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Autore: L0g1c1ta    01/01/2015    1 recensioni
Dieci ragazzi e una professoressa.
Ognuno di loro ha una storia. Ognuno di loro ha un passato.
Passano insieme quattordici giorni di vacanze all'estero e insieme decidono di fare un rito per entrare nel Regno dell'Incubo, risvegliando l'Uomo Nero ed entrando nel suo mondo.
Mano a mano che esplorano il luogo si rendono conto che anche i Guardiani e altri spiriti si trovano costretti ad abitare in quest'isola ove sono ricercati dalla reale padrona del Regno: Macula Sanguinea.
Tra umani e spiriti si cuciranno rapporti d'amicizia o inimicizia.
Riusciranno a tornare a casa?
Riusciranno a sfuggire dalle mani della megera Macula Sanguinea?
Riusciranno a scampare alla morte?
Genere: Angst, Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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“Va un po’ meglio?” le chiedo, dopo averla coperta con una copertina imbottita. Le sue piume sembrano prendere vita: si muovono e si smuovono come le penne di un uccellino. Ho trovato questa coperta per non far prendere freddo alle sue ali ghiacciate. Mi sorride un po’ imbarazzata.
“Si, non ho più freddo” annuisce più volte.
“Se vuoi vado a prenderne un’altra…”
“No, non serve. Grazie, Gianni. Non preoccuparti per me” la guardo ancora, è un po’ tesa. Non credo di aver detto qualcosa di male…
“Cerca di dormire, abbiamo camminato molto” dico, cercando di chiudere la porta. Mi sorride dolcemente.
“Gianni, non preoccuparti troppo per noi. È una buona cosa che tu… che tu sia in pensiero per me e per Cecilia. Ma non ti devi affaticare troppo, per favore” dice, cercando di coprire Ceci con un’altra copertina, vicino a lei. Ceci dorme. È crollata subito, dopo aver viaggiato per così tanto tempo. Non so mentire, non posso prometterle di non preoccuparmi per loro. Mi raggiunge.
“Cerca di dormire, sei stanchissima”
“Dormi anche tu: sei esausto, hai bisogno di riposare” poggia una mano sulla mia guancia. Non posso nemmeno prometterle questo, non so mentire a nessuno, nemmeno a lei, una fata, una fatina molto perspicace. Abbassa la mano. Mi guarda preoccupata. Sospiro e chiudo la porta dietro di me. Sospiro ancora e comincio a camminare per il breve corridoio. Questo posto sta cadendo a pezzi. Raggiungo quello che un tempo remoto doveva essere un salotto, piccolo. Guardo fuori dalla finestra: continua a nevicare senza sosta. I vetri delle finestre sono rotti o scheggiati. Odio stare in questo posto. Non c’è nessuno fuori e non credo che qualcuno abbia intenzione di fare una passeggiata con un tempo del genere. Crollo sul divano. Sono stanchissimo, ma non riesco a dormire: non voglio che qualcuno entri.
Abbiamo viaggiato per un tempo infinito. Non so nemmeno quante settimane siano passate. So solo che è passato moltissimo tempo. Da quando abbiamo incontrato quella rossa come il vino, non abbiamo fatto altro che viaggiare dalle fogne fino a sud. Fino ai piedi di una strana montagna dal picco bianco. Stabilimmo di scalare il picco: avevamo paura che qualcuno potesse vederci, oppure potesse prendere Dentolina. Siamo arrivati, dopo tante notti senza chiudere occhio, fino a questa città fantasma. È assurdo che una città del genere esista: ci troviamo in una montagna perennemente abbattuta da pericolose tempeste di neve. Inoltre mi sembra abbastanza strano che non ci sia nessuno. Forse l’hanno abbandonata da tempo: tutti i luoghi sono distrutti e pieni di neve. Non ho dormito per due giorni.
Mi sdraio in una posizione migliore sul divano. Forse le ragazze hanno ragione sul fatto che ho bisogno di riposare. Fabi mi aveva detto che il cervello umano è in grado di essere in totale funzione, senza dormire, soltanto per tre giorni, se si supera quella quota, il cervello inizia a spegnersi in automatico e la persona andrebbe in coma. Voglio crederci, ma allo stesso tempo non riesco a pensare ad altro che ci troviamo in un regno dove chiunque incontri voglia ucciderti soltanto perché accompagni una fata.
Viaggiando, abbiamo capito che non c’entrano solo i Guardiani in questa storia, ma anche altri spiriti. Gli abbiamo visti in molti, durante il nostro viaggio. Molti di loro ci hanno dato una mano per continuare a proseguire, altri gli abbiamo visti mentre fuggivano dai Fantasmi (ormai chiamerò così
chiunque abiti in questo postaccio). È dura per tutti qui. Nessuno sa che fine farà se verrà catturato da quei pazzi. Non lo so nemmeno io e non vorrei che la mia Gioia andasse nelle loro mani.
Ci eravamo rifuggiati qui dentro, in questa casetta. È molto piccola, una sorta di casetta montanara per una persona, ma abbastanza per noi. Viaggiando abbiamo trovato anche dei vestiti invernali che io e Ceci abbiamo indossato sopra i nostri. Mi sento terribilmente sporco. Non mi lavo da tempo. Talvolta riesco a lavarmi la faccia con un po’ di neve sciolta e ho trovato delle gomme da masticare per migliorare l’alito, ma, a parte questo, io e Ceci siamo sudici. Per me è un casino, soprattutto perché mi stanno crescendo i capelli. Proprio nel momento sbagliato… Anche a Ceci stanno crescendo: le arrivano lungo il collo. È incredibile come siano cresciuti così tanto. Forse è passato più tempo di quel che credevo. Mi sono anche esercitato a non parlare in napoletano. Sta funzionando, anche se talvolta mi scappa qualcosa dalla bocca. Fabi sarebbe fiera di me.
Chissà dove sia. Chissà dove siano gli altri. Chissà che fine abbiano fatto…
Chiudo gli occhi. Ho sonno, molto sonno…
 
 
 
 
 
