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Autore: EmmaStarr    01/01/2015    6 recensioni
«Ormai pare proprio che Ace non tornerà, stasera» sbuffò Dadan con stizza. «E pensare che avevo persino deciso di fargli una torta! Che razza di ingrato.»
Rufy le si avvicinò, emozionato. «Una torta? Una torta grande, con la glassa?» chiese, gli occhi luccicanti. Dadan si accorse troppo tardi del pericolo e non riuscì a frenare l'impeto del bambino, che si catapultò in cucina, veloce come un fulmine.
«Esci subito di qui!» tuonò la donna, ma Rufy la ignorò. «Quindi oggi è il compleanno di Ace?» domandò, curioso.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Happy Birthday, One Piece!'
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Buon compleanno, Ace!




Per essere il primo giorno dell'anno, faceva insolitamente freddo: la neve si accumulava in alte montagnette ai lati delle strade, e ricopriva i tetti delle case come un morbido mantello. Ace rabbrividì e si strinse un po' di più nella sua giacca leggera: chissà, magari se era fortunato riusciva a trovare qualcuno di abbastanza scemo da farsi rubare una sciarpa, o un paio di guanti... Ma perché Dadan non si limitava a mandare uno dei banditi? A lui non piaceva scendere al villaggio, e lo sapevano bene. Ma lei No, aveva detto, visto che ormai sei grande ci devi pensare tu, aveva detto... che razza di strega.

Si inoltrò nel villaggio di Foosha cercando di passare inosservato, e lasciò vagare lo sguardo intorno a sé. Certo che era frustrante, pensò con uno sbuffo insoddisfatto: tutta quella gente allegra intenta a festeggiare l'inizio del nuovo anno, tutti quei visi eccitati... per che cosa, poi? Ace non riusciva a vedere che cosa esattamente fosse cambiato rispetto al giorno prima. Era semplicemente sorta un altra alba, e lui era entrato nel suo decimo anno di vita. Tutto qua. Ora, se non voleva che fosse anche l'ultimo, avrebbe fatto meglio a recuperare qualcosa con cui scaldarsi.

Alla fine notò un piccolo giardino quasi al limitare del villaggio, da cui provenivano grida e risate di bambino. Ace si avvicinò, circospetto, finché non vide uno spettacolo davvero singolare: c'era un ragazzino ben più piccolo di lui, intento a costruire con la neve una strana scultura dalla forma allungata, sorridendo contento.

Di fianco a lui, giaceva abbandonata una sciarpa enorme, probabilmente tolta nella foga di costruire... qualunque cosa stesse costruendo. Era un'occasione d'oro: Ace non doveva far altro che corrergli vicino, afferrare la sciarpa e andarsene via. Certo, sarebbe stato meglio recuperare anche una giacca, ma d'altronde non ne poteva già più di quel villaggio, e voleva sbrigarsi il prima possibile. La sciarpa sarebbe bastata, dopotutto era enorme. Stava per mettersi a correre quando il bambino voltò la testa e lo vide. I loro occhi rimasero incatenati per qualche istante, poi quello sorrise. E non era un sorriso normale, no: sembrava quasi che volesse uscirgli dal viso, tanto era grande. «Ciao! Io sono Rufy, piacere di conoscerti!» disse, allegro. «Vuoi vedere la mia nave? È solo una scultura, in realtà» spiegò, orgoglioso. «Quella vera sarà più grande: un giorno sarò un pirata incredibile, come Shanks!»

Ace non disse nulla, fissandolo cupo. Eccone un altro, un altro sciocco bambino che non sapeva niente, che non faceva che ridere e comportarsi come un idiota. Sempre stando in silenzio gli si portò vicino, sperando che smettesse per un istante di parlare. «… E non dovrebbe fare così freddo, voglio dire, è solo il primo Gennaio, nonno dice che i giorni più freddi sono verso l'inizio di Febbraio... Ma tu non hai freddo, vestito così? Oh, aspetta, tieni» e con un sorriso gli porse la sua sciarpa. «Tanto a casa ne ho un po', perché Makino me ne regala sempre qualcuna, dice che le perdo sempre. Che poi non è vero, è solo che... ma va tutto bene?» chiese poi, inclinando il capo con aria confusa.

