Buon 2015! Che sia un anno ricco di emozioni e novità per tutti, io intanto lo inizio proponendovi come piccola novità il nuovo capitolo. A quanto pare doveva arrivare il nuovo anno affinché io pubblicassi, perdonatemi, ma tra impegni universitari ed altri progetti di scrittura, non è sempre facile continuare, ma state sicuri che non sarà abbandonata la fanfiction.
Questo capitolo doveva essere diverso, ho tagliato una parte che sarà nel prossimo capitolo ed anticipato un episodio, un ricordo, che volevo inserire dopo un po' di capitoli. Inoltre ho sperimentato un metodo di scrittura meno letterario, più da young adult americano, ma la presenza di punti e virgole non lo rende propriamente tale (se non sperimento con le fanfiction i vari metodi di scrittura, quando posso farlo?).Spero che vi aggradi il risultato finale e se non capirete i processi mentali di Eric e Kyle, state tranquilli, è tutto nella norma.
Carry on
my wayward sons...
“…dunque ad ogni
finale di stagione si sente questa canzone?”.
“Kyle, Il road so far è il momento
più emozionante, taci!”.
Da quando conosce Cartman, quella è la prima imposizione che Kyle decide di
rispettare. E questo la dice lunga su Kyle, sul loro rapporto, su quello che
sono sempre stati.
Kyle osserva Eric, si distrae dallo schermo per cercare emozioni sul volto
dell’altro. Ha fame delle sue emozioni, ha speranza in esse e quando le vede
gli angoli della bocca si alzano; sorride vedendo gli occhi lucidi di Cartman,
sorride per il dramma che sembra vivere in quel momento.
Kyle non lo
ammetterebbe mai, ma è contento di notare un lato umano in Cartman, troppo
spesso lo convince del contrario, gli fa paura, ma davanti lo schermo, vedendo
qualcosa di irreale e distante dal loro mondo, Cartman riesce ad essere visibilmente
emozionato.
Kyle si domanda se Cartman non sia la conseguenza della crudeltà del mondo, la
somma di abusi, di violenze, di crudeltà indirizzate ad un ragazzino che aveva
l’unica colpa di esser stato troppo ingenuo, troppo grasso e troppo legato a
sua madre.
Abbassa lo sguardo e sa di avere la risposta, sa di essere anche lui responsabile.
Un’infanzia difficile però non può giustificare tutto, non può giustificare quella
totale mancanza di empatia, quanto sovradosaggio di sadismo.
Kyle da bambino non si rendeva conto di molte cose e, tutt’ora, crede di
ignorare molto riguardo Cartman. Non sorride più, ma si siede più vicino a
Cartman; non è bravo ad usare certe
parole con lui, ma vorrebbe che il suo gesto fosse notato e tradotto: “sono qui. Se vuoi sono qui, per te”.
“Ti andrebbe di fare altro?” esordisce Kyle dopo sei serate trascorse con
Cartman guardando Supernatural.
Non gli dispiace trascorrere così il tempo, la
serie gli piace, ma non ne è entusiasta, è lì per una serie di motivi che non
ci si aspetterebbe da lui: per Lola, per non stare a casa sua, perché... vuole
del tempo con Cartman, anche se quest’ultimo motivo non lo comprende a pieno e
non riesce ad ammetterlo a se stesso.
Kyle vede un guizzo di gioia negli occhi di Cartman, è entusiasmo.
Probabilmente non aspettava altro. Mette in pausa la TV e si sistema sul divano in modo da portare
tutte le sue attenzioni su Kyle. Bisogna chiarire, la posizione abituale che ha
sul divano, pur essendo davanti alla TV, gli permette di guardare in faccia chi
ha al suo fianco: basta che lui sposti lo sguardo di 15° a sinistra e la vetrina
al fianco della tv gli permette di vedere il volto del suo ospite; non si
perderebbe mai le espressioni di Kyle davanti a una serie figa, ma un contatto
visivo diretto è necessario in quel momento affinché possa mostrare tutto l’entusiasmo per la
domanda che aspettava.
Non è esattamente come Cartman immagina, ma una parte (folle) di se spera che
tutto il sottotesto omoaffettivo del
telefilm spinga Kyle, dopo tutti quegli episodi, a desiderare la parte
omoerotica, e non tra gli attori, ma tra di loro.
“Cosa vorresti fare? Considerando l’ora e l’inesistenza di una terza parte tra
noi, se ti va un po’ d’azione capisco e se insisti tanto non mi tirerò
indietro, sai, per noia e perché è sempre meglio una persona che conosci ad un
estraneo, quindi...” ...quindi Kyle lo guarda confuso e spiazzato, non capendo
a cosa alluda, ma considerando il soggetto non vuole neanche investigare sulle
idee folli di Cartman, specialmente perché non vuole litigare.
“In realtà non ho voglia per niente d’azione, non mi va di spostarmi”.
“Ma il divano è perfetto, non serve spostarsi!”.
“Già è perfetto” il tipo di risposta che prende in contropiede Cartman e un po’
gli fa male. Per una volta vorrebbe che Kyle non fosse un ingenuo o, almeno,
che sia frustrato sessualmente quanto lui... abbastanza da essere disperato
insomma.