Gli riapro lentamente. Ci rinuncio: non riesco a dormire, per niente. Sono troppo stressato.
C’è qualcosa che non va.
Non sono sulla poltrona dove mi ero addormentato, ma sopra ad un letto, imbottito di coperte calde. Ora che ci penso… da dove provengono queste coperte? Nella casa non ci sono coperte. Mi alzo in piedi, confuso. Non sono più nella casetta abbandonata e semi distrutta dove ci siamo rifuggiati, ma in un posto molto più… accogliente. Il legno non è grigio e marcio, ma sembra prendere vita con questo ardente arancione. Non ci capisco niente. Ma… dove sono le ragazze?
“Gioia, Ceci!” appena ho urlato, è sbucato della luce sotto la porta di questa stanzetta. Ho un brutto presentimento. Mi avvicino alla maniglia, la abbasso con più grazia possibile per non far sentire alcun rumore. Dallo spiraglio vedo dei libri verdi ammassati in una libreria.
Oh, Maronn…
Ho visto passare lei. La rossa come il vino. Mi sale l’adrenalina alle stelle. Per sbaglio sono sobbalzato. Si è girata verso il mio spiraglio di porta. Chiude il libro e lo lascia fluttuare per aria. Lentamente inizia ad applaudire.
“Complimenti. Sei arrivato fino a questo punto!” sbatto la porta. Comincio a tendere la maniglia per non farla entrare: qualcosa sta tirando con molta forza, molta più forza della mia. Ci provo con tutta la forza che ho nelle braccia per non farla entare. Pianto anche un piede a terra e un altro vicino al legno della porta. Cedo. La maniglia mi strattona e mi fa inciampare all’interno della biblioteca dove ero fuggito. Mi rialzo velocemente. La rossa non si era mossa di un centimetro, credo che per aprire la porta abbia usato un suo potere magico. Mi tremano le gambe. Sono praticamente di fronte a lei. Si massaggia il mento. Non so come, ma il suo braccio sinistro si è trasformato in qualcosa di atroce: è rosso, senza pelle, troppo grande per il suo corpo snello, artigli neri che accarezzano la pelle del viso.
“Dimmi, ragazzo, dove sono i due di cui ho bisogno?” non rispondo. Mi tremano le gambe. Ho troppa paura che mi faccia del male. Mi giro e comincio a correre. Ho fatto un passo di troppo, credo. Non so come sia possibile, ma sto sprofondando all’interno del pavimento come se fossi nelle sabbie mobili. Sento un vento ghiacciato che mi taglia il volto. Mi paro il volto con un braccio e osservo l’ambiente circostante. La biblioteca sta mutando in un paesaggio invernale. Non sto più sprofondando nel pavimento in legno arancione, ma in un laghetto ghiacciato.
Non so come ci sono finito qui, ma devo uscirne fuori. L’acqua ghiacciata mi congela i piedi fino al petto. Per fortuna non è la prima volta che nuoto d’inverno. Mi lascio abbandonare nell’acqua che mi bagna anche i capelli. Muovo i piedi per darmi spinta. Metà busto esce fuori dall’acqua e afferro del ghiaccio. Lentamente cerco di strisciare fuori dall’acqua. Ci riesco. Continuo a strisciare sul ghiaccio. Sono riuscito a far uscire il bacino, mancano solo le gambe.
Qualcosa mi colpisce alla spalla. Era un colpo talmente potente da farmi uscire completamente dall’acqua e da farmi scivolare sul ghiaccio. Continuo a scivolare, ma il ghiaccio si rompe di nuovo, cado di nuovo nel laghetto. Riemergo dall’acqua, ansimante. Le mie unghie trattengono a stenti il ghiaccio. C’è una figura in piedi vicino al luogo dov’ero sprofondato prima. Solo ora mi accorgo che sta nevicando. La figura ha un lungo bastone dalla punta ricurva, forse grazie a quello mi ha colpito. È incappucciato, non lo vedo bene in viso. Non so chi sia, ma non credo che voglia aiutarmi. Si avvicina lentamente. Cerco di farmi forza con le gambe per uscire dal mio nuovo buco. Ha una felpa blu elettrica coperta di ghiaccio alle spalle.
La figura si ferma di fronte a me. Piega le gambe e mi guarda a pochi centimetri dal naso. Sembra arrabbiato: le sue folte sopracciglia sono piegate minacciosamente e i suoi occhi competono con i miei per l’aggressività. Il vento fa abbassare il cappuccio: i suoi capelli sono bianchi quanto la neve che mi sferza il viso. Mostra i denti, bianchi come il ghiaccio che mi sta facendo tremare le braccia dal freddo.
“Dove sono i due che Lei sta cercando?” credo che abbia la mia età o giù di lì. I miei denti battono per il freddo. Non so il perché, ma quando si è avvicinato la tempesta sembra essere diventata ancor più violenta. Mi viene in mente quella sera in cui abbiamo incontrato Gioia, quando eravamo entrati nella biblioteca. Gioia stava sfogliando dei libri, uno di questi aveva come immagine un ragazzo come questo che ho di fronte a me. Le mie braccia stanno per cedere.
“Prima aiutami ad uscire!” mi guarda come se fossi uno sputo. Mi prende per il giubbotto grigio e mi strattona vicino a lui. I suoi occhi sono di un letale azzurro.
“Dove sono!?”
“Prima fammi uscire, poi ti rispondo!” digrina i denti, arrabbiato. Mi spinge all’indietro. Prima di cadere nel lago l’ho afferraro per il piede. Solo ora mi accorgo che è scalzo. Non so come faccia a non avere freddo. Invece di restare fermo, l’ho fatto inciampare e cadere insieme a me. Non ho paura dell’acqua, nemmeno se è ghiacciata. Ma non credo che sarà lo stesso per lui. Nuoto da quando avevo tre anni, mi esercito quasi tutti i giorni e molti dicono che dovrei partecipare alle gare invece che fare il giornalista come vorrei io. Spesso ci fanno fare delle prove in alto mare per vedere quanto tempo resistiamo prima di stancarci. Il mio record è di quattro ore e ventitrè minuti in alto mare. Però poi non sono più riuscito a muovermi per tutta la gionata. Fabi dice che sembro un delfino. È uno dei pochi complimenti che mi fa.
Lo afferro più saldamente e comincio a trascinarlo più in basso. Sembra che non gli piaccia l’acqua: si dimena forsennatamente e cerca di forzare la mia presa. Sono più forte io di lui. Dopo aver toccato terreno, lo lascio andare e comincio a nuotare fino alla superfice. Non si aspettava che fossi così veloce: si era portato dietro anche il bastone e ha tentato di afferrarmi con quell’arnese uncinato, ma non mi ha afferrato in tempo. Grazie ad una buona spinta, riesco ad uscire fuori velocemente. Mi hanno insegnato che quando ci troviamo in un laghetto e il ghiaccio è sul punto di cedere, bisogna stendersi sulla pancia e spingere il corpo verso la riva.
Sto per farlo, ma getto un occhio nel buco: il ragazzo ha raggiunto la superfice, ma non riesce ad uscire. È nel panico. Credo che non sappia nuotare: si agita, talvolta sprofonda nell’acqua e comincia ad urlare. Mi sale un po’ di pena. Fabi ha ragione: sono proprio un pepe… Infatti sto per fare una cosa stupida…
“Getta il bastone! Non ti aiuterà ad uscire da lì, anzi, ti farà annegare più velocemente!” ed è così: non so perché sia così ossessionato da quel pezzo di legno, ma non lo molla nemmeno per un secondo e lo ostacola molto. Mi risponde gettandomi dell’acqua in faccia. Non mi vuole ascoltare. Afferro appena in tempo il suo bastone, glielo strappo di mano e glielo porgo.
“Prendi la punta!” lo fa. Si calma. Lo tiro fuori dall’acqua con più forza possibile. Rimango sorpreso. Appena è uscito fuori, si riprende con forza il bastone e me lo punta al collo, manco fosse un mitra. Sto cominciando a pensare che quel coso di legno sia magico: delle scintille, non so se sono elettriche, escono e si ricongiungono al bastone. Indietreggio schoccato.
“Dove sono i due?!” sento la gola secca. Questo qui mi vuole fare del male.
“Non… Non… Non ‘o sacc’!” e te pareva… Mi escono anche delle parole in napoletano. Il ragazzo sembra essere diventato più scorbutico: punta il bastone verso il mio petto e credo che gli interessi colpirmi al cuore. Non so cosa accadrà quando lo farà. Morirò sul colpo?
“Dove sono?!” digrina i denti. Scuoto la testa, ho paura.
“Lasciami andare! Non so nemmeno di cosa stai parlando!” si arrabbia. Raddrizza il bastone e sbatte l’estremità sul ghiaccio. Delle scintille azzurre escono fuori e ricoprono tutto ciò che incontrano sotto i nostri piedi. Allo stesso tempo si alza un vento ghiacciato. Credo di aver capito: lui fa tutta questa neve e questo vento.
“I due di cui Lei ha bisogno, dove sono? Rispondimi!” è arrabbiatissimo.
“Chi? Chi sono?” non so di cosa sta parlando. Mi viene in mente la prima volta che ho visto la rossa come il vino. Aveva detto qualcosa di simile, ma non ricordo bene le parole. Aveva bisogno di due di noi, per avere tutto. Mi pare che avesse detto questo.
Il ragazzo sbatte con più rabbia il bastone contro il ghiaccio. Questa volta non esce da esso nessuna scintilla. Il ghiaccio si spacca sotto i miei piedi. Cado dentro l’acqua, ma non ho paura di essa. L’acqua mi ricopre completamente. Apro gli occhi, vedo il ragazzo sporgersi dal buco. Lentamente cado verso le profondità del lago. Il ragazzo punta il bastone verso il buco dove sono caduto. Non so come abbia fatto, ma il ghiaccio ricresce ad una velocità impressionante fino a ricoprire tutto lo squarcio.
Nuoto con più velocità possibile verso il luogo dove avrebbe dovuto esserci una cavità. Tocco il ghiaccio. Sbatto il pugno diverse volte sopra di esso. È spesso, molto spesso. Mi ha rinchiuso dentro. Vuole che io muoia. Il ragazzo se ne va, fluttuando, lontano da me. Non posso crederci che lo abbia fatto, dopo averlo salvato per giunta.
Rinuncio all’idea di poter rompere il ghiaccio. Mi viene in mente un’idea: all’inizio ero caduto in un altro buco. Sono bravo anche a trattenere il respiro. Comincio a nuotare verso la crepa. I vestiti pesanti mi impediscono i movimenti veloci, ma riesco ugualmente a raggiungere la libertà. Cerco di darmi la spinta per saltare fuori.
Perdo molto ossigeno, per la sorpresa ho aperto la bocca. Qualcosa mi sta trascinando velocemente giù, verso il fondo nero e buio del lago. Guardo in basso. C’è qualcosa simile ad un braccio rosso e forzuto. La rossa come il vino. Cerco di dimenarmi. Scalcio. Do più forza alle gambe. Niente. Mi trascina giù. Non riesco a fare nulla. Non riesco a credere che io muoia nel mio elemento. Guardo in alto: la luce del sole mi abbandona e io sprofondo ancora più in basso.
Non voglio morire affogato. Non voglio morire e basta. Non voglio che Ceci e Gioia mi credano sperduto. Non voglio morire. Volevo fare così tante cose. Volevo diventare giornalista, magari sposarmi, avere una figlia. Mi sono ucciso da solo, perché ho salvato la vita ad un altro. Mi allontano ancora di più dalla luce. Sparisce del tutto. Cado nel panico. Mi dimeno e scalcio, ma nulla. È tutto buio e non c’è possibilità di uscirne vivo. La mano mi lascia andare. Non riesco a muovere nell’acqua il mio corpo. È come se qualcosa mi tenesse fermo, nonostante non senta nessun braccio che mi trattiene.
I vestiti mi appesantiscono ancora di più. Non riesco proprio a muovermi. Qualsiasi cosa sia, è molto forte e forse è un incantesimo o qualche tipo di magia nera. Di fronte a me compaiono un paio di giganteschi occhi color ghiaccio. Non so cosa aspettarmi, rimango immobile a guardargli, non so cos’altro fare. Poco lontano dagli occhi, spunta una bocca con denti taglienti, due file di denti, sporchi di rosso, che si avvicinano silenziosamente a me. Gli occhi mutano forma: i bordi si alzano verso l’alto, come la pupilla e come la bocca.
Il sorriso si ferma di fronte a me. La bocca si apre lentamente. Mi manca il respiro. Si avventa su di me, sul mio collo. Provo ad urlare, ma l’acqua mi riempe i polmoni e lo stomaco. Attorno a me fluttua del liquido rosso. Non è la rossa come il vino, non so cosa sia, ma mi vuole morto, anzi vuole mangiarmi. I suoi denti affondano ancora di più nella mia carne. Altro liquido rosso si alza nell’acqua. La creatura strappa qualcosa dal mio collo. Appena rialza lo sguardo su di me, vedo che mastica qualcosa simile ad una gomma rossa e sanguinante. La paura corre in tutto il mio corpo. Di fronte ai miei occhi, ingoia quel pezzo di carne. Sono terrorizzato. Apre ancora la bocca.
“Dove sono i due?” sussurra, nonostante siamo in acqua. Non so nemmeno io come abbia fatto a sentire la sua voce. Ho voglia di piangere. Non so di chi stia parlando. Non so cosa vuole da me. Non so cosa rispondergli per farlo smettere. Mi fa male il collo, sento di aver perso qualcos’altro oltre alla carne. Vorrei piangere, ma non ci riesco per la paura.
“Non so di cosa tu stia parlando! Lasciami!” giuro di non aver mai avuto così tanta disperazione. La mia voce esce fuori con molte bollicine e il mio stesso sangue mi macchia i denti. La creatura, in risposta, mi azzanna ancora il collo, ma nel lato inverso, quello ancora pieno di carne. Mi esce dai polmoni un altro urlo, più lungo e disperato. Mi escono delle lacrime dagli occhi, il dolore è troppo forte e io non riesco a muovermi, è come se qualche incantesimo tenesse il mio corpo bloccato.
Fabiola! Aiuto!” la creatura si ferma, senza strapparmi altra carne. Non so perché io abbia urlato il nome di mia cugina, forse per paura o forse perché qualcosa dentro di me sa di essere spacciato. La creatura mi spinge lontano da essa. Velocemente cado all’indietro, senza fermarmi. È come se l’acqua attorno a me avesse preso il posto dell’aria. Non riesco a capire cosa sia quella cosa, ma mi ha spinto nell’oscurità. Le ombre sotto di me prendono vita. Su di loro si formano dei volti, degli occhi e dei denti bianchi, sorridenti. Sembra che ridano di me, della mia paura.
Si avventano su di me, tutti loro. Urlo ancora.
FABIOLA!
D’istinto prendo in mano la croce che ho al collo. La strappo dal collo e con disperazione la mostro alle ombre. Non so come sia possibile, ma la mia croce s’illumina di una luce bianca che si riflette con l’oro del crocifisso. Quelle mostrano una faccia spaventata, anzi, terrorizzata. Si allontanano velocemente, sbattendo le une contro le altre. La luce della mia croce s’illumina molto più di prima e mi acceca. Ma non mi da fastidio. Mi sento più al sicuro. Vedo ogni cosa di bianco. Non c’è più l’oscurità. Per fortuna che l’ho portato con me, in questo viaggio.
 
