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Autore: Mela Shapley    04/01/2015    1 recensioni
Durante una particolare lezione di Pozioni, Harry Potter si ritrova in un mondo completamente diverso da quello che conosce, con amici e conoscenti catapultati in una fantasiosa girandola di favole babbane. Che si tratti del nuovo piano malvagio di Lord Voldemort... oppure no?
Genere: Avventura, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Luna Lovegood, Ron Weasley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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FF a tema: "C’era una volta… i personaggi potteriani nelle favole babbane"
Mese: Dicembre 2014
Sito: Lumos.it

A/N: Ciao a tutti! Ho scritto questa fanfiction per partecipare al tema organizzato a dicembre 2014 nel forum di Lumos.it, e ho deciso di postarla anche qui.
Per chi segue l'altra mia FF, Alla Luce del Sole: non aggiorno da qualche mese perchè il finale non mi soddisfa del tutto ^^" ma niente paura, non l'ho abbandonata.
Buona lettura!



 






“Harry, ragazzo mio, permettimi di dire che questo è il miglior Elisir dell’Euforia che io abbia mai visto durante la mia carriera di Professore ad Hogwarts! E l’hai terminato con ben quindici minuti di anticipo! Mi lasci senza parole ogni giorno di più… persino tua madre ha raggiunto questo livello solo dopo la terza o quarta lezione. Venti punti a Grifondoro per il tuo incommensurabile talento!”

 

Harry Potter si agitò sullo sgabello, a disagio per il freddo intenso dell’Aula di Pozioni nei Sotterranei – o forse, aggiunse una voce sospettosamente simile a quella di Hermione Granger, per via del senso di colpa nel ricevere un elogio totalmente immeritato. Scacciando quel pensiero fastidioso, ricambiò in modo poco convinto il sorriso smagliante del Professor Lumacorno, e lanciò una rapida occhiata in direzione dell’amica. Hermione, che appena un’ora prima si era lanciata in una ramanzina lunga un chilometro sul perché Harry non dovesse assolutamente fidarsi delle istruzioni scritte nel libro del Principe Mezzosangue, stava mescolando così rabbiosamente la sua pozione che rischiava quasi di farla uscire dal calderone, i capelli incollati alla fronte sudata. Quando si era resa conto che davanti ai suoi avvertimenti Harry si sarebbe limitato a fare orecchie da mercante, si era rifiutata di rivolgergli ancora parola e, in aula, si era seduta il più distante possibile da lui. Per un folle momento, Harry si era addirittura aspettato di vederla accomodarsi in compagnia di Malfoy e degli altri Serpeverde.

Non appena Lumacorno si fu allontanato, Harry sentì Hermione bofonchiare qualcosa, senza tuttavia coglierne le parole.

“Ha solo seguito istruzioni diverse dalle nostre, Hermione, non c’è niente di male,” le sussurrò Ron in risposta.

Harry sospirò e, nel tentativo di riempire il restante quarto d’ora di lezione, prese a sfogliare il libro incriminato. Il Principe Mezzosangue, rifletté accarezzando il nome vergato nella quarta di copertina. Chi poteva mai essere? Un ex studente, probabilmente, qualcuno che aveva dimenticato ad Hogwarts uno dei suoi libri di testo. Anche se, a pensarci bene, Harry non si sarebbe mai dimenticato di un libro del genere, un volume pieno di appunti così preziosi e personali. Qualche tempo prima aveva accarezzato l’idea che si trattasse di suo padre – ma non poteva essere, no? Era solo una sua tipica reazione, quella di cercare ovunque l’impronta del defunto James Potter, il padre che non aveva mai conosciuto. L’aveva fatto quando il Patronus a forma di Ramoso aveva salvato lui e Sirius da un centinaio di Dissennatori giù al lago: aveva creduto che quella figura scura e lontana fosse un’apparizione di James, e invece si era trattato di Harry stesso, un Harry tornato indietro dal futuro. A ripensarci, era buffo come la realtà si fosse rivelata più assurda della sua immaginazione…

Completamente perso nei suoi pensieri, Harry non si accorse dell’improvviso fumo giallognolo emanato dal calderone del suo vicino di tavolo, Ernie McMillan, e non sentì l’avvertimento proveniente dall’altra parte dell’aula. Tutto ciò che registrò fu un vago sentore di rose, che relegò subito in fondo ai suoi pensieri.

“Harry, attento!”

Sussultando, Harry si girò in direzione di Hermione, e un istante dopo il mondo intorno a lui esplose con un fragore assordante.

 

* * *

 

La prima cosa che Harry notò fu la luce.

Teneva gli occhi chiusi, ma era assolutamente sicuro di essere circondato da una luce insostenibile. Chi mai ha tirato le tende a quest’ora del mattino?, si chiese. Doveva essere ora di alzarsi dal letto. Non voleva farlo, però. Si sentiva stanco. Stanco come se Oliver Baston avesse appena finito di urlargli dietro ‘cosa saranno mai due gocce di pioggia!’ durante un allenamento di Quidditch pre-partita-ufficiale. Stanco come quella volta in cui era corso su e giù per il Dipartimento dei Misteri cercando di sfuggire a dei Mangiamorte – o forse come quella volta in cui era stato inseguito da un Basilisco inferocito per tutta la Camera dei Segreti.