Ace stava ancora fissando la sciarpa che il bambino gli aveva messo tra le mani senza tanti complimenti. Ma che razza di persona era? Meglio approfittarne prima che cambiasse idea: corse via senza voltarsi indietro, ignorando i richiami del bambino. Come aveva detto che si chiamava? Ace non riusciva a ricordarselo, ma non importava veramente, perché la sciarpa era inaspettatamente calda. E, realizzò con vago stupore, era anche l'unico regalo di compleanno che avesse mai ricevuto.

Imponendosi di non pensare a cose stupide come queste, si strinse un po' di più nell'indumento e corse via, veloce, verso la casa dei banditi. E se sentiva caldo era solo per via della sciarpa, nient'altro.

 

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«Ormai pare proprio che Ace non tornerà, stasera» sbuffò Dadan con stizza. «E pensare che avevo persino deciso di fargli una torta! Che razza di ingrato.»

Rufy le si avvicinò, emozionato. «Una torta? Una torta grande, con la glassa?» chiese, gli occhi luccicanti. Dadan si accorse troppo tardi del pericolo e non riuscì a frenare l'impeto del bambino, che si catapultò in cucina, veloce come un fulmine.

«Esci subito di qui!» tuonò la donna, ma Rufy la ignorò. «Quindi oggi è il compleanno di Ace?» domandò, curioso.

«Esattamente» sospirò un brigante. «Però ormai è tardi, temo che non tornerà a casa: si sarà fermato nella foresta o al Grey Terminal, ogni tanto lo fa» spiegò con aria rassegnata.

Dadan, le mani sui fianchi, sembrava sul punto di scoppiare. «Non vuole tornare a casa? E che me ne frega! Che muoia pure di fame e di freddo, quel piccolo bastardo! E la torta...»

«Posso mangiarla io? Posso, posso, posso?» implorò Rufy, saltellandole intorno.

«Per quel che mi importa...» sospirò Dadan, scura in volto. «Oh, se mi sentirà, quel vermiciattolo ingrato, quando torna a casa...»

Ma Rufy quasi non la ascoltava più, perso nella contemplazione del dolce: sembrava già pronto ad azzannarlo, quando improvvisamente cambiò idea. «Dadan?»

«Sì? Ti ho già detto che puoi mangiarla, anzi, levamela dalla vista, che è meglio» borbottò la donna, infastidita.

«Io dico che dovremmo aspettare Ace» affermò il bambino con serietà. «È solo ora di cena. Magari poi torna, no?»

Dadan sgranò gli occhi, sorpresa: ormai conosceva bene l'appetito del bambino, e trovava assurdo che proprio lui rifiutasse di mangiare una torta come quella. «Sei sicuro? Non hai voglia di mangiarla tu?» chiese, per sicurezza. Anche gli altri banditi si erano avvicinati, interessati.

«Con tutto quello che Ace ti ha fatto passare...» borbottò uno di loro.

«Massì, Rufy, mangiala! Non lo saprà nemmeno!» lo incitò un altro.

Rufy però strinse le labbra e scosse la testa con decisione. «No, è di Ace! Lui tornerà a casa, stasera.» affermò con sicurezza. «Quindi dobbiamo aspettare che arrivi e che soffi sulle candeline.»

I briganti e Dadan provarono a fargli cambiare idea, ma Rufy fu irremovibile. «E va bene, aspettiamo!» gridò alla fine Dadan, vinta dall'insistenza del bambino. «Ma se entro mezzanotte non arriva me la mangio tutta io! Tutta, siamo intesi?» I banditi ridacchiarono al pensiero, ma si limitarono ad annuire.

 

Quando Ace tornò a casa, quel giorno, era stanco morto. La neve aveva sommerso il ramo in cui lui e Sabo nascondevano il loro tesoro, e liberare l'apertura era stata una faticaccia. Inoltre era successo un casino con un paio di ladri giù al Grey Terminal, e nella furia aveva addirittura rotto il suo bastone! Decisamente una giornata da dimenticare: ora voleva solo andare a letto, al diavolo il resto. Fu quindi con immenso fastidio che, appena varcò la soglia della capanna dei banditi, si trovò investito da una specie di piccolo terremoto in miniatura. «È Ace, è Ace! È tornato in tempo, che vi avevo detto? Dai, vieni, vieni, vieni!» gridò il bambino, spingendolo a forza verso la cucina, dove la torta di Dadan faceva la sua bella figura al centro del tavolo.