 
 
 
 
 
Apro gli occhi. Sono nel salotto della casetta. È stato solo un sogno… Non ricordo molto…
Sono ancora in questa casetta distrutta dalla tempesta di neve. Cerco di alzare il busto, ma qualcosa di delicato mi ferma.
“No, no, Gianni… Torna a dormire…” la mia Gioia. È la sua voce e quelle sono le sue piume disordinate. Lentamente le sue braccia mi fanno stendere sulla poltrona. Mi dimeno e riesco a sfuggire alle sue mani: mi sento scomodo. Guardo fuori dalla finestra. La tempesta si è calmata, ma continua a nevicare ugualmente. È quasi buio là fuori, il cielo è arancione scuro quasi nero. Involontariamente guardo sotto di me: Dentolina mi ha coperto con la stessa copertina che le ho dato la notte prima.
“Stavi tremando dal freddo. Tu hai più bisogno di me di una coperta” dice a me. Non ho mai avuto freddo. Mi giro verso di lei: è ai piedi della poltrona, seduta elegantemente sul pavimento sporco, poggia le mani sulla poltrona. Le faccio spazio. Dopo qualche secondo comprende, si alza in piedi e si siede accanto a me. Copro le nostre gambe con la coperta, anche lei ne ha bisogno quanto me. Ha uno sguardo distrutto. Sembra molto abbattuta, come se non riuscisse a fare qualcosa di cui dovrebbe esserne capace. È molto più piccola di come credessi. Sarà alta quanto mia cugina. Ultimamente non vola quasi mai. Non so il perché, probabilmente perché fa fatica a rimanere in aria. Non riesce nemmeno a sorridere come faceva le prime volte che ci siamo visti. Incrocia i suoi occhi rosa con i miei marroncini.
“Hai lo sguardo perso. C’è qualcosa che non va? Pensi a qualcuno?” scuoto la testa.
“Penso a molte cose e a niente, Gioia. Sono solo triste, tutto qui” si avvicina ancor di più a me. Cerco di tenere le mani lontano dalle sue ali. Ho paura di toccarle, di spezzarle e di romperle. Sembrano molto fragili eppure in realtà sono il perfetto contrario. So che se tocchi le ali di una farfalla si spezzano e pian piano l’insetto muore. Anche se Dentolina è decisamente più grande di una farfalla, ho sempre questa piccola paura.
“Stai pensando a qualcuno fuori da questo regno?” scuoto ancora la testa.
“No, penso solo agli altri che ho lasciato dentro questo regno. Penso a Fabiola, a Leo e… anche agli altri…” mi guarda interessata. I colori delle sue piume sono sbiaditi e senza luce, come i suoi occhi.
“Chi è Fabiola? La tua fidanzata?” dice con un sorriso sincero. Accenno anch’io ad un sorriso. Non riesco a fare a meno di abbassare la testa quando parlo con lei. È pur sempre una fata di cinquecento anni più grande di me e con molta più esperienza del mondo.
“No, ma sono certo che a lei farebbe piacere…” sussurro fra me e me, con tristezza.
“Come hai detto?”
“No, è la mia cuginetta. Sono in pensiero per lei. Insomma, non so nemmeno per quanto tempo siamo qui, non so se stia bene o… non ci voglio pensare…” dico guardandomi le mani. Lei mi cinge le spalle. Sento un brivido quando lo fa.
“Le vuoi molto bene?” mi rabbuio. Questa domanda me la faccio tutti i giorni. Tutti i santi giorni e non riesco a dare una risposta concreta.
“Non ‘o sacc’ manco io…”
“Come?”
“Si, ma… Beh, non so se io voglio molto più bene a lei o lei a me… Ecco… è complicato…” dico mordendomi un dito. Queste cose non si dicono alle altre persone.
“Capisco… è molto protettiva nei tuoi confronti, ma tu non vorresti questo, giusto?” spalanco gli occhi con perplessità. Sempre con gli occhi abbassati, le rivolgo lo sguardo.
“Hai tirato ad indovinare o…?” scuote la testa dolcemente. Questo gesto lo faceva sempre mammà
“Anch’io conosco qualcuno che vuole tanto bene ad una certa persona, è molto protettivo nei suoi confronti, ma non sa se le voglia più bene o viceversa…” sospira scoraggiata. Non so il perché, ma ho l’impressione che stia parlando di sé stessa e di qualcun altro. Credo che sia innamorata. Sorrido più apertamente.
“Chi è il fortunato?” chiedo con complicità. Alza la testa di scatto e arrossisce. Agg’ fatt’ tombola!
“Gianni!” arrossisce ancora di più.
“È uno spirito o un umano? Voglio dire… beh… di sicuro uno spirito s’innamora di uno spirito e non di un umano… Cioè di un mortale, voglio dire! Non intendo che tu non sia un umano, ma che sia più giusto che un colibrì s’innamori di un altro colibrì. Voglio dire!, non che tu non possa innamorarti anche di un essere umano…” ma che cosa sto dicendo…? Sto facendo la figura del razzista. Alzo un po’ gli occhi. Si è arrabbiata e anche molto.
“Prima di tutto, io posso innamorarmi di chiunque, anche di te se possibile. Secondo, non ho mai detto nulla del genere” dice arrabbiandosi di più.
“…e terzo, potresti anche tu innamorarti di tua cugina, se vogliamo essere nell’argomento” conclude in questo modo. Spalanco gli occhi. Sotto di me le mie mani tremano. Sento il cuore sbattere forsennatamente nel mio petto. Questa frase mi ha colpito dritto al cuore. Fa malissimo sentirla dopo tanto tempo.
 
“E perché mai, Giovanni? Secondo te non esiste l’amore fra cugini? Ah! Il tuo volto parla chiaro: credivi che non fosse possibile! Ora credi in questo, Gianni? Guarda come mi hai conciata! Guarda cos’ha fatto la tua essenza su di me e dimmi: quello che provo per te, non è amore?”
 
