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Autore: Passero della Neve    04/01/2015    2 recensioni
“Quando avrò la maggiore età non potrai impedirmi di andare via da qui, e finalmente la smetterai col tormentarmi!”
E se l'uscita di scena trionfante venisse anticipata?
Nelle mani screpolate dal freddo stringevo caramelle alla menta, un filo di inquietudine e qualche moneta: tutto ciò che al momento mi apparteneva. Io ed il mio grammo di ottimismo continuammo a camminare verso il binario quattro con la convinzione che ce l'avrei fatta, che in un modo o nell'altro sarei riuscita a cavarmela. In caso contrario, mi restava la soddisfazione di aver varcato la soglia della casa degli orrori prima che sarebbe stato troppo tardi anche solo per respirare.

1976, i Sex Pistols e i Clash regnano sovrani sulla scena punk rock della signora Londra.
In prima fila c'è un insolito, dolce amaro triangolo che racconta la storia nella storia.
Diffuso ovunque e da secoli, il triangolo è da sempre presente nei libri, nei film, nelle canzoni, nelle poesie e persino nei fumetti fino alla nausea.
Il triangolo di "Che razza di storia è questa!" sarà forse noioso, ma mai banale.
Resta a voi giudicare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johnny Rotten, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo terzo
BEAUTIFUL AND DAMNED


Alex’s pov:

La lunga lista di preghiere che recitai nella mia mente durante la corsa in moto, mi furono di aiuto per sopportare l'infinita agonia alla quale Paul Simonon mi aveva sottoposto. Non dimenticai nel frattempo di annotare il secondo punto al mio taccuino astratto:
2. Non dare mai più confidenza ad un punk (specialmente se ladro di motociclette)

– Tu sei un pericolo pubblico, dovrebbero rinchiuderti! – tuonai, scossa ma felice di essere ancora sana e salva.
– Non dirmi che hai avuto paura – mormorò lui con una calma inaudita.
– Oh no, ho fatto un giro in carrozza! – La sua risata esplose subito alla mia battuta che di certo non voleva essere simpatica, ma si arrestò quando ebbe notato l’espressione seria sul mio viso.
– Dove siamo? – domandai poi, mentre acconciandomi qualche ciocca di capelli fuoriuscita dalla treccia mi guardavo intorno:
Le strade pullulavano di ragazzi di ogni età ed origine, insegne luminose e panchine poste ad ogni metro tra un vicolo e l’altro. Tutto un altro mondo se paragonato alla monotonia dei noiosi quartierini di Bristol a cui ero abituata. Da quando abbandonai l’Italia, a dodici anni, non avevo mai visto nessun altro posto all’infuori di quella che ormai non ritenevo più la mia casa. Tranne quella breve vacanza in Spagna, quando Jade non era ancora nata. Sara ed io ci trasferimmo a casa di un suo intimo amico, più intimo che amico. Ci stava a malapena un letto nello stanzino colmo di scatoloni e fetido di muffa in cui mi toccò dormire. Nonostante le pareti spesse e il palmo delle mani che premevo sulle orecchie, potevo sentire chiari i loro disgustosi lamenti erotici. Quando finalmente lo spagnolo ebbe avuto l’onore di conoscere l’isterismo di Sara, non ci pensò due volte a rispedirci nella patria inglese. Da quel giorno in poi lei peggiorò sempre di più, fino a superare i limiti della sopportazione.
– Benvenuta a Brixton Village, straniera! – esclamò Paul con fierezza, inconsapevole di aver appena rotto la bolla dei miei ricordi passati.
– Stai scherzando, vero? – chiesi retoricamente, nonostante non conoscessi quel posto. – Non posso stare qui, devo tornare da Stephanie!
– Stephanie..? – lo vidi pensarci su un momento con la sua solita espressione seria, mentre si grattava il ciuffo di capelli sopra la fronte. – Non conosco nessuna Stephanie – concluse poi, ficcandosi le mani nelle tasche. Fantastico.