Ace sembrò capire solo in quel momento cosa stesse succedendo. «No, no, avete capito male» li avvisò, facendo per tornare sui suoi passi. «Non ho nessuna intenzione di...» ma dentro si sentiva in subbuglio: e da quando Dadan e gli altri festeggiavano il suo compleanno? E Rufy! Come poteva esserci ancora una torta in quella casa, se Rufy era presente?

«Piantala di fare l'ingrato, peste!» ululò però Dadan, interrompendolo. «Ti ho fatto una torta, e gradirei che mettessi da parte quella tua aria da ragazzino dannato e facessi il piacere di mangiarla, se non è di troppo disturbo per sua maestà!»

Ace stava per salire in camera sua per il solo gusto di farla arrabbiare ancora di più, quando Rufy avanzò pericolosamente verso la torta con un pacchetto di fiammiferi in mano. «Aspetta, Ace: devi spegnere le candeline!» esclamò, allegro. «Presto, manca pochissimo a mezzanotte!»

Un bandito lo fermò un attimo prima che desse fuoco alla casa e accese le dieci candeline. «Esprimi un desiderio!» ordinò Rufy, sorridendo.

E per la seconda volta in tutta la sua vita, Ace sentì di nuovo quello strano calore. Ma era sicuramente per via delle candele, il sorriso entusiasta di Rufy non c'entrava assolutamente nulla.



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«Resta immobile, adesso!» ridacchiò Sabo, lasciando la presa dalle spalle di Ace.

«Sento che morirete di una morte molto dolorosa» minacciò Ace, innervosito. «Ditemi, era proprio necessario bendarmi?»

Rufy annuì vigorosamente, anche se Ace non poteva vederlo. «Certo che sì! È una sorpresa, giusto, Sabo?»

«Assolutamente» confermò quello. «Certo che, Ace, ci conosciamo da un secolo e devo venire a sapere il giorno del tuo compleanno solo adesso?» chiese, scuotendo la testa con una disapprovazione quasi tragica. Ace si sentiva vicino a una crisi di nervi dalle proporzioni enormi. «O mi dite dove siamo, oppure...»

Sabo gli batté una mano sulla spalla e con un gesto veloce gli sfilò la benda dagli occhi. «Ecco a te! E ora ti penti di non avermi mai detto nulla, vero? Se penso a quanti compleanni avrei potuto organizzarti...» gemette, melodrammatico.

«Ma anch'io ho aiutato, eh!» saltò subito su Rufy. «Un po' del lavoro l'ho fatto io, e ...»

Ma l'espressione rapita di Ace era così genuina e felice che persino Rufy riuscì a fare silenzio. Erano in una radura in mezzo alla foresta, poco lontano dal Grey Terminal, e nel centro svettava un'enorme scultura di neve e ghiaccio rappresentante una nave pirata. A grandezza naturale. «L'idea mi è venuta quando Rufy mi ha detto che da piccolo adorava fare cose di questo tipo. Abbiamo usato una base di tronchi e massi, e ovviamente dovresti immaginare lo scafo sottoterra, perché altrimenti sarebbe dovuta essere davvero troppo grande, ma... che dici, può andare come imbarcazione del futuro pirata più temuto della Great Line?» chiese Sabo, ghignando.

Ace ricambiò lo sguardo, ghignando a sua volta: «Puoi scommetterci!»

Rufy saltellava in giro per la nave, entusiasta. «E guarda, qui abbiamo messo anche il timone!» rise, indicandogli volta per volta le parti più importanti della nave. «Ah, e c'è anche un altro regalo! Questo in realtà è da parte di Makino» aggiunse, tirando fuori un pacchetto incartato con cura.

Ace lo prese, incuriosito. «Da Makino? E che cos'è?»

«Oh, io lo so! È una...» iniziò Rufy, sicuro, ma Sabo fu veloce a tappargli la bocca. «Rufy, non rovinargli la sorpresa! E tu aprilo, no?» disse, alzando gli occhi al cielo.

