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Autore: Dust Fingers    01/01/2015    0 recensioni
Poco distante le prime case segnavano le vie che conducevano al centro della cittadina e proprio da quella direzione il duo incappucciato e scuro vide arrivare il ragazzino. Era biondo chiarissimo e felice, sorridente. Gli mancava un dentino, forse caduto da pochi giorni.
Gli uomini si mossero rapidi avvicinandosi il più possibile e attesero ancora. Ora giocavano a nascondino anche loro, dovevano solo aspettare silenti.
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L'atmosera rende meglio se accompagnata da questa colonna sonora:
"Tainted Heart" by Adrian Von Ziegler
https://www.youtube.com/watch?v=CiKoFxTUNJs
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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004. Childhood Memories
 
Anche se era doloroso e non amava ricordare quei momenti, spesso si ritrovava a riviverli senza esserne davvero conscio. Quando si rendeva conto di star scavando nuovamente in quei bui meandri, così pieni di dolore, non poteva far altro che stringere a sé le braccia come a proteggersi, e rintanarsi nel buio.
 
Era stata un’infanzia terribile, la sua. Angosciante, in una continua ed estenuante alternanza di buio e rosso dolore.
Ricordava ancora quel pomeriggio, mentre giocava a nascondino con alcuni altri bambini di quel piccolo paese, ma poi…accadde in modo così rapido, rude e violento che non ebbe nemmeno il tempo di urlare il nome della madre, né un momento per immaginare il suo volto distorto dal terrore e dal pianto nel non trovarlo dove aveva udito la sua voce chiamarla. Dal quel momento tutto divenne l’inferno in terra.
 
Due uomini, appostati dietro i cespugli, protetti dalla fitta ombra che il vicino bosco proiettava su di loro studiavano il luogo: era una casa semplice e piuttosto ben messa anche per dei mercanti di cianfrusaglie, con un piccolo giardino e un orto poco distante da un avaro rivo che si perdeva nel fitto del bosco, tra le rocce umide e coperte di morbido muschio. Era estate inoltrata, il caldo era pesante e soffocante, era come se l’aria fosse diventata difficile da respirare.
Poco distante le prime case segnavano le vie che conducevano al centro della cittadina e proprio da quella direzione il duo incappucciato e scuro vide arrivare il ragazzino. Era biondo chiarissimo e felice, sorridente. Gli mancava un dentino, forse caduto da pochi giorni.
Gli uomini si mossero rapidi avvicinandosi il più possibile e attesero ancora. Ora giocavano a nascondino anche loro, dovevano solo aspettare silenti.
Rimasero in attesa, ormai non mancava molto alla sera, il sole era quasi scomparso e le ombre erano già lunghe sul terreno e loro erano parte di esse.
I bambini si salutarono. Era giunto il momento. Il piccolo con la testa bionda si stava già dirigendo verso casa quando venne attirato da qualcosa, proprio nella direzione dove gli uomini lo aspettavano.
Scorse i folti cespugli con gli occhi bui e profondi come pozzi di cobalto, attento e un po’ curioso, ma diffidente. Poi lentamente si avvicinò attirato da un piccolo ramarro immobile su di un sasso, che ancora cercava di scaldarsi agli ormai rossi raggi del sole morente sulle aguzze cime delle montagne che circondavano la valle.
Il ragazzino allungò piano le mani per prenderlo, ma questo gli sfuggì tra le piccola dita e quando cercò di acchiapparlo di nuovo una ruvida mano gli tappò la bocca mentre un'altra lo tirava nel cespuglio. Successe tutto in una frazione di secondo senza che nemmeno il cespuglio stormisse.
Gli venne calato uno spesso sacco in testa e rapidamente fu portato via scalciante e urlante nonostante la sua voce non uscisse dalla mano che ancora lo costringeva a tacere. Urlava, urlava a più non posso. Gli iniziarono a bruciare i polmoni e a mancargli l’aria nella speranza di farsi sentire, ma i due uomini erano veloci e già molto lontani dalla casa dove la madre ancora in cucina, intenta a preparare una cena speciale per il compleanno del figlio, lo chiamava perché rientrasse e si lavasse le mani e il viso.
Il bambino continuava a dimenarsi energicamente nelle braccia del rapitore che quasi faticava a tenerlo fermo ormai. La mano gli scappò dalla presa e lui approfittò per mordergli a sangue un dito. «Brutto bastardo!» inveì l’uomo e colpì il bambino con un forte schiaffo, che gli fece perdere i sensi.
 