Quella cupa risata è sempre stata stampata dentro di me. Preme ancora nella mia testa. Sento ancora la nausea che avevo all’epoca. È passato molto tempo, eppure è come se fosse accaduto proprio ora.
“Oh, Gianni, sei pallido! Ti senti bene?” respiro profondamente.
“Comunque, lui è uno spirito, si chiama Jack e non è un ‘colibrì’ come me. Ecco tutto” dice con solennità. Jack… Jack… Questo nome l’ho già sentito…
“Come fa di nome?”
“Che vuoi dire?”
“Come si chiama? Il cognome, voglio dire…” sembra rischiararsi un po’.
“Jack Frost. Anche lui è un Guardiano come me. Dev’essere diventato uno spirito alla tua età. Sai, non so il perché, ma mi ricordi molto lui” giro la testa di lato, non capendo. Mi sorride imbarazzata “Sai perché questo è strano? Non… non gli somigli per niente, sia d’aspetto che caratterialmente! Non capisco perché mi ricordi tanto Jack” ora ricordo. È lo spirito dell’inverno, che porta la neve e il freddo alla fine dell’autunno. Dentolina mi ha raccontato, anche se brevemente, dei Guardiani. Ricordo anche la prima notte che siamo venuti in questo regno. Dentolina è la Fata del Dentino, North è Babbo Natale (non mi sarei mai aspettato un nome del genere!), Calmoniglio è il Coniglietto di Pasqua (la mia Gioia dice sempre di chiamarlo ‘coniglio’, non so il perché), Sandman è l’Omino del Sonno e Jack Frost lo spirito dell’inverno. In tutto cinque Guardiani per circa duemiliardi di bambini in tutto il mondo che si dividono per altrettanti spiriti e creature fantastiche. Ormai non mi sorprende più nulla.
“Perché? Com’è lui? Descrivimelo un po”
“Erm… in cosa devo descriverlo?”
“Inizia dall’aspetto, ma niente femminate! Non voglio smancerie!” le dico con falso tono di rimprovero. Rigira gli occhi con un sorriso.
“D’accordo. Allora…”
Dietro di noi la porta si apre e sbuca fuori Ceci, molto assonnata e curiosa. Si strofina debolmente un occhio per cercare di farlo svegliare.
“Vi sento fino alla stanza da letto. Di cosa state parlando?” l’occhio si riapre. Le sue pupille brillano d’incanto. Dentolina arrossisce ancora di più. La fata mostra un’espressione dispiaciuta.
“Scusa, tesoro. Ti abbiamo svegliata…” lei scuote la testa con energia. Sorride più apertamente facendo oscillare i suoi ricci. Ceci sta migliorando un po’ col carattere: non è più spaventata e paurosa, ma sta diventando un po’ più coraggiosa e felice, inoltre non piange più molto spesso e la sua voce non è più debole e imbarazzata, ma un po’ più potente e stabile, anche se non troppo. In un certo senso stare qui con noi e in questo regno le fa raffinare il carattere. E, cosa più importante, non tiene più le mani sul cuore, come se volesse difendersi da qualcuno, ma dritte di fronte ai suoi fianchi, anche se spesso le tiene giunte o serrate come dei pugni e unite, come ora. La sua pelle sta diventando di un rosa sempre più chiaro e le sue guance sono tinte con un po’ di rosso che spicca subito.
“No, mi ero svegliata già un po’ di tempo prima. Chi non somiglia a Gianni?” si affretta a dire. La fata arrossisce come un peperone. Mi scappa una risata, sempre a testa bassa.
“Dentolina è innamorata di uno e non ce l’ha mai detto!” la fata è sul punto di scoppiare in una nuvola di fumo. Più la guardo, più mi viene voglia di ridere. Ceci sembra scoppiare di felicità, a suo modo. Quando Ceci è molto felice mette le mani sulle guance, le brillano gli occhi, sorride leggermente, ma sembra che abbia un grande sorriso, le guance diventano rotonde e rosse come mele e incrocia le gambe come se avesse voglia di saltare come una molla. Ha un qualcosa di dolce il suo modo di sorridere.
“Ma è meraviglioso! Chi è?” Dentolina sta per esplodere.
“Un certo Jack Frost, Guardiano, Spirito dell’Inverno e… e che altro? Racconta, fata, racconta!” Ceci intanto ha rubato il posto a Dentolina e lei ora è schiacciata fra noi due. Mi è difficile tenere le mani lontano dalle sue ali, così le ho dato più spazio sedendomi sul manico della poltrona. Le sue piume s’irrigidiscono.
“Se la smettete con questi sguardi maliziosi potrei descrivervi anche Babbo Natale e il Coniglio di Pasqua…”
“Ma… Jack Frost? Com’è fatto? È così diverso da Gianni?” chiede innocentemente Ceci. La mia Gioia sospira.
“Si, è molto diverso da Gianni… moltissimo. Infatti non capisco perché mi ricordi così tanto Jack. È assurdo!” dice rivolgendosi a me. Mi sto incuriosendo.
“Allora ce lo descrivi o no? Quanto è diverso da me?”
“Va bene. Allora, prima di tutto, non ha i tuoi ricci ribelli e castani, ha i capelli lisci, corti e bianchi e…”
“Bianchi?!” Dentolina mi guarda confusa.
“Si, cosa c’è che non va?” devo avere una faccia perplessa al massimo, altrimenti non mi spiego il suo viso divertito.
Maronn’! Ma tu hai detto che era diventato spirito alla mia età!”
“E cosa c’entrano i capelli bianchi?”
“Beh, se ha i capelli bianchi allora è vecchio! Aspè… Uddio… Ti sei innamurat’ di un vecchietto?!” se i miei capelli avessero vita, cosa che spesso ho teorizzato, allora si sarebbero arricciati ancora di più e se ne sarebbero scappati via dalla mia testa urlando forsennatamente. Quasi mi immagino la scena. Gioia sbatte le palpebre, non capendo cosa cacchio ho detto. Dopo un po’ capisce ciò che intendo dire. Anche Ceci dietro di lei è confusa. La fata rigira gli occhi.
“Gianni, solo perché sono bianchi non significa che Jack sia vecchio. Semplicemente sono talmente biondi da essere bianchi come la neve” mi si accende una lampadina nel cervello. Esclamo un lunghissimo ‘ah!’.
“Ma allora sono biondi platinati e non bianchi! Ecco perché non avevo capito! La prossima volta specifica, che altre cose non le voglio pensare” Ceci sorride, avendo capito pure lei. Dentolina rigira gli occhi, seccata.
“Allora, se non mi interrompete di nuovo, posso continuare” ci accucciamo nei nostri posti, interessati.
“Anche la sua pelle è bianca come la neve, non come la tua, Gianni, olivastra, tipica del meridione. I suoi occhi sono azzurri come il cielo, diversamente da i tuoi marroncini come due nocciole. È un tipo ribelle, allegro e gli piace molto divertirsi, tu invece sei un bravo ragazzo, buono e gentile. Sarebbe bello se anche Jack fosse cavalleresco e premuroso come te…” dice rivolgendo gli occhi verso l’alto con uno sguardo sognante. Le sue ali si muovono leggermente, quasi come se volesse spiccare il volo. Le similitudini mi hanno reso molto in imbarazzo. Il finale ancora di più. Ceci mette le mani d’avanti alla bocca, sul punto di ridere. Purtroppo questa abitudine non l’ha persa. Vorrei farla uscire dal paese dei Jack bianchi come la neve prima che ci affondi definitivamente.
“Effettivamente non mi somiglia per niente…”
“Hai ragione. Scommetto che indossa sempre una maglia colorata con della neve, da come l’hai descritto” Dentolina è ancora nel mondo dei sogni. Aspetta… una maglia colorata? Ho un flashback del mio sogno. Un ragazzo che sta affondando in un lago, io lo salvo, ma lui mi getta di nuovo in acqua e mi impedisce di ritornare in superfice ghiacciando il buco dove sono caduto. Aveva una felpa blu elettrica, occhi azzurri arrabbiati e un bastone. Ricordo anche di averlo visto nel libro con la sua immagine. Ma non capisco, perché l’ho sognato? Forse non è nemmeno la stessa persona, meglio indagare.
“Gioia, ma questo Jack aveva una felpa blu col cappuccio e coperta di ghiaccio?”
“Si, esatto” dice risvegliandosi dal suo dolce sogno.
“E aveva un bastone con la punta incurvata?”
“Si…”
“E… riesce a ghiacciare qualsiasi cosa? Tipo… una fossa o un buco dove c’era già del ghiaccio?” mi fissa perplessa.
“Come sai tutte queste cose? L’hai già visto in passato?” beh, dire che l’ho visto in un sogno e che aveva intenzione di uccidermi mi sembra troppo da dire ad una fata.
“Beh…”
“Si” interviene Ceci “Ora che mi ci fai pensare… Ricordate quando siamo andati nella biblioteca della scuola? Dentolina, tu hai preso dei libri e in uno di questi c’era l’immagine di quel ragazzo” sono stato salvato in tempo. Non voglio crearle altri pensieri, è già troppo pensare a noi due, figuriamoci se devo riempirle la testa anche di un sogno stupido. Dentolina si influenza molto: se noi siamo tristi lo è anche lei, se qualcuno di noi si sente male anche lei si sente male, se Ceci piange lo fa anche lei. Meglio non crearle altri pensieri. Questa cosa vorrei risolverla da solo.
“In uno di quei libri vi era anche la mia immagine, la mia data di nascita, le informazioni riguardanti i miei genitori e… molte altre notizie riguardanti la mia infanzia fino alla mia trasformazione di Guardiana e oltre. Perché sapeva così tante cose su di me? E perché trascriverle in un libro?” anche questo è molto strano. In diversi momenti mi ero spesso chiesto cosa volesse quella donna e perché ci avesse portato in questo posto. Non mi ero mai chiesto cosa volesse dagli spiriti.