Svogliatamente, e rifiutandosi fermamente di aprire gli occhi, rimase in attesa di udire i familiari suoni di una tipica mattina nella camera dei Grifondoro del sesto anno: i rumorosi sbadigli di Ron; Seamus che prendeva a calci le coperte nel tentativo di districarsi; Neville che inciampava nelle scarpe di Harry…

L’unico suono che sentì, tuttavia, fu il cinguettio degli uccelli. Strano, riflettè; un rumore fuori dall’ordinario. Così come era fuori dall’ordinario l’umidità che avvertiva sotto la schiena. A pensarci bene, il materasso del suo letto non era mai stato così duro…

Fu a quel punto che i riflessi dovuti al Quidditch e, soprattutto, la sua innata abitudine a sfuggire la morte così tanto detestata da Voldemort e seguaci, entrarono in azione. Harry si tirò su di scatto, aprì gli occhi e scoprì di trovarsi seduto su un fazzoletto di terra, all’aria aperta, in pieno giorno e nascosto dietro ad una grossa siepe. Sbattè le palpebre un paio di volte, le sbattè ancora, e poi imprecò. Non troppo volgarmente, però: in fin dei conti, per lui non era una grossa novità trovarsi inaspettatamente in qualche guaio.

Per Merlino, cosa gli era successo stavolta? L’ultima cosa che ricordava… beh, in effetti, ora che ci rifletteva, non aveva ricordi molto chiari su cos’era successo l’ultima volta che era stato sveglio. Ma doveva essere accaduto qualcosa di grosso. Forse un attacco dei Mangiamorte? Un piano di Voldemort?

L’idea lo fece balzare in piedi – e poi ricadere a terra quando la testa prese a girargli. Ok, con più calma, si disse. Il suo istinto da sopravvissuto, nel frattempo, aveva ricapitolato le cose fondamentali: nulla di rotto, nulla di doloroso, nessun arto mancante – niente bacchetta. Imprecò un’altra volta.

Per qualche secondo, perlustrò l’erba accanto a sé alla ricerca della sua bacchetta magica, senza nessun risultato. Questo era un problema. Di colpo gli tornò in mente quanto Piton l’avesse ridicolizzato per la sua imbarazzante incapacità di imparare incantesimi non verbali – Merlino, quanto avrebbe voluto aver prestato più attenzione alle lezioni di Difesa.

Non posso certo restare qui per sempre, si disse Harry, ignorando la parte di sé che avrebbe invece preferito restare nascosta lì fino all’arrivo dei soccorsi, e grazie tante. No, la cosa più sensata da fare era uscire da lì dietro e scoprire dove diamine era finito. Magari, con un po’ di fortuna, avrebbe scoperto che si era semplicemente ritrovato per sbaglio vicino all’orto di zucche di Hagrid, o dietro una delle serre di Erbologia.

Ma Harry sapeva benissimo di non essere un ragazzo fortunato; perciò, quando uscì dal suo riparo e si ritrovò in un giardino enorme e assolutamente sconosciuto, non ne rimase molto sorpreso. Il giardino era rigoglioso, pieno di alberi e ordinate siepi verdi, roseti e fiori colorati. Niente castello di Hogwarts all’orizzonte, ovviamente. C’era una foresta in lontananza, ma non assomigliava affatto alla Foresta Proibita. Comparire misteriosamente in un luogo sconosciuto. Una classica mossa alla Potter, rifletté. Perlomeno, quel luogo non sembrava particolarmente minaccioso.

Sospirando, si voltò verso sinistra – e si trovò davanti una persona che prima non c’era. Trattenendo a stento un grido, Harry fece un salto all’indietro e incespicò su una grossa radice, cadendo a terra rovinosamente. Strinse i pugni, aspettandosi l’inevitabile attacco – che, tuttavia, non arrivò. Anzi, ad essere sinceri, l’altra persona aveva tirato uno strillo ancora più acuto del suo, e si stava massaggiando il petto con aria scioccata.

Con il cuore che ancora batteva a mille, Harry osservò il nuovo arrivato. Era un uomo sulla quarantina, un po’ tozzo, con folti baffi neri e una divisa rossa dall’aria ufficiale. In mano teneva un barattolo, anch’esso rosso, e un oggetto di legno che sulle prime Harry aveva scambiato per una bacchetta – ma che in realtà era un pennello.

“Non è molto civile avvicinarsi alle persone così di soppiatto!” esclamò Harry con una punta di isteria residua. L’altro lo guardò male.

“Civile, io? Vi informo, mio caro signore, che sono qui in veste ufficiale,” sentenziò l’uomo, gesticolando con il pennello.

“Ufficiale, nel senso, da parte del Ministero?” chiese Harry sospettoso, rialzandosi da terra. Non riconosceva la divisa indossata dall’uomo: era molto diversa da quella indossata da Auror o da altri membri del Ministero. A pensarci bene, sembrava più di stampo Babbano che non magico, con degli attillati pantaloni bianchi al posto della veste comunemente indossata da maghi e streghe. Che quell'uomo fosse un Babbano?

“Chiaramente no, mio giovane plebeo. Anzi, non ho mai avuto sentore di questo Ministero di cui vaneggiate! Sono qui per ordine della regina.”

Passò qualche secondo di silenzio.

“La regina,” disse Harry. Lo ripetè anche una seconda volta, giusto per esserne sicuro.

“La regina,” confermò altezzosamente la guardia. “E vi prego di spostarvi immediatamente, cosicchè io possa portare a termine il compito che Sua Maestà mi ha graziosamente affidato.”

“Quale compito?” chiese Harry testardamente. Non gli piaceva quel tipo. Aveva un modo di fare untuoso, ed Harry non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua enorme pancia, che ballonzolava ogni volta che l’uomo si impettiva. Gli ricordava un po’ Lumacorno.

