» gridò, rincorrendo i ragazzi che si stavano dirigendo verso il parco, lanciandosi il pallone tra di loro come fosse una partita di football americano e ridendo chiassosamente.

Yayoi faticava a tenere il loro passo e rimase presto indietro. Li raggiunse poco dopo: si erano fermati in uno spiazzo, Akira con il pallone in mano e i suoi tirapiedi disposti attorno a lui a formare a un emiciclo. Tsubasa era di fronte a lui e li fissava.

Akira estrasse un punteruolo e lo gingillò in mano alcuni, lunghissimi secondi, divertendosi a scrutare la faccia atterrita di Tsubasa. La punta d'acciaio brillava alla luce dei lampioni che illuminava il parco.

«Sai, mi sono sempre chiesto cosa possano pensare i genitori di un ragazzino che passa tutto il giorno a scorrazzare con un pallone. Secondo me non sanno proprio cosa regalarti.»

Strinse gli occhi e fece una smorfia di scherno. Impugnò il punteruolo e lo affondò nella sfera di cuoio. Tsubasa udì il piccolo botto causato dalla punta che bucava il cuoio e la camera d'aria, e il suono dell'aria che usciva dal foro che aveva fatto Akira. Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma non poteva, non voleva permettersi di piangere. Tirò su piano con il naso, per impedire ad Akira e ai suoi amici di sentirlo.

Il piccolo prepotente estrasse il punteruolo e perforò nuovamente il pallone, guardandolo con un sorriso derisorio mentre gli altri sghignazzavano. Ripeté il gesto ancora quattro o cinque volte, continuando a fissarlo, in attesa di una reazione che però non arrivava: Tsubasa lo osservava a testa alta. Il terrore e l'incredulità dapprima dipinti nei suoi occhi erano stati sostituiti da uno sguardo torvo e labbra serrate. Il volto di Akira era diventato serio, aveva perso la sua espressione sfrontata e beffeggiatrice. Anche gli altri ragazzini avevano smesso di ridere.

Gli gettò addosso il pallone, ridotto ormai a un disco deforme, che cadde a terra, a pochi passi dal piccolo calciatore.

«Tieni. Ora sai cosa chiedere ai tuoi genitori per Natale.» disse sarcastico, ma il suo tono di voce sembrava più irritato che divertito. Si voltò e andò via, seguito dai suoi galoppini.

Yayoi guardò Tsubasa mentre raccoglieva il pallone ormai distrutto e lo stringeva al petto, chiudendo gli occhi e deglutendo.

Era orgogliosa di lui. Aveva osservato tutta la scena, impotente, ma non aveva mai abbassato lo sguardo e non aveva dato a quei bulli la soddisfazione di vederlo piangere. Anche ora che erano rimasti solo loro due, si ostinava a trattenere le lacrime.

«Tsubasa mi dispiace …» provò a consolarlo.

Il ragazzino scosse la testa e sorrise «No, Yayoi. Tu non c'entri nulla.» il suo tono di voce era privo di incrinature e tradiva solo una leggera amarezza.

«Ma se avessi capito che mi stava usando come esca, forse ora il tuo pallone …» provò a dire.

Tsubasa scosse ancora la testa e le fece un gran sorriso «Non importa. Ne comprerò un altro.»

Percorsero un pezzo di strada insieme, senza parlare, poi si salutarono perché Tsubasa era giunto a casa sua.

Yayoi camminò ancora per qualche metro, poi guardò l'orologio da polso. Sgranò gli occhi: aveva avuto un'idea e forse faceva ancora in tempo.

Corse a perdifiato verso il negozio di articoli sportivi. Forse lo zio Mabuchi, che lo gestiva, non era ancora andato via.

Lo trovò ancora sul marciapiede. Aveva appena chiuso la serranda.

«Zio!» gridò, accelerando negli ultimi metri. Si fermò davanti a lui, mise le mani sulle ginocchia, ansimando spasmodicamente.

«Yayoi, cosa ci fai qui? Calmati, fai un bel respiro.» chiese preoccupato, mettendole una mano su una spalla. Le sue guance erano color del fuoco e i lunghi capelli scompigliati, con la frangia appiccicata alla fronte sudata.