“Non l’ho ancora fatto vedere a nessuno” incalza l’ospite mettendo in serio
disagio il padrone di casa.
Cartman sa che Kyle non sta pensando a quello che pensa lui, ma quella piccola
parte di se un po’ ci spera, hanno quindici anni ormai ed è perfettamente
normale avere certi desideri e voglia di soddisfarli, Cartman in particolare ha
voglia di soddisfare il suo desiderio di Kyle dalla preadolescenza.
“Un po’ mi mette imbarazzo mostrartelo, però una parte di me pensa che tu sei
la persona giusta per...”
“E smettila!” Eric si pente subito d’aver alzato la voce, ma Kyle gli sa
rendere la vita difficile. Scuote la testa e cerca di normalizzare l’atmosfera
“intendo smettila con i giri di parole e arriva al sodo”.
“Tu promettimi di non prendermi in giro”.
“Farò del mio meglio”.
“Cartman! Sono serio”.
“Va bene, va bene... parola di boyscout”.
Kyle, titubante, avvicina lo zaino che aveva abbandonato a terra e ne estrae
una cartellina trasparente contenente
dei fogli a righe su cui Kyle ha scritto con penna nera. Porge a Cartman lo
scritto, ma senza guardarlo in volto, è troppo imbarazzato per farlo.
Eric estrae i fogli ma prima di leggere non riesce a resistere a una battuta:
“cos’è? Mi hai scritto una letterina? Hai deciso di mettere nero su bianco i
tuoi sentimenti?”.
“Se devi fare il coglione me li riprendo!”.
“Non fare l’acido, volevo spezzare la tensione”.
Ma Kyle già non lo guarda più, è emotivamente provato dall’aver consegnato
proprio a lui qualcosa che in qualche modo lo imbarazza. Eric lo capisce, ed è
emozionato, è qualcosa che non si sarebbe aspettato da Kyle, qualcosa che l’ha
preso contropiede e che lo fa deglutire per sciocche aspettative.
Inizia a leggere e le parole danno vita ad immagini di sangue, violente si
scontrano e costruiscono uno scenario inaspettato di morte e distruzione. Un
racconto, probabilmente dell’orrore essendo Kyle affascinato dal genere, ma
poi si aggiungono particolari, spade, cavalli al trotto, fiamme dal nulla, elfi
dannati... Eric interrompe la lettura per lanciare un occhiata allo scrittore
che ancora guarda altrove. Per le mani ha un lato di Kyle che non conosceva, ha i
brividi, è eccitato dall’idea che Kyle - lì, a pochi centimetri da lui - gli ha
consegnato una parte di se che chissà da quanto tempo tace, una parte
interessante, di cui ora sente il bisogno di conoscere, di esplorare, in ogni
parola, in ogni virgola, in un esistente sottotesto di una battaglia di un
racconto Fantasy.
Vola una pagina, ne vola una seconda e alla quinta la
battaglia si conclude, mostrando vinto un fiero popolo di umani. Ci sono donne
e bambini terrorizzati, corpi di guerrieri su cui urlano padri e madri,
artigiani disperati da quel che l’assalto ha devastato, botteghe in fiamme, depredate di armi e
generi alimentari, in una pagina e mezza c’è uno scenario pietoso e che
suggerisce rabbia, poi la narrazione inizia a concentrarsi su alcuni
personaggi: un giovane paladino ferito per aver difeso l’onore di una donna,
una bella dama che cerca di curarlo con amore e gratitudine nonostante risulti
sia stata lei alla fine a salvare il ragazzo con un’incredibile abilità da
arciere, infine - all’annuncio della morte del re - si eleva un personaggio
carismatico, che si è fatto valere con la magia, uno stregone che riesce che
annuncia la più terribile verità per il popolo. La terribile verità è il furto
di un oggetto prezioso, il più prezioso dall’alba dei secoli di quella terra
fantastica da quanto rivela la narrazione; la città depredata è la capitale del
più grande regno delle terre conosciute, custode di saggezza e di talenti delle
arti del combattimento e della magia la cui fondazione si deve al coraggio di
un gruppo di uomini che riuscì a far valere e predominare la razza umana nel
mondo, protetta da un umile strumento, un bastone grazie al quale fu uccido
l’Oscuro Signore dei Demoni che per secoli aveva dominato il mondo rendendo
schiavi gli uomini, nonché soggetti di divertimento, talvolta anche cibo. Ma
quell’umile strumento, forgiato dall’ultimo mago vivente, riuscì a cambiare le
carte in tavola, a dar vita a una nuova era, affermando la verità del valore
degli uomini sulle forze oscure e su ogni razza che aveva diffidato degli umani,
ma ora che era stato portato via, l’equilibrio era stato spezzato, il domani
prevedeva guerra, il futuro dell’uomo poteva essere l’estinzione se qualcuno
non avesse ripreso il Bastone della Verità.
Eric si ferma davanti a quel nome che compare alla fine della lettura, dopo una
dozzina di pagine.
I personaggi, i nomi, la vicenda assumono una luce diversa ed è doppiamente
entusiasta di quello che ha letto.