Strano che non conoscesse nessuna ragazza con quel nome, perché Paul di corteggiatrici e conoscenti ne doveva avere a milioni, bello e dannato com'era. E si sa che i ragazzacci come lui, se si portano dietro quella scia maledetta, sono capaci di avere un certo fascino sulle ragazze. Io invece di scie incantate e misteri non ne avevo bisogno, ce n’erano fin troppi sparsi nella mia penosa vita per avere la briga di permettermene altri.
– La cameriera del Crunchy Frog. Dovevo andare a casa sua.. – bofonchiai nostalgica, come se non potessi mai più incontrarla. – Ascolta, Paul.. Simon o come ti chiami, è stato tutto molto divertente, però adesso devi riportarmi indietro.
– Oh no, assolutamente no. Se torno a Rotherhithe mi fanno il culo – parlottò dandosi un'occhiatina allo specchio. Un ladro vanitoso, chi l'avrebbe mai detto!
– Okay, nessun problema, prenderò la metro – decisi, incamminandomi verso la strada senza la ben che minima idea di quale direzione prendere.
– Dall’altra parte! – urlò lui alle mie spalle per indicarmi la giusta via. Potevo sentire la sua risata in lontananza, dio che imbranata!
– Avrà già finito il turno, e adesso dove diavolo vado a pescarla?! – mi rivolsi a chissà chi, guardando chissà dove, forse con l’illusione che qualcuno laggiù sarebbe stato in grado di darmi una risposta e mi sentii una perfetta nevrotica. In realtà ero solo demoralizzata dal fatto che prendendo la metro ci avrei impiegato troppo tempo, e una volta tornata al pub c’erano pochissime se non inesistenti possibilità di trovare Stephanie ancora lì ad aspettarmi.
– Ti ci porto io da lei! Andiamo! – La voce di Paul ebbe il potere di fermarmi. Mi voltai di nuovo e lo guardai con attenzione, come uno studioso davanti un libro di chimica. Lo esaminai da lontano mettendo a fuoco quel sorriso esilarato, mentre teneva le braccia poggiate al manubrio come se stesse comodamente affacciato alla finestra a gustarsi lo spettacolo pessimo che ero.
Conosceva davvero l’abitazione di quella ragazza, o quella era solo un'altra scusa per indurmi in un'altro dei suoi giochetti da delinquente? E soprattutto, perché un minuto prima aveva negato di conoscerla? Che ragazzo strano!, per non dire enigmatico. Mentre tutti quei punti interrogativi mi balenavano nella mente, senza nemmeno accorgermene ero già tornata indietro.
– Conosci davvero casa sua? – chiesi con un tono di voce sommesso che non avevo previsto, da ragazzina smarrita. Gli occhi cerulei di Paul vagarono per aria un momento, poi mi guardò con l’atteggiamento di uno che ha deciso di svelare le sue carte: – Bromley 453. Avanti, salta su. –
Con immenso sollievo rinunciai alla pazza idea di addentrarmi nella lugubre e pericolosa metro nel cuore della notte, mi acconciai la tracolla della borsa per l'ennesima volta e tornai a prendere posto sul mezzo, domandandomi se non avessi appena fatto un grosso errore nel dare credito a quello scriteriato. 

Per fortuna il viaggio di ritorno non si rivelò un incubo come la prima volta. Paul si fece tutte le scorciatoie possibili per evitare di trovarsi faccia a faccia con qualche guardia notturna.
Per mia meraviglia non fu concesso spazio al silenzio, anzi, quel ragazzo si mostrò sorprendentemente in grado di mettere più di una frase in riga. Ed io, anche se dovetti aguzzare bene l’udito per cogliere il suono della sua voce sotto rombo del motore, fui piacevolmente intrattenuta dai suoi racconti che parlavano di musica, barzellette e malefatte. Specie quelle compiute a Tony James, il proprietario della motocicletta che Paul stava guidando come se la conoscesse da sempre.
