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Autore: Setsuka    01/01/2015    6 recensioni
“Triste, è la natura dell'uomo”.
“Non è triste. Non per noi. E' disgustosa”.
“Non sono io quello che il Sabato va a lodare Dio”.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kyle Broflovski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It was the heat of the moment
Buon 2015! Che sia un anno ricco di emozioni e novità per tutti, io intanto lo inizio proponendovi come piccola novità il nuovo capitolo. A quanto pare doveva arrivare il nuovo anno affinché io pubblicassi, perdonatemi, ma tra impegni universitari ed altri progetti di scrittura, non è sempre facile continuare, ma state sicuri che non sarà abbandonata la fanfiction.
Questo capitolo doveva essere diverso, ho tagliato una parte che sarà nel prossimo capitolo ed anticipato un episodio, un ricordo, che volevo inserire dopo un po' di capitoli. Inoltre ho sperimentato un metodo di scrittura meno letterario, più da young adult americano, ma la presenza di punti e virgole non lo rende propriamente tale (se non sperimento con le fanfiction i vari metodi di scrittura, quando posso farlo?).Spero che vi aggradi il risultato finale e se non capirete i processi mentali di Eric e Kyle, state tranquilli, è tutto nella norma.

 

 
It was the heat of the moment.








Carry on my wayward sons...

“…dunque ad ogni finale di stagione si sente questa canzone?”.

“Kyle, Il road so far è il momento più emozionante, taci!”.

Da quando conosce Cartman, quella è la prima imposizione che Kyle decide di rispettare. E questo la dice lunga su Kyle, sul loro rapporto, su quello che sono sempre stati.
Kyle osserva Eric, si distrae dallo schermo per cercare emozioni sul volto dell’altro. Ha fame delle sue emozioni, ha speranza in esse e quando le vede gli angoli della bocca si alzano; sorride vedendo gli occhi lucidi di Cartman, sorride per il dramma che sembra vivere in quel momento.
Kyle non lo ammetterebbe mai, ma è contento di notare un lato umano in Cartman, troppo spesso lo convince del contrario, gli fa paura, ma davanti lo schermo, vedendo qualcosa di irreale e distante dal loro mondo, Cartman riesce ad essere visibilmente emozionato.
Kyle si domanda se Cartman non sia la conseguenza della crudeltà del mondo, la somma di abusi, di violenze, di crudeltà indirizzate ad un ragazzino che aveva l’unica colpa di esser stato troppo ingenuo, troppo grasso e troppo legato a sua madre. 
Abbassa lo sguardo e sa di avere la risposta, sa di essere anche lui responsabile.
Un’infanzia difficile però non può giustificare tutto, non può giustificare quella totale mancanza di empatia, quanto sovradosaggio di sadismo.   
Kyle da bambino non si rendeva conto di molte cose e, tutt’ora, crede di ignorare molto riguardo Cartman. Non sorride più, ma si siede più vicino a Cartman; non è bravo ad usare certe parole con lui, ma vorrebbe che il suo gesto fosse notato e tradotto: “sono qui. Se vuoi sono qui, per te”.

 

* 


 

“Ti andrebbe di fare altro?” esordisce Kyle dopo sei serate trascorse con Cartman guardando Supernatural.
Non gli dispiace trascorrere così il tempo, la serie gli piace, ma non ne è entusiasta, è lì per una serie di motivi che non ci si aspetterebbe da lui: per Lola, per non stare a casa sua, perché... vuole del tempo con Cartman, anche se quest’ultimo motivo non lo comprende a pieno e non riesce ad ammetterlo a se stesso.
Kyle vede un guizzo di gioia negli occhi di Cartman, è entusiasmo. Probabilmente non aspettava altro. Mette in pausa la TV e si sistema sul divano in modo da portare tutte le sue attenzioni su Kyle. Bisogna chiarire, la posizione abituale che ha sul divano, pur essendo davanti alla TV, gli permette di guardare in faccia chi ha al suo fianco: basta che lui sposti lo sguardo di 15° a sinistra e la vetrina al fianco della tv gli permette di vedere il volto del suo ospite; non si perderebbe mai le espressioni di Kyle davanti a una serie figa, ma un contatto visivo diretto è necessario in quel momento affinché possa mostrare tutto l’entusiasmo per la domanda che aspettava.

Non è esattamente come Cartman immagina, ma una parte (folle) di se spera che tutto il sottotesto omoaffettivo del telefilm spinga Kyle, dopo tutti quegli episodi, a desiderare la parte omoerotica, e non tra gli attori, ma tra di loro. 
  “Cosa vorresti fare? Considerando l’ora e l’inesistenza di una terza parte tra noi, se ti va un po’ d’azione capisco e se insisti tanto non mi tirerò indietro, sai, per noia e perché è sempre meglio una persona che conosci ad un estraneo, quindi...” ...quindi Kyle lo guarda confuso e spiazzato, non capendo a cosa alluda, ma considerando il soggetto non vuole neanche investigare sulle idee folli di Cartman, specialmente perché non vuole litigare.

“In realtà non ho voglia per niente d’azione, non mi va di spostarmi”.

