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Autore: Koira    01/01/2015    1 recensioni
"Nessuno aveva intenzione di rifiutare la proposta del proprietario, e, quando ci chiese cosa avevamo deciso, firmai quel contratto, convinto di fare la cosa più giusta che potessi fare.
O almeno così pensavo".
Genere: Horror, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vuoti di memoria

Capitolo 4

Vuoti di memoria

E così Giacomo aveva un disturbo dissociativo di identità. Da non crederci. In effetti, mi era sembrato un tantino bizzarro – e come non avrebbe potuto, dal momento che erano ormai mesi che mi spiava e mi seguiva di nascosto senza che l’avessi mai conosciuto?-. Eppure mi faceva quasi pena, steso lì, a terra, privo di sensi.

Quasi.

«E’ una storia lunga, ragazzi. Mi dispiace che l’abbiate scoperto in un modo così brutto» disse la signora Dorotea.

«Perché c’è un modo bello di scoprirlo?» esclamai istintivamente.

«Hai ragione, non c’è un modo bello. Ed è stato brutto anche per me, te lo assicuro, terribile, quando l’ho scoperto. Sapete, Giacomo è stato affidato a me che aveva già undici anni. La madre è morta di parto, mentre al padre è stata tolta la sua custodia. Era un alcolizzato violento, non faceva che picchiarlo, tutti i santi giorni. Vivevano vicino a casa mia, e non potete immaginare quante volte ho sentito urlare questo povero ragazzo. A un tratto, non ce l’ho fatta più: ho deciso di denunciare mio figlio alle autorità. Gli è stata tolta la custodia ed è stato arrestato, perché aveva pure commesso qualche reato. Giacomo è venuto a stare da me, e per i primi anni è andato tutto bene. Poi, un giorno, di ritorno da scuola, ho notato che si comportava diversamente dal solito. Sapete, è sempre stato un ragazzo tranquillo, timido e gentile. Al tempo, aveva circa sedici anni. Ha iniziato a trattarmi male, ad essere violento sia verso di me che verso gli amici, che lo hanno abbandonato a poco a poco e isolato. Non sapevo cosa pensare di lui: cosa diamine era successo a mio nipote? Decisi così di portarlo da uno psichiatra, che gli diagnosticò un disturbo antisociale di personalità. Avviò la psicoterapia, ma non sembrava migliorare. Addirittura, un giorno lo trovai in giardino che torturava un povero gatto. Iniziai ad avere paura di mio nipote».

Si interruppe ed iniziò a singhiozzare.

Gli porsi un fazzolettino di carta.

«Grazie, cara. Dicevo … non riuscivo più a riconoscere mio nipote, e iniziai ad averne paura. Mi consigliarono di farlo ricoverare presso un istituto psichiatrico, visto che stava diventando pericoloso, ed io avevo praticamente ormai rinunciato a riavere il mio gentile nipotino, quando un giorno, senza preavviso, come se nulla fosse, tornò quello di prima. Era un pomeriggio d’estate, lo ricorderò sempre. Stavo pulendo il giardino, quando me lo ritrovai alle spalle: stava annaffiando i fiori. Incredibile, pensai. Non può essere. Non volevo crederci. Nei giorni successivi continuò a comportarsi come il Giacomo che conoscevo, un nipote buono, gentile e timido. Gli psichiatri avevano opinioni contrastanti: chi  pensava fosse stato un periodo di ribellione transitorio dovuto all’adolescenza, chi che stesse fingendo e in realtà fosse sempre un antisociale, in fondo. Fatto sta che, per alcuni mesi, tutto tornò alla normalità. Finché di nuovo, un giorno, si ripresentò il problema: Giacomo prese a pugni un suo compagno di classe. Il malaugurato ragazzo finì in terapia intensiva, e rischiò di morire. Mio nipote aveva quasi diciotto anni, perciò rischiò sul serio di finire in prigione. Fortunatamente comprese il problema lo psichiatra della scuola, il dottor Serio. La sera stessa dell’incidente venne a trovarmi e mi disse che pensava di aver capito quale fosse la malattia di mio nipote».

«Il disturbo dissociativo di identità» intervenni io, interrompendola.

Sentivo che aveva bisogno di una pausa per riprendersi. Tirò su col naso e proseguì.

«Sì. E infatti fino ad oggi questa è l’undicesima volta che succede».

«Ma di cosa si tratta, esattamente?» chiese Davide, incuriosito e spaventato al tempo stesso.