Contenta di non essere complice di un vero e proprio furto, e di essere arrivata di nuovo intera a destinazione, potei un’altra volta toccare terra con i miei piedi. Ancora non riuscivo a credere di aver fatto un giro in moto attaccata alla schiena di qualcuno di cui conoscevo solo il nome. Eppure una nuova strana sensazione aveva preso possesso dei miei sensi da quando quel James aveva urlato a Paul le peggiori ingiurie. Durante quella fuga sventata c’era qualcos’altro che insieme allo sgomento mi ribolliva dentro, qualcosa di molto simile a quella cosa chiamata adrenalina: una piacevole morsa che ti avvolge lo stomaco, che ti innalza fino a toccare le nuvole con un dito.
– Quella è la 453 – Paul indicò un cottage dall’aspetto mesto, poco curato, pochi metri più in là .
Adesso veniva la parte difficile, quella più scomoda e impacciata: dovevo congedarmi. Ma prima che ne potessi avere l’agio, Paul mi preannunziò:
– E adesso? Nessun premio per il tuo autista? – Mi guardò disinvolto e sorridente, con un doppio senso grande quanto un’imbarcazione scritto sulla faccia. Non ebbi nemmeno il tempo di schiudere le labbra per formulare una risposta adeguata che il suo braccio mi cinse i fianchi, e con fare poco delicato mi tirò a sé. Se non avessi premuto in tempo le mani sul colletto del suo chiodo, sarei cascata tra le sue braccia come uno stoccafisso. Non avevo davvero idea di cosa gli fosse preso, se avesse programmato già in partenza la fine del nostro incontro. Io di certo non l’avevo presagito. L’atteggiamento diffidente che avevo mantenuto fino a quel momento svanì come per incanto, di colpo e dolcemente. Sentii le guance improvvisamente scaldarsi e in un men che non si dica il calore del mio viso arrivò ad una temperatura spaventosa.
Che cosa mi stava succedendo? Ero solo finita con il viso ad un palmo dal suo. Una delle mie gambe strusciò contro il suo ginocchio e ciò bastò a farmi avvampare in quel modo, come una bambina che stringe la mano al più bello della classe.
Solo il tempo di un mezzo respiro trattenuto e la sua bocca, carnosa ed impaziente, premette senza indugi sulla mia, ghiacciata per il freddo pungente. Ci pensò lui a scaldarla, gustandola come se fin dal primo contatto gli fosse piaciuta, con un fare così accattivante da mozzarmi il fiato. Quando la punta calda della sua lingua mi sfiorò l’interno delle labbra tentai di liberarmi da quel tentacolo che aveva al posto del braccio, ma una presa più solida dietro la mia schiena fu la sola cosa che ottenni. A quel punto non potei fare altro che distendere i muscoli, accettare il fatto di essere in trappola e lasciarmi sopraffare dal suo profumo forte, che aveva in sé un non so cosa di dolce, nuovo e dannatamente bello.
Non c’era stato imbarazzo nel suo gesto, né il timore di un rifiuto. Paul aveva l’aria di uno che quando è intenzionato ad avere qualcosa, non solo va a prendersela subito, ma la ottiene senza opposizioni e senza nemmeno chiedere il permesso.
Quando capii che quel ladro di baci e motocliclette mi stava tenendo in ostaggio un po’ troppo a lungo, issai di nuovo le barriere e lo costrinsi a lasciarmi indietreggiare. Tornai dunque a riprendermi il mio spazio, mettendo tra noi una distanza tale da non poter facilmente finire di nuovo nelle sue grinfie, e lo vidi tirare in dentro il labbro inferiore mordendoselo in un gesto che mostrava non essere fatto di proposito. Aveva l’espressione contrariata di chi non ne ha ancora abbastanza, e negli occhi, in quegli occhi celesti quanto il fondo degli abissi vi era ancora quel luccichio magico e ardente dovuto all’eccitazione di quel bacio inaspettato che mi aveva piacevolmente esorto.