“Ma il divano è perfetto, non serve spostarsi!”.

“Già è perfetto” il tipo di risposta che prende in contropiede Cartman e un po’ gli fa male. Per una volta vorrebbe che Kyle non fosse un ingenuo o, almeno, che sia frustrato sessualmente quanto lui... abbastanza da essere disperato insomma.
“Non l’ho ancora fatto vedere a nessuno” incalza l’ospite mettendo in serio disagio il padrone di casa.

Cartman sa che Kyle non sta pensando a quello che pensa lui, ma quella piccola parte di se un po’ ci spera, hanno quindici anni ormai ed è perfettamente normale avere certi desideri e voglia di soddisfarli, Cartman in particolare ha voglia di soddisfare il suo desiderio di Kyle dalla preadolescenza.

“Un po’ mi mette imbarazzo mostrartelo, però una parte di me pensa che tu sei la persona giusta per...”

“E smettila!” Eric si pente subito d’aver alzato la voce, ma Kyle gli sa rendere la vita difficile. Scuote la testa e cerca di normalizzare l’atmosfera “intendo smettila con i giri di parole e arriva al sodo”.

“Tu promettimi di non prendermi in giro”.

“Farò del mio meglio”.

“Cartman! Sono serio”.

“Va bene, va bene... parola di boyscout”.

Kyle, titubante, avvicina lo zaino che aveva abbandonato a terra e ne estrae una cartellina trasparente contenente dei fogli a righe su cui Kyle ha scritto con penna nera. Porge a Cartman lo scritto, ma senza guardarlo in volto, è troppo imbarazzato per farlo.

Eric estrae i fogli ma prima di leggere non riesce a resistere a una battuta: “cos’è? Mi hai scritto una letterina? Hai deciso di mettere nero su bianco i tuoi sentimenti?”.

“Se devi fare il coglione me li riprendo!”.

“Non fare l’acido, volevo spezzare la tensione”.

Ma Kyle già non lo guarda più, è emotivamente provato dall’aver consegnato proprio a lui qualcosa che in qualche modo lo imbarazza. Eric lo capisce, ed è emozionato, è qualcosa che non si sarebbe aspettato da Kyle, qualcosa che l’ha preso contropiede e che lo fa deglutire per sciocche aspettative.
Inizia a leggere e le parole danno vita ad immagini di sangue, violente si scontrano e costruiscono uno scenario inaspettato di morte e distruzione. Un racconto, probabilmente dell’orrore essendo Kyle affascinato dal genere, ma poi si aggiungono particolari, spade, cavalli al trotto, fiamme dal nulla, elfi dannati... Eric interrompe la lettura per lanciare un occhiata allo scrittore che ancora guarda altrove. Per le mani ha un lato di Kyle che non conosceva, ha i brividi, è eccitato dall’idea che Kyle - lì, a pochi centimetri da lui - gli ha consegnato una parte di se che chissà da quanto tempo tace, una parte interessante, di cui ora sente il bisogno di conoscere, di esplorare, in ogni parola, in ogni virgola, in un esistente sottotesto di una battaglia di un racconto Fantasy.
Vola una pagina, ne vola una seconda e alla quinta la battaglia si conclude, mostrando vinto un fiero popolo di umani. Ci sono donne e bambini terrorizzati, corpi di guerrieri su cui urlano padri e madri, artigiani disperati da quel che l’assalto ha devastato,  botteghe in fiamme, depredate di armi e generi alimentari, in una pagina e mezza c’è uno scenario pietoso e che suggerisce rabbia, poi la narrazione inizia a concentrarsi su alcuni personaggi: un giovane paladino ferito per aver difeso l’onore di una donna, una bella dama che cerca di curarlo con amore e gratitudine nonostante risulti sia stata lei alla fine a salvare il ragazzo con un’incredibile abilità da arciere, infine - all’annuncio della morte del re - si eleva un personaggio carismatico, che si è fatto valere con la magia, uno stregone che riesce che annuncia la più terribile verità per il popolo. La terribile verità è il furto di un oggetto prezioso, il più prezioso dall’alba dei secoli di quella terra fantastica da quanto rivela la narrazione; la città depredata è la capitale del più grande regno delle terre conosciute, custode di saggezza e di talenti delle arti del combattimento e della magia la cui fondazione si deve al coraggio di un gruppo di uomini che riuscì a far valere e predominare la razza umana nel mondo, protetta da un umile strumento, un bastone grazie al quale fu uccido l’Oscuro Signore dei Demoni che per secoli aveva dominato il mondo rendendo schiavi gli uomini, nonché soggetti di divertimento, talvolta anche cibo. Ma quell’umile strumento, forgiato dall’ultimo mago vivente, riuscì a cambiare le carte in tavola, a dar vita a una nuova era, affermando la verità del valore degli uomini sulle forze oscure e su ogni razza che aveva diffidato degli umani, ma ora che era stato portato via, l’equilibrio era stato spezzato, il domani prevedeva guerra, il futuro dell’uomo poteva essere l’estinzione se qualcuno non avesse ripreso il Bastone della Verità.
Eric si ferma davanti a quel nome che compare alla fine della lettura, dopo una dozzina di pagine.
I personaggi, i nomi, la vicenda assumono una luce diversa ed è doppiamente entusiasta di quello che ha letto.