«Ma scusa, è stato Ace a chiedermelo» mugugnò Rufy, cupo. Ma il sorriso gli tornò pochi secondi dopo, quando vide Ace scartare con un gesto deciso il pacchetto. «Lo sapevo, è una sciarpa!» rise, correndogli vicino. «È bella, vero? Makino dice che secondo lei non ci copriamo abbastanza. Io le ho detto che non è vero, però lei...» ma si interruppe, inclinando la testa da una lato. «Ace! Mi stai ascoltando?»

Ma il ragazzo stava passando un dito sulla sciarpa, rapito. «L'ha fatta lei?» chiese.

«Sì, dice che lavorare ai ferri le piace! Pensa che quand'ero piccolo me ne faceva sempre tantissime, perché diceva che le perdevo spesso. Ovviamente non è vero, solo che...»

«Lo sapevo che eri tu» sussurrò Ace a mezza voce, stringendo un po' più forte la sciarpa e ricordandosi del suo compleanno di due anni prima.

«Eh?» chiese Rufy, confuso. «Che hai detto?»

Ace alzò lo sguardo, una luce nuova negli occhi, un po' più vera, un po' più calda. «Niente, niente, lascia stare. Piuttosto, che ne dite di inaugurare subito questa nave? Io ovviamente sono il capitano!» gridò, euforico.

«Ma cosa dici, Ace! Il capitano sono io, perché sarò io a diventare il Re dei Pirati!» si lamentò Rufy, inseguendolo subito.

Sabo li fissò con affetto per un paio di istanti prima di lanciarsi al loro inseguimento: «Non ci sperate, cari miei: il capitano sono io!»

 


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«Tieni.»

Rufy alzò lo sguardo appena in tempo per prendere al volo l'arancia che il fratello gli stava passando. «Wow, Ace, grazie!» esclamò, gli occhi che brillavano. «Dove l'hai trovata?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Ce n'era una cassetta piena, al Grey Terminal. Questa era l'unica che si salvava.»

Rufy sorrise e iniziò a sbucciarla. «Ace...»

«Sì?»

«Andava bene il regalo di compleanno?» chiese, Rufy, aggredendo il primo spicchio e facendo colare il succo fin sul mento.

L'altro parve sorpreso. «Certo che andava bene, Rufy, e comunque ti avevo detto che non serviva che mi regalassi niente. Perché?»

Il bambino sbuffò, cercando di leccarsi via il succo dalla faccia. «Non sei felice» osservò, rassegnandosi a pulirsi il viso con la manica. «Se ho sbagliato qualcosa, io...»

Ace alzò gli occhi al cielo, tirandogli una sberla sulla testa. «Non hai fatto niente di male, scemo! Tu... tu non c'entri, va bene?» Il suo primo compleanno senza Sabo. E pensare che avevano festeggiato sul serio solo un anno... già, prima il primo Gennaio era solo un giorno come tanti, un occasione per rubare sakè e cibo in più. Pensandoci, era assurdo che Rufy se ne fosse accorto: persino Ace aveva fatto fatica a riconoscere quel senso di vuoto che gli attanagliava lo stomaco.

Rufy si sdraiò all'indietro, tenendo sollevata quel che rimaneva della sua arancia. «Allora perché hai quell'aria triste?» lo interrogò, separando due spicchi e fingendo di farli cozzare l'uno contro l'altro, mimando con la bocca il rumore dello scontro. Ridacchiò, ripetendo il procedimento.

Ace parve infastidito. «Non ho un'aria triste. E finisci di mangiare, che ho freddo a stare qui fermo» aggiunse, piccato.

«Beh, e dove vuoi andare?» chiese Rufy, mangiando un altro spicchio. Ne restava solo uno.

Ace si strinse nelle spalle. «Non lo so, da qualche parte.» Tutto pur di non continuare a pensare a Sabo. Sapeva che l'unica cosa che poteva fare per lui era impegnarsi a vivere e a diventare un vero pirata come si erano promessi, ma... a volte era dura.

Rufy lo fissò un po', quasi timoroso. «Ehi, Ace...»

«Che c'è?» chiese l'altro. «Ti propongo un patto» annunciò il bambino, solenne.

Ace inarcò un sopracciglio. «Ah, sì?» Non c'era mai molto da fidarsi, quando Rufy usava quel tono.

«Sì! Il patto è questo: io ti do il mio spicchio di arancia, e tu in cambio diventi felice» propose, serissimo.