Io invece non dovevo essere molto presentabile così conciata, con i capelli arruffati ed il mascara sicuramente colato sotto le ciglia. “Non parlare con i punk, sono dei gran stronzi!” mi aveva consigliato Stephanie al pub. Ma io non solo avevo fatto un giro spericolato in moto con uno di loro, ma avevo anche lasciato che si appropriasse delle mie labbra senza alcun freno!
Paul schiuse le labbra in un sorriso che sembrava voler parlare, quando oltre un cancello verniciato di nero si aprì lentamente una porta bianco gesso, e un viso a me conosciuto comparve dietro di essa spezzando il silenzio:
– Oh mio dio, Alex! Iniziavo a pensare che fossi stata rapita – scherzò Stephanie, con un misto di preoccupazione e meraviglia disegnato sul volto. Tra le mani aveva qualcosa di simile ad una scodella per cereali che lasciò ai piedi del terzo ed ultimo gradino. Un piccolo gatto da pelo lungo e grigio spuntò dietro un bidone dell’immondizia e si affrettò a mangiare.
Dato che Stephanie non mi sembrava dispiaciuta di vedermi fuori la porta di casa sua a quell’ora inopportuna, mi convinsi di non essere stata indiscreta a presentarmi.
– Scusa se sono sparita, ma.. ho avuto un imprevisto – mi giustificai, rivolgendo uno sguardo schivo verso Paul. Era ancora lì, con la moto affiancata al margine del marciapiede.
– Hey Simonon! – salutò Stephanie quando notò un’altra presenza a pochi metri da me. Il ragazzo fece silenziosamente un cenno col capo e si sistemò sulla sella, pronto ad andarsene: – Ci si vede in giro Alex! – Mostrò l’accenno di un sorriso e sfrecciò verso la strada opposta a Rotherhithe.
Stephanie richiamò la mia attenzione, esortandomi a seguirla in casa. Giusto due passi e superai un ingresso minuscolo, ritrovandomi in un piccolo appartamento dall’arredo arrangiato. La luce gialla proveniente da due piccole lampade poste agli angoli della stanza creava una discreta illuminazione, ma forse non abbastanza da riuscire a infilare del cotone in un ago. Alzai gli occhi al soffitto e mi accorsi che il tetto non possedeva alcun lampadario.
Una ragazza dai ricci biondi e ribelli, fece irruzione in casa entrando da una finestra posta accanto alla cucina, dall’altra parte della stanza. A giudicare dall’aspetto doveva essere poco più grande di me.
– Come bacia Simonon? – parlò rivolgendomi uno sguardo malizioso. Il suo viso pallido e paffuto, marcato dal trucco ormai vecchio, mi ricordò quello di una bambola di porcellana, e la sua voce sottile quasi stonava con l’abbigliamento gotico. In una mano stringeva un paio di scarpe con un tacco che solo a guardarlo faceva venire le vertigini e nell’altra, teneva una sigaretta consumata a metà.
– Alex, lei è Nancy – mi disse Stephanie, richiudendo la porta alle nostre spalle. – Ha l’abitudine di spiare la gente dalla scala antincendio, non t’impressionare.
Fossero tutte queste le stranezze, pensai mentre mi mostravo socievole sfoggiando un sorriso in direzione di quel viso a me nuovo.
– Allora? Sei o no la ragazza di Simonon? – mi domandò pettegola la bionda, mentre saltava giù dal davanzale. Aveva un forte accento americano che la faceva sembrare snob.
– No, mi ha solo dato un passaggio. L’ho beccato a rubare la moto di un certo.. James.
