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Autore: _willa_    02/01/2015    0 recensioni
Dal testo:
"Come si fa? Come si fa a vivere sapendo di aver perso una parte di sé per sempre? Come si fa a vivere a metà?"
"Non lo so proprio. Ma è quello che proviamo a fare tutti."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stay with me
 



Il telefono squilla e Cara si sveglia di soprassalto.
Allunga il braccio verso il comodino e lo cerca a tentoni. Risponde.
-Pronto?-biascica
-Cara è successo un casino. James..- la voce si spezza, poi prende un lungo respiro -dovresti venire qui.-



Il mondo intorno a lei ha perso la sua definizione, tutto è così confuso che le sembra di sognare.
Forse sta ancora dormendo.
Si fionda giù dalle scale e corre in strada.
Sente freddo.
Forse non ha messo le scarpe, forse sta piovendo.
Un taxi inchioda esattamente davanti a lei e l’autista suona insistentemente il clacson.
Cara ci si fionda dentro.
-Ehi ragazzina! Ti pare il modo?! Potevo mandarti direttamente in ospedale!-
-Tanto meglio: è lì che devo andare.-



Cara e James sono sempre stati un cliché.
Cara neanche ricorda come si sono conosciuti, sa che un giorno James è entrato nella sua vita e non se n’è più andato.Ed era davvero difficile spiegarsi il motivo per cui fosse restato, considerato quanto fossero diversi.
Cara era fatta di silenzi assordanti e movimenti leggeri, si vestiva di mistero e di una distaccata indifferenza. Sembrava vivere in un mondo a parte, che solo lei conosceva e, per questo, la faceva sentire protetta. E anche se spesso era un mondo solitario, a Cara andava bene così.
Poi c’era James, con i suoi sorrisi, gli occhi brillanti, la risata contagiosa, la gentilezza, la semplicità. James era arrivato come un uragano a colorare quel suo mondo grigio con l’esuberanza, la curiosità, le attenzioni. E Cara si era lentamente lasciata trascinare perché, dopotutto, le andava più che bene così.
Nella loro diversità, erano le due parti perfettamente collimanti di un universo che solo loro, con un fugace sguardo, riuscivano a capire.
Cara e James erano da sempre stati un cliché.
Ma, infondo, a chi non piacciono i cliché?



Cara vaga per i corridoi cercando di ignorare il senso di angoscia che le attanaglia lo stomaco.
Quando li trova, guardano inespressivi il pavimento di una sala d’attesa che puzza di disinfettante e lacrime.
Tommy, i gomiti sulle ginocchia, stringe nervosamente la testa tra le mani.
Kyle ha la testa appoggiata al muro alle sue spalle, il petto gli trema e la guance sono bagnate.
La madre di James, in un corridoio adiacente, parla con un agente: si tortura le mani e ha gli occhi gonfi. “Non capisco come sia potuto succedere” continua a ripetere con voce rotta.
Liam sta battendo il pugno contro il bracciolo della sedia, tenendo un tempo che solo lui riesce a sentire. È l’unico ad accorgersi di lei. Si alza e le cammina velocemente incontro.
-Cara…- Lei sente immediatamente il peso di altre tre paia di occhi addosso e forse solo quando il ragazzo le sfiora il braccio si accorge di essere lì e che quello, senza ombra di dubbio, non è un sogno.
-Come sta?- chiede. La voce tentennante di chi non vuole ma deve sapere.
Liam sospira, si passa freneticamente una mano tra i capelli.
-Non lo so. Hanno parlato di trauma e di sangue e di cervello e.. io non ci capisco niente di questa merda, non capisco cosa mi dicono, non si sanno spiegare.. Cristo, non dovrebbe essere il loro lavoro?!-
-Ora dov’è?-
-E’ in sala operatoria-
-Da quanto tempo?-
-Due o tre ore.. non ne ho idea.. Cara è successo tutto così in fretta. Neanche mi ero accorto che corresse così veloce. Era nella macchina davanti alla nostra, stava tornando a casa. Ci saremmo separati proprio a quell’incrocio. Tu lo conosci James, lui è prudente. È un coglione, ma è prudente. Non lo so perché ha premuto così tanto sull’acceleratore. Era distratto.. il semaforo è diventato rosso e lui ha frenato, ma pioveva e lui correva forte e la macchina è come impazzita e non ci ho capito nulla. Forse ho chiuso gli occhi. E poi ricordo un gran botto e poi quando ci siamo fermati lui era..-
-No, non lo voglio sapere.- lo interrompe -Forza, cerchiamo qualcuno che ci spieghi come diavolo sta-