Lo strano tipo gli puntò contro il pennello con fare minaccioso.

“I giardinieri, quegli stolti, hanno commesso un grave affronto nei confronti della nostra amata regina.”

“Sì?” lo incoraggiò Harry, perplesso. L’uomo prese un grosso sospiro.

“Hanno piantato delle rose…” L’uomo si bloccò, come se la parola successiva gli costasse un grande sforzo. “…bianche.”

Harry sbattè le palpebre.

“E quindi?”

“E quindi,” riprese il tipo, forse risentito per l’aria poco impressionata di Harry. “E’ nostro dovere risolvere l’errore e soddisfare il volere della più pura delle donne, ovvero donare ai suoi graziosi occhi la vista di un giardino pieno di rose rosse.”

“Mi faccia capire,” disse Harry lentamente, lanciando un’occhiata al barattolo e al pennello tenuti in mano dall’altro. “Le rose sono bianche, ma la regina le vuole rosse… e quindi lei le sta ridipingendo con la vernice?”

“Ordunque non era così difficile da comprendere, mio sciocco amico! E non solo io, ovviamente: noi tutti.”

In effetti, nel frattempo i giardini attorno a loro si erano riempiti di altri uomini vestiti come l’interlocutore di Harry, tutti dotati di barattolo rosso e pennello.

“Questa è la cosa più assurda che io abbia sentito, e le assicuro che ne ho sentite tante,” commentò Harry alla fine. “E poi, che regina? La regina di Inghilterra?”

Non appena quelle parole lasciarono la sua bocca, tutti gli altri trattennero il fiato e lo guardarono a occhi sgranati, e i giardini si riempirono di silenzio sbigottito.

TAGLIATEGLI LA TESTA!

Stavolta fu Harry a sussultare. La voce gli risultava familiare. Era un tono che aveva sentito numerose volte negli ultimi anni, sebbene mai rivolto direttamente a lui. Proveniva da una sezione di giardino poco più avanti, dove si stava muovendo a passo di marcia una drappello di uomini in divisa, seguiti da una portantina dall’aria molto pesante.

“TAGLIATEGLI LA TESTA!”

Stavolta il grido era ancora più forte. L’uomo con cui Harry aveva parlato finora gli lanciò un’occhiata di scherno e si spostò velocemente fuori dai piedi. Nel frattempo, il drappello si avvicinava pericolosamente, gli occhi dei soldati minacciosamente fissi su di lui. Da quella distanza riusciva a vedere meglio la cosa seduta sulla portantina, e Harry non potè trattenersi dal restare a bocca aperta.

“Signora Weasley?!”

Ma non era proprio la signora Weasley – non come se la ricordava, almeno. Indossava un ampio abito nero e rosso, aveva i capelli raccolti all’indietro e portava sul capo una piccola corona dorata. In mano teneva uno scettro con la sommità a forma di cuoricino rosso – e lo stava puntando verso di lui con fare decisamente preoccupante.

Prendetelo!” strillò la signora Weasley. Le guardie insieme con lei sguainarono le spade come un sol uomo.

Lasciando perdere qualunque indecisione, Harry girò sui tacchi e si mise a correre a perdifiato. Non riusciva a capire cosa diamine stesse succedendo, o perché la madre di Ron volesse ucciderlo – ma non era arrivato vivo fin lì mettendosi a questionare ogni volta che la gente intorno a lui voleva ucciderlo. Non sempre, almeno.

Cercando di distanziare il più possibile la folla urlante dietro di lui, Harry raggiunse i margini della foresta che aveva visto prima. Era decisamente diversa dalla Foresta Proibita: gli alberi erano alti, cupi, dai rami bitorzoluti e dai tronchi spessi almeno il triplo di lui. Harry si fece largo tra le fronde, evitando le grosse radici che minacciavano di farlo inciampare. Non riusciva a capire dove fossero le guardie – di sicuro avevano deciso di seguirlo nella foresta. Riusciva a sentire le loro grida, e i rumori delle spade che urtavano i tronchi.

D’improvviso si ritrovò in un’ampia radura fiocamente illuminata. Si fermò di scatto, dardeggiando gli occhi da una parte all’altra per capire quale direzione fosse la più sicura – ma si bloccò del tutto quando scorse una figura al centro dello spiazzo.

Si trattava di una ragazza dai capelli color biondo pallido, lunghi quasi fino alla vita. Sentendo qualcuno, la ragazza si girò verso di lui, e gli fece un sorriso vacuo.

“Oh, ciao, Harry.”

“Luna!”

Harry si fiondò verso l’amica, respirando a fatica per la corsa. Luna lo guardò con aria incuriosita.

“Dobbiamo… andarcene! La signora Weasley… ha mandato delle guardie… per tagliarmi la testa!”

Non appena quelle parole gli uscirono di bocca, Harry si rese conto di quanto ridicole suonavano. Luna, tuttavia, annuì comprensiva e allargò il sorriso.

“Non ti devi preoccupare, Harry. La Regina di Cuori non ti farà nulla. Vedi,” la ragazza si chinò verso di lui con fare cospiratorio. “Quelle sono solo carte da gioco.”

“Eh?”

Luna si tirò indietro, sempre sorridendo. Improvvisamente i rumori attorno a loro cessarono, come se non ci fossero mai stati. Harry si guardò intorno – l’avevano trovato? Era forse arrivato il momento dell’attacco? Passarono alcuni istanti, e non accadde nulla.

“Sono andati via, ora che sappiamo cosa sono in realtà.”

“Ehm, ok, Luna. Se lo dici tu.”