“Pensiamo un po’: a cosa servono i libri?”
“Per leggere…” risponde Ceci.
“Per leggere cosa?” Dentolina s’illumina.
“Informazioni… Informazioni su di noi! Ecco a cosa le servivano! In quella biblioteca vi erano informazioni anche riguardo ad altri spiriti come me e i Guardiani. Ora capisco: lei probabilmente ci aveva osservato per secoli in modo che in futuro, cioè ora, potesse attirarci in questo regno e catturarci!” dice aumentando il tono di voce, eccitata di aver trovato una soluzione riguardo a questo problema. Le sue ali e le sue piume si muovono in continuazione.
“Ma dopo avervi catturati, dove vi vorrà portare e soprattutto cosa avrà intenzione di fare con voi? Uccidervi…?” chiede Ceci, tremante. Gioia si mette a pensare.
“Questo lo scopriremo più tardi. Forse anche oggi…” quest’ultima frase l’ha detta sottovoce, ma l’ho sentita ugualmente. Non vorrei scoprirlo oggi… Forse non sarà necessario ucciderli, forse rinchiuderli da qualche parte sarebbe più che sufficiente. Si, ma se così fosse, dove potrebbe rinchiuderli? In una sorta di prigione? O in un lager, come quello dei Nazisti? Passa un po’ di tempo. C’è un po’ di tensione fra di noi. Sento la pancia vuota. Non ricordo nemmeno quand’è stata l’ultima volta che ho fatto una buona cena. Sento la lingua secca e screpolata. Non abbiamo nulla da mangiare. Mi volto verso le ragazze. Anche loro hanno una faccia sciupata. Credo che io possa uscire per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Spesso, quando ci troviamo in città deserte, io di notte vado in qualche palazzo per cercare qualcosa da mangiare e da bere. Di solito le ragazze fanno la guardia quando non ci sono.
Piccerelle, è notte fonda. Vado fuori, non abbiamo più da mangiare” entrambe annuiscono, ma con poca sicurezza. Ogni volta che esco è una condanna: hanno paura che io non torni più indietro e lo dimostrano col loro sguardo. Ma allo stesso tempo nessuno di noi vuole morire di fame.
“Buona fortuna, Gianni” dice Gioia. Ceci ha lo sguardo basso. Prendo lo zaino che avevamo trovato alle falde della montagna, vuoto. Mi aggiusto i vestiti e mi avvio verso la porta. Mi volto un’ultima volta. Dentolina mi fa cenno di andare, Ceci ha un’aria distrutta. Forse è solo stanca…
“Tornerò presto” chiudo la porta dietro di me e mi avvio verso le strade. Mi sento abbastanza insicuro. Avanzando sempre più in alto, verso il picco della montagna, ho notato che i soldati e i poliziotti che controllavano i paesini diminuivano sempre più, così come aumentava la ferocia della tempesta di neve. I fiocchi di ghiaccio sono pungenti, tagliano i miei occhi come coltelli, tanto da bruciare e farmi lacrimare.
Corro da una casa all’altra, cercando una che possa avere qualcosa da mettere sotto i denti e che possa ripararmi dal freddo. C’è una casetta piccola e poco danneggiata. La cosa m’inquieta un po’. Se è poco danneggiata, allora è quasi sicuro che qualcuno ci sia all’interno. Ha un giardino coperto di neve con un recinto danneggiato. Guardo un attimo in alto. Dalle finestre non esce nessuna luce e dal cammino nemmeno un po’ di fumo. Non mi sento tranquillo.
Avanzo lentamente per il giardino. La neve mi punge le mani. Vorrei avere dei guanti e anche degli abiti caldi e puliti. Mi avvicino allo spioncino della porta. Mi metto in ginocchio e guardo attraverso. È tutto buio dentro, ma non c’è nessuno e non sento nessun movimento. Apro lentamente la porta. Si sente uno scricchiolio sinistro. È molto buio, vorrei avere una torcia. Questo silenzio mi uccide. Avanzo in quello che un tempo doveva essere un salotto. Non sento alcun rumore, per fortuna. La stanza è molto piccola, come la casa in sé. Ma perché non c’è nessuno? Dove possono essere andati tutti? In un paesino dovrebbero esserci delle persone e non delle case abbandonate e deserte!
Apro la porta in fondo. Non credo che ci sia qualcuno qui dentro. Una cucina. Alleluia! In una cucina c’è sempre del cibo. Mi butto sul frigorifero. Cerco di aprirlo, ma sembra serrato. Brutto segno. Vuol dire che non è stato aperto da tempo. Ci riprovo. Niente è serrato. La terza di solito è quella buona. Ci riprovo. Uso così tanta forza da far muovere il frigorifero, ma almeno si apre. Mi tappo il naso e la bocca con la mano. Appena l’ho aperto, mi ha investito della puzza di muffa e polvere. Non c’è corrente elettrica, infatti il frigo è anch’esso buio. All’interno ci sono delle scatolette vuote e del formaggio, sicuramente scaduto da tempo. Non c’è nient’altro. Richiudo il frigo, scoraggiato. Dovrò cercare ancora…
Crack.
Dal piano di sopra ho sentito il rumore di un vetro rotto. Era quasi impercettibile, eppure mi è sembrato così terribilmente vicino. Non posso fare a meno di sobbalzare. Forse c’è qualcuno qui dentro. Affianco alla cucina c’è una scala di legno, in buone condizioni. Dalle finestre rotte entra della neve. Rabbrividisco. Odio l’inverno e il freddo. Preferisco l’estate, quando fa caldo e posso andare a nuotare. Il freddo mi taglia sempre la pelle e mi fa avere la pelle d'oca. Oltretutto, mi ammalo facilmente e ho spesso la febbre o il raffreddore. Anche ora starnutisco spesso. È una sensazione che ho sempre detestato. Mi metto le mani in tasca per cercare di riscaldarle. Forse è meglio andarsene prima di finire nei guai, potrebbe sempre esserci qualcuno qui.
Mi sistemo lo zaino per bene sulle spalle e comincio a camminare lentamente verso la porta aperta. Se c’è qualcuno per davvero, allora è meglio se non mi faccio sentire. Appena sento la neve sulla mia pelle e tra i miei capelli, corro velocemente lontano dalla casetta. Talvolta ho incontrato delle persone e sono stato visto dentro le case o negli appartamenti. Alcuni erano nelle mie stesse condizioni e mi hanno aiutato a cercare del cibo. Altri erano armati e mi avevano minacciato di andare via o mi sarei ritrovato un coltello in mezzo alla testa. Altri ancora, oltre ad essere armati, avevano cattive intenzioni e voglia di sparare a qualcosa, anche solo per divertimento. Non mi sono mai fatto vedere da loro e appena mi sono sembrati abbastanza lontani, me ne sono andato di corsa. Ora che ci penso, il rumore di vetri rotti era troppo leggero per essere stato un vetro rotto dall’esterno. Poteva anche essere stato il vento ad aver fatto cadere un bicchiere o un vaso di vetro. Non credo che sia stato qualcuno oltre a me in quella casa. Non credo che sia il caso di tornare dalle ragazze: senza cibo non torno indietro. Ho freddo e sento la pancia brontolare. Guardo di fronte a me. I miei occhi s’illuminano.
Un vecchio edificio grigio e vicino ad esso una scritta: Supermarket.
Cerco di non pensare al freddo e alla fame. Mi avvicino di più all’edificio, anche questo non molto grande. Non posso fare a meno di sussultare: le porte automatiche sono state aperte con forza. Chiunque sia stato doveva essere molto forte. Le porte sono state praticamente prese a calci tanto che i vetri sono stati distrutti. Spero che chiunque sia entrato sia andato via da tempo.
Entro nel supermercato. Mi ritrovo in una stanzetta con delle scale elettriche piene di polvere e un bancone. Su di esso c’è quello che un tempo doveva essere un vecchio computer e una targa su di esso: Receptionist: Sheila Byron. Una reception in un supermercato mi sembra abbastanza strano. Su questa montagna ho trovato solo dei paesini e delle città con nomi inglesi (o americani). Anche le persone qui parlano in inglese. Io per comunicare con loro, visto che io l’inglese lo so come un cane, ho utilizzato il linguaggio internazionale traducibile in ogni lingua esistente al mondo: quello dei gesti. Oltre questa stanzetta c’è una porta in buone condizioni. Questo è strano.
Mi avvicino di soppiatto e mi inginocchio vicino allo spioncino per guardare attraverso. Sento dei rumori dall’altra parte.
Ai dont vuant tu urt ju, boy. Riali!” inglese…?
Dallo spioncino vedo due figure. La prima, quella più vicino alla porta, è una donna piuttosto muscolosa e robusta, vestita pesantemente e con un fucile dietro le spalle. Il suo giubbotto invernale è rosso come il sangue. Una guardia, un servitore della rossa come il vino. Ho incontrato molti di quei soldati durante il nostro viaggio. Sono di molte epoche diverse e con molti tipi di armi, servono a fare in modo che non ci siano disordini nel regno anche se non fanno molto. Hanno tutti un indumento rosso come il sangue e sono tutti dei delinquenti.