Cara ricorda benissimo il loro primo bacio.
Ricorda che dovevano uscire con degli amici, ma aveva iniziato a nevicare così forte che non si vedeva a un palmo dal naso, così avevano deciso di fermarsi da lei a guardare un film.
Ricorda che aveva sentito lo sguardo di James accarezzarle il profilo del volto a lungo, nel buio della stanza.
Ricorda che l’aveva visto avvicinarsi con la coda dell’occhio, che si era voltata, e che gli aveva letto negli occhi le intenzioni.
Ricorda che, mentre lui continuava ad avvicinarsi, lentamente, si stava chiedendo se era pronta a farlo, se lo voleva davvero o no.
E ricorda che, nel momento in cui le loro labbra si sono sfiorate, tutti i dubbi si sono dissolti nel nulla.
Ricorda che il suo profumo le ha riempito le narici.
E le sue mani che la accarezzavano leggere.
E un qualcosa, nello stomaco, che pareva volesse divorarla dall’interno.
E il rumore del suo cuore che le risuonava nelle orecchie come un tamburo.
E sa per certo che, neanche mettendoci tutto il suo impegno, riuscirebbe mai a ricordare di aver vissuto un attimo più bello in tutta la sua vita.



Cara si pente di aver litigato quasi ogni mattina della sua vita con sua madre perché bruciava il caffè: quel caffè bruciato era mille volte meglio del surrogato acquoso che offrivano le macchinette dell’ospedale. E Dio solo sa quanto aveva bisogno di un buon caffè in quel momento.
Cara pensa che le cose belle le si apprezza solo quando non le si ha più, e pensa inevitabilmente a James.
Pensa a quella sera, quando erano a letto, illuminati solo dalla luce dei lampioni in strada. Ricorda di non essere mai stata più felice di avere le spalle strette, così da incastrarsi perfettamente tra le sue braccia.
Il suo abbraccio era così caldo ed avvolgente che sarebbe rimasta così, nel silenzio, con lui, per tutta la vita.
James ha iniziato a baciarle il collo delicatamente, e una volta vicino al suo orecchio ha sussurrato un “Ti amo” quasi impercettibile.
Eppure lei l’ha sentito, tutto il suo corpo l’ha sentito: il sangue le si è gelato nelle vene e lei si è irrigidita e tutto l’idillio del momento è sparito in uno schiocco di dita. Improvvisamente le braccia di James le sono sembrate delle catene e lei si sentiva in trappola.
Non respirava.
-Aspetta- ha boccheggiato.
Ma James continuava a baciarla
- Aspetta- ha ripetuto mentre lo spingeva via e si alzava con foga.
James l’ha guardata preoccupato –Non dobbiamo fare niente se non vuoi, tranquilla-
Cara ha infilato le mani nei capelli e li ha stretti tra le dita. Aveva il respiro accelerato e stringeva forte gli occhi mentre ripeteva a bassa voce come un mantra “Non posso”.
Lui continuava a guardarla e non la capiva.
All’improvviso si è voltata verso il ragazzo e tremante ha sussurrato –Non posso, scusa-
Ed è uscita dalla stanza.
Ha raccolto le sue cose in fretta, con le orecchie che le fischiavano e James che la seguiva e la chiamava in continuazione, le chiedeva spiegazioni.
Lo sentiva lontano, come ovattato.
Non si è voltata neanche quando è uscita dalla porta.
È corsa giù dalle scale e ha fermato il primo taxi che passava.
Quando è salita il cuore le batteva così forte che temeva le sarebbe uscito dal petto.
Mentre beve l’ultimo sorso di caffè si rende conto che le mani le tremano come quando ha pagato l’autista.
Scuote la testa, come per scacciare quel ricordo scomodo e getta il bicchierino di plastica nel cestino lì accanto.
Quel caffè faceva proprio schifo.
Quella situazione faceva proprio schifo.