Ace sbuffò, sorridendo. «Rufy, te l'ho già detto, io sono felice» tentò di convincerlo, ma l'occhiata di Rufy lo fece desistere in fretta. Il bambino sembrava preoccupato veramente. Ma che sto facendo? Si chiese Ace con un sospiro. Dovrei essere io il fratello maggiore. Con un sorriso afferrò lo spicchio d'arancia e lo mangiò in due morsi. «Accetto il patto» annunciò, ghignando. «Non sono più triste, va bene?»

Rufy sorrise, uno di quei sorrisi che sapeva fare solo lui. «Va bene! Buon compleanno, Ace!»

E andava bene davvero, pensò Ace lasciando che lo sguardo indugiasse un istante di troppo sul mare alle loro spalle. Un gabbiano stridette in lontananza, e tra il rumore del mare e del vento Ace credette quasi di sentire un'altra voce fargli gli auguri.

Sorrise, prima di inseguire Rufy all'interno della foresta: ma le arance erano sempre state così dolci?

 

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«Grazie» sbuffò Ace, afferrando al volo un asciugamano.

«Devi ammetterlo, amico: un'isola termale il primo dell'anno? Questa sì che è fortuna!» sghignazzò Thatch, immergendosi ancora un po' più a fondo nell'acqua calda.

«Già» mormorò Ace, fissando il soffitto. Era il primo dell'anno, ed era la prima volta che lo festeggiava senza Rufy. L'anno prima era stato un compleanno un po' più triste degli altri, dal momento che si trattava del giorno prima della sua partenza, ma Rufy si era mostrato così gentile e allegro, pronto a sostenerlo in tutto e per tutto nella sua scelta... Chissà come se la stava cavando, in quel momento. Chissà se aveva tirato fuori di nascosto i fuochi artificiali che Dadan gli proibiva sistematicamente di usare ma che ogni anno avevano fatto esplodere dal centro della foresta.

«Ehi, dico a te!» lo risvegliò una voce.

«Mh?» chiese Ace, notando solo in quel momento l'assurda capigliatura del Primo Comandante della Flotta di Barbabianca.

«Ti ho chiesto se va tutto bene: hai una faccia...» osservò l'altro, preoccupato.

«Chissà, magari questa è una ricorrenza funesta» borbottò Thatch, ancora immerso fino al collo nell'acqua. «Ehi, amico, a noi puoi dirlo. È successo qualcosa di orribile, il primo Gennaio di tanti anni fa?» chiese con tono cospiratorio,

«Thatch, non è successo niente, smettila con le tue storie» lo riprese Marco, alzando gli occhi al cielo. «Fa sempre così» rivelò, sospirando. «Ogni volta tira fuori la storia della “ricorrenza funesta”, così...»

«Beh, stavolta c'era quasi» commentò Ace con un sorriso amaro. «Diciamo che oggi ricorre il giorno in cui sono nato. Funesta davvero» sorrise.

Marco e Thatch spalancarono gli occhi. «Sul serio? Oggi è il tuo compleanno? E perché non ci hai detto niente?» chiese Thatch, offesissimo. «Dobbiamo assolutamente preparare un banchetto, devo avvertire subito i cuochi!» esclamò, uscendo completamente nudo dalla vasca. Ace e Marco fecero una smorfia, ma l'altro non parve farci caso. «Vedrai come festeggiamo noi della ciurma di Barbabianca!» lo avvisò prima di correre via.

«Aspetta, no, non ce n'è nessun bisogno, non...» tentò di fermarlo Ace, ma era troppo tardi: Thatch si era già volatilizzato.

Ace gemette, portandosi una mano sulla fronte. «Ecco, lo sapevo che non dovevo dirlo a nessuno» si lamentò.

Marco sorrise. «Ma dai, perché? Non hai voglia di festeggiare con noi, scusa? Prima avevi una tale espressione...»

Ace esitò un po' prima di rispondere. «Non... no, non siete voi il problema. Sono io che... non lo so, non mi è mai piaciuto festeggiare i compleanni» sbottò.

Marco sembrò rifletterci su. «Mi spiace, ma conoscendo Thatch temo che ormai la notizia abbia fatto il giro dell'isola» comunicò, sorridendo appena. «Ma se vuoi possiamo filarcela. Ho visto un bosco, in fondo all'isola, abbastanza lontano dallo stabilimento termale.»

