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Autore: fastingpylades    03/01/2015    0 recensioni
Sarebbe stata un giornata come tutte le altre per Daichi, se non fosse stato per quella telefonata.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sarebbe stata un giornata come tutte le altre per Daichi, se non fosse stato per quella telefonata.
 
Era una mattina di maggio, la sveglia segnava le sette e lui si stava svegliando nel letto matrimoniale che divideva con Koushi, che era in cucina a preparare il pranzo per entrambi. Mugugnò qualcosa prima di alzarsi e raggiungere il suo compagno nella stanza, lo abbracciò da dietro e poggiò la testa sulla sua spalla osservando attentamente cosa stava preparando.
Era quello il loro saluto mattutino se nel caso uno dei due non era a letto: un abbraccio; spesso anche una carezza data sulla porta; si sarebbero rivisti poi la sera, entrambi stanchi.
Quelli erano rituali che Sawamura non poteva permettersi di saltare, erano un abitudine che avevano preso quando erano andati a vivere assieme dopo la fine del liceo.
Sugawara gli sorrise e gli baciò la fronte prima di tornare a preparare i due sacchi per il pranzo.
“Buongiorno~, la colazione è già in tavola”, annunciò facendogli cenno di sedersi, presto lo avrebbe raggiunto e avrebbero discusso di quello che avrebbero potuto fare quella sera.
Entrambi sarebbero stati fuori per lavoro, Daichi agli allenamenti della propria università e Koushi agli allenamenti della squadra della Karasuno dove ogni tanto dava una mano, avrebbero comunicato tramite messaggio nei momenti di pausa come facevano sempre.
 
Alle nove erano entrambi sulla porta, indossavano giubbotti pesanti ed erano pronti ad affrontare la giornata.
“Buona fortuna con i ragazzi”, mormorò Daichi che diede un’ultima occhiata al suo amante e un soffice e dolce bacio sulle labbra.
“Buona fortuna con le pratiche”, mormorò di rimando Koushi che si voltò prima di salutarlo con un cenno della mano. “Ci vediamo stasera, Daichi”.
Quelle furono le ultime parole che l’ex-capitano della Karasuno udirono dalle labbra dell’ex-vicecapitano.
 
Erano le otto di sera e Sugawara non era ancora tornato a casa.
Sawamura era preoccupato; il telefono era silenzioso, nessuno suonava il campanello. Aveva chiamato Asahi, ma niente e lo stesso valeva per Kageyama e Tanaka.
Andava avanti e indietro in attesa di un segnale da parte dell’amante, del compagno più caro.
Mandò ancora un messaggio a Sugawara, ma non ebbe alcuna risposta fino a quando non giunse quella telefonata.
“Lei è il signor Sawamura? Sono il dottor Hadara, il vostro amico ha avuto un incidente e—”.
L’uomo fece cadere il telefono e si paralizzò guardando il pavimento mentre il dottore dal telefono continuava a chiamare il suo nome.
Non poteva essere.
Non ci poteva credere.

Per un attimo vide l’immagine di Koushi disteso a terra, il sangue che sporcava quel bel viso e i capelli argentati e lui che osservava da lontano che non riusciva a muoversi per andare a salvarlo. Scosse la testa levando quell’immagine orribile dalla mente che non lo aiutava affatto a ragionare prima di riprendere il telefono e dire al medico che sarebbe arrivato subito lì.
 
Una volta arrivato lì, lo fecero aspettare nella piccola saletta vicino alla sala operatoria. Daichi era nervoso, camminava avanti e indietro, osservava le porte poi spostava lo sguardo sul pavimento.
Magari non si era fatto niente, presto lo avrebbe visto uscire sorridente da quella sala, sarebbe stato lì per qualche giorno prima di tornare nella vita di tutti i giorni, pensava l’uomo che venne raggiunto dagli altri compagni di squadra che lo confortavano e gli sussurravano parole di incoraggiamento proprio come facevano quando erano sul campo ed erano determinati a vincere.
Solo dopo un’ora, il dottor Hadara uscì dalla sala per comunicare le condizioni di Sugawara che fortunatamente stava bene, erano riusciti a salvarlo.
Sul volto dell’ ex-capitano e degli altri comparve un sorriso, festeggiarono in silenzio per non disturbare gli altri pazienti.
Eppure qualcosa nell’espressione del medico induceva Daichi a prepararsi per qualcosa di peggiore; quando gli altri smisero di gioire, infatti, comunicò che Sugawara era in stato di coma: la botta era stata così forte che aveva perso i sensi e l’operazione aveva avuto la sua parte.
Si sarebbe ripreso e svegliato da quel coma, assicurava al gruppo di cui il più distrutto dalla notizia era proprio Suwamura che era diventato pallidissimo.
L’immagine di Koushi che usciva sorridente dalla sala svanì immediatamente e un altro scenario si presentò: l’ex-vicecapitano disteso sul letto d’ospedale in un sonno che era durato troppo e che presto veniva sostituito da lui che osservava una lapide con il suo nome sopra.
Non sarebbe finita così.
Non sarebbe finita così.
Si ripeteva il ventiquattrenne che si riprese e disse che andava tutto bene, che presto Suga si sarebbe svegliato e sarebbero tornati a casa dove non lo avrebbe più lasciato.