“Kyle, sei un genio!” non si era mai davvero concesso di dire una cosa simile, per il timore che l’ebreo si montasse la testa e che si sentisse per tanto in dovere di comportarsi ancor più da maestrina.

“Mi prendi in giro?”.

“Per una volta no. Smettila di fare l’ebreo diffidente e renditi conto che... beh... è straordinario! Un racconto basato sul nostro gioco di ruolo, non ci credo... potrebbe diventare migliore de Il Trono di Spade!”.

“Volevo mostrartelo perché sei stato tu a creare la storia del gioco e perché il protagonista è il tuo personaggio”.

“Lo so, è un fico, non potevi che...”.

“L’ho fatto perché voglio che la storia parli di umanità e il protagonista doveva essere umano. Non avrebbe avuto un granché senso rendere protagonista il mio personaggio, un elfo” chiarisce per evitare fraintendimenti, anche se non è chiaro neanche a lui cosa può fraintendere Cartman, semplicemente gli viene naturale stare sulla difensiva.

Eric è di buon umore, quindi evita di stuzzicarlo e riporta l’attenzione sulle pagine lette, come per ricucire dei pensieri per poter dare un parere onesto a Kyle.
“Non me ne intendo molto di grammatica e punteggiatura, sembra andar bene, mi piace comunque il ritmo narrativo, è coinvolgente e - anche se ti sei preso delle libertà sulla storia - è convincente, mi piace come hai reso i personaggi e come sei riuscito a raccontare l’antefatto della vicenda senza risultare noioso. Trovo anche fico il fatto che non si capisca chi siano i nemici perché mascherati, anche se tutti credono sono gli elfi, suppongo che tu non abbia voluto rendere malvagio il tuo personaggio”.

“E cosa ti fa credere che non riuscirei a renderlo malvagio?” la domanda è posta con tono incisivamente malizioso.
Eric gli lancia un’occhiata stupita e si lascia distrarre dalla posizione di Kyle.
Kyle non ha consapevolezza della sua presenza, di quanto riescano ad essere intriganti i suoi modi, di quanto siano belli i suoi occhi così espressivi, di quanto il suo corpo riesca ad essere aggraziato anche nei momenti in cui assume posizioni scomposte; Kyle non ha alcuna idea dell’effetto che faccia ad Eric vederlo così vicino a se, così poco vestito (ha solo una t-shirt e dei bermuda, niente di lanoso e ingombrante), i piedi nudi sul divano con la braccia che abbracciano le gambe, in una postura innocente, infantile, accompagnata da sguardo e tono maliziosi. Tutto questo fa sentire Eric come se le dita di Kyle stessero giocando all’interno dei suoi pantaloni.

“Credi davvero che non riuscirei a creare un elfo dall’apparenza angelica che gioca d’astuzia, pronto a pugnalare alle spalle rivelandosi una vera carogna?”.

“Chissà...” risponde vago Eric, che cerca di guardare altrove, tentando di ignorare quanto faccia improvvisamente caldo.

“Dopotutto ho un ottimo modello a cui ispirarmi” il tono è più suadente e basso, non ha intenzione di essere sensuale, solo di provocarlo, giocare... stanno parlando del suo racconto fantasy dopotutto, ignora che Eric ha perso totalmente interesse e sta leggendo tra le righe messaggi inesistenti.

“Kahl?”.

“Mh?” trasale quando le punte delle dita di Eric gli toccano la guancia. Esitano, poi l’indice scivola lungo la mascella e raggiunge il mento, lo solleva, mentre medio e anulare accarezzano distrattamente il pomo d’Adamo.

“Non interpretare ruoli che non ti si addicono, finiresti solo per pentirtene”.

Kyle non è d’accordo. Inghiotte a vuoto, qualcosa potrebbe sfuggirgli di mano, qualcosa che non dovrebbe esserci potrebbe palesarsi, potrebbe seguire un’azione imprevista e un’altrettanta reazione imprevista.

“Se ti baciassi ricambieresti?” domanda telepaticamente Eric, cercando invano un assenso.

Kyle non distoglie lo sguardo, il volto è più colorato, ma gli occhi sfidano Cartman a non osare; lo stomaco è in subbuglio, ma non vuole mostrare alcuna insicurezza, se solo si mostrasse debole accadrebbe il peggio, qualcosa che farebbe male ad entrambi e che negherebbe con tutto il disgusto del mondo, il disgusto che meriterebbe.

“No che non lo faresti” trova la risposta Cartman. “Mi morderesti, ti rivolteresti come un gatto, mostrandomi gli artigli e rivolgendomeli contro. Mi prenderesti a calci ed insulti, ma a differenza delle altre volte non mi perdoneresti mai” e qualcosa lo fa sorridere in questa triste consapevolezza. Sorride perché è così che vuole Kyle infondo, se fosse diverso non sarebbe la persona che ama.