Quella notte pioveva così forte che Cara non riusciva ad addormentarsi.
O forse era altro a tenerla sveglia.
Fissava da ore il soffitto, quasi senza battere le palpebre. Lo scrosciare ininterrotto dell’acqua sul tetto era fastidiosamente rumoroso.
Ma Cara era riuscita a sentire benissimo i colpi alla sua porta, quasi come se l’aspettasse.
Si era alzata velocemente dal letto.
-Cara. Cara apri.- James continuava a battere insistente il pugno contro la porta, in modo quasi più fastidioso della pioggia.
-Cara apri la porta- la voce impastata, le parole strascicate. Cara lo ha trovato con il braccio poggiato contro lo stipite, completamente fradicio e probabilmente ubriaco.
-Finalmente- aveva esordito scocciato mentre entrava in casa. Cara ha chiuso la porta, si è voltata verso di lui ed ha incrociato le braccia al petto stringendole forte.
-Cosa fai qui?-
James ha sorriso - Cosa faccio qui?- ha chiesto quasi ridendo. La sua espressione è cambiata in un attimo quando si è accorto che la ragazza non era ironica. L’ha guardata con gli occhi serrati, la mascella stretta. Cara è stata contenta per la prima volta nella sua vita di essere distante da lui di qualche metro perché quella rabbia le faceva quasi paura.
- Sono settimane che ti chiamo e ti mando messaggi Cara. Settimane. Non ti sei neanche degnata di dirmi che non volevi parlarmi né vedermi. Ti sei limitata ad ignorarmi come fai con tutti i problemi. Credo di meritarmi un po’ di più, cazzo! Quindi se devo venire a casa tua come fossi uno stalker per riuscire a parlarti, perfetto! Sono qui. E tu mi devi delle spiegazioni.-
-E le vuoi nel bel mezzo della notte da ubriaco fradicio?-
James ha continuato a guardarla con espressione dura, senza spostarsi di un millimetro. Cara ha sospirato, esausta -Non ho intenzione di discutere di nulla con te adesso, quindi se per piacere puoi…-
-No, scordatelo!- la voce di James ha risuonato nella stanza come il colpo di un martello. Il ragazzo ha scosso la testa con vigore.
-Scordatelo. Non mi muovo da qui. Domani o dopodomani, anche quando ci sarà il sole e io non sarò ubriaco, a te non andrebbe bene comunque. Con te non ci sono mai momenti né modi giusti. Cerchi sempre di ritardare tutto. Cara, ho impiegato anni a entrare nel tuo piccolo e incasinato mondo, a leggere nei tuoi silenzi e tra le tue parole. Dio solo sa quanto avevo paura di mandare tutto a puttane quando ti ho baciata. Ma ne valeva la pena. Ne valevi la pena. Mi sono mosso con attenzione, ti ho lasciato i tuoi spazi e i tuoi tempi, ti ho sfiorato con delicatezza perché avevo paura ti rompessi, ho ascoltato la pesantezza dei tuoi respiri per capire se c’era qualcosa che non andava. Ho sempre cercato di trovare momenti e modi che fossero giusti per te eppure..-
James ha sospirato pesantemente. -Non ti dico questo per farti sentire in colpa: non mi pento di nulla di quello che ho fatto. Non mi pento neanche di un singolo momento di quelli che ho passato con te. E se potessi tornare indietro, rifarei tutto e forse proverei a fare meglio. Ma tu continueresti a sfuggirmi quindi dimmi, Cara: dove diavolo sto sbagliando?-
Cara ha sentito una fitta al cuore mentre lo osservava, le spalle basse, le mani abbandonate sui fianchi. Sembrava distrutto e rassegnato.
-Non hai sbagliato nulla- ha sussurrato. E sembra un frase fatta, ma era sincera: Cara sapeva che lui non aveva sbagliato nulla.
-E allora perché fa così male?-
Già, perché?
- Non hai sbagliato nulla – ha ripetuto – Ma io e te viaggiamo a due velocità diverse: io sono ancora ai box di partenza e tu sei già a metà della pista-
-Ti posso aspettare-
E per quanto tempo? E se poi ti stanchi? E se poi te ne vai?
-No non puoi James. Io e te… diamo a questa storia due pesi diversi-
Cara sapeva che era una balla bella e buona.
Il peso di quella storia lei lo sentiva benissimo: sulle spalle, sulle mani, sugli occhi, sul petto.
-Sono tutte stronzate Cara, e lo sai. Perché continui a nasconderti? Perché hai tanta paura che qualcuno possa amarti?-
Cara ha trattenuto il respiro, e, nonostante la stanza fosse in penombra, James ha notato subito il sussulto della ragazza.
- Quindi è davvero questo il problema?-
James ha sospirato, ha aperto le braccia e le ha fatte ricadere contro i fianchi
-Mi dispiace Cara ma non posso farci nulla. Posso controllare i miei gesti e le mie parole se ti spaventano. Ma questo sfugge dal mio controllo Cara. Ti amo, e non posso farci nulla. Dunque siamo a un bivio: possiamo stare insieme e avere paura insieme oppure possiamo dirci addio. Ma ti prego, non farlo. Non respingermi. Perché credo davvero che insieme potremmo vivere qualcosa di straordinario.-
Cara è rimasta zitta. Ha abbassato lo sguardo al pavimento ed ha stretto le braccia contro il petto: il cuore le batteva così forte da sovrastare il rumore della pioggia. Ha sentito la testa formicolarle e avrebbe tanto voluto correre in camera, ficcarsi sotto le coperte e non uscirne mai più.
Ha paura, non è pronta.
Come fa James ad essere così tranquillo nell’ammettere che tutto questo sfugge al suo controllo? Come fa? Lei non può, non ci riesce. Ha paura.
Ha paura a lasciar cadere tutte le sue barriere, a lasciarlo scivolare sotto la sua corazza, a legarsi a lui così tanto da mettersi nelle sue mani.
E se poi a lui non piacesse? Perché, ammettiamolo, a chi piacerebbe una così?
Siamo tutti bravi a parole, ma con i fatti? Lei può anche dirgli che sì, possono stare insieme, ma se poi non fosse capace? E se lui se ne andasse?
Dopo che butti giù tutti i muri, quanto ci impieghi a ricostruirli?
-Cara non ti posso rincorrere per tutta la vita…- James lo ha detto in un sussurro, come implorandola.
E lei ha così paura che no, non può proprio farlo.
-Credo davvero tu debba andartene- lo ha detto con una freddezza glaciale che lei stessa non ha riconosciuto. James l’ha guardata per un momento, poi senza ribattere si è avviato verso la porta ed è uscito. Cara l’ha richiusa a chiave, vi ha appoggiato contro la schiena ed è scivolata fino a sedersi a terra. Quella notte la pioggia è scesa anche sulle sue guance, ed è stata l’unica pioggia per la quale non è riuscita a dormire.