La seconda figura è piuttosto piccola, potrebbe essere poco più grande di Fabi. È anche molto magra, ma non ossuta. Ha un abbigliamento molto insolito. Sembra una sorta di kimono maschile giapponese di cui la parte superione è di un bianco così puro da essere accecante e la parte inferiore è di un vivo arancione. Questi colori così allegri sono in grandissimo contrasto con l’ambiente nero e grigio di questo paesino innevato. La figura sembra essere in allerta dopo aver visto la donna. Ha un comportamento simile a quello di un animale. La sua schiena è curva, come se la spina dorsale facesse fatica a restare dritta. Ha una maschera bianca a forma di muso di volpe con dettagli neri e rossi. Ai piedi ha dei calzini anch’essi bianchissimi e qualcosa di simile a delle ciabatte di legno. Ho un gran numero di flashback di tradizioni giapponesi nella mia testa. Rimango sbalordito quando vedo qualcosa muoversi dietro di lui: una coda non troppo lunga, grigio scura, quasi nera, e arruffata. D’istinto guardo al di sopra della sua testa: ci sono delle orecchie nere come i suoi capelli.
La donna cerca di avvicinarsi alla figura. Quest’ultima cerca di scappare, ma un colpo di fucile la fa fermare. Sobbalzo sentendo quel rumore. Ho fatto muovere un po’ la porta. Per fortuna la donna non si è accorta di nulla. Questa si avvicina all’altro, che sembra sul punto di fuggire via a quattro zampe. Lo afferra per un braccio.
Comon! Stei vuit mi. Dont go avuei!” non riesco a capire cosa dice. L’altro si libera della presa. È indeciso se scappare oppure se stare attendo ad un nuovo sparo. La donna, allo stesso tempo, è indecisa se colpirlo oppure se cercare di afferrarlo di nuovo. Il giapponese si appoggia sulle quattro zampe. I manici ampi delle braccia coprono completamente le bianche mani. Lentamente si avvicina alla donna che, intimorita, indietreggia. Dalla gola della creatura esce fuori un ringhio simile a quello di un cane. La guardia si fa coraggio tenendo con determinazione l’arma. Il cane-ragazzo scatta innavertitamente in avanti facendo un grande balzo verso di lei. La donna punta di nuovo il fucile e spara.
Da dietro la maschera si sente un altro urlo animalesco, di dolore. L’ha colpito di striscio alla spalla. Credo che per paura non l’abbia preso in pieno. Vedo sgorgare delle strisce di sangue rossastro dalla spalla scoperta.Non voglio che uccida quello spirito. Mi sento in dovere di proteggerlo piuttosto che stare qui a guardare come un codardo. Ma allo stesso tempo cosa posso fare? Gettarmi su di lei e fermarla? Impossibile. Pure io, un pepe, posso capire che è una cosa totalmente impossibile: lei è alta, muscolosa, forte e soprattutto armata. Anche se mi gettassi addosso a lei di sorpresa, potrebbe sempre prendere il fucile e puntarmelo alla testa. E niente e nessuno le impedirà di premere il grilletto.
La guardia è terrorizzata. Il fucile trema tra le sue mani. Non credo che si aspettasse di trovarsi di fronte ad un cane rabbioso. Il ragazzo-cane non si arrende: la aggira in un cerchio mortale così velocemente da non far capire nulla nemmeno a me. Non vedo quasi nulla, si sono spostati di lato e dallo spiraglio non vedo un granchè. Mi sto innervosendo e preoccupando.
Mi alzo in piedi, con fatica. Lentamente raggiungo le scale mobili e le percorro. Voglio vedere meglio e per farlo devo andare dall’altra parte. Anche se sto percorrendo il piano di sopra, sento chiaramente i ringhi di quel cane spirito e le imprecazioni di paura della donna. Sento un altro sparo. Fermo la mia camminata. Mi rilasso quando sento un ululato e un urlo femminile di terrore.
Sorri, sorri! Ai vuil never do dat! Plis, dont kil mi!
Corro per il secondo piano, non credo che mi sentiranno. Secondo me quella è talmente terrorizzata da non riuscire nemmeno a prendere la mira. Giro lo sguardo velocemente attorno a me. Credo di trovarmi in una sorta di zona libri, niente che io possa portare con me. Oltretutto, hanno rubato tutti i romanzi e i libri per ragazzi. Raggiungo le seconde scale mobili. Sento qualcuno abbaiare. È uno strano verso: sembra a metà tra l’urlo di un umano e quello di una bestia feroce. Raggiunte le scale mobili mi accuccio ad ogni scalino, per non farmi vedere. Da questo punto vedo la scena perfettamente.
Ecco perché non sentivo più gli spari: la donna cerca in continuazione di premere il grilletto, ma non esce nemmeno una pallottola. Ha finito le cartucce di proiettili. Il ragazzo-cane se n’è accorto. Le salta addosso e le strappa con una gomitata il fucile. Quella si mette ad urlare per la vicinanza con la bestia. Se alzassero la testa di poco mi vedrebbero. Ma credo che siano troppo concentrati sul combattimento. Scivolo sui gradini e raggiungo uno scaffale molto alto, abbastanza da non farmi vedere da loro. Ignoro le urla di dolore della donna e vado nella direzione opposta alla loro. Raggiungo altri scaffali. Sono pieni di cibo. Faccio scendere lo zaino dalle mie spalle, lo apro e cerco qualcosa di buono. Passo fra le mani delle salsicce. Non so come, ma sono in buono stato. Le metto in borsa. Anche gli altri alimenti sono in buono stato, anzi, ottimo. Metto tutto nella borsa. Mai visto così tanto cibo in un’esplorazione. Non capisco: ma se non c’è nessuno, com’è possibile che ci siano così tanti viveri e in buono stato per giunta? Farò più tardi questa domanda alle ragazze.
Lungo il corridoio sento degli ululati. Qualcuno sta piangendo. Mi avvio verso i frigoriferi. Incredibile: c’è elettricità. C’è del latte all’interno di bottiglie di vetro. Le afferro, sapendo già che sono in buono stato, e le metto in borsa. L’ho riempita tutta. Le ragazze saranno felicissime. Con questo cibo potrei accendere un forellino e preparare qualcosa di buono e soprattutto caldo. Ho già l’acquolina in bocca. Anche se ho fame vorrei mangiare insieme le ragazze. La borsa è strapiena.
Do un’occhiata al corridoio. Non vedo tracce di sangue. Quello spirito vuole solo che quella donna se ne vada. Le salta ancora addosso, ma lei schiva, apre la porta dietro di sé e scappa a gambe levate. Il ragazzo-lupo non la insegue. Si rimette sulle due zampe e si avvia… verso la mia direzione. Mi vede. Le sue orecchie si drizzano sorprese. Ringhia. Deglutisco. Inizia a correre velocemente a due zampe, poi si posiziona su quattro. Non riesco nemmeno a pensare che mi raggiunge e mi salta addosso. Mi immobilizza le braccia. Solo ora noto che ha degli artigli neri e affilati. Mi ringhia in faccia. Chiudo gli occhi. Non riesco a muovermi, è troppo forte. Non sento più alcun ringhio. Riapro gli occhi. Vedo solo una maschera di volpe e, attraverso, degli occhi a mandorla, di un arancio acceso, come due fiaccole.
Il ragazzo-cane non mi guarda più come una bestia, ma con molta più umanità e curiosità. Abbassa la testa sul mio volto. Ha dei capelli folti, neri e arruffati. È terribilmente vicino. È leggerissimo, ma molto forte. Mi annusa. Rimango sorpreso. Mi fiuta il viso, il collo e scende fino al petto. Qui si ferma. Prende la zip del giaccone, l’abbassa. Mi scopre parzialmente. Inizia a slacciare i bottoni della mia giacca, un tempo bianca. Mi percorrono dei brividi di freddo. Mi accorgo che sul collo e sulla spalla scoperta ci sono delle cicatrici di morsi. La sua coda si alza in alto, ha trovato qualcosa. Prende in mano la mia croce. Le sue mani sono insolitamente calde. Non so il perché, ma non riesco ad aver paura. La ispeziona fra le dita. I suoi abiti sono leggeri e morbidi. Non so come riesca a non avere freddo.
Si sposta dal mio corpo, ma resta vicino a me sulle quattro zampe.
“Gianni…” rimango sorpreso. È la prima parola umana che abbia mai sentito dalla sua bocca. Mi sorprende che la conosca. Alzo il busto e mi rimetto in fretta in piedi. Lui non mi imita.
“Chi… chi sei?” si mette in piedi a pochi centimetri di me. Concordo riguardo a ciò che ho detto prima: è poco più alto di Fabi. La sua testa sfiora la parte inferiore del mio collo. Si toglie la maschera. È un asiatico come tanti, solo che i suoi occhi sono arancioni. Mi fissa come se non credesse ai suoi occhi. Faccio uno sguardo insicuro.
“Dove ti ho già visto?” non risponde alla mia domanda, ma mi guarda speranzoso.
“Ti... ti dovrei riconoscere?” le sue orecchie di lupo si abbassano, deluse.
“Non credo, sono cambiato molto dall’ultima volta che ci siamo visti… Ma credimi, anche se non sembra, ogni cinese, giapponese o coreano, ha qualcosa che lo rende diverso dai suoi compatrioti” mi s’illumina il cervello.
 