“Si può sapere che stai facendo?”.

L’acidità improvvisa e familiare di Kyle fa solo che sorridere di più Eric.
“Non interpretare parole che non ti si dicono, finiresti solo per pentirtene”.

Eric ha un guizzo d’ammirazione per quella risposta e scoppia a ridere allontanando la mano dal volto tanto amato. “Stavo solo testando il tuo lato da elfo oscuro. E no, non lo hai” si giustifica dopo la risata, lasciando Kyle stizzito.
 
“Volevi perdere una mano per caso?”.

“Smettila di fare lo spaccone. Il tuo personaggio semplicemente non è cattivo, vero?”.

Detesta quando Cartman scopre le sue carte, ma non può negarlo, voleva solo prenderlo in giro. Detesta il fatto che lo capisca così bene pur essendo così diverso da lui.

“Può darsi...”.

“Sì o no?” insiste il padrone di casa.

“Perché dovrei...”.

“Sì o no, Kahl?”.

“Sei odioso Cartman!”.

Ormai quel tipo di insulti non sono neanche tali, fanno ridere il diretto interessato piuttosto.
Ride con contegno, senza eccedere come la sua personalità vorrebbe.
“Vorrei dire detesto aver sempre ragione, ma non è vero”.

“Sei infantile”.

“Ah, io sarei infantile?” .

“Non vedo altri che te qui dentro”.

“Perché tu cosa sei? Un fantama?”.

“Che spiritoso...”

 “Un Fantaebreo?”

“Eh?” poi capisce e alza il tono, perché non ha alcuna intenzione di sentire Cartman canzonarlo con stupidi nickname coniati usando il suo credo. “No Cartman non cominciare, non...”.

“Non pensavo che esistessero i fantasmi ebrei, siete anche voi repulsivi all’aglio?”.

“Non siamo vampiri!” e mentre afferma ciò si rende conto d’aver implicitamente affermato altro, ma non fa in tempo a correggersi. Ormai Cartman è partito dietro le sue insensate fantasie.

“Sei un vampfantaebreo! Cavolo Kyle, potrei scriverci su uno urban fantasy, o, ancor meglio un paranormal romance, dato che vendono così bene nonostante siano scritti di merda. Però se sei un fantasma non puoi mordere, o - nel caso si possano materializzare i denti - dove andrebbe poi il sangue? Lo perderesti come se... oddio, ecco perché hai il ciclo continuo!” ride a crepapelle dell’immagine che si figura nella sua mente, come se avesse dieci anni e fosse ancora il cazzone dalle strampalate idee senza senso. Un po’ infantile lo è, non può negarlo, ma attribuisce - come è solito - la colpa a Kyle, perché gli serve idee che lo aiutano a creare immagini che calzano perfettamente con la sua persona.

“Non fa ridere, smettila!” e gli toglie di mano il prezioso primo capitolo di un’idea che si pente d’aver fatto leggere.

Cartman, dal canto suo, neanche ascolta Kyle, cade dal divano e inizia a rotolarsi teatralmente per terra, non tanto perché l’idea lo fa divertire, ma perché adora sentire Kyle urlare in sottofondo con tutta la sua irritazione vagin-
...no, in realtà ride perché il tutto è davvero ilare.
“Lo intitolerò Legame di sangue. E sarà la storia d’amore più intensa che si sia mai letta!” dichiara come un esaltato per poi fare risate ancor più grosse che lo impongono di tenersi la pancia tanto gli fa male lo sforzo. “Una povera sfigata con le mestruazioni più dolorose del mondo incontra un ragazzo che gli dice farà di tutto per non farla più soffrire. Lui così la morde e sarà lui avere il ciclo ogni volta al posto di lei, con tutte le conseguenze ormonali del caso, alleviando solo per metà le sofferenze della poveretta!”.

Alla nuova risata Kyle non resiste e, armato del primo cuscino che afferra, si getta sopra Cartman, iniziando a colpirlo non troppo violentemente, ma - spera - abbastanza forte da impedirgli di dire nuove stronzate.
“Sei un cretino, finiscila! Giuro che ti mordo davvero se non la finisci!”.

