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Autore: Weightlessness    01/01/2015    0 recensioni
Il Cappellaio, con la sua figura contorta ed enigmatica, credo sia riuscito ad affascinare qualunque lettore e come gli altri strambi personaggi di questo strambo libro si è guadagnato una grande fama nei secoli. Ma chi è veramente? Quali piccoli segreti nasconde il suo celeberrimo indovinello? Cosa emerge dal suo personaggio e cosa no? Ho voluto provare ad inventare una risposta.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice, Cappellaio Matto, Lepre Marzolina, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Cappellaio tirò fuori dal taschino il suo orologio facendo in modo che l'oro che lo ricopriva risplendesse alla luce del sole al tramonto. Lo osservò a lungo con quegli occhioni color nocciola da cucciolo curioso, senza curarsi del silenzio reverenziale della piazza.
-Per tutti i barbagianni, é l'ora del tè!
Esclamò sorpreso picchiettandosi le dita sottili sulla coscia. Per un momento tutti si guardarono l'un l'altro titubanti poi qualcuno scrollò le spalle o sollevò le mani.
-Noccioline in salsa di capperi.
Mormorò tra sé la Lepre mentre il suo volto veniva scosso a ritmo di un bizzarro e violento ticchettio all'occhio.
Alice non lo degnò di alcuna attenzione: era troppo attenta ad osservare il Cappellaio. Inclinò la testa fino quasi ad appoggiarla sulla spalla destra, sorridendo. Il Cappellaio aveva un'espressione tale che sembrava credere davvero che fosse l'ora del té, ma probabilmente stava solo recitando. Anzi, doveva per forza essere consapevole che l'ora del tè era già passata. Alice si lasciò sfuggire un risolino: il viso scioccato e l'aria sperduta del Cappellaio erano tremendamente buffe! Poi quella stessa espressione ingenua e sognante sul volto si tramutò in un ghigno amaro.

Ho dimenticato di precisare che é da quando questo orologio non funziona più che é stranamente sempre l'ora del tè.

Infilò due dita sotto la tesa del cappello per grattarsi la testa.

Io e Martin andammo a vivere l'uno accanto all'altro, in una radura accogliente ai margini del bosco. Era un bel posto, silenzioso e piacevole, pieno di nidi di uccellini colorati e canterini. Il loro canto mi metteva allegria e trovavo molto più simpatici quegli usignoli dei corvi (gli unici uccelli che avevo conosciuto in vita mia).
Poi un giorno tra l'erba del mio giardino scovai un piccolo e tremate ghiro che si guardava intorno spaventato. Mi raccontò di essere stato mandato via dalla dalla reggia di Cuori. Fino a poco tempo prima egli lavorava rispettabilmente come palla da croquet, ma quando una disposizione reale aveva riformato il gioco, erano state sostituite anche le palle -prima si usavano i ghiri, poi furono adottati i ricci, perché i ghiri tendevano ad addormentarsi sul campo- e così tutti i ghiri erano stati licenziati e cacciati. 


Il Cappellaio alzò gli occhi verso la Regina e aggiunse con fin troppa enfasi:
-Saggia fu la decisione della nostra maestade di servirsi dei ricci: sono per natura ottime palle.
La Regina abbozzò un sorriso poco convinta.

Accolsi volentieri il ghiro a casa mia o meglio, lo accolsi nella mia teiera, che a quanto pare si rivelò molto comoda per il mio piccolo amico.
Un giorno, per caso, mentre io e Martin parlavamo, ci rendemmo conto che l'orologio ormai rotto segnava esattamente le sei in punto. Fu una scoperta assolutamente sbalorditiva. Noi non avevamo mai mancato al nostro appuntamento rituale del tè del pomeriggio e se l'orologio segnava le sei allora era l'ora del tè, e se era l'ora del tè allora bisognava prendere il tè. Così imbandimmo un'enorme tavola e invitammo tutti coloro che avevamo conosciuto a bere tè con noi. Venne la Duchessa con la serva fissata con il pepe, lo Stregatto, il Bianconiglio, il Ghiro, il Brucaliffo, il giudice Er cock e molti altri.
Ma mentre per loro, che avevano orologi funzionanti, l'ora del tè ad un certo punto passò, per me, il Ghiro e Martin l'ora del tè non passava.
"E non passerà mai, sciocco ragazzo" mi disse il Brucaliffo quel giorno prima di lasciarci. E aveva ragione: avevo voluto che il tempo si fermasse per mio padre ed inevitabilmente la condizione che avevo ricevuto era quella di subire la stessa sorte del mio genitore. Non avrei più potuto aggiustare l'orologio, perché proprio a causa di quell'aggeggio erano cominciate tutte le disgrazie. E con esso stesso dovevano finire.
Inutile dire che tentai di aggiustarlo, ma fu una fatica vana anche perché oramai avevo perso le mie abilità orologiaie.
Così decisi di abituarmi a vivere a ritmo di brindate e fischi di teiere. E non mi stava nemmeno tanto male come stile di vita.