La bambina ansò ancora qualche volta, prima di rispondergli.

«So che hai appena chiuso il negozio, ma potresti riaprirlo per un attimo? Te lo chiedo per favore.»

L'uomo la guardò stupito «Yayoi, perché non sei venuta qui almeno dieci minuti fa?»

«Non ho potuto, è successa una cosa improvvisa e mi sono attardata. Per favore, zio.» disse ancora un po' affannata, giungendo le mani in un gesto di preghiera.

Mabuchi alzò gli occhi al cielo e sospirò. «E va bene.» alzò la serranda ed entrò insieme alla nipote.

«Cosa vuoi prendere?»

«Quel pallone.» disse, indicando una delle sfere esposte in vetrina.

«Un pallone?» chiese, stupito. «Ah …» commentò poi, con aria lievemente maliziosa. «Quel tuo compagno di classe deve piacerti proprio tanto.» disse, prendendo l'oggetto e mettendolo dentro una scatola.

Yayoi non replicò, limitandosi a fare il sorriso più disinvolto di cui era capace.

 

Natsuko scostò le tende della finestra del salotto e guardò fuori: era una giornata serena. Il sole avrebbe attenuato l'aria pungente.

Guardò con sollievo il figlio mentre mangiava con gusto la sua porzione di riso, seduto al tavolo. Quando si era alzato, l'aveva salutata e le aveva fatto gli auguri con la sua solita allegria.

Koudai era via per mare, con la nave di cui era capitano. Avrebbero passato il Natale a casa, per poi andare a trovare i nonni materni di Tsubasa nel pomeriggio e Natsuko avrebbe portato loro la torta che aveva appena messo a cuocere nel forno.

Sentirono suonare il campanello.

Natsuko tornò alla finestra e vide il bel volto di Yayoi semicoperto da una sciarpa bianca. Sorrise e le permise di aprire il cancello e percorrere il breve sentiero lastricato fino alla porta.

«Buongiorno, signora Oozora.» la salutò abbassandosi la sciarpa e facendo un breve inchino .

«Ciao Yayoi! Vieni, entra pure!» disse la signora Oozora facendole un ampio gesto con la mano.

Si tolse le scarpe e indossò un paio di ciabatte tra quelle che gli Oozora tenevano per gli ospiti. Entrò nel soggiorno da dove vide Tsubasa seduto a tavola, intento a divorare una ciotola piena di riso e su ulteriore cenno di Natsuko, lo raggiunse in cucina.

«Ciao Yayoi!» la salutò sorridente e con alcuni chicchi di riso agli angoli della bocca. La bambina non poté fare a meno di pensare che era immensamente carino anche così, mentre si ingozzava come un vitellino.

«Ciao Tsubasa. Sono venuta a portarti un piccolo regalo.» disse, mostrandogli il pacco avvolto da una carta regalo rossa con disegni di Doraemon e chiuso da un fiocco dorato.

«Beh, non mi sembra tanto piccolo.» ridacchiò, pulendosi il viso. Lasciò la scodella e le hashi e saltò giù dalla sedia.

Andò verso di lei e prese il pacco dalle sue mani. Era curioso di vedere cosa gli aveva portato, aveva una mezza idea, o forse era più corretto definirla speranza, di cosa poteva essere ma lo posò per terra e le mise le mani sulle spalle.

«Buon Natale Yayoi.» disse e le diede due baci sulle guance.

Yayoi cercò come poté di attenuare il suo stupore e sperò che le sue guance non fossero diventate troppo rosse.

«… Buon Natale Tsubasa.» mormorò con un sorriso.

Il bambino cominciò a scartare il suo regalo, togliendo dapprima il fiocco e poi la carta facendosi aiutare da Natsuko per non strapparla. Comparì uno scatolone blu scuro con una grande scritta bianca e una fotografia del prodotto contenuto all'interno, ossia un bellissimo pallone modello Tango.

Tsubasa aprì lo scatolone in fretta e furia e tirò fuori il pallone. Lo tenne tra le mani, rimirandolo con occhi che brillavano.

