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Autore: Snow_Elk    04/01/2015    4 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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A Black Lotus as Night

 

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Episodio IV- Luce ed Ombra


In pochi attimi l’enorme falce calò sul povero disgraziato che si era ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, strappandogli via la vita come se fosse stata un semplice indumento malridotto.  Adorava combattere, la faceva sentire viva, libera da ogni pensiero, unico strumento da lei desiderato per potersi sfogare appieno.
Schivò con agilità una piccola selva di frecce e roteò su se stessa con estrema grazia quattro o cinque volte, eliminando altri tre avversari, che si accasciarono a terra come manichini senza vita.

Da quando Maxwell era stato sconfitto dal misterioso evocatore, Mistral era diventata terra di nessuno, l’ennesimo posto devastato dall’ennesima guerra senza senso, quasi GrandGaia non potesse andare avanti senza questo o quel conflitto.
Era la terza volta che si ritrovava a combattere in quella zona, contro le infinite schiere del secondo Dio caduto, Cardes, che aveva avuto la brillante idea di reclamare a sé ciò che un tempo era appartenuto a Maxwell , ovvero le rovine del castello di St. Lamia e tutto il resto di Mistral al gran seguito, o almeno ciò che ne restava.
Tutto ciò non significava altro che tante belle rogne per la sede degli evocatori di Akras, che aveva spedito lei e i suoi  Loto Nero, insieme a due battaglioni dell’esercito, a fermare l’ennesima incursione nemica, tanto per cambiare.

Fece volteggiare la falce per deviare i fendenti di un enorme  spadone  e del suo oscuro padrone, per poi inchiodarlo al terreno con estrema violenza. I suoi uomini stavano facendo un ottimo lavoro, erano stati addestrati per poter affrontare al meglio ogni genere di creature e in particolare gli abomini che gli Deì caduti di solito sguinzagliavo come se niente fosse.
Si piegò sulle ginocchia evitando la luccicante lama di una sciabola e al tempo stesso parò un poderoso colpo scagliato da un minotauro oscuro, facendo scivolare l’enorme ascia  sul bastone opaco della sua falce e lasciando la belva disarmata e in balia della sua foga da battaglia.
Pochi secondi dopo il suddetto minotauro giaceva in una pozza di sangue  con la testa qualche metro più in là. Alice sorrise sadica e riprese a combattere, ignorando le frecce, i proiettili  e i dardi magici che saettavano da una parte all’altra fendendo l’aria, lacerando corpi e armature, distruggendo vecchie rovine e terreni ormai incolti.

Lo scontro stava volgendo a loro favore, qualche altro minuto e quelle bestiacce se ne sarebbe tornate con la coda fra le gambe dal loro insulso padrone, ne era certa, anche perché ormai quel caos informe andava avanti da quasi mezz’ora e non poteva permettersi di perdere altro tempo, ogni minuto in più significava un soldato caduto o ancor peggio uno dei suoi che finiva all’altro mondo.
Balzò in aria, sfruttando per un attimo la spinta delle grandi ali di farfalla che spuntarono violacee dall’armatura nera e atterrò in mezzo ad un gruppo di soldati nemici, spezzando scudi, spade, scatenando il panico come tanto amava fare, uccidendo in un soffio chi osava voltarle le spalle e fronteggiando con gusto chi restava ad affrontarla, in quel misero e disperato tentativo di difesa.
Quella battaglia si stava rivelando facile, troppo facile,  quasi fosse stata una semplice schermaglia buttata lì tanto per essere combattuta, giusto per far morire qualcuno, e non un’incursione vera e propria a favore della conquista di Mistral. Che cosa passava per la testa di quel pazzo di un Cardes? Non che le importasse più di tanto, ma la faccenda le puzzava  di inganno e anche tanto.