“Kyle, sei un genio!” non si era mai davvero concesso di dire una cosa simile,
per il timore che l’ebreo si montasse la testa e che si sentisse per tanto in
dovere di comportarsi ancor più da maestrina.
“Mi prendi in giro?”.
“Per una volta no. Smettila di fare l’ebreo diffidente e renditi conto che...
beh... è straordinario! Un racconto basato sul nostro gioco di ruolo, non ci
credo... potrebbe diventare migliore de Il
Trono di Spade!”.
“Volevo mostrartelo perché sei stato tu a creare la storia del gioco e perché
il protagonista è il tuo personaggio”.
“Lo so, è un fico, non potevi che...”.
“L’ho fatto perché voglio che la storia parli di umanità e il protagonista doveva
essere umano. Non avrebbe avuto un granché senso rendere protagonista il mio
personaggio, un elfo” chiarisce per evitare fraintendimenti, anche se non è
chiaro neanche a lui cosa può fraintendere Cartman, semplicemente gli viene
naturale stare sulla difensiva.
Eric è di buon umore, quindi evita di stuzzicarlo e riporta l’attenzione sulle
pagine lette, come per ricucire dei pensieri per poter dare un parere onesto a
Kyle.
“Non me ne intendo molto di grammatica e punteggiatura, sembra andar bene, mi piace
comunque il ritmo narrativo, è coinvolgente e - anche se ti sei preso delle
libertà sulla storia - è convincente, mi piace come hai reso i personaggi e
come sei riuscito a raccontare l’antefatto della vicenda senza risultare
noioso. Trovo anche fico il fatto che non si capisca chi siano i nemici
perché mascherati, anche se tutti credono sono gli elfi, suppongo che tu non
abbia voluto rendere malvagio il tuo personaggio”.
“E cosa ti fa credere che non riuscirei a renderlo malvagio?” la domanda è posta
con tono incisivamente malizioso.
Eric gli lancia un’occhiata stupita e si lascia distrarre dalla posizione di
Kyle.
Kyle non ha consapevolezza della sua presenza, di quanto riescano ad
essere
intriganti i suoi modi, di quanto siano belli i suoi occhi così
espressivi, di
quanto il suo corpo riesca ad essere aggraziato anche nei momenti in
cui assume
posizioni scomposte; Kyle non ha alcuna idea dell’effetto che
faccia ad Eric vederlo così vicino a se, così poco
vestito (ha solo una t-shirt e dei bermuda,
niente di lanoso e ingombrante), i piedi nudi sul divano con la braccia
che
abbracciano le gambe, in una postura innocente, infantile, accompagnata
da sguardo
e tono maliziosi. Tutto questo fa sentire Eric come se le dita di Kyle
stessero
giocando all’interno dei suoi pantaloni.
“Credi davvero che non riuscirei a creare un elfo dall’apparenza angelica che
gioca d’astuzia, pronto a pugnalare alle spalle rivelandosi una vera
carogna?”.
“Chissà...” risponde vago Eric, che cerca di guardare altrove, tentando di
ignorare quanto faccia improvvisamente caldo.
“Dopotutto ho un ottimo modello a cui ispirarmi” il tono è più suadente e
basso, non ha intenzione di essere sensuale, solo di provocarlo, giocare...
stanno parlando del suo racconto fantasy dopotutto, ignora che Eric ha perso
totalmente interesse e sta leggendo tra le righe messaggi inesistenti.
“Kahl?”.
“Mh?” trasale quando le punte delle dita di Eric gli toccano la guancia.
Esitano, poi l’indice scivola lungo la mascella e raggiunge il mento, lo
solleva, mentre medio e anulare accarezzano distrattamente il pomo d’Adamo.
“Non interpretare ruoli che non ti si addicono, finiresti solo per pentirtene”.
Kyle non è d’accordo. Inghiotte a vuoto, qualcosa potrebbe sfuggirgli di mano,
qualcosa che non dovrebbe esserci potrebbe palesarsi, potrebbe seguire
un’azione imprevista e un’altrettanta reazione imprevista.
“Se ti baciassi ricambieresti?”
domanda telepaticamente Eric, cercando invano un assenso.
Kyle non distoglie lo sguardo, il volto è più colorato, ma gli occhi sfidano
Cartman a non osare; lo stomaco è in subbuglio, ma non vuole mostrare alcuna
insicurezza, se solo si mostrasse debole accadrebbe il peggio, qualcosa che
farebbe male ad entrambi e che negherebbe con tutto il disgusto del mondo, il
disgusto che meriterebbe.
“No che non lo faresti” trova la
risposta Cartman. “Mi morderesti, ti
rivolteresti come un gatto, mostrandomi gli artigli e rivolgendomeli contro. Mi
prenderesti a calci ed insulti, ma a differenza delle altre volte non mi
perdoneresti mai” e qualcosa lo fa sorridere in questa triste
consapevolezza. Sorride perché è così che vuole Kyle infondo, se fosse diverso
non sarebbe la persona che ama.
“Si può sapere che stai facendo?”.
L’acidità improvvisa e familiare di Kyle fa solo che sorridere di più Eric.
“Non interpretare parole che non ti si dicono, finiresti solo per pentirtene”.