A lui sembravano decisamente persone in carne ed ossa, non carte da gioco. Mentre Harry continuava a guardarsi intorno, gli occhi pallidi della ragazza lo fissarono con gentilezza.

“Oh, il mio nome è Alice. Ma tu puoi chiamarmi Luna, se vuoi. Mi è sempre piaciuta la luna.”

Harry aprì la bocca per parlare, e poi la richiuse. Possibile che quella ragazza riuscisse a confonderlo ogni volta?!

“Senti, Alice, Luna, chiunque tu sia,” disse alla fine. “Sai dove ci troviamo esattamente?”

La bionda, che nel frattempo si era seduta a terra per osservare una margherita di proporzioni decisamente innaturali, gli rivolse un altro sorriso e aprì la bocca – ma la voce che uscì non fu la sua.

“Scusate,” fece qualcuno alle spalle di Harry. “Avete forse visto un lupo cattivo?”

Lentamente, Harry si voltò. La nuova arrivata aveva un’aria innocua. Indossava una veste semplice color fango, con un cappuccio rosso tirato sui capelli, anch’essi rossi. In mano aveva un cesto di vimini dall’aria pesante. I suoi occhi castani lo fissavano con aria piena di aspettativa.

“Beh? Vi ho fatto una domanda!” riprese la ragazza con tono petulante. Il cuore di Harry fece un salto, e lui si ritrovò a fissarla come un pesce lesso.

“Io ho visto solo una tana di Scavatori Linguacciuti dietro quell’albero,” fece Luna in tono sognante.

“Oh, grazie!” rispose l’altra con un gran sorriso rivolto a Luna, e un’occhiataccia verso Harry.

“Ehm,” fece debolmente il ragazzo, ritrovando l’uso della parola. “Ho appena incontrato tua madre.”

Ginny – o comunque quella ragazza che le assomigliava moltissimo – lo guardò con più attenzione.

“Hai incontrato mia madre? Oh, allora è tutto a posto! Mi ha chiesto di portare queste vivande alla mia nonnina malata,” rispose lei indicando il cesto che portava al braccio. “Ma mi ha intimato di fare molta attenzione, perché in questi boschi vive un lupo cattivo che ama mangiare le ragazze.”

“Ah,” fu tutto quello che Harry riuscì a dire. Luna iniziò a canticchiare tra sé.

“Ma io non ho paura del lupo,” riprese Ginny roteando gli occhi, come per sottolineare che la sola idea era tremendamente stupida. “E, in ogni caso, so che qui intorno gira un cacciatore pronto a proteggermi. Non che la cosa mi sia molto di aiuto, considerando quant’è goffo – ogni volta che mi vede, arrossisce e perde l’uso della parola. Ma è buono e coraggioso, e in ogni momento io so di poter contare su di lui. Beh, meglio se vado, prima che faccia buio. Ciao eh!”

“Aspetta!” Harry le toccò il braccio, bloccandola. “Non puoi andare in giro per la foresta da sola. E’ pericoloso!”

La forse-Ginny lo guardò male e, per buona misura, lo colpì al braccio col cesto, costringendolo a staccarlo da lei.

“Harry Potter!” gridò lei, un mano sul fianco e il viso rosso di rabbia. “Non ti azzardare! Non sono una bambina, sai. Sono perfettamente in grado di badare a me stessa!”

E dopo quelle parole, lo fissò con uno sguardo che lo fece rimpicciolire di vergogna, e se ne andò arrabbiata per la sua strada.

“Lo so che ne sei capace, Ginny, ma io, io – tu…” iniziò Harry con voce piccola piccola, senza sapere bene come continuare; ma ormai la ragazza se n’era andata. Harry si girò di nuovo verso Luna, che nel frattempo aveva tirato fuori un filo e delle piccole pietre, e si stava componendo un braccialetto.

“Luna, io non capisco. Perché all’inizio sembrava che Ginny non mi avesse riconosciuto, mentre alla fine mi ha chiamato per nome?! E cos’erano tutti quei discorsi sulla nonna, e il lupo cattivo – insomma, l’unico che mi viene in mente è Remus, ma di sicuro non si può trasformare in pieno giorno! E quel cappuccio – sembrava quasi… sembrava quasi…”

Harry scosse la testa, confuso. Ricordava vagamente che qualcuno a scuola, quando lui era piccolo, gli aveva raccontato la storia di Cappuccetto Rosso, e anche altre favole famose. Ma non aveva molta dimestichezza con le fiabe Babbane: zia Petunia le aveva forse raccontate a Dudley, ma certamente non a lui. A casa, i Dursley possedevano due o tre cassette di cartoni animati, ma Harry non aveva mai avuto il permesso di guardarle, e Dudley aveva velocemente perso interesse per quelle che zio Vernon considerava ‘cose da femmine’.

Stava sognando, decise. Certo, tutto quello che lo circondava sembrava reale – l’erba, gli alberi della foresta, Luna – e anche il pizzicotto che si era appena dato era realisticamente doloroso. Un incantesimo, allora. Uno scherzo da Serpeverde che li aveva fatti finire tutti in un mondo incantato. Un piano malvagio di Voldemort! Anche se, a pensarci bene, mandare delle guardie Babbane armate di spada a ucciderlo non era esattamente nello stile di Voldemort. Il Signore Oscuro aveva modi un po’ più teatrali: corrompere un intero torneo internazionale per fare in modo che Harry si trovasse esattamente nel posto giusto al momento giusto per assistere alla sua grandiosa rinascita; attirarlo nel cuore del Ministero della Magia per coinvolgerlo in una battaglia all’ultimo sangue tra le forze del bene e quelle del male – forse Voldemort stava perdendo la testa. Oppure, aveva deciso di farla perdere a lui.