“Per il titolo, vero?” cerca di difendersi facendosi scudo con le braccia “...preferisci sia Morsi d’amore?” e a quel punto arriva l’ultima cosa che Cartman si sarebbe aspettato e che non è esattamente un morso d’amore. Eric, dopo il primo lamento di dolore, rimane paralizzato; guarda incredulo davanti a lui: Kyle ha davvero affondato i denti contro il suo braccio, nella parte morbida lontana dalle vene, ma non troppo distante dal polso.
Il morso va oltre il secondo di tempo, a quanto pare Kyle è intenzionato a trattenerlo a lungo, finché probabilmente non gli chiederà perdono e con gentilezza non lo supplicherà di lasciarlo.
Gli occhi di Kyle lo guardano furenti, con sfida, aspettando che le labbra di Eric si schiudano per dovute scuse.
Eric alla vista di quegli occhi si morde le labbra e trattiene il dolore, sa che è stupido, ma quello che sta facendo più che doloroso è eccitante. Kyle è sopra di lui, l’estate vuole che entrambi abbiano pochi vestiti e quindi può sentire la pelle contro la sua, il suo peso su di lui, un peso quasi insignificante. E poi quello sguardo... Dio, quello sguardo... è la cosa che più lo eccita al mondo, è la motivazione di tante - forse troppe - stronzate che ha fatto nella sua giovane vita. E quel morso, se non fosse per qualche dettaglio, potrebbe essere un succhiotto mal riuscito. Se solo fosse altrove, sul collo... oh come lo vorrebbe, come vorrebbe che facesse il vero vampiro con lui, invece ricorda più un mannaro che non intende lasciarlo per ragioni che non vuole dargli vinte, perché solo così può sentire le labbra che più brama al mondo sulla sua pelle, così morbide, perfette... nel posto sbagliato.
Il pensiero che le labbra di Kyle siano altrove lo intriga al punto che sente un brivido corrergli lungo la schiena per poi colpirlo nelle parti basse, un colpo ben assestato che lo fa gemere e rende lucidi gli occhi.
Dura una manciata di secondi questa estasi, poi viene preso dal panico, il timore che Kyle senta qualcosa che non dovrebbe sentire lo porta a dare soddisfazione a Kyle “...per favore... lascia-” ...ma non termina la richiesta che Kyle si è già allontanato.

“Quanto sei cretino!” sibila velenoso Kyle che prende bene le distanze dalla sua vittima.
Anche se insulta Cartman ce l'ha con se stesso e la sua ingenuità; è bastato vedere per un attimo quegli occhi diventare oro lucido che il suo stomaco si è contorto dal piacere e poi... quel secondo gemito... è stato come una carezza sotto la maglietta, ha avuto paura di bruciare e di mostrare a Cartman qualcosa per cui sarebbe morto di vergogna e, peggio, Cartman avrebbe potuto usare contro di lui quel qualcosa, spingendolo ad un’umiliazione totale.
Pensa che delle scuse siano necessarie, ma sono congelate nella sua bocca; si sforza la apre, ma nessun suono esce. Si dice che è facile, è solo una parola, cinque lettere. Si volta verso Cartman per far uscire quel macigno, ma non riesce a dire nulla vedendolo correre in bagno.

‘Gattini morti, gattini morti, gattini morti...’ ripete Eric chiudendosi in bagno.
Lascia che immagini raccapriccianti entrino nella sua testa, violente da far male, perché il suo inguine sta male dall’insoddisfazione.
Non può credere che quello che ha vissuto sia stato reale. Il respiro di Kyle, il peso di Kyle, lo sguardo di Kyle, il profumo di Kyle, il morso... li ha tutti sentiti sulla sua pelle. E ne è rimasto un residuo.
Guarda curioso l’impronta dentale sul suo braccio, rossa e ben definita; passa quasi con timore un dito e si rende conto che non è un’impressione, è davvero umida la pelle... quella è la saliva di...
Non conclude il pensiero che porta la punta dell’indice alla bocca. Non sa di niente, ma si illude che abbia un sapore, che sia speciale, delizioso e per questo segue un bacio sulla pelle morsicata, dove è più umido, dove Kyle ha lasciato il segno.
Bacia quella parte di se come se fosse Kyle, come per catturare qualcosa di unico perché destinato a non ripetersi.
Un’ondata di euforia lo colpisce e sale dalla punta dei piedi fino a ciuffi ribelli, ma dura solo qualche secondo finché non viene colpito dalla dura realtà e il petto si riempie di tristezza.
Ha solo una parte di Kyle, una parte inconsapevole, un residuo lasciato senza pensiero. No, non è una parte, è inutile che menta, non ha nulla di Kyle se non un’illusione.

“Cartman?” bussa alla porta, ripentendo il suo nome per una seconda volta.

La voce di Kyle s’intromette nel bacio, trasformando la tristezza in crudeltà.
Kyle non è con lui, è dall’altra parte del mondo, un mondo da cui Eric fugge.

“Cartman? Stai bene?”.

Può sentire note di colpevolezza nella voce. Torna alla realtà, dov’è Kyle, dove deve appartenere.
Apre il rubinetto e lascia che acqua gelata dia sollievo alla parte lesa del braccio, gelando anche le sue fantasie e quella sciocca eccitazione.
Mentre l’acqua scorre, scorrono anche i suoi pensieri, la testa è esattamente come un rubinetto il cui getto aperto fa uscire quantità incredibili di pensieri; pesca però un pensiero in particolare, la sua idea malsana di non dar mai sfogo all’eccitazione, di non toccarsi mai, non per il suo credo, ma per una questione di principio: nessuno può soddisfare i suoi desideri sessuali se non Kyle, ergo vuole che nessuno - neanche se stesso - dia sollievo alle sue eccitazioni; le sue parti intime, come le sue fantasie, sono solo per Kyle e aspettano solo lui. Si chiede se mai si avvereranno, se mai ci sarà qualcosa di reale tra loro.
Quando chiude il rubinetto, i suoi pensieri ancora fluiscono, ma cerca di ignorarli e quando apre la porta - davanti a un bellissimo Kyle tra il preoccupato e il furioso - riesce a dire disinvolto: “mi stavo solo accertando di non esser diventato un vampiro. O uno zombie”.