Quella notte Daichi non riusciva ad addormentarsi, il letto era vuoto senza Koushi che aveva visto dormire come un bambino nel letto d’ospedale prima di andare via accompagnato da Asahi.
Prese il telefono e chiamò il numero dell’amante chiudendo gli occhi.
“Questa è la segreteria telefonica di Sugawara Koushi, se in questo momento state chiamando sono impegnato con gli allenamenti. Se sei Daichi ricorda che ti amo tantissimo e che ti chiamo appena posso! Lasciate un messaggio dopo il bip”.
Non ricordò esattamente quante volte aveva ascoltato la voce soffice e dolce del suo compagno, ma sapeva che si era sentito meno solo quando si addormentò e si svegliò il mattino successivo.
Non aveva fatto incubi o sogni, aveva dormito tranquillo.
Lentamente e silenziosamente aveva fatto colazione, si era vestito per gli allenamenti dove non restò il pomeriggio perché aveva un appuntamento importante all’ospedale.
 
Le giornate del moro erano scandite dagli incontri di pallavolo, visite all’ospedale da Sugawara e notti passate nel letto ad ascoltare la sua voce come per non dimenticarla.
Ogni tanto le visite erano colorate dagli altri membri della squadra della Karasuno che facevano di tutto per tirargli su il morale e dirgli che presto si sarebbe svegliato e avrebbero organizzato una grande festa di bentornato al ventiquattrenne che dormiva profondamente.
Sawamura era contento di tutta quel supporto e ringraziava chiunque venisse lì a trovarli.
 
Questa routine durò per due mesi.
Due mesi che non avrebbe dimenticato facilmente, non avrebbe mai dimenticato Sugawara in quel letto che respirava piano nutrito da una macchina.
 
Era una mattina di luglio, aveva saltato gli allenamenti per stare con lui.
Sentiva che quello era un ottimo giorno e nei giorni precedenti aveva parlato con i medici che gli avevano detto che Sugawara dava i primi segni di risveglio.
Entrò nella stanza e prima di mettersi seduto accanto a lui, gli baciò le labbra e poggiò la borsa ai piedi del letto prendendo la mano dell’altro e lanciandogli un’occhiata.
“Sai, i dottori mi hanno detto che ti stai riprendendo e—”, fece una pausa prima di stringere la presa e abbassare lo sguardo. “E spero di vedere quei bellissimi occhi, il tuo magnifico sorriso che mi dedichi sempre e— cristo, Suga, mi manchi troppo”, mormorò tra i singhiozzi. “Dove sei?”.
 
Daichi, sono qui. Non ti lascerò mai e sarò sempre al tuo fianco.
 
La stretta venne ricambiata e lentamente gli occhi del paziente si aprirono, accennò un debole sorriso.
Daichi”.
Una voce flebile e dolce fece alzare la testa del moro che pianse ancora di più quando lo vide sveglio, si alzò e lo abbracciò stringendolo a sé in modo anche da non fargli troppo male.
Non riusciva a parlare, le lacrime bagnavano il suo viso e il pigiama dell’ex-vicecapitano che sorrideva e ripeteva di essere lì accanto a lui e che tutto questo era reale.
 
Fu il giorno più bello per Sawamura e per il resto della squadra che furono felicissimi del risveglio di Sugawara.
Dopo quasi un mese, Koushi fu in grado di tornare a casa e per Daichi fu un sollievo: la casa non era più vuota e silenziosa.
Erano nel letto, il moro stringeva l’altro che poggiava la testa sul suo petto che ascoltava con gli occhi chiusi il battito del suo cuore.
“Mi era mancato”, disse all’improvviso rompendo il silenzio che c’era tra i due, Suga che lanciò un’occhiata all’altro.
“Cosa?”.
“Tutto questo, ma soprattutto tu”, fece una pausa. “Mi sei mancato tantissimo— sai, quando ero in coma, ho sognato questa casa, ma tu non c’eri. Chiamavo gli altri per sapere dov’eri  però nessuno sapeva rispondermi ed ero sempre più preoccupato, ma ogni volta che sentivo la tua voce mi calmavo e mi dicevo che presto ti avrei ritrovato e così è stato”.
Sawamura sorrise prima di avvicinarsi a lui e baciargli le labbra chiudendo gli occhi.
“Sarò più attento e ti prometto che non ti abbandonerò mai, non andrò mai in un posto dove tu non possa seguirmi, te lo prometto”.
Esclamò prima di stringersi a lui e ricambiare il bacio.
“Ti amo”.
“Anche io”.
Ed entrambi chiusero gli occhi, stretti l’uno all’altro con l’intenzione di non separarsi mai.
  
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