– Andiamo Nancy, sei invadente! – la richiamò Stephanie, intanto che andava a chiudere la finestra dalla quale filtrava un venticello gelido. La risata dell’amica intanto aveva già preso una piega larga che fu in grado di far ridere anche me.
– James.. che soggetto! E’ proprio un babbeo! – Sghignazzando, Nancy si lasciò cadere sul divano color vinaccia, in preda alle risate scaturite da chissà quale pensiero. Quelle risa mi suggerirono che la bionda doveva conoscere molto bene quel poveretto che adesso si ritrovava senza motocicletta.
Mentre spegneva la sigaretta in un bicchiere adagiato al tavolino, Nancy torno in sé e disse: – Beh.. comunque, benvenuta nella nostra piccola dimora tesoro. – Sfoggiò un sorriso che oscillava tra la gentilezza e la strafottenza alla mia presenza, augurò la buonanotte e con una camminata traballante si ritirò in camera.
Stephanie mi guardò con una faccia buffa che mi fece capire quanto la sua amica fosse nella fase post-sbornia, scusandosi per il benvenuto un po’ strambo. La rassicurai con una scrollata di spalle, dicendo che non ero una di quelle signorine altolocate che se ne fa di questi problemi e ringraziai per le coperte che mi porse.
– Siamo a Londra Est, qui i tipi come lui li conoscono tutti – mi fece sapere Stephanie, quando le chiesi se conosceva quel Paul. I tipi come lui? I delinquenti intendeva dire. – E poi suona il basso una band.. I Clash, conosci? –
Anche se durante il giro in moto Paul mi aveva già accennato qualcosa sul suo gruppo, quando scossi il capo dicendo che non avevo mai ascoltato nessuna delle loro canzoni Stephanie mostrò un’espressione sbalordita, quasi come se avessi fatto chissà quale affronto alla corona. La musica rintronante di quei tipi al Crunchy Forg non mi aveva entusiasmata granché, così potei capire anche solo vagamente di che musica si trattasse: il punk rock non era nei miei gusti musicali preferiti.
Il cuscino dalla forma di una salsiccia si scaldò in un attimo a contatto con il mio viso. Con gli occhi vaganti sul muro bianco m
i ritrovai a fissare il soffitto, macchiato dalla polvere e dalle ombre degli oggetti. Il ticchettio dell’orologio appeso al muro mi cullò fino a quando, sfinita, potei finalmente addentrarmi nel mondo dei sogni.

Niente grida, nessun suono di piatti in frantumi, né porte che sbattono. Il paradiso. Il mio risveglio fu senza dubbio meno traumatico del solito. Solo una luce fastidiosa rifletteva sul divano sopra al quale ero distesa, accarezzandomi le spalle nude e colpendomi il viso.
Non ricordavo cosa sognai, probabilmente nulla. Fu insolito, perché io sognavo spesso. Nelle notti più buie qualcuno bussava alla porta dei miei pensieri, ma non sempre mi ritrovavo di fronte la fata turchina o il gigante buono. Erano sempre gli orchi cattivi quelli a darmi la caccia, ed io correvo, correvo forte. Correvo quanto più in fretta possibile ma la strada davanti a me, oscura e senza forma, diventava sempre più infinita, senza sbocchi secondari, senza l’ombra di una via d’uscita. Forse ero così stanca per via della giornata precedente trascorsa a gironzolare tra una strada e l’altra, che l'inconscio non ebbe nemmeno la forza di abbandonami all'immaginazione.
Mi stiracchiai e aspettai un istante, giusto il tempo che gli occhi si abituassero almeno parzialmente alla luce e riuscii a focalizzare la stanza e il corpo esile di una ragazza dai boccoli color miele. Lei doveva essere Grace, la cugina di Stephanie. Intenta a pulire i fornelli della cucina mi sfoggiò un sorriso gentile, studiandomi con due occhietti scuri nascosti dietro un paio di lenti dalla montatura marrone. Aveva l’aria della classica studentessa mattiniera, un po’ rompiscatole, fissata con le pulizie e l’uncinetto. La notte precedente già dormiva da un pezzo, e non vedendomi fare irruzione in casa non aveva idea di chi fossi, né del perché fossi piombata lì.