“Quanto sei creti-”

“Non sono io quello che morde le persone, Daywalker”.

E Kyle acquista colore levando lo sguardo, incapace di chiedere scusa ma solo di tormentarsi le dita.
Crea un notevole spazio tra di loro, consapevole d’aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, ma insicuro di quali conseguenze abbia portato, di cosa abbia turbato tanto Cartman che - lo sa - gli sta nascondendo qualcosa.
“Dato che stai bene, io torno a casa. Mamma mi ha mandato un messaggio, vuole ritorni” Kyle non è mai stato così bravo nel dire le bugie, ma Eric non glielo fa presente e lascia che prenda le sue cose per andare via, anche se non vorrebbe si allontanasse, ma ha troppa paura di fare qualcosa di cui pentirsi per sempre. Dopotutto è così bravo a rovinare le cose belle che ha per mano.

“Beh io vado” fa Kyle aprendo la porta di casa Cartman, come non fosse un’ospite.

Eric lo ferma, con passi veloci arriva a Kyle e lo blocca prendendolo per un braccio e facendolo trasalire. Non vorrebbe fermarlo, ma le immagini che scorrono nella sua testa, tentativi falliti di essere più che amici, lo tormentano. Ha l’urgenza di parlare, di una risposta.

“Non arriverà mai, vero?”.

“Cosa?”.
Kyle guarda in avanti, guarda la porta, non lui. La sua urgenza è quella di uscire da lì.

“Un momento diverso tra noi”.

“Diverso in che senso?”.

“Nel senso che oltrepassiamo la soglia”.

Gli occhi verdi guardano increduli il nulla davanti a se, ma non trasale Kyle, diventa di ghiaccio nonostante il caldo. Non può fraintendere quelle parole, può solo fingere, nonostante non sia la sua specialità.
Entrambi sanno di cosa non stanno parlando, entrambi sanno che tra loro c’è qualcosa di più tra gli insulti e Kyle è convinto che quel qualcosa sia un mostro, che non deve essere svegliato.
Cartman però ha diritto a una risposta, non che la meriti, ma i diritti sono anche di chi non li meriterebbe, così come la gentilezza.
“Ci sono volte in cui la tua compagnia mi piace. Forse mi rende felice o...” cerca le parole giuste, ma qualsiasi esse siano, Kyle - pur trovandole - non saprebbe riconoscerle, perché non vuole svegliare il mostro, perché non conosce il mostro, perché la semantica vuole che dietro la parola mostro si nascondano unicorni o arpie, perché i mostri sono le creature fuori dall’ordinario, esattamente come il loro rapporto o - ancor meglio - come potrebbe essere. 
“...o forse ne ho bisogno. Non lo so. Qualcosa di diverso non saprei neanche immaginarlo e, in realtà, non so neanche cosa stai immaginando, perché non dovrebbe andare bene così? Sei il primo in fondo che lo ritiene divertente”. 

Eric lo ascolta, lo guarda; gli trema leggermente il labbro inferiore perché vorrebbe dire cose, mentre Kyle dice le sue cose, cose che Eric non crede di capire, non sa come prenderle, forse bene, perché Kyle sta parlando con voce pacata, gentile, eppure non lo guarda, come se mentisse, come fosse un codardo.
Eric vorrebbe interromperlo e dirgli che ha letto quel libro che Kyle ha osannato il mese scorso, letteratura, roba seria, letteratura inglese per esser pignoli, Oscar Wilde. Kyle non lo sa, ma Eric legge sempre qualsiasi cosa Kyle legga, persino tante di quelle cose troppo hippie ed ebree, libri che darebbe al rogo, che non gli piacciono, ma quel libro - Il ritratto di Dorian Gray - gli è piaciuto, aveva tante belle frasi e dei personaggi fighi, in cui poteva paradossalmente immedesimarsi. C’è stata una frase che l’ha colpito di quel libro, una frase che fa eco nella sua testa in quel momento: l’artista è il creatore di cose belle.
Eric non crede di essere un artista, ma pensa che quel momento sia bello, sia onesto, ed è stato lui a crearlo e forse potrebbero esistere altri momenti simili, altre cose belle, belle come quel sorriso nervoso e i ricci che ricadono disordinatamente sulla fronte di Kyle.
Vorrebbe parlare, dirgli che ha letto quel libro, che gli è piaciuto, che quella frase l’ha colpito e che - se solo Kyle volesse - potrebbe diventare un artista, creare cose belle, crearle per lui, ogni giorno.
Se parlasse, se dicesse quelle cose, si chiede se Kyle immaginerebbe qualcosa di diverso; l’ebreo lo giudica perché conosce solo il Cartman fastidioso ed infantile, ma se gli dicesse che c’è dell’altro in lui, un altro Eric che Kyle stesso ha ispirato, sarebbe diverso?
Nonostante il caldo umido, Eric sente freddo, un brivido gelido arriva dai piedi alla testa, poi un flash, un ricordo, il ricordo. Sorride.
“...è perché non sono perfetto?”.