All’inizio dell’orario di visita, quel giorno, la madre di James è scesa al bar, lasciando la stanza libera.
Cara entra e chiude la porta delicatamente.
Quando lo vede nel letto così immobile, incastrato in un groviglio di tubi, trattiene appena un sussulto. Il silenzio rotto dai bip delle macchine le perfora le orecchie.
Spinge una sedia accanto al letto, ci si siede e gli prende una mano. Vorrebbe piangere sentendola così fredda e inerme, ma non lo fa. Si limita a stringerla più forte.
-Ehi- Prende un attimo di pausa. Si schiarisce la voce.
-Non sono qui per implorare il tuo perdono. A dirla tutta, neanche credo veramente tu possa sentirmi. Ma credo ne valga comunque la pena- sospira.
-Mi dispiace per come sono andate le cose, per averti fatto stare male. Era l’ultima cosa che volevo accadesse. Voglio solo che tu sappia che io ti volevo davvero, ma non potevo. Non sono brava in queste cose James, i sentimenti non seguono alcuna legge logica e non sono brava. Il fatto è che non mi ritengo mai all’altezza. E se non ti dedicassi abbastanza tempo? Se non ti facessi ridere abbastanza? Se non ti piacesse stringere le mie mani, che sono sempre troppo fredde? E se i miei baci non fossero abbastanza dolci? E se non ti amassi abbastanza? Posso accettare di non essere abbastanza per me stessa, ma come posso vivere sapendo di non esserlo per te? E allora ho avuto paura, e sono scappata più veloce che potevo. Perché in questo sono dannatamente brava. E lo capisco se ti sei stancato di rincorrermi, nessuno ti può capire meglio di me. Per questo motivo non sono qui per chiederti perdono. Sono qui per dirti che la paura di amarti non è neanche lontanamente paragonabile a quella di perderti così. Quindi ti prego, svegliati. Svegliati e vivi. Svegliati, vivi e sii felice. Svegliati e odiami. Odiami due, dieci, cento, mille anni. Odiami per tutta l’eternità. Ma svegliati. Ho bisogno di sapere che tu, in ogni caso, sei qui e che esisti. Ti prego, non andartene.-
Cara lo osserva per qualche minuto. Spera di cogliere anche un minimo movimento delle palpebre, ma James rimane immobile.
Le piace pensare lo faccia semplicemente per orgoglio, e che quando gli sarà passata la rabbia aprirà gli occhi di nuovo. Quindi gli bacia dolcemente la guancia, si alza, esce dalla stanza e riprende ad aspettare.