Eric ha un guizzo d’ammirazione per quella risposta e scoppia a ridere
allontanando la mano dal volto tanto amato. “Stavo solo testando il tuo lato da
elfo oscuro. E no, non lo hai” si giustifica dopo la risata, lasciando Kyle
stizzito.
“Volevi perdere una mano per caso?”.
“Smettila di fare lo spaccone. Il tuo personaggio semplicemente non è cattivo,
vero?”.
Detesta quando Cartman scopre le sue carte, ma non può negarlo, voleva solo
prenderlo in giro. Detesta il fatto che lo capisca così bene pur essendo così
diverso da lui.
“Può darsi...”.
“Sì o no?” insiste il padrone di casa.
“Perché dovrei...”.
“Sì o no, Kahl?”.
“Sei odioso Cartman!”.
Ormai quel tipo di insulti non sono neanche tali, fanno ridere il diretto
interessato piuttosto.
Ride con contegno, senza eccedere come la sua personalità vorrebbe.
“Vorrei dire detesto aver sempre ragione,
ma non è vero”.
“Sei infantile”.
“Ah, io sarei infantile?” .
“Non vedo altri che te qui dentro”.
“Perché tu cosa sei? Un fantama?”.
“Che spiritoso...”
“Un Fantaebreo?”
“Eh?” poi capisce e alza il tono, perché non ha alcuna intenzione di sentire
Cartman canzonarlo con stupidi nickname coniati usando il suo credo. “No
Cartman non cominciare, non...”.
“Non pensavo che esistessero i fantasmi ebrei, siete anche voi repulsivi
all’aglio?”.
“Non siamo vampiri!” e mentre afferma ciò si rende conto d’aver implicitamente
affermato altro, ma non fa in tempo a correggersi. Ormai Cartman è partito
dietro le sue insensate fantasie.
“Sei un vampfantaebreo! Cavolo Kyle,
potrei scriverci su uno urban fantasy,
o, ancor meglio un paranormal romance,
dato che vendono così bene nonostante siano scritti di merda. Però se sei un
fantasma non puoi mordere, o - nel caso si possano materializzare i denti -
dove andrebbe poi il sangue? Lo perderesti come se... oddio, ecco perché hai il
ciclo continuo!” ride a crepapelle dell’immagine che si figura nella sua mente,
come se avesse dieci anni e fosse ancora il cazzone dalle strampalate idee
senza senso. Un po’ infantile lo è, non può negarlo, ma attribuisce - come è
solito - la colpa a Kyle, perché gli serve idee che lo aiutano a creare
immagini che calzano perfettamente con la sua persona.
“Non fa ridere, smettila!” e gli toglie di mano il prezioso primo capitolo di
un’idea che si pente d’aver fatto leggere.
Cartman, dal canto suo, neanche ascolta Kyle, cade dal divano e inizia a
rotolarsi teatralmente per terra, non tanto perché l’idea lo fa divertire, ma
perché adora sentire Kyle urlare in sottofondo con tutta la sua irritazione
vagin-
...no, in realtà ride perché il tutto è davvero ilare.
“Lo intitolerò Legame di sangue. E
sarà la storia d’amore più intensa che si sia mai letta!” dichiara come
un esaltato per poi fare risate ancor più grosse che lo impongono di tenersi la
pancia tanto gli fa male lo sforzo. “Una povera sfigata con le mestruazioni
più dolorose del mondo incontra un ragazzo che gli dice farà di tutto per non
farla più soffrire. Lui così la morde e sarà lui avere il ciclo ogni volta al
posto di lei, con tutte le conseguenze ormonali del caso, alleviando solo per
metà le sofferenze della poveretta!”.
Alla nuova risata Kyle non resiste e, armato del primo cuscino che afferra, si
getta sopra Cartman, iniziando a colpirlo non troppo violentemente, ma - spera
- abbastanza forte da impedirgli di dire nuove stronzate.
“Sei un cretino, finiscila! Giuro che ti mordo davvero se non la finisci!”.
“Per il titolo, vero?” cerca di difendersi facendosi scudo con le braccia
“...preferisci sia Morsi d’amore?” e
a quel punto arriva l’ultima cosa che Cartman si sarebbe aspettato e che non è
esattamente un morso d’amore. Eric,
dopo il primo lamento di dolore, rimane paralizzato; guarda incredulo davanti a
lui: Kyle ha davvero affondato i denti contro il suo braccio, nella parte
morbida lontana dalle vene, ma non troppo distante dal polso.
Il morso va oltre il secondo di tempo, a quanto pare Kyle è intenzionato a
trattenerlo a lungo, finché probabilmente non gli chiederà perdono e con
gentilezza non lo supplicherà di lasciarlo.
Gli occhi di Kyle lo guardano furenti, con sfida, aspettando che le labbra di Eric si
schiudano per dovute scuse.