Kyle finalmente lo guarda, con occhi grandi, increduli, in totale imbarazzo. Non vuole stare al suo gioco però, qualsiasi esso sia, non vuole assecondare Cartman, crede d’esser stato già fin troppo gentile.
“Scendi dal tuo Olimpo o ovunque ti stai immaginando. No che non sei perfetto, Culone”.

Il sorriso di Eric si piega in una curva malinconica.
Eric pensa che vada bene così, anche come congedo va bene e non aggiunge altro mentre Kyle esce ancora una volta dalla sua vita.




*




Il primo ricordo di Eric è sua madre, un ricordo molto confuso, in cucina, probabilmente mentre lo imboccava; non è certo di nulla se non che lei era bellissima e con un buon odore, come sempre.
Era il centro del suo mondo, l’unica al mondo.
Eric non l’ha mai saputo, ma per Liane, in quanto ragazza madre, furono davvero difficili i primi anni di vita di Eric, evitava il più possibile di uscire fuori casa, evitava le persone, non aveva contatti con Jack Tenorman, ma mille persone che parlavano per suo conto e le davano generose somme di denaro perché non dicesse nulla su chi fosse il padre del suo bambino. Era umiliante, credeva South Park fosse una speranza quando era andata via del Kentucky, una cittadina di montagna tranquilla in cui metter su famiglia dopo essersi affermata in un ambito lavorativo, invece - dal primo giorno in cui aveva messo piede in quel posto - era stata risucchiata da un vortice di problemi tali che molte volte l'avevano portata a formulare pensieri orribili. Le cose però in qualche modo erano andate e a Eric aveva donato solo sorrisi.
Il piccolo Eric però, per via inconscia, aveva compreso il disagio della madre, l’angoscia del vivere in quella cittadina dalla quale non poteva scappare e questo faceva di Eric un bimbo molto introverso, che non parlava con nessuno e che odiava uscire di casa, attività che il più delle volte lo portava a scoppiare in lacrime. Niente di questo è nella memoria di Cartman, il suo ricordo più nitido - il suo secondo ricordo - è stato fuori dalla sua casa, in un’ordinaria giornata di neve.
Liane aveva portato Eric a far conoscenza con i bambini dei vicini, avrebbe presto iniziato l’asilo e voleva che non fosse per lui un’esperienza traumatica, ma un’occasione di divertimento e socializzazione. Eric ricorda i suoi passi incerti nella neve, ricorda il sole che non rendeva gelida la giornata, ricorda che stava camminando in un giardino non suo, ricorda altre voci di bambini e la sua mamma che teneramente gli diceva “vai a giocare con gli altri bambini”.
Per Eric erano novità, nocità che non gradiva, tutto non gli piaceva, lo trovava seccante, voleva andare a casa, non era per nulla felice ed era sul punto di scoppiare in lacrime. Ricorda il groppo alla gola, doleva, voleva liberare urla e lacrime, tornare tra le braccia della sua mammina e giocare con lei nella neve. Qualsiasi suo proposito di fare i capricci però fu interrotto da un peso morbido che andò contro di lui e, senza fargli male, lo travolse e lo stese nella neve. Fu confuso, stordito, al tal punto che scordò di piangere e fu rapito dalla prima cosa che notò guardando sopra di se: grandi occhi di un verde prezioso che riflettevano una gioia che ancora ad Eric era sconosciuta e labbra sorridenti che il freddo rendeva ancor più rosse, come i ricci che uscivano fuori da un buffo cappello di un verde prato.
Ciò che pronunciarono quelle labbra così rosse Eric non lo avrebbe mai dimenticato. Nonostante usò un linguaggio incerto e impastato, tipico di un bimbo che ancora non ha tanta dimestichezza con la grammatica, Eric le conserva tra i ricordi pulite di ogni sbavatura lessicale.

“Sei perfetto!”

Fu come se un gigantesco pallone fosse scoppiato nel punto più alto del cielo, libero.
Fu come se la gioia di quel bambino diventasse anche sua.
Le guance rosse per il freddo, diventarono ancor più accese e lentamente Eric sorrise, fu felice. Forse il mondo non era così spaventoso.
E poi la mano del bambino si allungò verso il suo volto, Eric colto di sorpresa chiuse gli occhi e in un attimo sentì sfilarsi il cappello che fu preso dal bambino dai begli occhi che corse via da lui, lasciandolo con una cocente quanto indefinita delusione.
Eric lo seguì con lo sguardo mentre si rialzò e vide il ladro del suo cappello raggiungere un pupazzo di neve che aveva una stazza molto simile alla sua e al quale fu posto proprio il suo capello sulla testa ghiacciata.

“Ora non ha più freddo!” esclamò un altro bambino dal cappello blu. Aveva lo stesso sorriso del ladro del suo cappello, la stessa luce negli occhi e per questo Eric si avvicinò con passi incerti agli altri due bambini, così contenti che il loro grosso amico di neve avesse un capello, un cappello della sua misura e che andava a completare la sua espressione felice fatta di bottoni (per la bocca), formine a stella (gli occhi) e una carota (per il naso).