-Lei è la madre di James?-
Cara è rannicchiata su una sedia lì vicino. Tentava di riposare ma ora ha solo un gran male al collo.
Sente la madre di James biascicare un “sì” all’uomo con il camice bianco che torreggia davanti a lei.
-Salve signora, sono il medico di suo figlio. Mi addolora darle questa notizia, ma voglio che sia pronta: James è stabile ma ancora non reagisce agli stimoli. C’è la possibilità che il suo sia un coma irreversibile.-
Il mondo sembra fermarsi per un attimo.
-No.- Cara lo dice così piano che nessuno la sente. La madre di James nasconde il volto tra le mani e inizia a singhiozzare. Cara sente il rumore del suo cuore spezzarsi.
-No.- dice di nuovo alzandosi.
Si avvia a passo deciso verso la camera di James, il sangue che rimbomba nelle orecchie. Si ferma di fianco al letto, stringe forte la sponda tra le dita.
-Svegliati, ora.- sibila.
Ma James non si muove.
-Apri gli occhi!- Cara sente la rabbia salire e il rumore di piedi che corrono verso di lei. Afferra James per le spalle.
-Ti stai vendicando per come ti ho trattato? Ho ricevuto il messaggio, sono stata una stronza. Ma ora svegliati! Reagisci! Apri gli occhi ora!-
Cara continua a stringerlo, affonda le dita nelle sue braccia, lo scuote e urla. Si sente vuota. Delle braccia la afferrano e la allontanano da lui e lei si dimena perché non lo vuole lasciare, proprio non può.
E vede la madre di James che piange e si copre la bocca e lei continua a urlare “Svegliati”con una voce che neanche sembra la sua e poi tutto diventa nero.