In pochi istanti i suoi dubbi divennero reali: decine di golem oscuri, bardati di tutto punto e armati pesantemente, spuntarono dai varchi oscuri che il Dio caduto soleva usare per il trasporto truppe. Erano alti, grossi, bramavo morte e violenza, ed Alice leggeva nel loro sguardo cupo celato in parte dagli elmi che erano anche incazzati neri. Non si fece stupire troppo da quell’apparizione, dopotutto li aveva già affrontati  e sconfitti in passato e poteva farlo di nuovo, ma qualcosa la sconvolse inaspettatamente: in mezzo a quelle schiere oscure e informi c’era qualcuno, un uomo che ormai conosceva fin troppo e che non poteva in alcun modo trovarsi lì. Debran.
Il giovane sorrise malizioso proprio nella sua direzione, con i suoi occhi color rubino che la trafissero come due lance acuminate, da parte a parte, mentre i golem oscuri marciavano ai suoi lati, quasi ignorandolo, ma senza mai sfiorarlo.
Che se lo stesse immaginando? O era reale? Non poteva saperlo, l’energia che si sprigionava in quel genere di scontri poteva dar vita a qualsiasi cosa, anche ad allucinazioni, ma la domanda era: perché proprio lui?
Sentiva i muscoli bloccati sotto l’armatura, il fiato corto nonostante fosse ferma lì da quasi un minuto e i sudori freddi che colavano dietro la schiena facendola sussultare in silenzio. Che diavolo le stava accadendo?
Non poteva succedere di nuovo, non in quelle circostanze, non in quel momento. Sembrava che il tempo si fosse fermato, che tutto ciò che la circondava fosse sparito, un vago ricordo che viene spazzato via dal vento, ed erano rimasti solo lui e lei, così distanti eppure così vicini.

Sentì la presa sulla falce allentarsi sempre di più finché quest’ultima non cadde a terra emettendo un suono acuto e stridulo, che ben presto si perse in quella sorta di realtà illusoria e confusionaria,e poco dopo si lasciò cadere anche lei sulle ginocchia. La guardava, continua a fissarla, era come se la stesse spogliando con gli occhi, di nuovo, ma ciò che la inquietava di più era che quel pensiero le piaceva.
Debran sorrise, un sorriso sadico e oscuro, e solo in quel momento si accorse che i golem oscuri l’avevano accerchiata, si era spinta troppo in avanti rispetto ai suoi uomini, e si apprestavano a farle rimpiangere di essere nata.
- Comandante, che cosa sta facendo? Faccia attenzione!- sentì urlare uno dei suoi soldati, il tono di voce preoccupato e disperato, era stata una sciocca, una stupida, e come se si fosse risvegliata da un sogno si accorse che non aveva il tempo materiale di recuperare la falce per difendersi dai fendenti che stavano per calare su di lei, uno dopo l’altro. Aveva commesso un grave errore e ne avrebbe pagato le conseguenze.
All’improvviso delle lame luminose precipitarono dal cielo con una velocità inconcepibile, trafiggendo e uccidendo tutti i golem oscuri che l’avevano circondata con estrema facilità. Non poteva credere ai suoi occhi.