“Quello è il mio cappello!” piagnucolò Eric una volta vicino ai due bambini, intenzionato a riprendersi l’indumento senza il quale sentiva freddo alla testa.

Fu ignorata la sua lamentela, tanto che il bimbo dal cappello blu - dal quale uscivano ciuffi neri - esclamò “e quella è la mia sciarpa!” indicando una lanosa sciarpa color senape che avvolgeva il loro amico di ghiaccio.

Il bambino dai begli occhi verde smeraldo, invece, indicava dei guanti su dei rami che erano le braccia del pupazzo di neve. “Sono i miei guanti!” disse a gran voce, con una nota di orgoglio.
Eric pensò che era davvero un bel pupazzo di neve.
“Senza cappello non è perfetto!” puntualizzò ancora il bambino con i begli occhi, stavolta sorridendo a bocca aperta e mostrando l’assenza di due denti.

Eric trovò buffo quel bambino, ma ricambiò il sorriso, sentendosi importante per il suo cappello celeste dai bordi gialli, il cappello che rendeva quel pupazzo di neve perfetto.

“Come ti chiami?”.

Eric si rese conto che mai aveva parlato con qualcuno che non fosse sua madre, la sua mamma che lo chiamava Eric e... lui voleva essere Eric solo per lei, non voleva altri pronunciassero il suo nome. Era l’ometto della sua mamma, quindi questo faceva di lui il Signor Cartman, ne era sicuro, per questo mormorò “Cartman”.

“Io sono Kyle” fece l’altro bambino, indicando poi il timido moro vicino a se “e lui è Stan”.

“Tu sei Kahl...” ripeté Eric come rapito da quel suono. Era un nome bello, come i suoi occhi e il suo sorriso.

“No, Kyle”.

Kahl”.

“K-y-l-e!”.

“Ma Kahl mi piace di più” protestò Eric, come se la sua obiezione fosse legittima.  

“Ma non è il mio nome!”.

“Neanche Cartman è il mio nome”.

Né Kyle né Stan capirono cosa Eric intendesse, ma ad Eric sembrò tutto logico: Cartman sarebbe stato il suo nome per gli altri e lui avrebbe chiamato Kyle, Kahl.

I suoi nuovi amici trovarono stupida l’idea e risero di lui; Kyle in particolare trovò il modo per rendere sua la filosofia di Cartman: “se mi chiami Kahl allora io ti chiamo Culone”.   

Per Eric quelle parole furono uno choc, il suo primo vero choc, che lo fece scattare subito sulla difensiva: “io non sono grasso, ho le ossa grosse!”, ma nessuno dei due gli prestò attenzione e lo canzonarono con quel nome, come i bambini usano fare con coloro che considerano amici.
Eric provò per la prima volta qualcosa di oscuro che avrebbe battezzato come odio una volta cresciuto, ma mentre il petto si gonfiava con questo spiacevole sentimento, il suo sguardo era del tutto rapito dal bimbo dallo strano cappello, dal suo sorriso sdentato, dai ricci rossi che il capello non riusciva a coprire. In qualche modo seppe che quello che avrebbe provato per quel bambino non sarebbe mai stato solo odio, così come fu certo che sua madre non sarebbe stata più il centro del suo mondo.

Quel ricordo era importante e felice, quanto denso di tristezza, perché Eric era consapevole che per Kyle lui mai sarebbe stato perfetto come lo era stato al loro primo incontro.




*



Era mezzanotte quando in casa Brovflovski la stampante si accese per riprodurre in bianco e nero, ciò che la schermata del pc mostrava in bianco e blu.
Non era un documento importante, né un’immagine particolarmente bella, era... una stronzata in realtà, una stronzata sulla quale Kyle si era fissato.

“Hai degli occhi bellissimi”.

Sono passati dei mesi, ma ancora tiene su Ask quel messaggio tra le domande ricevute che non hanno avuto ancora risposta.
Si sente stupido Kyle, si sta comportando come quei gruppi di adolescenti che odia. Potrebbe non dare alcun peso a quella frase, però... si chiede se quello che è successo diverse ore prima a casa di Cartman non sia un segnale, qualcosa per cui dovrebbe sapere che la domanda è stata inviata da lui.
Potrebbe saperlo facilmente in realtà, le sue abilità di hacking in meno di mezz’ora lo porterebbero a trovare l’IP del computer da cui è stato spedito quel messaggio, ma non lo fa, perché... perché ha paura di sapere la risposta.

 Non arriverà mai, vero? ...Un momento diverso tra noi... Nel senso che oltrepassiamo la soglia...

Si sente stupido per davvero, guardando il foglio fresco di stampa si chiede cosa vuole, che senso ha avere in mano quel messaggio se lui stesso non lo vuole sapere?
‘Credo che in realtà sono il primo che vorrebbe oltrepassare la soglia’ ma è anche il primo che nega quello che prova perché, qualsiasi cosa sia, ne ha timore.










   
 
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