La porta si chiude e Cara si sveglia di colpo.
E’ distesa su un letto in una stanza che non riconosce.
Una donna ha la schiena appoggiata alla porta e sospira. Sembra esausta. Cara immagina sia un’infermiera. La donna si passa una mano dietro il collo e quando riapre gli occhi trattiene un sussulto.
-Oh, ciao! Ti ho svegliata?-
Cara mente e scuote la testa. Si mette a sedere e si guarda intorno, poi chiede – Sono al reparto psichiatrico?-
La donna la guarda con aria interrogativa.
- No tesoro, sei in una stanza del pronto soccorso. Perché dovresti essere al reparto psichiatrico?-
-Pensavo mi aveste chiuso in isolamento perché ho dato di matto con un paziente-
L’infermiera scuote la testa e sorride leggermente -La carenza di sonno non è considerata un problema psichiatrico-
Cara abbassa lo sguardo spento al pavimento -Non è il sonno il problema.. sto impazzendo davvero- la sua voce è un sussurro incolore.
L’infermiera le si avvicina, si siede sul bordo del letto e le poggia delicatamente una mano sul ginocchio.
-Quando ti hanno portata qui ho avuto occasione di dare un’occhiata alla cartella clinica di..James?- chiede dubbiosa. Cara sente una fitta al petto e annuisce. -Sì, James. Non ti dirò bugie: la situazione è particolarmente grave. L’intervento non ha avuto complicazioni ma, trattandosi del cervello, si può sapere se è riuscito o meno solo quando il paziente si sveglia. Se si sveglia.-
La donna prende un profondo respiro, poi continua -James non ha mai reagito agli stimoli da quando è uscito dalla sala operatoria, quindi è effettivamente possibile che non si svegli più. Tu puoi sperare ancora e ancora, puoi pregare e avere pazienza. Ma non puoi passare la vita così, vagando per i corridoi di un ospedale. Arriverà il momento in cui dovrai uscire e tornare a vivere. Sei giovane e ti sembrerà di non poterti riprendere più, ma non è così. Dovrai andare avanti, sarà difficile, lo capisco ma..-
-No. No, lei non capisce. Nessuno può capire-
La donna sta per ribattere, ma Cara riprende a parlare.
-Ho passato la vita a fare attenzione a mantenere una certa distanza con le persone.Non mi sono mai esposta perché era la cosa più semplice da fare: nessuno poteva giudicarmi, nessuno poteva ferirmi. Ero libera, non dipendevo da nessuno. Ho finito per convincermi che sarei stata bene, che era la cosa migliore e che tutto sarebbe andato bene anche se fossi stata sola. E poi è arrivato James e ha capovolto tutto quanto senza che me e rendessi conto. Mi sono ritrovata a cercare la sua mano mentre camminavamo per strada, a fremere quando mi sfiorava, a sciogliermi per il suo sorriso e per i suoi baci. Mi sono ritrovata a soffrire per la sua assenza. Ma quando mi ha detto che mi amava.. è stato troppo: ho realizzato che quello era il punto di non ritorno, che sarebbe cambiato tutto. E mi ha preso il panico. E l’ho allontanato pensando che sarebbe stato facile tornare a com’ero prima, che sarebbe stato meglio rimanere protetta nelle mie sicurezze piuttosto che rischiare. Ma non posso tornare indietro e fare finta di niente, non ci riesco. Mi sembra di annegare da quando non c’è più: è come se annaspassi alla ricerca di ossigeno. Lui è ovunque: nei libri che leggo, nei film che guardo, nei luoghi che frequento, nelle persone che incrocio per strada. È nei miei occhi, nei miei gesti, nei miei pensieri sempre. Lui è sotto la mia pelle, è dentro le mie ossa, capisce? Quindi non mi rifili il discorso che ha fatto a tutti quelli che in questo ospedale aspettavano la morte di qualcuno che amavano. Lo so che potrebbe non svegliarsi: il fatto è che io l’avevo perso prima ancora che entrasse qui. E lo so che devo andare avanti, che sono giovane e stronzate varie, ma sono bloccata e non ci riesco. Quindi mi dica questo: come si fa? Come si fa a vivere sapendo di aver perso una parte di sé per sempre? Come si fa a vivere a metà?-
Cara ha la voce ferma ma gli occhi lucidi, fissi in quelli dell’infermiera, quasi a volerle guardare l’anima.
-Non lo so tesoro- risponde piano la donna
-Non lo so proprio. Ma è quello che proviamo a fare tutti.-