“Vieni, Luna, dobbiamo trovare il modo per tornare ad Hogwarts,” disse alla ragazza, che si alzò da terra compiacente.

“Hogwarts? La colonia su Marte? Ah, no, mi confondo – quella è Pigfarts.”

“No – Hogwarts. La scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Luna. Hai presente?”

“Oh. Ma allora sei un mago! Dunque mio padre aveva ragione: esistete davvero! Non vedo l’ora di dirgli che ne ho incontrato uno!”

Harry si guardò in giro, sospirando. Intorno a lui c’erano alberi e nient’altro che alberi: non riusciva a ricordare da quale parte fosse arrivato – e in ogni caso non era sicuro di voler tornare nel giardino, nonostante Luna sostenesse che quelle guardie non rappresentavano più un pericolo. Percorse a lunghi passi il confine della radura, fino a quando un punto più accessibile degli altri non attirò la sua attenzione. Un sentiero! Harry lo mostrò a Luna, e i due si incamminarono.

Cammina, cammina, Harry aveva l’impressione di addentrarsi sempre di più nella foresta. Dopo circa venti minuti di silenzio – di tanto in tanto interrotto dal canticchiare di Luna – udì delle voci in lontananza. Con cautela, Harry abbandonò il sentiero e si nascose tra gli alberi, e fece un cenno a Luna per indicarle di fare lo stesso. La ragazza lo ignorò.

Davanti a loro, sulla sommità di un piccolo colle, si presentò una scena a dir poco bizzarra – anche se, Harry doveva ammettere, non tanto strana quanto gli improvvisati riverniciatori di rose. Un capannello di persone era riunito attorno ad una grossa roccia, su cui Harry riusciva a distinguere il profilo di una spada. Una spada! In mancanza della sua bacchetta, gli avrebbe di sicuro fatto comodo – le guardie della signora Weasley potevano decidere di farsi di nuovo vive, dopotutto. Ma come prenderla? La gente attorno alla spada aveva un’aria decisamente poco raccomandabile. Al momento, un uomo conciato come un brigante stava tentando di estrarla dalla roccia. I muscoli delle braccia sembravano pronti ad esplodere, ma senza risultato: la spada rimaneva ben ferma dov’era. Attorno a lui, le altre persone fischiavano e schiamazzavano, forse per incoraggiarlo, o forse per schernirlo. Sembrava una specie di competizione. Harry scosse la testa, valutando le sue possibilità: non sarebbe mai riuscito a prendere la spada da sotto il naso di tutte quelle persone – armate a loro volta, tra l’altro – e comunque, se quell’omaccione muscoloso non riusciva ad estrarla, di sicuro il suo fisico gracilino non l’avrebbe aiutato granchè.

“Harry. Non ragioniam di loro, ma guarda e passa,” fece Luna in tono saggio, continuando a camminare tranquillamente sul sentiero. Harry la seguì, tenendo gli occhi sul gruppo attorno alla roccia per essere sicuro che non diventasse un pericolo. Nessuno li degnò di uno sguardo.

“Ehi, voi!”

La voce li raggiunse dopo qualche minuto di cammino, ma non proveniva da nessuno degli uomini che si erano lasciati alle spalle. Sul sentiero davanti a loro si stagliava un uomo in un’imponente armatura, bloccando il loro percorso.

“Fermatevi! Questo è un ordine del vostro Principe!”

La voce si era fatta strascicata, quasi altezzosamente annoiata, come se rivolgersi a loro fosse decisamente al di sotto della sua dignità.

Principe?, pensò Harry aggrottando la fronte. Insieme a Luna, si avvicinò al nuovo arrivato, rimpiangendo di non aver tentato di prendere quella maledetta spada. La massiccia figura iniziò a togliersi l’elmo, e la luce del sole risplendette su dei capelli che Harry conosceva bene, così chiari da sembrare quasi bianchi. Oh no.

L’altro ragazzo si mise l’elmo sotto il braccio, e li osservò con fare ostile e gli occhi socchiusi. Prima di parlare si riavviò con cura il ciuffo biondo appiattito dall’elmo.

“Sto cercando una principessa in pericolo,” disse Draco Malfoy con arroganza. Harry sentì montare la rabbia: non era sufficiente che quell’idiota lo tormentasse anche nel mondo reale, con le sue tendenze da Mangiamorte incallito? Sapeva che Malfoy stava combinando qualcosa di grosso, e ora faceva finta di andarsene in giro come un principe in armatura per cercare una principessa?

“Quale, una a caso, o una che hai intenzione da mettere in pericolo tu, Mal-furetto?”

Malfoy strinse gli occhi ancora di più, i lineamenti distorti in un lampo d’ira.

“Come osi rivolgerti a me in questo modo, sangue fetido?! Non un’altra parola, donna, o assaggerai questa spada forgiata dal sacro acciaio dei goblin di Valyria!”

“Ma che – io non sono una donna!” balbettò Harry, allibito.

“E allora perché ti vesti come tale?” chiese Malfoy, indicando con un ampio gesto le vesti da mago di Harry.

“Dice di essere un mago,” interloquì Luna, come a voler essere d’aiuto. “Io gli credo, anche se non l’ho mai visto fare magie.”

Malfoy lo fissò con occhi calcolatori.

“Un mago, dunque? Dopotutto potresti rivelarti d’aiuto, nonostante i tuoi rozzi modi da contadinotto. Trova per me la principessa,” ordinò.