Eric alla vista di quegli occhi si morde le labbra e trattiene il dolore, sa
che è stupido, ma quello che sta facendo più che doloroso è eccitante. Kyle è
sopra di lui, l’estate vuole che entrambi abbiano pochi vestiti e quindi può
sentire la pelle contro la sua, il suo peso su di lui, un peso quasi
insignificante. E poi quello sguardo... Dio, quello sguardo... è la cosa che più lo eccita al mondo, è la
motivazione di tante - forse troppe - stronzate che ha fatto nella sua giovane
vita. E quel morso, se non fosse per qualche dettaglio, potrebbe essere un
succhiotto mal riuscito. Se solo fosse altrove, sul collo... oh come lo
vorrebbe, come vorrebbe che facesse il vero vampiro con lui, invece ricorda più
un mannaro che non intende lasciarlo per ragioni che non vuole dargli vinte,
perché solo così può sentire le labbra che più brama al mondo sulla sua pelle,
così morbide, perfette... nel posto sbagliato.
Il pensiero che le labbra di Kyle siano altrove lo intriga al punto che sente
un brivido corrergli lungo la schiena per poi colpirlo nelle parti basse, un
colpo ben assestato che lo fa gemere e rende lucidi gli occhi.
Dura una manciata di secondi questa estasi, poi viene preso dal panico, il timore che Kyle senta qualcosa che
non dovrebbe sentire lo porta a dare soddisfazione a Kyle “...per favore...
lascia-” ...ma non termina la richiesta che Kyle si è già allontanato.
“Quanto sei cretino!” sibila velenoso Kyle che prende bene le distanze dalla
sua vittima.
Anche se insulta Cartman ce l'ha con se stesso e la sua ingenuità; è
bastato vedere per un attimo quegli occhi diventare oro lucido che il suo
stomaco si è contorto dal piacere e poi... quel secondo gemito... è stato come
una carezza sotto la maglietta, ha avuto paura di bruciare e di mostrare a
Cartman qualcosa per cui sarebbe morto di vergogna e, peggio, Cartman avrebbe potuto
usare contro di lui quel qualcosa, spingendolo ad un’umiliazione totale.
Pensa che delle scuse siano necessarie, ma sono congelate nella sua bocca; si
sforza la apre, ma nessun suono esce. Si dice che è facile, è solo una parola,
cinque lettere. Si volta verso Cartman per far uscire quel macigno, ma non
riesce a dire nulla vedendolo correre in bagno.
‘Gattini morti, gattini morti, gattini
morti...’ ripete Eric chiudendosi in bagno.
Lascia che immagini raccapriccianti entrino nella sua testa, violente da far
male, perché il suo inguine sta male dall’insoddisfazione.
Non può credere che quello che ha vissuto sia stato reale. Il respiro di Kyle,
il peso di Kyle, lo sguardo di Kyle, il profumo di Kyle, il morso... li ha
tutti sentiti sulla sua pelle. E ne è rimasto un residuo.
Guarda curioso l’impronta dentale sul suo braccio, rossa e ben definita; passa
quasi con timore un dito e si rende conto che non è un’impressione, è davvero
umida la pelle... quella è la saliva di...
Non conclude il pensiero che porta la punta dell’indice alla bocca. Non sa di
niente, ma si illude che abbia un sapore, che sia speciale, delizioso e per
questo segue un bacio sulla pelle morsicata, dove è più umido, dove Kyle ha
lasciato il segno.
Bacia quella parte di se come se fosse Kyle, come per catturare qualcosa di
unico perché destinato a non ripetersi.
Un’ondata di euforia lo colpisce e sale dalla punta dei piedi fino a ciuffi
ribelli, ma dura solo qualche secondo finché non viene colpito dalla dura
realtà e il petto si riempie di tristezza.
Ha solo una parte di Kyle, una parte inconsapevole, un residuo lasciato senza
pensiero. No, non è una parte, è inutile che menta, non ha nulla di Kyle se non
un’illusione.
“Cartman?” bussa alla porta, ripentendo il suo nome per una seconda volta.
La voce di Kyle s’intromette nel bacio, trasformando la tristezza in crudeltà.
Kyle non è con lui, è dall’altra parte del mondo, un mondo da cui Eric fugge.
“Cartman? Stai bene?”.
Può sentire note di colpevolezza nella voce. Torna alla realtà, dov’è Kyle,
dove deve appartenere.
Apre il rubinetto e lascia che acqua gelata dia sollievo alla parte lesa del
braccio, gelando anche le sue fantasie e quella sciocca eccitazione.
Mentre l’acqua scorre, scorrono anche i suoi pensieri, la testa è esattamente
come un rubinetto il cui getto aperto fa uscire quantità incredibili di
pensieri; pesca però un pensiero in particolare, la sua idea malsana di non dar
mai sfogo all’eccitazione, di non toccarsi mai, non per il suo credo, ma per
una questione di principio: nessuno può soddisfare i suoi desideri sessuali se
non Kyle, ergo vuole che nessuno - neanche se stesso - dia sollievo alle sue
eccitazioni; le sue parti intime, come le sue fantasie, sono solo per Kyle e
aspettano solo lui. Si chiede se mai si avvereranno, se mai ci sarà qualcosa di
reale tra loro.
Quando chiude il rubinetto, i suoi pensieri ancora fluiscono, ma cerca di
ignorarli e quando apre la porta - davanti a un bellissimo Kyle tra il
preoccupato e il furioso - riesce a dire disinvolto: “mi stavo solo accertando
di non esser diventato un vampiro. O uno zombie”.