Sì risvegliò un attimo prima di colpire il pavimento di rozzi blocchi di pietra con lo zigomo e sentire un lancinante dolore alla testa perforargli le tempie da parte a parte. Gli venne sfilato il sacco e legate la mani con spesse catene.
«Vexe, ti chiami, vero?» una voce, calma ma dura lo interrogò dalla porta dalla quale penetrava una forte luce che gli ferì dolorosamente gli occhi e lo costrinse a tenerli quasi chiusi. Il bambino non rispose, non voleva che la voce gli uscisse tremante. Un capo non tremava.
L’uomo non fece alcun cenno al silenzio del prigioniero e se ne andò. Da quel giorno non vide mai più la luce né la sua famiglia, si trasformò tutto in quel tremendo divenire continuo di nero freddo e rosso dolore, di ferite inferte, di ferite aperte, di ferite che non guarivano e ferite che si riaprivano o che venivano riaperte.
La prima volta che uscì dalla cella, giorni dopo il rapimento, venne condotto in un’altra stanza, fredda uguale ma attrezzatissima di oggetti di forme strane e inquietanti che mai il ragazzino avrebbe capito solo guardandoli quanto male gli avrebbero inferto da lì a poco.
Venne legato ad un tavolo e gli venne tappata la bocca con un panno che la mano rozza di colui che veniva chiamato “il dottore” gli aveva infilato quasi in gola, soffocandolo. Aveva molta paura.
Fu spogliato dei suoi piccoli vestiti e quasi immediatamente un dolore lancinante e terrificante lo colpì all’addome. Cercò di urlare il più forte che poté, il panno glielo stava impedendo ma non si fermò: urlava, scalciava, si dimenava con tutta la forza di cui disponeva.
«Stai fermo, dannazione! Rischio di reciderti male!» esclamò il dottore, non aspettandosi una reazione così violenta da parte di un bambino così magro. Vexe udì il rumore dell’attrezzo che veniva posato sul tavolo accanto e quando scorse il nuovo arnese nelle mani del dottore la paura in lui divenne come solida, come cercasse di liberarsi del corpo; gli bruciavano i polsi e le caviglie, la cinghia che gli stringeva il collo lo strozzava e il panno gli scendeva sempre più in gola quando cercava di prendere aria. Uno dei due uomini a guardia della porta dovette accorrere per tenere fermo il bambino che dimenandosi aggravava la perdita di sangue dal taglio sulla pancia.
«Datti una calmata adesso!» strepitò l’uomo colpendo Vexe in pieno viso; l’anello che portava al dito medio lasciò un profondo taglio sulla sua guancia, ma lo zittì. Il piccolo respirava affannosamente. Fissò ancora una volta gli occhi verdi accesi dell’uomo sopra di lui prima di perdere i sensi.
 
Lentamente una sensazione di freddo gli toccò la guancia, aprì piano gli occhi, timoroso di cosa avrebbe potuto vedere. La stanza era obliqua finché non cercò di alzarsi, ma un dolore lancinante e terrificante lo prese all’addome. Abbassò lo sguardo, confuso: una grossa macchia di sangue si espandeva all’altezza della pancia su una casacca di tela grezza che gli era stata messa addosso perché non fosse completamente nudo, nonostante poco ci mancasse. Vexe si mise faticosamente a sedere e alzò la giubba: una spessa fasciatura gli avvolgeva tutto il gracile busto, coperto di ematomi laddove lo avevano afferrato per tenerlo fermo.
Tornò la paura. Dunque era successo per davvero. Non era stato solo un terribile incubo. Iniziò freneticamente a svolgersi le bende pregne di sangue di dosso sempre più velocemente nonostante il male lo facesse urlare di dolore e lo inducesse a piegarsi su se stesso più volte. Quando le bende furono tutte a terra quello che vide lo lasciò atterrito. Gli vennero all’istante in mente le storie spaventose che raccontava il vecchio alla taverna nelle serate di pioggia, dove i cattivi rapivano bambini per ucciderli e mangiarli, o fare esperimenti su di loro…ora un grosso taglio gli attraversava verticalmente la pancia arrivando fin quasi allo sterno. Era stato ben ricucito e quasi non lo si scorgeva se non fosse stato per il sangue che iniziava ad uscire di nuovo lentamente.
Il respiro gli si fece mozzo, l’aria iniziò a mancargli quasi del tutto, la ferita si riaprì, bruciante ed il dolore insostenibile lo fece urlare.
  
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