“Ma?!” fece Harry, senza parole. “Merlino!”, imprecò. Perché erano tutti fuori di testa?

Con sua grande sorpresa, Malfoy fece un passo indietro.

“Sei il Mago Merlino? Ho sentito parlare di te. Ti chiedo perdono per il mio atteggiamento, Mago: sono solo un principe atterrito per la sorte della sua principessa. Ti prego, oh grande Mago, metti i tuoi grandi poteri al servizio di questo povero stolto.”

Nonostante le umili parole, il tono di Malfoy era completamente piatto.

“Certo,” rispose Harry rabbiosamente. “Guarda, la tua principessa è da quella parte.”

Indicò una direzione casuale verso destra. Non gli interessava affatto dove sarebbe finito Malfoy; voleva solo levarselo di torno. L’altro, però, aveva un’idea diversa.

“Fate strada,” ordinò infatti. Notando l’aria ostinata di Harry, continuò: “Fai strada, Mago, o la figlia dei fiori affronterà un terribile destino!”

Malfoy fece oscillare la spada verso Luna, che nel frattempo si era creata una corona di fiori e se l’era messa in testa.

“Va bene, va bene,” brontolò Harry. “Andiamo.”

Con rabbia, allontanò Luna dalla portata della spada, e si incamminò più o meno nella direzione che aveva indicato prima a Malfoy, facendo attenzione ad evitare gli alberi. Con soddisfazione, sentì l’ingombrante armatura di Malfoy sbattere continuamente di qua e di là, mentre il suo proprietario imprecava a bassa voce.

Proprio quando Malfoy sembrava essersi incastrato ed Harry era pronto ad afferrare Luna e a scappare via, la ragazza alzò una mano per indicare una roccia a qualche metro di distanza.

“Non mi ero sbagliata su di te, Harry,” commentò con un sorriso tranquillo.

Harry seguì la direzione del suo dito, e vide qualcosa che prima non aveva notato. Seminascosto dalla roccia, si stendeva una sorta di letto circondato da spine, e lì distesa c’era un’inequivocabile figura femminile. Io ci rinuncio, pensò Harry sospirando.

Malfoy si disincastrò dagli alberi e si incamminò verso la principessa con aria tutta tronfia. Gli altri due lo seguirono subito dopo.

Non appena si affacciò sulla pietra, Harry desiderò tanto ricevere un pugno sul naso. Non è possibile, accidenti, pensò quando vide i capelli cespugliosi della ‘principessa’. La ragazza sembrava profondamente addormentata, ma Harry era sicuro che, non appena le palpebre di lei si fossero aperte, avrebbe scorto gli occhi castani di Hermione Jane Granger.

Appena finì di pensarlo, vide il ragazzo accanto a sé chinarsi su Hermione come se volesse… Harry gli diede uno spintone.

“Whoa, whoa, whoa! Che diamine fai, Malfoy?!”

Il cavaliere strabuzzò gli occhi e lo guardò con odio.

“Secondo te, Mago? Solo il bacio del vero amore può svegliare la principessa!”

Harry guardò prima Malfoy, poi Hermione, e poi di nuovo Malfoy.

“Non penso proprio,” disse categorico. “Per Merlino, Malfoy, anche tralasciando quanto sbagliata sia questa situazione… non puoi andare in giro a baciare ragazze addormentate!”

L’altro lo guardò a bocca aperta.

“Certo che posso! E’ quello che fanno i principi, e io sono un principe!”

“Sì, come no. Senti, principe o non principe, è una cosa sbagliata. Non si fa. Non la conosci neanche!”

“Beh, e allora come pensi di svegliarla, genio?” sbottò Malfoy, rosso in viso.

“Non lo so, ma sta’ pur certo che tu non toccherai Hermione con quelle mani da Mangiamorte,” rispose Harry piccato.

“Non è quello il suo nome, stupido bifolco! E’ Biancaneve!”

“E’ Hermione!”

“Biancaneve!”

Hermione!”

Biancaneve! E te lo proverò!”

Spintonando via Harry, Malfoy si lanciò verso la ragazza addormentata. Mentre cadeva indietro, Harry vide tutta la scena al rallentatore: Malfoy che appoggiava le sue manacce sulle spalle della ragazza, le labbra che si stringevano tra loro e si avvicinavano pericolosamente alla bocca di Hermione, gli occhi di lei che si aprivano piano e…

SCIAFF!

Con uno strillo, Hermione si tirò all’indietro e continuò a agitare le mani per allontanare Malfoy.

“Ohi! Ahia! Ma che accidenti…” imprecò il ragazzo toccandosi la guancia, ma le sue parole furono coperte dalle urla di Hermione.

Cosa credevi di fare!?”

“Ma io – tu dormivi, preda di un sortilegio! Il re mio padre mi ha mandato a svegliarti col bacio del vero amore! Oh, mio padre verrà a sapere della tua insolenza, donna!”

“Il vostro bisticciare sveglierebbe anche i morti, per tutti i numi!” li sgridò Hermione, gesticolando anche verso Harry e Luna, la quale nel frattempo stava discorrendo con un albero. “Una ragazza non può nemmeno stendersi cinque minuti per fare un sonnellino, di questi tempi…”

“Insomma, sei Biancaneve o no?!” ringhiò Malfoy. Hermione lo guardò scioccata.

“No! Il mio nome è,” Hermione, concluse Harry tra sè. “… Rosaspina! Biancaneve se n’è andata secoli fa. Ho sentito dire che ora vive con sette uomini.”

Malfoy sbiancò.