“Quanto sei creti-”
“Non sono io quello che morde le persone, Daywalker”.
E Kyle acquista colore levando lo sguardo, incapace di chiedere scusa ma solo
di tormentarsi le dita.
Crea un notevole spazio tra di loro, consapevole d’aver
fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, ma insicuro di quali conseguenze abbia
portato, di cosa abbia turbato tanto Cartman che - lo sa - gli sta nascondendo
qualcosa.
“Dato che stai bene, io torno a casa. Mamma mi ha mandato un
messaggio, vuole ritorni” Kyle non è mai stato così
bravo nel dire le bugie, ma
Eric non glielo fa presente e lascia che prenda le sue cose per andare
via,
anche se non vorrebbe si allontanasse, ma ha troppa paura di fare
qualcosa di
cui pentirsi per sempre. Dopotutto è così bravo a
rovinare le cose belle che ha
per mano.
“Beh io vado” fa Kyle aprendo la porta di casa Cartman, come non fosse
un’ospite.
Eric lo ferma, con passi veloci arriva a Kyle e lo blocca prendendolo per un
braccio e facendolo trasalire. Non vorrebbe fermarlo, ma le immagini che
scorrono nella sua testa, tentativi falliti di essere più che amici, lo
tormentano. Ha l’urgenza di parlare, di una risposta.
“Non arriverà mai, vero?”.
“Cosa?”.
Kyle guarda in avanti, guarda la porta, non lui. La sua urgenza è quella di
uscire da lì.
“Un momento diverso tra noi”.
“Diverso in che senso?”.
“Nel senso che oltrepassiamo la soglia”.
Gli occhi verdi guardano increduli il nulla davanti a se, ma non trasale Kyle, diventa
di ghiaccio nonostante il caldo. Non può fraintendere quelle parole, può solo
fingere, nonostante non sia la sua specialità.
Entrambi sanno di cosa non stanno
parlando, entrambi sanno che tra loro c’è qualcosa di più tra gli insulti e
Kyle è convinto che quel qualcosa sia un mostro, che non deve essere svegliato.
Cartman però ha diritto a una risposta, non che la meriti, ma i diritti sono
anche di chi non li meriterebbe, così come la gentilezza.
“Ci sono volte in cui la tua compagnia mi piace. Forse mi rende felice o...” cerca
le parole giuste, ma qualsiasi esse siano, Kyle - pur trovandole - non saprebbe
riconoscerle, perché non vuole svegliare il mostro, perché non conosce il
mostro, perché la semantica vuole che dietro la parola mostro si nascondano unicorni o arpie, perché i mostri sono le
creature fuori dall’ordinario, esattamente come il loro rapporto o - ancor
meglio - come potrebbe essere.
“...o forse ne ho bisogno. Non lo so. Qualcosa di diverso non saprei neanche
immaginarlo e, in realtà, non so neanche cosa stai immaginando, perché non
dovrebbe andare bene così? Sei il primo in fondo che lo ritiene divertente”.
Eric lo ascolta, lo guarda; gli trema leggermente il labbro inferiore perché
vorrebbe dire cose, mentre Kyle dice le sue cose, cose che Eric non crede di
capire, non sa come prenderle, forse bene, perché Kyle sta parlando con voce
pacata, gentile, eppure non lo guarda, come se mentisse, come fosse un codardo.
Eric vorrebbe interromperlo e dirgli che ha letto quel libro che Kyle ha
osannato il mese scorso, letteratura, roba seria, letteratura inglese per esser
pignoli, Oscar Wilde. Kyle non lo sa, ma Eric legge sempre qualsiasi cosa Kyle
legga, persino tante di quelle cose troppo hippie ed ebree, libri che darebbe
al rogo, che non gli piacciono, ma quel libro - Il ritratto di Dorian Gray - gli è piaciuto, aveva tante belle
frasi e dei personaggi fighi, in cui poteva paradossalmente immedesimarsi. C’è
stata una frase che l’ha colpito di quel libro, una frase che fa eco nella sua
testa in quel momento: l’artista è il
creatore di cose belle.
Eric non crede di essere un artista, ma pensa che quel momento sia bello, sia
onesto, ed è stato lui a crearlo e forse potrebbero esistere altri momenti
simili, altre cose belle, belle come quel sorriso nervoso e i ricci che
ricadono disordinatamente sulla fronte di Kyle.
Vorrebbe parlare, dirgli che ha letto quel libro, che gli è piaciuto, che
quella frase l’ha colpito e che - se solo Kyle volesse - potrebbe diventare un
artista, creare cose belle, crearle per lui, ogni giorno.
Se parlasse, se dicesse quelle cose, si chiede se Kyle immaginerebbe qualcosa
di diverso; l’ebreo lo giudica perché conosce solo il Cartman fastidioso ed
infantile, ma se gli dicesse che c’è dell’altro in lui, un altro Eric che Kyle
stesso ha ispirato, sarebbe diverso?
Nonostante il caldo umido, Eric sente freddo, un brivido gelido arriva dai
piedi alla testa, poi un flash, un ricordo, il ricordo. Sorride.