«È bellissimo, è proprio come quello che usano in Europa! Grazie Yayoi!» gridò eccitato e fece per avviarsi verso la porta con il suo nuovo amico sottobraccio, ma la voce perentoria di Natsuko lo fermò quando era arrivato alla soglia.

«Ehi signorino, prima ti metti il cappotto e la sciarpa! Altrimenti i prossimi giorni li passerai a letto con l'influenza!»

Tsubasa guardò sua madre per un attimo, mortificato, poi sorrise e annuì. «Hai ragione mamma.»

Posò il pallone per terra, si vestì, si infilò un paio di scarpe da ginnastica e uscì calciando la sfera.

«Non ha saputo resistere.» sospirò Natsuko rivolta a Yayoi, mentre, in piedi sullo scalino fuori dall'uscio, guardavano Tsubasa giocare in giardino.

«Ieri sera, quando è arrivato a casa e mi ha fatto vedere com'era ridotto il suo pallone, mi ha guardata ed è scoppiato in lacrime. Ma scommetto che con te non ha versato neppure una lacrima.»

«No. E neanche davanti a quei bulli.»

Natsuko strinse le labbra. «Tsubasa mi aveva mentito in un primo momento, dicendomi che il pallone si era sgonfiato perché era caduto su dei sassi appuntiti. Ma era troppo bucato e malridotto per credere che le cose fossero andate così. E allora mi ha detto quello che è successo realmente.»

Yayoi inclinò la testa «Molti ragazzi lo prendono in giro perché gli piace giocare a calcio, mentre loro preferiscono altri sport o giochi. E alcuni di loro, come i prepotenti di ieri, non sopportano che lui sia così diverso da loro eppure sempre felice anche se rimane da solo, e sono arrivati al punto di bucargli il pallone per farlo piangere e vergognare della sua passione. Ma non ci sono riusciti.» disse, guardando il suo amico con occhi pieni d'ammirazione.

Natsuko annuì, anche lei orgogliosa di avere un figlio che non si era lasciato abbattere dalle cattiverie altrui. Poi sgranò gli occhi, come se si fosse ricordata qualcosa all'improvviso.

«Ehi, Tsubasa! Hai preso un regalo per Yayoi?» gli gridò.

Il bambino si fermò, spalancò gli occhi e si grattò la nuca con una mano guantata, imbarazzato. «Ehm, no …» rispose, dispiaciuto.

Yayoi, che nel frattempo era arrossita, sorrise e scosse la testa «Tranquillo Tsubasa. Non si preoccupi signora Oozora, non c'è problema.»

Ma Tsubasa schioccò le dita - per quanto il guanto glielo potesse permettere - e riprese il suo solito entusiasmo. «Aspetta Yayoi! Mi è venuta un'idea: c'è un fioraio qui vicino, se vuoi possiamo andarci e così puoi scegliere i fiori che ti piacciono di più. Ti faccio fare un bel mazzo e te lo pago io!» propose, strizzandole un occhio.

La ragazzina era diventata, se possibile, ancora più rossa. «Io …»

«È un'idea fantastica!» esclamò Natsuko, deliziata. Tsubasa corse verso di loro, poi entrò in casa, seguito da sua madre. Yayoi rimase fuori, nel tentativo di far tornare la pelle del suo viso del colorito naturale.

Uscirono poco dopo, con Tsubasa che aveva presumibilmente messo in tasca i soldi necessari.

«Su, che aspetti?» la esortò Natsuko.

La ragazzina decise infine di mettere da parte l'imbarazzo, rientrò nel vestibolo e, dopo aver rimesso le sue scarpe, si avviò con Tsubasa verso il cancello.

Natsuko guardò felice i due bambini mentre la salutavano con un gesto della mano e si incamminavano verso il negozio del fioraio.

 

 

FINE

 

 

 

 

***Note***

 

 

Hashi: sono le bacchette che i giapponesi usano per afferrare e portare alla bocca il cibo.

 

 

"Calciatore idiota" è una traduzione ricalcata su "soccer idiot", come Tsubasa viene definito dai suoi compagni di scuola nella versione in lingua inglese del manga.

  
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