Harry non sapeva se ridere o piangere. Stava seriamente pensando di mettersi a sedere in un angolino e di guardare come si sarebbero sviluppate tutte quelle assurdità, quando avvertì un’altra presenza dietro di sé. Non fece nemmeno la fatica di voltarsi. Gli veniva da sghignazzare.

“Ohi, tu, vile marrano! Allontanati dalla mia amata!”

Draco ed Hermione si voltarono verso chi aveva parlato. Il viso del ragazzo si deformò in una smorfia di disprezzo, mentre Hermione si illuminò in un grande sorriso.

“Principe Filippo!” fece lei.

Tale Filippo si avvicinò a grandi passi, e si immise tra Hermione e Malfoy. Con un’altra smorfia, il biondo si allontanò e incrociò le braccia, indispettito. Harry scosse la testa, con un sorrisetto: se proprio qualcun altro doveva intervenire in quella farsa, era felice che almeno si trattasse di Ron.

“Rosaspina, amore della mia vita!” esclamò Ron dopo aver lanciato un’occhiataccia a Malfoy. Si girò verso Hermione con aria adorante. “O per meglio dire… Principessa Aurora! Ero in ansia per la vostra sorte, mia cara.”

“Sto bene, mio principe, ora che voi siete qui,” gli rispose Hermione con un sorriso zuccheroso che non le si addiceva.

“Sì, beh,” si sentì la voce strascicata di Malfoy. “Facile arrivare qui quando ormai io ho già salvato la situazione.”

Ron lo ignorò.

“Due delle tue fate madrine, Flora e Fauna, mi hanno raccontato di come sei caduta in un sonno profondo dopo esserti punta con un arcolaio,” stava dicendo, stringendo una mano di Hermione. “Ma vedo che stai bene, e ne sono felice. Oh, e la terza fata madrina è qui per vegliare su di te! Ti ringrazio di cuore, Serenella,” continuò Ron, guardando Harry dritto negli occhi. Harry alzò le mani al cielo.

“Ma che – non sono una fata, diamine!”

Ron aggrottò la fronte.

“E allora perché ti vesti come tale?”

Harry si sbattè una mano sul viso, e si lasciò sfuggire una risata isterica.

Poi Hermione, all’improvviso, gli fece cenno di zittirsi.

Tutti gli altri quattro ragazzi, compresa Luna, si erano completamente ammutoliti. Harry si guardò intorno, cercando la causa di quel silenzio improvviso, quando un forte vento si alzò per accarezzare le foglie. Le nuvole coprirono il sole, e gli uccelli smisero di cantare. Malfoy e Ron sguainarono le spade, guardandosi attentamente intorno.

“Cosa succede?” chiese Harry, preoccupato. Luna lo fissò con i suoi strani occhi pallidi, senza un cenno di sorriso nel viso.

“E’ il Principe,” gli disse seriamente.

Un altro? Quanti ce ne sono?, stava per dire Harry, ma l’espressione sul viso della ragazza lo fermò. Luna parlò ancora.

“E’ il Principe Mezzosangue.”

Harry sgranò gli occhi, le braccia percorse da brividi di disagio. Quel nome gli suonava familiare, ma non riusciva a ricordare dove l’aveva già sentito. Teso, si voltò nella direzione che fissavano gli altri – e vide una grande nube nera all’altezza degli alberi, pericolosamente vicina a loro.

C’era una figura in mezzo; Harry ne vedeva chiaramente la sagoma, anche se non riusciva a capire se fosse uomo o bestia.

Potrebbe anche essere una donna!, disse una voce petulante nella sua testa che associò a quella di Hermione.

Quanti principi donna conosci?, rispose sardonicamente la voce di Ron.

Doveva assolutamente capire chi fosse, ma non riusciva a intravedere la sua faccia. Era importante, anche se non sapeva il perché. Harry fece un passo in avanti.

L’intera situazione era surreale, e Harry sentiva il bisogno di ridere, ridere, ridere. Ora intravedeva un po’ meglio il viso dell’uomo. Aveva lunghi capelli biondi, lisci, e due occhi freddi come quelli di Draco. No, aveva corti capelli neri e ricci, come quelli di Sirius, e una risata contagiosa. Ora aveva una barba lunga fino alla vita, e occhiali a mezzaluna che coprivano due occhi scintillanti. Invece adesso era identico a lui, a Harry: gli stessi capelli spettinati, gli stessi lineamenti, un sorrisetto malizioso, e occhi castani invece che verdi…

Continuando a ridere come un pazzo, Harry fece tre saltelli verso la nube.

“Harry!”

Era la voce di Hermione, che lo chiamava per farlo tornare indietro – anche se, stranamente, sembrava provenire dalla nube stessa. Immediatamente la figura misteriosa prese la forma di Hermione, e poi si trasformò di nuovo: capelli neri, lunghi e unti, naso adunco, occhi scuri che lo fissavano con odio. Poi capelli rossi, un viso gentile, occhi verdi smeraldo come i suoi. Accidenti, pensò Harry con ilarità, se restasse fermo potrei capire chi è questo Principe…

Harry!”

Al secondo richiamo, lo scenario attorno a lui si incrinò come vetro. Si guardò intorno, col fiato in gola per il gran ridere: le guardie della signora Weasley l’avevano trovato! Si stavano avvicinando a lui con le spade sguainate, il cerchio sempre più piccolo, pronte a tagliargli via la testa. Harry inclinò la testa di lato: accidenti, Luna aveva ragione. Erano davvero delle carte da gioco! Non come quelle da Sparaschiocco, ma come quelle Babbane. Ecco lì il tre di picche, e più il là il sette di quadri. Harry rise ancora più forte, e le guardie sparirono in un sol colpo.

