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Autore: The dreams of a girl    03/01/2015    0 recensioni
Ero sola, volevo morire, poi incontrai lui, mi aveva promesso che ci sarebbe sempre stato e invece anche lui se n'era andato.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sapevo il significato di quella parola, sapevo cosa facevano, li avevo già visti in azione, ma mai con me compresa. ...Bulli... Perché? Perché proprio a me? Partiamo dal giorno in cui iniziò il mio incubo Era appena iniziata la scuola, il mio primo anno alle superiori, non conoscevo nessuno, mi sentivo un estranea, ero terrorizzata ma allo stesso tempo curiosa, volevo scoprire cose nuove e fare nuove amicizie, proprio come ogni, 14enne. Le superiori erano un mondo che non avevo ancora compreso, sembrava tutto magnifico, finché non scoprii la realtà. (2 settimane dopo) Entro nel cortile della scuola, pieno di ragazzi e ragazze che fumano, alcuni mi guardano, ho paura, cerco di camminare normalmente, senza dare nell'occhio, non voglio farmi notare, sopratutto da «loro». Aevo già imparato dov'era l'aula. Così mi ci precipitai prima del suono della campanella, mi siedo al mio posto, sono da sola, preferisco stare da sola. Sento delle urla provenire dal fondo dell'aula, erano loro. Le mani iniziavano a sudarmi, mi tremavano, avevo paura. Ma che cavolo! Dov'era il prof? Ci fanno correre come dei dannati cercando di arrivare in classe facendo una gara con la campanella, mentre loro sono al bar a bersi il caffè. Per la prima volta non vedevo l'ora di vedere il professore. «carota!»urla una di loro «hey carota!» urlano in coro. Sapevo che si riferivano a me, per via dei mie capelli tinti di un rosso arancio. Sento ancora una volta che mi chiamano, non volevo girarmi, quindi finsi indifferenza, da fuori potevo sembrare calma, ma dentro, stavo esplodendo, volevo solo andarmene. Qualche giorno dopo risuccesse ma iniziarono a prendermi in giro per come mi vestivo. Passarono i mesi e non smettevano di importunarmi, avvolte mi lanciavano i pacchetti di sigarette vuoti. Tornavo a casa e piangevo, odiavo la scuola, avevo il terrore di entrarci, poi arrivò un giorno. Fu la prima volta che ebbi un contatto con loro, era finita la lezione mi stavo preparando per andare a casa, loro si avvicinano a me, mi spintonano, continuo a fare finta di niente, volevo reagire ma la paura era troppa, così prendo il mio zaino e mi avvio verso la porta, ho cercato di camminare più velocemente possibile, non volevo guardarle tanto meno incontrarle, ma loro mi stavano aspettando. Mi guardarono con aria di sfida e un sorriso malizioso, una mi chiamò sfigata e anche un altra, volevo scoppiare ma continuai a camminare, poi mi spinsero da dietro e così caddì, ci godevano nel vedermi indifesa, erano in quattro, cercai di alzarmi ma una mi diede un calcio al fianco sinistro, le lacrime scendevano da sole. Se ne andarono ridendo mentre io mi rialzavo una di loro urlò sfigata. Sapevo che lo facevano solo per il gusto di divertirsi. Ma perché proprio con me? Perché dovevano farmi tutto questo? Fu la prima volta che tornai a casa e piansi come non mai. Ero stanca Stanca di tutto, volevo sfogarmi ma non sapevo come, iniziai a disegnare, disegnai così forte che la punta della matita si ruppe. Presi un temperino e lo guardai, guardai la lametta, e quella fu la prima volta che mi tagliai. Era una sensazione mista tra bruciore e soddisfazione, quasi come se mi sentissi meglio. Avevo un amica. La lametta diventò la mia migliore amica. Mi sfogavo così, il sangue usciva e io mi sentivo strana, quasi come se stessi facendo qualcosa di giusto. Non piangevo più, non pensavo più, non vivevo più, avevo un corpo, ma la mia anima era scivolata via, come il sangue che colava dal braccio e cadeva sul lavandino. Coprivo le ferite con felpe larghe, tanto era inverno, chi le avrebbe mai notate? Chi si sarebbe mai interessato a tutto questo? I mesi passarono, i tagli aumentavano, diventavano sempre più profondi e difficili da nascondere, ma tutto questo non m'interessava, erano i segni della sofferenza, il mio corpo era come un diario, ogni taglio racchiudeva una storia una lacrima e una motivazione in più per morire. Non era più un modo per sfogarmi, era diventata un ossessione.
   
 
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