Improvvisamente dal pubblico che circondava il Cappellaio si levò una voce.
-Cappellaio Matto! Rivedesti mai Fiordaliso?
Il Cappellaio lanciò uno sguardo incolore verso il punto della folla da cui era giunta quella domanda e i suoi occhi cambiarono ancora una volta colore. Il suo viso si fece dolce e lui si concesse un sospiro appassionato.

La rividi, sì.

La folla sussultò e tutti gli si fecero più vicini spinti da sempre maggiore curiosità.

Un pomeriggio decisi di andare a vedere il tramonto da una collina ricoperta di fiori che sorgeva poco distante dalla radura in cui vivevo. Lasciai Martin con il Ghiro e portai con me una teiera, una tazza e qualche biscotto e mi incamminai prima che il cielo cominciasse a tingersi di rosso.
Giunsi sulla collina appena in tempo. Mi sdraiai sull'erba e cominciai a sgranocchiare i miei biscotti mentre aspettavo che il sole si immergesse tra le nuvole rosa che giacevano sull'orizzonte. E proprio mentre ammiravo quello spettacolo udii un leggero canto.
Tesi l'orecchio. "Le mie orecchie mi ingannano?" Pensai guardandomi freneticamente intorno.
Quella era la dolce voce della mia dolce Fiordaliso.
D'improvviso il canto si affievolì fino a diventare un sussurrino e poi si dissolse. Ecco che allora colsi nitidamente le sue parole:
-Buon non-compleanno Theophilus.
Lei era lì, accanto a me, tra l'erba, e mi sorrideva con il suo volto giallo di pistillo e muoveva lentamente la sua corolla di petali dello stesso colore dei suoi occhi. Non so dire quanto piansi a quella tremenda scoperta.
Ma lei mi consolò e mi spiegò che quella era la sua vera natura. Ero scioccato e le chiesi chiarimenti. Mi rivelò così che molti anni prima che ci conoscessimo aveva avuto in dono venti anni di vita tra gli umani e che quel lontano giorno, in cui avevo creduto di averla persa, in realtà era stata lei stessa a volermi far credere di essere morta nell'incendio da lei stessa appiccato con il consenso del padre. Così non era stata costretta ad ammettere l'aspra verità e a dirmi addio. Infine mi assicurò che suo padre adottivo, il mio maestro, era salvo e stava bene.
Mi chinai su di lei e le diedi un tenero bacio. Piangevano i miei occhi e mi piangeva il cuore.
-Non piangere Theophilus. Guarda, i tuoi occhi sono diventati gialli, mi piacciono di più verdi.


Il Cappellaio incrociò le braccia sul petto e abbassò la testa con aria triste e pensierosa.

Quando si fece notte e dovetti andarmene, Fiordaliso mi pregò di non tornare.
-I fiori vivono poco, proprio come tutte le cose belle, Theophilus, e se tu un giorno tornassi e non mi trovassi più qui, soffriresti. Vai ora e pensami ogni tanto, ma non tornare. Promettimelo.
Glielo promisi, perché ammisi a me stesso che in fondo aveva ragione. Ero felice di averla rivista ed ero felice di aver saputo la verità.
Da allora ripresi la mia vita piena di tè, indovinelli, orologi, cappelli e follia. E, dopotutto, non potrei desiderare altro. 
  
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