Davanti a sé atterrò una giovane donna dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi azzurri che infilzò come uno spiedino l’ultimo dei golem sopravvissuti a quella pioggia mortale: indossava un’armatura anch’essa bianca e finemente decorata, un’armonia di acciaio e seta che contraddistingue una e una sola delle eroine che si erano schierate contro le divinità. La dama bianca, la regina delle lame, Sefia.
La guerriera bianca osservò per un attimo i Loto Nero che respingevano con efficacia i golem oscuri, supportati dai battaglioni dell’esercito,  e assicuratasi che la situazione fosse sotto controllo fece calare il suo sguardo gelido e indagatore su Alice che la fissava ancora incredula. Di Debran invece non c’era traccia, scomparso nel nulla, così come era apparso poco prima.
- Ci sono modi migliori per finire all’altro mondo, non trovi? – esordì Sefia, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Alice fissò pensierosa la mano, ma invece di accettare l’aiuto la respinse con rabbia, mordendosi le labbra.
- Non avevo bisogno del tuo aiuto…- sibilò, rialzandosi e scuotendo la testa poggiandosi una mano sulla fronte.
- Ah no? A me invece sembrava proprio di sì – continuava ad inchiodarla col suo sguardo di ghiaccio, come stesse cercando di farle sputare la risposta a quella domanda che non aveva nemmeno pronunciato.
- Va al diavolo, Sefia, tu e le tue manie di protagonismo- l’ultima cosa di cui aveva bisogno dopo quello che aveva passato era di esser messa in ridicolo di fronte ai suoi uomini. Non poteva tollerarlo.
- Smettila di fare la ragazzina, Alice, e comportati da donna quale dovresti essere. O sei troppo orgogliosa per ammettere che ti trovavi in difficoltà? Non esser sciocca- la rimproverò la guerriera bianca, mentre le otto spade di luce si erano staccate dai cadaveri dei nemici per tornare a roteare intorno alla loro padrona, pronte a difenderla da qualsiasi cosa.
- Non sei riuscita a proteggere la persona a cui tenevi di più e ora pretendi di proteggere gli altri? Ridicolo- nell’udire quelle parole una scintilla di rabbia illuminò gli occhi della dama bianca e prima che Loto Nero potesse reagire in qualche modo la donna le sferrò un pugno poderoso in faccia, con una violenza tale da farla stramazzare a terra, inerme.

Quell’accesso d’ira durò una frazione di secondo e Sefia ritornò alla sua compostezza e tranquillità quasi innaturali, ma fu abbastanza per dimostrare che dentro di lei c’era ancora qualcosa che non trovava pace.
Alice mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre si rialzava, ma la dama bianca sembrò non darle peso e continuò a parlare:
- Ascoltami Alice, puoi scegliere: o rimaniamo qui e giuro che ti farò male, più di quanto immagini per quello che hai detto oppure possiamo finirla e andare a bere insieme un’animanera. A te la scelta- pronunciò l’intera frase con distacco e con una calma disumana.
Alice la fissò per alcuni secondi, senza fiatare, limitandosi a pulire il rivolo di sangue che le colava dalla bocca, poi ad un tratto sospirò e si decise a rispondere.
- Un buon bicchiere non si rifiuta mai…- disse, afferrando la mano che la dama bianca le aveva offerto nuovamente, sorridendo come se non fosse successo niente.
 
                                                               […]
 
Si erano accomodate ad una delle tante locande che adornavano i quartieri bassi della Capitale Regia, zona perlopiù frequentata da soldati in servizio, mercenari e viaggiatori di ogni giorno. Questa volta però si era presa la premura di evitare Il Picchiere Nero, ripiegando su qualcosa  di più tranquillo e semplice quale era La tana del Drago. Avevano ordinato una bottiglia di Animanera ghiacciata e  sedevano una di fronte all’altra, disarmate, con pezzi di armatura abbandonati sul tavolo alla buona.
Alice si stava stiracchiando con nonchalance quando Sefia prese parola:
- Allora, mi vuoi dire che diavolo ti è preso? Non ti ho mai vista in questo stato – il suo tono non era più distaccato bensì dolce, caldo e a tratti premuroso, sembrava un’altra persona.
Alice fissò il bicchiere di liquore e afferrandolo con forza lo tirò giù in un colpo solo, come a volersi fare coraggio bevendo alcolici, la peggiore e migliore idea al tempo stesso.
- Non lo so nemmeno io, Sefia, è da un paio di giorni che non mi sento più la stessa, c’è qualcosa in me che è cambiato o che sta cambiando e non so fino a che punto sia una cosa positiva…- sospirò, riempiendosi di nuovo il bicchiere.
- Che cosa intendi dire? Spiegati meglio ragazza mia o non potrò aiutarti- anche Sefia tirò giù un bicchiere, mostrando per un secondo una faccia disgustata.
- Intendo dire che sto provando qualcosa di profondo per una persona… anzi, peggio, per più di una persona probabilmente e come se non bastasse è successo tutto così in fretta che ancora stento a crederci. Questa cosa mi sta uccidendo, non sono mai stata abituata a tutto ciò… mai… ancor meno a determinate emozioni. Sefia, per la prima volta in vita mia ho avuto paura, per la prima volta in vita mia non so più chi sono- tirò giù il secondo bicchiere, lasciandosi cullare dal calore che si insinuava nel petto.