Ad Ace bastò un istante per decidere. «Andata. Muoviamoci, dai.»

 

«Mh, da come ti muovi parrebbe che tu abbia passato tutta la vita in un bosco» commentò Marco, scostandosi di dosso un paio di rametti.

«Qualcosa del genere» borbottò l'altro, saltando una radice e fermandosi finalmente in mezzo a una radura.

«Quante cose si scoprono a proposito di una persona durante una fuga notturna in un bosco... e dimmi, dove eri solito dormire, nei tuoi lunghi trascorsi nelle foreste?» chiese Marco, che in effetti appariva piuttosto affaticato.

Ace si strinse nelle spalle. «Nella casa sull'albero, di solito. Altrimenti in una grotta o su un ramo, se rimanevamo bloccati da qualche parte» spiegò senza neanche pensarci. Poi si morse la lingua: accidenti a quel tipo, possibile che fosse così facile parlare con lui?

Si sedette a terra con la schiena contro un albero e Marco lo imitò. «Fantastico. Ripensandoci, penso che dopo la mezzanotte faremmo meglio a tornare alla nave. Che ne dici?» propose Marco, sorridendo.

Ace ridacchiò e schioccando le dita accese un fuoco davanti a loro. Ignorando l'esibizionista appena bofonchiato dell'altro, si limitò a sospirare. «Sai... da qualche parte, in questo momento, mio fratello starà guardando le stelle» rivelò, sollevando lo sguardo in alto.

«Tu hai un fratello?» si interessò Marco.

«Un fratello più piccolo» precisò Ace. «È un vero combinaguai, ma suppongo che se la stia cavando anche senza di me. Prima che partissi ha detto che sarebbe stato difficile farmi regali di compleanno quando saremmo stati troppo lontani, quindi ha deciso di fare così: la notte del mio compleanno devo fissare le stelle. Anche lui le fisserà molto intensamente, e mi manderà un messaggio. In questo modo io lo riceverò. E al suo compleanno faremo il contrario» spiegò, lasciando vagare lo sguardo nel firmamento.

Marco annuì, serio. «E adesso lo hai ricevuto, questo messaggio?»

Ace sembrò non ascoltarlo, perso a fissare le stelle. Poi però disse: «Sai, penso di sì. Ha detto che sta bene, che sta diventando sempre più forte, e...» si interruppe.

«E cosa?» chiese Marco, curioso.

«E mi ha detto di stare con i miei compagni e divertirmi» sbuffò Ace. «Era fissato con questa cosa: secondo lui fare il pirata significava solo fare baldoria con i compagni, temo.»

Marco ridacchiò. «Sai, volendo siamo ancora in tempo per la festa di Thatch.»

Al pensiero Ace gemette, poi però sospirò. «Suppongo che sia la cosa giusta da fare» disse, alzandosi in piedi.

Marco lo imitò, sorridendo. «Grazie per avermi parlato di tuo fratello» sussurrò. «Ah, prima che me ne dimentichi...» e gli posò un leggerissimo bacio sulle labbra. «Auguri.»

 

 

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Ace continuava a credere di essere morto. Si addormentava e si risvegliava senza riuscire a dare un senso alle ore, ai giorni, ai mesi. Da quanto tempo era il quella prigione? Non riusciva a capirlo, non sapeva quasi nemmeno più a cosa servisse esattamente.

Rufy. Solo il pensiero di Rufy riusciva a farlo sentire vivo, per qualche tempo. Rufy aveva ancora bisogno di lui, ricordò. Non doveva morire. Non adesso, non ancora, non per niente.

«Ace, va tutto bene?» chiese Jimbe, preoccupato.

Ace tossì un po' di sangue e poi si esibì nella migliore imitazione di un sorriso che gli venne. «Sì, tranquillo.»

Non poteva morire.

Poco lontano da loro sentì i carcerieri litigare. Ace cercava di non ascoltarli, ma spesso era inevitabile, data la confusione che facevano. Sospettava che anche questo facesse parte della pena. «L'anno scorso è toccato a me, oggi fai tu il giro! È il primo dell'anno, insomma: voglio passarlo con la mia famiglia, e sono ancora in tempo per l'ultima nave!»

«Ma se io ho fatto sia Halloween che Natale, quest'anno! I miei figli nemmeno si ricordano che faccia ho. Spiacente, il primo dell'anno voglio passarlo a casa mia.»