– Quindi sei la nostra nuova coinquilina! – asserì con eccessivo entusiasmo, quando le raccontai dell’incontro con sua cugina e con un certo Paul Simonon...
– L’ho già detto a Stephanie: solo il tempo di trovare un’altra sistemazione e andrò via. –
La studentessa dall’aria allegra, mi rassicurò dicendomi che il divano era libero per quanto tempo volevo e che la mia presenza non era solo un piacere, ma anche un aiuto in più per far più baccano e recare fastidio ai vicini antipatici. Mi sorrise con una cordialità alla quale non ero abituata, mi versò del tè in una buffa tazza gialla e disse: – Ma adesso parlami di lui! Non lo conosco granché.. sono così curiosa! –
A sentire quelle parole desiderai ardentemente di incontrare ancora quel viso d’attore, e quegli occhi scintillanti che ormai avevano preso già il dominio dei miei pensieri. Paul aveva l’espressione perennemente dura che s’addolciva solo quando rideva. Sembrava che non si forzasse nemmeno un po’ per risultare disinvolto ed attraente. Lui attraeva e basta, con un battito di ciglia senza neanche accorgersene. Perché ero ammaliata dal suo modo di essere così dannatamente bello? Pensai che forse era bello quanto stronzo, e chissà se era soltanto la linea perfetta del suo collo magro a farmi quell’effetto. Forse se a distinguerlo non avesse avuto quel piccolo spazio tra i due incisivi, non mi sarebbe parso interessante. Magari se lo avessi conosciuto in circostanze più normali, o se qualcuno avesse tentato di affibbiarmelo a tutti costi come fidanzato, non mi sarebbe piaciuto più di tanto. E forse se lo avessi incrociato per strada, o visto di sfuggita in un bar, non mi sarei nemmeno voltata per lanciargli un’occhiata furtiva, e forse… ma a chi diavolo volevo darla a bere!

Dopo aver elencato tutti i brani dei Beatles e tutti i titoli dei suoi libri gialli, Grace uscì per recarsi in biblioteca come di routine. Non si può stare mai tranquilli in questa casa, aveva detto.
La giornata stava passando noiosa tra una doccia bollente, biscotti al limone e riviste di moda che trovai sullo scaffale in bagno. Stephanie, che appena varcata la soglia della camera da letto aveva i capelli più diritti di un’antenna, mi propose di fare un salto al supermarket per mettere a tacere il brontolino dello stomaco e riempire il frigo deserto. – E’ proprio qui, all’angolo – indicò fuori dalla finestra.
L’idea di stare chiusa in casa tutto il santo giorno in attesa del fatidico nulla non mi parve interessante, così mi vestii rapidamente, infilai le converse e la giacca, ed uscimmo sotto il cielo ombrato di Londra lasciando Nancy ancora dormiente.
 




Note finali

Ho scelto come titolo del capitolo Beautiful and damned perché qui abbiamo un Paul Simonon che nei pensieri più segreti della nostra Alex viene etichettato proprio con tali aggettivi: "bello" e "dannato". E questi credo s'incastrino alla perfezione con l'atteggiamento che mostra il nostro bassista, no?
Per voi che invece attendete un incontro tra Alex e Johnny, immagino vorreste uccidermi perché come avrete notato la storia inizialmente procede a rilento, mettendo in primo piano quello che capita alla protagonista, lasciando da parte il tanto atteso John e di lui al momento nemmeno l'ombra. Ma non disperate, perché il Signor Marcio arriverà in un capitolo chilometrico tra: 3, 2, 1 ...
   
 
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