Cara è seduta a gambe incrociate nella sala d’aspetto del reparto di terapia intensiva e aspetta.
Non ricorda da quanti giorni è lì. Non ricorda più la freschezza dell’aria di prima mattina.
Ricorda che in quella stanza ci sono tredici sedie, esattamente la metà di quelle che ci sono al bar al primo piano.
Sa che il caffè alle macchinette automatiche costa 40 centesimi (anche se non ne vale neanche uno), sa che il terzo bagno a destra di quel piano ha lo scarico difettoso, sa che l’infermiera con i capelli lunghi e biondi ha il turno di notte i giorni pari e quella con il caschetto moro i giorni dispari.
Sa che, non essendo una familiare, può vedere James soltanto durante gli orari di visita, e cioè dalle 10 alle 12 la mattina e dalle 16 alle 18 la sera, e sa che, nonostante questo, non si sposterà da lì per tutto il giorno perché vuole che lui sappia che non scapperà più.
Sta contando le piastrelle del pavimento. E’ arrivata a quarantacinque quando sente un urlo.
-Dottore, dottore! Qualcuno venga vi prego!-
Sembra la madre di James. Prima che possa rendersene conto, Cara è in piedi e corre verso la sua stanza.
Ma i medici sono arrivati prima e sono chiusi dentro e lei è fuori e non può entrare e non può sapere cosa succede perché, maledizione!, non è una familiare.
E vorrebbe prendere a calci la porta e urlare che qualcuno le dica cosa sta succedendo e invece resta a guardarla con gli occhi spalancati, annaspando, con le orecchie che le fischiano con un suono simile ad un elettroencefalogramma piatto.
Cara non sa quanto tempo passa così, ma finalmente la porta si apre. Uno sciame di camici le passa accanto come se non esistesse.
In quel momento le fa tutto così male che non vorrebbe esistere davvero.
La madre di James si affaccia alla porta. Ha gli occhi gonfi e trema tutta.
-Tesoro- balbetta tra le lacrime.
Cara non sa se vuole entrare. Non ricorda di aver mai avuto più paura in vita sua.
Varca la soglia della stanza e le sembra di muoversi a rallentatore.
Quando guarda verso il letto, James le sorride stanco e a lei sembra di respirare per la prima volta dopo giorni.
Si avvicina e gli prende la mano e lui la stringe per quel che può e Cara non è mai stata più felice di avere cinque dita con cui accarezzarlo.
-Sei sveglio- sussurra
-Sei qui- Cara annuisce lentamente mentre le lacrime iniziano ad appannarle la vista
-Non scappi più?- e sente tutto il suo dolore in quella domanda, che in realtà è una preghiera. Ti prego, non scappare più.
Lei scuote la testa energicamente -Resto con te.-






Note:
Carissimi, ci terrei a specificare un paio di cose.
Prima di tutto, so che la trama è alquanto banale e scontata. Non ho scelto di puntare sulla creatività quanto sui temi che, come avrete capito, sono la paura di impegnarsi, la consapevolezza di aver perso qualcosa di grande, la necessità di rimediare. Tutte cose che immagino qualsiasi persona abbia provato una volta nella vita e che quindi spero di aver illustrato a dovere.
Il fatto poi che l'intera vicenda sia inserita in un contesto drammatico mi serviva, appunto, per la drammaticità.
Tuttavia, ci tengo a specificare che non mi intendo assolutamente di medicina (ma essendo rimasta sul vago non credo di aver scritto alcuna stupidata) e che spero di aver descritto questa situazione con la delicatezza necessaria.
Detto questo, spero abbiate apprezzato!
Un bacio

Giulia


 

  
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