“Sarà strano a dirsi, ma dopo averti conosciuto, mi sembri molto diverso dagli altri giapponesi, anche fisicamente”
“Questo perché ognuno di noi è diverso”
“Eh?”
“Sai, Gianni, guardandola all’esterno una persona sembrerà uguale a tante altre, ma se la osservi con più attenzione noterai molte differenze fra essa e gli altri suoi connazionali”
 
“Yoshi…” annuisce. Ora lo riconosco. Sorride. Ciò che lo distingue da tutti i suoi amici è il suo sorriso: sembra avere delle pietre incastrate fra i denti, brillano come diamanti e ti trasmette tanta allegria come ora. Ho voglia di saltare in aria.
“Yoshi!” lo afferro per le spalle e lo abbraccio. Dondolo un po’ per la felicità. Lui fa lo stesso.
Non ce puozz’ crede! Stai bene e sei vivo!”
“Certo che sono vivo! Ma…” si stacca bruscamente da me. Mi fiuta velocemente. Fa una faccia divertita e si tappa il naso.
“Ma tu puzzi!” sono così emozionato che non riesco nemmeno a vergognarmi. Le cicatrici sul suo collo sembrano prendere vita ritraendosi e respingendosi per ogni respiro e sospiro.
“Ma che cosa ti è successo? Hai dei morsi sul collo! E… hai una coda…!” è assurdo ciò che sto vedendo. Quella si muove, eccitata, incurante del mio sguardo traumatizzato.
“Ma come è possibile questo?!” Yoshi si mette una mano dietro la testa e se la gratta con imbarazzo. Mi vengono in mente solo ora che ha delle orecchie sulla testa e non in mezzo alla testa, dove teoricamente dovrebbero stare. Anche queste si muovono. Mi avvicino e le tocco. Yoshi mi lascia fare, anche se fa delle facce infastidite. Gli tocco anche i capelli e il luogo dove teoricamente dovrebbero esserci le orecchie. Tocco e ritocco. Non ci sono nemmeno dei buchi, solo un ammasso di capelli disordinati. Mi allontano da lui. Ho voglia di urlare.
“Ma cosa ti è successo?! Sei diventato un…”
“Un lupo?” risponde imbarazzato. Se fossimo in un anime o in un manga, a quest’ora avrebbe il viso coperto di goccioline blu e bianche. Annuisco, non capendo nulla.
“Ma cosa ti è successo?! Sei cambiato! E anche molto!”
“Beh… Questo è un effetto collaterale…”
“Effetto collaterale!? Macchè?! T’hanno jettato rind’a ‘na gabbia e t’hann’ fatto degli esperimenti?!” diventa rosso, capendo che sono molto più terrorizzato di quel che credeva.
“Ma no, che dici!? È solo che…”
“Allora, ti hanno fatto del male? Ti hanno messo in un canile? È così!?”sembra assai nervoso, non lo sto aiutando per niente. Non posso farci niente: sono sempre stato così, penso soltanto a delle cose e già per me sono reali. Per questo non sono stato molto sorpreso quando ho visto per la prima volta Dentolina.
“T’hanno portato in un laboratorio? T’hanno fatto degli esperimenti? Ed è per questo che sei un animale? È così!? Ti hanno fatto male, si? No? Cosa ti è successo?! Oh, Maronn’ mia…!
“Stai zitto!” ad un certo punto è schizzato sulle punte e mi ora mi punta un dito artigliato sulla bocca. Più che arrabbiato sembra a disagio. Credo che si senta male nel avermi colto così di sorpresa. Sospira sollevato, dopo aver avuto il mio silenzio. Mi sforzo con tutto me stesso nel stare zitto, ma non ci riesco. Tentenno appena vedo la coda, mi tremano i denti quando guardo i suoi occhi accecanti e deglutisco quando osservo le sue orecchie. Non ho paura di lui, certo, ma vorrei sapere cosa gli è successo e perché è diventato un ragazzo-lupo.
“Ok, ora sei più o meno calmo. Resta così!” mi ordina. Annuisco con nervosismo. Si siede per terra, a gambe incrociate. Faccio lo stesso. Mi prudono le mani per l’agitazione.
“Vuoi sapere cosa mi è successo?”
“Certo che si! Raccontami tutto!”
“Ok, ma devi promettermi che starai zitto per tutto il tempo. Sai che quando racconto qualcosa non riesco più a fermarmi. Quindi… Stai zitto! Mi rendi nervoso!” sto zitto. Ha un aspetto decisamente poco minaccioso, quasi tenero. Yoshi non è mai stato un tipo stressato o nervoso, nemmeno il suo aspetto lo fa dimostrare. Ha uno sguardo e dei modi così docili da essere quasi graziosi. Dimostra meno anni di quanti ne ha: sembra avere poco più di dodici anni in confronto ai suoi quindici.
“Allora, aspettati di tutto: questa storia inizia dal principio, da quando siamo giunti su quest’isola” faccio una faccia perplessa.
Aspè, stamm’ ingopp’ ‘n’isol?!
“Zitto!” annuisco ancora, lo faccio parlare.
“Allora… All’inizio, quando mi ero svegliato, mi sono ritrovato in una foresta. Dei lupi mi volevano sbranare, ma dopo essere stato trovato e salvato da un vecchio, lui mi ha portato in una casetta e in questa casetta ho trovato Fabi che…” scatto in avanti.
“Hai trovato Fabi?! Stava bene?!” mi guarda furioso, per quanto possa fare il suo viso da bambino. Annuisco ancora. Mi gratto le mani per la tensione.
“Allora… Lei stava bene, aveva ordinato al vecchio di trovarmi perché si fingeva sua nipote per trovare gli altri e infatti ha trovato me!”
“Certo… lei è brava a mentire…” sussurro fra me e me. Per fortuna Yoshi non se ne accorge. Quando lui racconta qualcosa, lo fa in modo buffo usando un tono che ho sentito solo nelle leggende epiche. Fa quasi ridere, soprattutto perché si agita sul posto, ondeggia e gesticola.
“Avevamo pensato di raggiungere la città e cercarvi grazie ad una canoa che trovata nel fiume vicino casa. Il vecchio ci aveva ospitato per la notte e lì accadde l’imprevisto… La casa venne assediata dai lupi e sfondarono la porta dove eravamo noi due” trattengo il respiro “Uno di loro stava per uccidere Fabi, ma ha morso me. Dopo che le ho detto di scappare, se né andata lasciandomi questo” ficca le mani dentro il suo kimono ed estrae un cappello da esploratore con delle lunghe piume colorate. È il cappello preferito di Fabi. Se lo mette in testa.
“Sono stato salvato di nuovo dal vecchio. Mi ha curato come poteva, anche se ora ho delle cicatrici…” indica i morsi che avevo già visto. Sono molto ampi e profondi. Rabbrividisco “Il vecchio poi trovò un cadavere di una ragazza simile a Fabi e lui credeva che fosse, appunto, lei. Io sapevo che non lo era, ma non glielo dissi. Gli dissi che volevo andare via perché mi faceva troppo male restare lì insieme a lui e con il cadavere della mia amica in quella casa. Lui mi lasciò andare, mi preparò del cibo da portare con me e andai via. Per molti giorni viaggiai nella foresta, dirigendomi, senza saperlo, verso questa montagna. Gianni, mi sentivo male ogni giorno che passava. Ero malato… di una malattia orribile. I morsi che mi ha dato quel lupo hanno infettato la mia carne. Non ero più un umano, ma un lupo” Un uomo lupo…
“Ogni notte mi crescevano dei lunghi peli neri che mi ricoprivano quasi totalmente. Il peggio era che mi trasformavo in un lupo. Sentivo un male terribile ogni volta, soprattutto perché quando accadeva non capivo più nulla. Potevo distruggere un’intero villaggio e solo al mattino dopo me ne accorgevo… Credo che tu abbia visto le città di questa montagna… Forse hai capito perché sono deserte… Le guardie sono venute qui il mese scorso per bruciare i cadaveri…” fa un profondo respiro. Oddio… povero Yoshi… Non è colpa tua, piccolo… Io e Fabi vediamo e giochiamo a molti horror. Abbiamo anche visto molti licantropi e uomini lupo. Ogni volta che si trasformano è una tortura psicologica. Il peggio è che il morso è una vera e propria malattia che ti corrode all’interno del corpo e non esistono molti metodi per ritornare umano.
“Ma ero riuscito a guarire, anche se non totalmente” alzo la testa. Mi sorride.
“Una sera senza luna mi sono imbattuto in un kitsune. Era proprio come dice la tradizione: una donna dalle fattezze di una volpe. Mi ha portato in un posto segreto dove c’erano anche altri suoi simili. Mi hanno immerso in una fonte speciale e sono diventato uno spirito come loro!” dice, eccitato. Sono rimasto a bocca aperta.
“Ogni sera mi hanno fatto lo stesso bagno nella stessa fonte. Man a mano comiciavo a cambiare e a controllare il mio potere. Oltre all’aspetto sono diventato più veloce e più agile. È fortissimo, credimi! Beh, inizialmente la fonte doveva curarmi, ma… quello che vedi sono gli effetti collaterali… Ma non ti preoccupare, dicono che dopo un certo periodo di tempo perderò la coda, le orecchie e il pelo. Quando accadrà ritornerò di nuovo umano e riavrò anche le orecchie. Mi dispiacerà molto per i miei nuovi occhi… ma andrà tutto bene! Ho finito, puoi parlare” solo ora si accorge della mia espressione totalmente scioccata. Non so nemmeno da dove cominciare. Beh, forse è meglio non incominciare da nulla. Yoshi è diventato un uomo lupo, è stato guarito da delle donne volpi ed è diventato uno di loro. Mi gira la testa.
“Beh… Tutto qui…?” fa un’espressione sbalordita.
“Come sarebbe ‘tutto qui’?! Sono diventato un kami e tu dici ‘tutto qui’?!”
“Ecco… anche a me è accaduta una cosa incredibile… Meglio raccontarti tutto. Ma questa volta sarai tu a stare zitto” annuisce con convinzione. Faccio un respiro profondo.
“Credo che sia meglio iniziare dal principio”
 