“...è perché non sono perfetto?”.
Kyle finalmente lo guarda, con occhi grandi, increduli, in totale imbarazzo.
Non vuole stare al suo gioco però, qualsiasi esso sia, non vuole assecondare
Cartman, crede d’esser stato già fin troppo gentile.
“Scendi dal tuo Olimpo o ovunque ti stai immaginando. No che non sei perfetto,
Culone”.
Il sorriso di Eric si piega in una curva malinconica.
Eric pensa che vada bene così, anche come congedo va
bene e non aggiunge altro mentre Kyle esce ancora una volta dalla sua vita.
Il primo ricordo
di Eric è sua madre, un ricordo molto confuso, in cucina, probabilmente mentre
lo imboccava; non è certo di nulla se non che lei era bellissima e con un
buon odore, come sempre.
Era il centro del suo mondo, l’unica al mondo.
Eric non l’ha mai saputo, ma per Liane, in quanto ragazza madre,
furono davvero
difficili i primi anni di vita di Eric, evitava il più possibile
di uscire
fuori casa, evitava le persone, non aveva contatti con Jack Tenorman,
ma mille
persone che parlavano per suo conto e le davano generose somme di
denaro perché
non dicesse nulla su chi fosse il padre del suo bambino. Era umiliante,
credeva
South Park fosse una speranza quando era andata via del Kentucky, una
cittadina
di montagna tranquilla in cui metter su famiglia dopo essersi affermata
in un
ambito lavorativo, invece - dal primo giorno in cui aveva messo piede
in quel
posto - era stata risucchiata da un vortice di problemi tali che molte
volte
l'avevano portata a formulare pensieri orribili. Le cose però in
qualche modo erano andate e a Eric aveva donato solo sorrisi.
Il piccolo Eric però, per via inconscia, aveva compreso il disagio della madre, l’angoscia
del vivere in quella cittadina dalla quale non poteva scappare e questo faceva
di Eric un bimbo molto introverso, che non parlava con nessuno e che odiava
uscire di casa, attività che il più delle volte lo portava a scoppiare in
lacrime. Niente di questo è nella memoria di Cartman, il suo ricordo
più nitido - il suo secondo ricordo - è stato fuori dalla sua casa, in un’ordinaria
giornata di neve.
Liane aveva portato Eric a far conoscenza con i bambini dei
vicini, avrebbe presto iniziato l’asilo e voleva che non fosse
per lui
un’esperienza traumatica, ma un’occasione di divertimento e
socializzazione. Eric ricorda i suoi passi incerti nella neve, ricorda
il sole che non rendeva
gelida la giornata, ricorda che stava camminando in un giardino non
suo,
ricorda altre voci di bambini e la sua mamma che teneramente gli diceva
“vai a
giocare con gli altri bambini”.
Per Eric erano novità, nocità che non gradiva,
tutto non gli piaceva, lo trovava
seccante, voleva andare a casa, non era per nulla felice ed era sul
punto di
scoppiare in lacrime. Ricorda il groppo alla gola, doleva, voleva
liberare urla
e lacrime, tornare tra le braccia della sua mammina e giocare con lei
nella
neve. Qualsiasi suo proposito di fare i capricci però fu
interrotto da un peso
morbido che andò contro di lui e, senza fargli male, lo travolse
e lo
stese nella neve. Fu confuso, stordito, al tal punto che scordò
di piangere e
fu rapito dalla prima cosa che notò guardando sopra di se:
grandi occhi di un
verde prezioso che riflettevano una gioia che ancora ad Eric era
sconosciuta e labbra sorridenti che il freddo rendeva ancor più
rosse, come i ricci che uscivano fuori da un buffo cappello di un
verde prato.
Ciò che pronunciarono quelle labbra così rosse Eric non lo avrebbe mai
dimenticato. Nonostante usò un linguaggio incerto e impastato, tipico di un
bimbo che ancora non ha tanta dimestichezza con la grammatica, Eric le conserva
tra i ricordi pulite di ogni sbavatura lessicale.
“Sei perfetto!”
Fu come se un gigantesco pallone fosse scoppiato nel punto più alto del cielo,
libero.
Fu come se la gioia di quel bambino diventasse anche sua.
Le guance rosse per il freddo, diventarono ancor più accese e lentamente Eric
sorrise, fu felice. Forse il mondo non era così spaventoso.
E poi la mano del bambino si allungò verso il suo volto, Eric colto di sorpresa
chiuse gli occhi e in un attimo sentì sfilarsi il cappello che fu preso dal
bambino dai begli occhi che corse via da lui, lasciandolo con una cocente
quanto indefinita delusione.
Eric lo seguì con lo sguardo mentre si rialzò e vide il ladro del suo cappello
raggiungere un pupazzo di neve che aveva una stazza molto simile alla sua e al
quale fu posto proprio il suo capello sulla testa ghiacciata.
“Ora non ha più freddo!” esclamò un altro bambino dal cappello blu. Aveva lo stesso
sorriso del ladro del suo cappello, la stessa luce negli occhi e per questo Eric si
avvicinò con passi incerti agli altri due bambini, così contenti che il loro
grosso amico di neve avesse un capello, un cappello della sua misura e che
andava a completare la sua espressione felice fatta di bottoni (per la bocca),
formine a stella (gli occhi) e una carota (per il naso).