Il primo dell'anno, era il primo dell'anno. Era il suo compleanno.

Come in un flash, Ace rivide tutti i compleanni di cui aveva memoria. Lui a quattro anni, Garp che gli batteva una mano sulla spalla e gli rivelava la verità su suo padre. Nove anni, e il piccolo Rufy che gli regalava una sciarpa. Quel ricordo ancora lo scaldava, persino nel freddo di quella prigione. La torta che aveva preparato Dadan e che Rufy -incredibile- non aveva mangiato, solo per aspettare lui. La scultura di neve che Sabo e Rufy gli avevano costruito per i suoi undici anni, il migliore regalo che avesse mai ricevuto.

Ricordava persino il sapore dell'arancia che Rufy aveva spartito con lui per i suoi dodici anni, e il ristorante all'interno delle mura in cui si erano intrufolati l'anno successivo. Ricordava l'ultimo compleanno festeggiato con Rufy prima di partire: lui gli aveva regalato quel cappello arancione che ormai chissà dov'era finito, e aveva sorriso tutto il tempo, salvo poi piangere di nascosto a letto mentre credeva che Ace non lo avrebbe potuto sentire.

Ricordò del suo primo bacio con Marco il giorno del suo diciottesimo compleanno, e di quando aveva festeggiato da solo alla ricerca di Barbanera, in mezzo all'oceano.

Ed ora, eccolo lì: vent'anni, chiuso in prigione e con la data dell'esecuzione che gli pendeva sulla testa, una condanna indelebile e irreversibile.

Il suo primo pensiero, stranamente, fu per la promessa che aveva fatto a Rufy: non potrò guardare le stelle, stasera. Non saprò nemmeno qual è il tuo messaggio, si ritrovò a rimpiangere più che ogni altra cosa.

Le stelle gli mancavano davvero, chiuso in quella prigione ben al di sotto del livello del mare. Oltre a prosciugargli ogni energia, oltre a torturarlo in ogni modo immaginabile, gli avevano persino tolto l'ultimo contatto che poteva avere con suo fratello.

Scusami, Rufy.

Iniziò come un ronzio che però non era fastidioso, ma quasi rassicurante. Sembrava un suono attutito, confuso, flebile ma reale, quasi tangibile. Ace alzò la testa, tentando di riconoscerne la provenienza, ma era inutile: quel suono veniva da tutte le direzioni, e allo stesso tempo da dentro di lui.

Non ti arrendere.

Non ti arrendere.

Non ti arrendere.

Era Rufy? Sì, era sicuramente lui, Ace lo sentiva! Gli scappò una mezza risata: certo che quel ragazzino era un vero tormento: nemmeno tutti quei metri di cemento tra lui e le stelle riuscivano a metterlo a tacere. Evidentemente il suo messaggio era fin troppo intenso.

Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel messaggio che in qualche modo gli infondeva speranza. Vent'anni. Il prossimo compleanno, si ripromise, sarebbe stato ancora vivo. Non si doveva arrendere.

Buon compleanno.

 


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«Sabo!» si sbracciò Rufy dalla balaustra della Sunny. «Ce l'hai fatta, a venire!» esclamò, allegro, saltellando per il ponte.

L'altro rise, salutando con un ampio gesto della mano. «E come potevo mancare?» domandò, lo sguardo colmo di affetto. «Oggi, poi...»

Con un agile salto raggiunse il ponte della nave del fratello. «Grazie del passaggio, ci vediamo domani!» urlò, salutando Koala e Hack. Quelli risposero al saluto e fecero di nuovo immersione con il sottomarino nuovo di zecca che i Rivoluzionari avevano messo a loro disposizione.

«Allora, come sta il nostro Re dei Pirati?» chiese Sabo, allegro, scompigliandogli i capelli.

Rufy ridacchiò. «Bene, direi. Però hai fatto tardi, è quasi ora di cena!» si lamentò. «Sai, volevamo aspettarti per il brindisi a... ecco, alla sua memoria» aggiunse con un tono di voce così basso che Sabo quasi non lo sentì.