 
 
 
 
 
 
“…e così sono giunto fin qui con Ceci e la Fata del Dentino, Dentolina. Beh, ora ho finito” credo che io abbia avuto la sua faccia quando aveva finito di raccontare la ‘sua’ storia. E credo che io abbia la sua espressione imbarazzata di quando aveva finito di raccontare. Resta in silenzio per un bel po’.
“Che fico!” dice, tutto felice. Ma questo è scemo?!
“No! Non è ‘che fico’! È un ‘che disgrazia’ o ‘che sciagura’! Ho incontrato il demonio, ha cercato di ammazzarci, ho saputo che la Fata del Dentino e gli altri spiriti esistono e tu dici ‘che fico’?!” alza le spalle con un sorrisone. Per lui tutto quello che è strano è incredibile e trova sempre una ragione per far brillare gli occhi di felicità. Bah, talvolta non lo capisco proprio.
“Beh, comunque, posso conoscerla?” chiede elettrizzato. La sua coda si agita e sbatte contro il pavimento. Mi vengono ancora i brividi per ciò che gli è successo. Devo abituarmi a questo suo cambiamento.
“Chi?”
“Come ‘chi’? La Fata del Dentino, ovvio!” si agita sul posto. Non riesco ad arrabbiarmi con lui, è troppo felice.
“Certo che si! Ceci è preoccupatissima per gli altri e anche per te. Vorrà di sicuro sapere cosa ti è successo” detto questo mi alzo e comincio a camminare fuori da questo supermercato. Yoshi si alza, ma si blocca.
“Aspetta! E lo zaino?” sospiro, mi ero dimenticato del cibo. Torno indietro e rimetto lo zaino sulle spalle. Cominciamo a camminare lontano da questo posto. Usciamo fuori. La tempesta di neve si è calmata quasi del tutto. È quasi l’alba. Questa cosa mi preoccupa.
“Perché hai quella faccia?”
“Perché avevo promesso alle ragazze di tornare presto. Ma ora è l’alba e non so cosa stiano pensando” prendo un bel respiro. Mi cola un po’ il naso. Il mio amico annuisce.
“Com’è fatta? È bella come le fate nei libri? È diversa da come me la immaginavo?” mi volto perplesso verso di lui.
“E come la immaginavi?”
“Come una donna alta, coi capelli lunghi, un vestito bianco o celeste, con delle piccole ali… Insomma, qualcosa del genere” si aspetta la mia risposta, felicemente teso. Mi sfugge un sorriso, non ha indovinato proprio nulla.
“Sbagliato, Yoshi. Prima di tutto è molto bassa: potrebbe essere alta quanto Fabi o anche meno. Poi non ha dei capelli, ma delle piume” la sua espressione muta in sorpresa “Sai, più che umana, sembra a metà tra un gigantesco colibrì variopinto e una donna venticinquenne. Ah, si, è coperta solo di piume, quindi non ha bisogno di un vestito. Le ali, si, ce le ha, e si muovono molto velocemente, ma sono piuttosto grandi” la sua bocca si spalanca. Mi tremano i denti per il freddo e anche perché attraverso la sua bocca ho visto dei grossi canini. Beh, si, Yoshi ha sempre avuto dei canini piuttosto pronunciati, ma sembrano un po’ più grandi di come ricordassi.
“Wow…”
“Già, wow… Sai che ci sono anche altri spiriti come lei e che esistono i Guardiani?”
“Si, so che ce ne sono moltissimi, che vengono catturati da una certa Macula Sanguinea e che alcuni di loro sono nascosti in vecchi villaggi e questi vivono insieme” sono sopreso. Questo non glielo avevo detto.
“E questo come lo sai?” addento ancora la salsiccia.
“Me l’hanno detto Hakurei-sama”
“Chi?” mi accorgo che il mio amico ha portato con sé la maschera, ma non la indossa, preferisce il cappello di Fabi.
“Kimiko Hakurei, è la più anziana del clan. È lei che mi ha curato e ha fermato la mia malattia. Dopo ciò che mi è successo, e dopo aver capito che io sono un essere umano ancora vivo, avevano deciso di farmi unire nel clan. Mi ero proposto di cercare qualcosa da mangiare, per questo mi hai trovato nel supermercato”
“Oh…” guardo il suo collo scoperto e le sue cicatrici. Sono un po’ violacee. Siamo vicini alla casetta dove ci eravamo rifuggiati. Dei fiocchi di neve cadono dal cielo. Mannaggia… ci mancava anche che nevicasse. La temperatura comincia ad abbassarsi.
“Ma non hai freddo? Io sto congelando e mi battono i denti!” scuote la testa con molta energia, anche questo è un comportamento molto infantile.
“No, da quando sono diventato un kami non sento più il freddo. Hakurei-sama dice che quando ritornerò nella mia forma definitiva di umano allora ricomincerò a sentire il freddo” ho un po’ d’invidia…
“Beato te: io mi ammalo quasi sempre e starnutisco almeno venti volte ogni starnuto” manco a farlo apposta inizio a starnutire ripetutamente. Yoshi comincia a contare i miei starnuti. Ne conta sette di seguito.
“Che forte! Quant’è stato il tuo record?” rabbrividisco per il freddo.
“Non c’è molto da scherzare…”
“Scusa…” dice, abbastanza dispiaciuto. Continuiamo a camminare. Per fortuna non nevica eccessivamente. Ad un certo punto vedo Yoshi avvicinarsi troppo a me fino ad abbracciarmi da dietro. Ma che…? Sono costretto a fermarmi.
“Ma che fai?”
“Ti riscaldo: sei un frizer” dice con naturalezza e con un sorrisino. In effetti la sua temperatura corporea è molto strana: nonostante il clima gelido, la sua pelle è molto calda, quasi bollente. Questo è un po’ strano, ma accettabile. Continua ad abbracciarmi e a riscaldarmi. La cosa sta diventando imbarazzante.
“Su, ora basta. Dobbiamo andare. Vuoi vedere la Fatina del Dentino?” si stacca subito da me. Quasi mi dispiace, non solo perché mi riscaldava, ma anche perché sembra che a lui servisse un abbraccio.
“Si! Andiamo, Gianni, corri!” detto questo si mette a correre velocemente prima a due poi a quattro zampe. Non mi va di essere battuto da un ragazzo-lupo. Comincio a corrergli dietro. Gli tengo quasi testa. Involontariamente stiamo andando nella direzione giusta. Yoshi sembra sorpreso di vedermi correre così forte, anche se con uno zaino di una tonnellata sulle spalle. Ma non c’è molto da stupirsi: nuotando oltre al fisico, ho sviluppato anche le gambe. Grazie a questo, inoltre, sono diventato magro e muscoloso. Yoshi sbaglia strada.
“Yoshi, di qua!” mi sente, mi corre dietro. Si rimette a due zampe dopo aver visto il cappello volargli sopra la testa. Non so perché sia così affezionato a quel coso. Che glielo abbia dato Fabi? Raggiungiamo la casetta.
“Di qua, Yoshi, siamo arrivati!”
“Evviva!” dice urlandomi e rallentando il passo. Salgo sugli scalini di pietra crepata e apro la porta velocemente.
“Gioia, Ceci, sono torn…” mi muore in gola la frase. Avanzo di pochi passi nel piccolo soggiorno, quasi avendo paura di mettere un passo là dentro. I mobili sono sottosopra, come se qualcuno gli avesse preso e scaraventati dall’altra parte della stanza. Mi trema il labbro e la mano che metto sulla bocca per non urlare. Yoshi si ferma sugli scalini, vedendo bene la scena. Percorro il corridoio ed entro nella stanza da letto. Non c’è nessuno. Mi batte forte il cuore. Non ho il coraggio nemmeno di urlare un nome. Vado avanti ed indietro per il corridoio. Mi gira la testa.
Fermo i miei passi. Sento qualcuno piangere. Mi volto verso quella direzione. C’è lo sgabuzzino pieno di cianfrusaglie. Lo apro. Sia lodato…!
“Ceci!” in lontananza vedo Yoshi fiutare l’aria attorno a sé nel salottino. È inquieto e confuso. Ceci si aggrappa a me. L’abbraccio. Piange, le escono le lacrime agli occhi. Forse è là dentro da molto tempo. Ha il viso arrossato.  
Piccerè, che è successo?” continua a piangere. Sento il suo cuore sbattere contro il mio petto.
“Dov’è Dentolina?” dopo aver detto questo nome cerca di calmarsi.
“L’ha… l’ha… l’ha… l’ha…” continua a balbettare come un disco rotto. Quando piange ed è molto impaurita fa sempre così: non riesce a dire più di una parola e singhiozza molto. Ho una gran paura. Yoshi resta fermo in mezzo al salotto, anche lui impaurito.
“L’hanno presa, vero?” non volevo pronunciare questa frase, ma ho dovuto. Annuisce e continua a piangere. Mi metto una mano d’avanti alla bocca, soffocando un urlo di panico e dolore. Lotto con tutto me stesso per non far uscire le lacrime dagli occhi.
 
 
 
  
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