“Quello è il mio cappello!” piagnucolò Eric una volta vicino ai due bambini,
intenzionato a riprendersi l’indumento senza il quale sentiva freddo alla
testa.
Fu ignorata la sua lamentela, tanto che il bimbo dal cappello blu - dal quale
uscivano ciuffi neri - esclamò “e quella è la mia sciarpa!” indicando una
lanosa sciarpa color senape che avvolgeva il loro amico di ghiaccio.
Il bambino dai begli occhi verde smeraldo, invece, indicava dei guanti su dei
rami che erano le braccia del pupazzo di neve. “Sono i miei guanti!” disse a
gran voce, con una nota di orgoglio.
Eric pensò che era davvero un bel pupazzo di neve.
“Senza cappello non è perfetto!” puntualizzò ancora il bambino con i begli
occhi, stavolta sorridendo a bocca aperta e mostrando l’assenza di due denti.
Eric trovò buffo quel bambino, ma ricambiò il sorriso, sentendosi importante per
il suo cappello celeste dai bordi gialli, il cappello che rendeva quel pupazzo
di neve perfetto.
“Come ti chiami?”.
Eric si rese conto che mai aveva parlato con qualcuno che non fosse sua madre,
la sua mamma che lo chiamava Eric e... lui voleva essere Eric solo per lei, non
voleva altri pronunciassero il suo nome. Era l’ometto della sua mamma, quindi
questo faceva di lui il Signor Cartman, ne era sicuro, per questo mormorò “Cartman”.
“Io sono Kyle” fece l’altro bambino, indicando poi il timido moro vicino a se
“e lui è Stan”.
“Tu sei Kahl...” ripeté Eric come
rapito da quel suono. Era un nome bello, come i suoi occhi e il suo sorriso.
“No, Kyle”.
“Kahl”.
“K-y-l-e!”.
“Ma Kahl mi piace di più” protestò Eric, come se la sua obiezione fosse
legittima.
“Ma non
è il mio nome!”.
“Neanche Cartman è il mio nome”.
Né Kyle né Stan capirono cosa Eric intendesse, ma ad Eric sembrò tutto logico:
Cartman sarebbe stato il suo nome per gli altri e lui avrebbe chiamato Kyle,
Kahl.
I suoi nuovi amici trovarono stupida l’idea e risero di lui; Kyle in
particolare trovò il modo per rendere sua la filosofia di Cartman: “se mi
chiami Kahl allora io ti chiamo Culone”.
Per Eric quelle parole furono uno choc, il suo primo vero choc, che lo fece
scattare subito sulla difensiva: “io non sono grasso, ho le ossa grosse!”,
ma nessuno dei due gli prestò attenzione e lo canzonarono con quel nome, come i
bambini usano fare con coloro che considerano amici.
Eric provò per la prima volta qualcosa di oscuro che avrebbe battezzato come odio una volta cresciuto,
ma mentre il petto si gonfiava con questo spiacevole sentimento, il suo sguardo
era del tutto rapito dal bimbo dallo strano cappello, dal suo sorriso sdentato,
dai ricci rossi che il capello non riusciva a coprire. In qualche modo seppe
che quello che avrebbe provato per quel bambino non sarebbe mai stato solo odio,
così come fu certo che sua madre non sarebbe stata più il centro del suo mondo.
Quel ricordo era importante e felice, quanto denso di tristezza, perché Eric
era consapevole che per Kyle lui mai sarebbe stato perfetto come lo era stato
al loro primo incontro.
Era mezzanotte quando in casa Brovflovski la stampante si accese per
riprodurre in bianco e nero, ciò che la schermata del pc mostrava in bianco e
blu.
Non era un documento importante, né un’immagine particolarmente bella, era...
una stronzata in realtà, una stronzata sulla quale Kyle si era fissato.
“Hai degli occhi bellissimi”.
Sono passati dei mesi, ma ancora tiene su Ask quel messaggio tra le domande
ricevute che non hanno avuto ancora risposta.
Si sente stupido Kyle, si sta comportando come quei gruppi di adolescenti che
odia. Potrebbe non dare alcun peso a quella frase, però... si chiede se quello
che è successo diverse ore prima a casa di Cartman non sia un segnale,
qualcosa per cui dovrebbe sapere che la domanda è stata inviata da lui.
Potrebbe saperlo facilmente in realtà, le sue abilità di hacking in meno di
mezz’ora lo porterebbero a trovare l’IP del computer da cui è stato spedito
quel messaggio, ma non lo fa, perché... perché ha paura di sapere la risposta.
Non
arriverà mai, vero? ...Un momento diverso tra noi... Nel senso che
oltrepassiamo la soglia...
Si sente stupido per davvero, guardando il foglio fresco di stampa si chiede
cosa vuole, che senso ha avere in mano quel messaggio se lui stesso non lo
vuole sapere?
‘Credo che in realtà sono il primo che
vorrebbe oltrepassare la soglia’ ma è anche il primo che nega quello che
prova perché, qualsiasi cosa sia, ne ha timore.