“Harry, svegliati!”

Harry si mise a sedere, ridacchiando. L’aria attorno a lui era buia, fredda e immobile. Cos’era successo, il Principe Mezzosangue l’aveva preso? Guardò la faccia della persona china su di lui.

“Rosaspina!” disse allegramente. Anzi, principessa Aurora, naturalmente. Harry la guardò meglio, temendo che la principessa si fosse offesa per tutta quella confidenza.

“Ehm, no, Harry. Sono Hermione. Stai fermo, ora ti diamo l’antidoto, vedrai che ti passerà tutto. Fermo! Professore?”

Qualcuno gli mise vicino alle labbra un bicchiere dall’odore strano. Harry arricciò il naso.

“Ecco, ragazzo mio, bevi questo.”

Harry obbedì. Poi, sorridendo, si guardò intorno, e riconobbe l’aula di Pozioni. O meglio, il pavimento dell’aula di Pozioni, dove era attualmente seduto, con una folla di gente attorno a lui. Che strano! Incrociò gli sguardi preoccupati di Hermione e Ron, a cui fece un gran sorriso.

“Mi hai scambiato per una fata!”

Ron aggrottò la fronte.

“Sono certo di non averlo fatto, amico.”

Scrollando le spalle, Harry guardò Lumacorno, e poi i suoi occhi caddero sul gruppo di Serpeverde in fondo all’aula. Draco Malfoy lo stava indicando con un dito e ridacchiava malignamente, in compagnia dei suoi compagni di Casa. All’improvviso, Harry non trovava più la cosa molto divertente. Il suo sorriso svanì, e tutti quelli intorno a lui emisero un sospiro di sollievo.

“Cosa mi è successo?” chiese Harry, una nota di terrore nella voce.

“Il calderone di Ernie è esploso, e tu sei stato colpito da una dose massiccia di Elisir dell’Euforia,” si affrettò a spiegare Hermione. “Sei svenuto, e per un attimo non siamo più riusciti a svegliarti. Continuavi a ridere, anche nel sonno.”

Harry cercò di ignorare le risate sempre più isteriche dei Serpeverde. Sentiva il suo viso avvampare per l’imbarazzo.

“Mi spiace, Harry, è colpa mia,” gli disse Ernie con aria mortificata. Harry borbottò qualche parola rassicurante.

“Cose che capitano! Ora che il signor Potter è di nuovo in forma, terminiamo qui la lezione di oggi. Per la prossima volta, voglio mezzo rotolo di pergamena con le vostre ipotesi su quali siano gli ingredienti dell’antidoto che ho appena somministrato a Harry. Ricordatevi di motivare la vostra risposta,” fece giovialmente Lumacorno, mentre Ron ed Hermione aiutavano Harry ad alzarsi.

Il libro del Principe!, pensò Harry con una fitta di terrore, spostando il materiale appiccicaticcio rimasto sul suo tavolo. Era sparito, accidenti!

“Calmati, Harry,” ridacchiò Ron. “L’ho messo in salvo io.”

Mentre Ron gli porgeva il libro miracolosamente immacolato, Hermione si limitò a roteare gli occhi.

“Cos’è questa storia che ti ho scambiato per una fata, amico?”

Harry lanciò un’occhiata a Ron, al viso incuriosito di Hermione, e persino a Draco Malfoy, che aveva ancora un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

“Non mi credereste mai,” concluse Harry.

 

* * *

 

Era passata solo qualche ora dall’incidente, ed Harry era seduto al tavolo dei Grifondoro per la cena, rimuginando. Si sentiva ancora stanco. In effetti aveva trascorso mezza giornata a girovagare per una foresta immaginaria… si diede dello stupido. Come aveva potuto pensare che fosse un piano di Voldemort? L’Oscuro non aveva certo tempo da perdere con le fiabe Babbane. Riusciva proprio ad immaginarselo, rinchiuso nel suo antro tenebroso, a leggere favole e guardare i cartoni animati per decidere se Harry avrebbe sofferto di più con la storia della Sirenetta o con quella della Bella e la Bestia. Come no. Meglio dimenticare tutto, si disse: l’importante era che non fosse accaduto nulla di reale.

“Ciao, ragazzi,” esclamò Luna con fare sognante, sedendosi al loro tavolo. Harry alzò gli occhi dal piatto per salutarla, ma non appena la vide si pietrificò. Dopo due secondi si alzò di scatto dalla panca, borbottando qualcosa a proposito di un libro da riconsegnare in Biblioteca.

“Harry? Ma la Biblioteca è chiusa,” gli gridò dietro Hermione, ma ormai Harry era scappato a gambe levate dalla Sala Grande. La ragazza incrociò lo sguardo di Ron, che si limitò a scrollare le spalle e a roteare l’indice a livello della tempia.

“Sembra quasi che tu l’abbia spaventato, Luna,” considerò Hermione, stringendo gli occhi sospettosa. “Cos’hai lì in mano?”

“Queste? Oh, ma non è niente. Sono solo carte da gioco,” rispose Luna con un sorriso indecifrabile. Qualcosa nel suo sguardo lasciò Hermione molto perplessa, ma la Grifondoro decise di lasciar perdere. Harry doveva essere ancora stressato per via dell’incidente a Pozioni. O forse doveva andare urgentemente in bagno, ed era troppo timido per ammetterlo.

Luna rimescolò il mazzo di carte con mosse degne di una vera croupier.

“Una partita a poker?”

  
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