«Be’, è un disturbo dissociativo, di fondo. Un tempo si chiamava disturbo da personalità multiple. In pratica, una stessa persona ha più di una personalità, e ciascuna di esse può prendere il controllo del suo comportamento».

«E Giacomo quante diverse personalità ha?» domandai.

«Solo due, almeno per adesso. In genere, la transizione dall’una all’altra avviene in occasioni cariche di significato, emotivamente parlando» rispose, rivolgendomi uno sguardo eloquente.

«Cosa diavolo sta insinuando? Cosa centra adesso mia sorella?» sbottò Davide, infastidito da quell’espressione.

«Guardi che noi due non ci eravamo mai visti prima» dissi io, quasi a volermi giustificare.

«Forse tu non lo avevi notato, ma lui è già da un po’ che mi parla di te. O meglio, di una ragazza bellissima e intelligente che dice di aver conosciuto a mare, diversi anni fa» sostenne Dorotea.

Diversi anni fa? Una cosa era certa, io non avevo mai visto quel ragazzo se non qualche mese prima, a scuola. Me l’aveva fatto notare la mia migliore amica, Giada, e al tempo ci eravamo pure spaventate. Quel ragazzo più grande che mi fissava nascosto dietro a un albero … cosa poteva volere da me? Poi però mi tranquillizzai, se così si può dire, dal momento che si limitava solo a spiarmi.

«Guardi che io non l’ho mai visto prima, glielo assicuro. E poi … quale dei due Giacomo mi avrebbe conosciuta al mare?» chiesi, un po’ curiosa un po’ inquietata dalla strana situazione.

«Quello antisociale» rispose la nonna, eloquentemente.

Mi sforzai a ricordare, ma niente … sembrava che veramente non avessi mai visto quel ragazzo prima di allora. A meno che …

«Suo nipote quanti anni fa mi avrebbe conosciuta, esattamente?».

«Due anni fa. Al tempo, lui aveva circa diciannove anni».

Ecco.

Probabilmente mi aveva conosciuta al falò del terzo anno del liceo, l’unico falò al quale abbia mai preso parte. E purtroppo, aggiungerei. Avevo solo sedici anni, e avevo insistito con i miei genitori affinché mi mandassero a quella festa, la mia prima festa. E non mi era sembrato vero, quando finalmente avevano ceduto.  Salvo mettermi un coprifuoco proibitivo a mezzanotte. A quel falò mi sono ubriacata per la prima ed unica volta nella mia vita, e dalla vergogna non riuscivo neppure ad aprire la porta di casa, di ritorno, prevedendo la reazione che avrebbe avuto mio padre. Di quella sera ricordo solo il primo drink e litri e litri di vomito sulla spiaggia, con Giada che mi teneva la testa e mi consolava, ridacchiando di nascosto. Considerando il vuoto di ben tre ore, era plausibile che l’avessi conosciuto lì.

«Ha parlato di una festa?» chiesi.

«Sì, diceva di averti conosciuta ad un falò in spiaggia. Non sai quanto gli sei rimasta impressa, Melissa … per due anni non ha fatto che parlare di te soltanto» disse Dorotea.

A quel punto, fui pervasa dai sensi di colpa. Com’era possibile che non mi ricordassi di lui?  Sicuramente in quei mesi mi aveva seguita sperando che lo riconoscessi e, che so, magari che lo salutassi pure calorosamente. Però qualcosa non tornava … come mai neppure Giada l’aveva riconosciuto? Dopotutto, lei era abituata a bere, e tollerava abbastanza bene gli alcolici.

«E adesso dov’è suo padre?» chiesi a un tratto, interrompendo il silenzio che aveva pervaso la stanza.

«Dovrebbe essere ancora in galera, per quanto ne so. E’ stato condannato a quindici anni, e finora ne ha scontati solo undici» rispose Dorotea.

Fantastico: un ragazzo violento con un padre carcerato a breve sarebbe diventato mio vicino. Cose che non si vedono neanche in tv.

«Quando si sveglierà come faremo a sapere quale Giacomo avremo di fronte?» proruppe d’improvviso Davide, turbato.

«State certi che lo capirete» replicò eloquentemente Dorotea. Le tremavano le mani.

Neanche il tempo di finire la frase, che il nipote si iniziò a muovere.

«Ecco, stiamo per scoprirlo, ragazzi».

   
 
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