Erano passati cinque anni dalla morte di Portgas D. Ace, ma non passava giorno senza che i suoi fratelli ne sentissero la mancanza. In ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni momento: la presenza di Ace aleggiava tra di loro come un qualcosa di malinconico e allo stesso tempo rassicurante. Era sempre stata una prerogativa di Ace, dopotutto, quella di riuscire a farsi sempre notare.

«Se Ace sapesse cosa stiamo facendo immagino che ci prenderebbe a pugni» mormorò Sabo, alzando lo sguardo verso il cielo che andava punteggiandosi di stelle.

Rufy ridacchiò. «Hai ragione! Detestava festeggiare il suo compleanno, mi sa. Faceva di tutto perché ce ne dimenticassimo... Ti ricordi che aveva chiesto a Dadan di togliere tutti i calendari da casa?»

Sabo rise. «È vero! Ma gli è andata male, visto che a Capodanno fanno sempre i botti» aggiunse con ovvietà.

«Già, l'abbiamo scoperto per quello. Io ero convinto che fosse ancora il ventinove!» sorrise Rufy. «E sai che due anni dopo, o tre, non mi ricordo... ha cercato di corrompermi con della carne perché non gli dicessi neanche una volta “buon compleanno”?»

Sabo sgranò gli occhi. «E tu...»

«Ovviamente non ho accettato» disse subito Rufy, fiero. «Tanto poi la carne me l'ha data lo stesso. Cioè, gliel'ho un po' presa... Sai, non ricordo» concluse, lo sguardo furbo.

Sabo ridacchiò. «E dimmi, cosa gli hai regalato?»

Rufy si concentrò. «Quell'anno... Ah, già! Una canna da pesca vera. Me l'ha data un pescatore del villaggio perché lo avevo aiutato ad aggiustare delle reti» raccontò. «Ad Ace era piaciuta, sai: ogni tanto andavamo sulla scogliera e facevamo finta di essere pirati che hanno bisogno di pescare per sopravvivere».

Sabo sospirò. «Rufy... mi spiace di non, sai... Tutti quegli anni, e...»

Ma Rufy lo interruppe. «Non preoccuparti! Non è stata mica colpa tua. E comunque, potevi stare tranquillo: a Ace ci ho pensato io» aggiunse, orgoglioso.

Sabo rise, scompigliandogli i capelli. «E hai fatto un ottimo lavoro!»

Si stava facendo notte. Rufy osservò le stelle e sorrise, leggermente malinconico. «Quando è partito, sai, gli ho promesso che al suo compleanno avrei guardato le stelle e gli avrei mandato un messaggio» raccontò. «E lui lo avrebbe ricevuto, dovunque fosse.» Esitò un istante. «Magari... magari funziona ancora» azzardò, lanciando a Sabo un'occhiata nervosa.

«Magari sì: prova, dai» lo incitò Sabo, sorridendo.

Rufy guardò il cielo, un misto di affetto e nostalgia. «Buon compleanno, Ace!» gridò. «Noi stiamo bene, vedi? Questa volta c'è anche Sabo. Senti, non ti arrabbiare se stiamo ancora festeggiando, lo so che non ti piaceva, ma non potevamo farne a meno! Non sei arrabbiato, vero? E, Ace...» abbassò la voce, gli occhi leggermente umidi. Era la prima volta che provava di nuovo a mandargli un messaggio al suo compleanno, dopo la sua morte. E se non avesse funzionato? E se fosse tutto inutile? Poi però incrociò lo sguardo di Sabo e ritrovò tutto il coraggio di cui aveva bisogno. «Grazie» concluse piano, un sorriso umido di lacrime che gli affiorava sul volto.

Sabo gli portò le mani dietro le spalle e rimasero così, a fissare la luna e le stelle, mentre l'allegra risata di Ace si spandeva intorno a loro.

Ti vogliamo bene.

 



























Angolo autrice:
Ed eccomi, proprio all'ultimo secondo: tanti auguri, Ace! *abbraccia*
Ci ho messo un po' più del previsto, ma alla fine sono riuscita anch'io a scrivere qualcosa per il nostro fiammifero... e niente: se notate, le iniziali di ogni storia formano la parola "Portgas": l'idea iniziale era riuscire a scriverne altre quattro in modo da formare le parole "Portgas D Ace", ma non avevo più idee, e il tempo stringeva *si nasconde*
Per il resto, beh... Spero vi sia piaciuta!
Un bacione, vostra
Emma ^^
  
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