- Mia cara, quando ci si mette di mezzo l’amore è finita, credimi, nessuno può saperlo meglio di me. Qualunque concezione del mondo che avevamo, qualunque filosofia di vita e quant’altro crolla senza che noi possiamo fare qualcosa. Impossibile? No, è possibile eccome e lo stai provando tu stessa, non è che così?- il suo tono si era fatto quasi materno, in altre circostanze questa cosa l’avrebbe messa a disagio, ma non questa volta.
- Sì…- si limitò a rispondere lei, osservando il bicchiere vuoto e mordendosi le labbra fino a sentire il sapore metallico del sangue, se nemmeno la foga della battaglia era riuscita a calmarla allora  la situazione era davvero pessima.
- Siamo così impegnati a combattere questa guerra infinita contro gli Deì che ci siamo dimenticati di quanto possano essere devastanti determinati sentimenti. Ricorda, Alice, puoi essere anche una divinità o un eroe senza tempo, ma se una di queste emozioni dovesse riuscire ad insinuarsi nel tuo cuore non avresti scampo. La forza, il coraggio o il potere non servono a niente in queste situazioni… a niente. Io lo so fin troppo bene… avevo sottovalutato queste emozioni e a causa di questa mia negligenza stavo per perdere la persona che più amo a questo mondo-  la dama bianca abbassò lo sguardo, svuotando a piccoli sorsi l’ennesimo bicchiere: dopotutto anche lei beveva per non pensare, nonostante fosse una leggenda vivente anche lei soffriva in silenzio, combattendo nell’ombra le sue battaglie personali, di cui nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza. Nessuno, a parte lei.

- Come sta Kikuri? – chiese, ripensando alla magra figura che aveva fatto dopo esser stata salvata dalla dama bianca. Quella era stata una mancanza di rispetto e umanità in grande stile, che avrebbe potuto tranquillamente evitare.
- Meglio, è ancora in coma, ho perso il conto dei giorni ormai…- quella risposta giunse con un filo di voce.
- Mi… mi dispiace, Sefia, per prima intendo… non volevo- era una stupida, se lo stava ripetendo in testa più volte, per un suo malessere interiore aveva ferito nel profondo una persona che l’aveva salvata e non era stata la prima volta.
- Tranquilla… comunque sta dando segni di miglioramento, la vado a trovare ogni singolo giorno e aspetto con impazienza il momento in cui si risveglierà. Ho fin troppe cose per cui scusarmi e questa volta niente ci dividerà, non dopo quello che abbiamo passato- la donna accennò un mezzo sorriso, scacciando quel velo di malinconia che la stava per opprimere.
- Lo spero anch’io, è sempre stata una buona amica, nonostante il suo carattere particolare. Spero si risvegli presto- la battaglia a La Veda, Kikuri che si scontrava con Sefia all’ultimo sangue, l’arrivo di Zebra, Kikuri che si sacrificava per  salvare la sua amata, per un momento tutte quelle scene le passarono davanti agli occhi come un flash improvviso. Sentì un tonfo al cuore. Tra le due calò il silenzio, un silenzio breve e fragile.
- Dovrai fare molta attenzione, Alice, molta attenzione- lo sguardo di Sefia si fece persistente.
- In che senso?-
- Nel senso che qualunque cosa sia ciò che stai provando e chiunque siano i diretti interessati è qualcosa molto più grande di te e dannatamente pericoloso. C’è una bella differenza tra l’amore  e quello che stai provando tu, eppure sono molto simili, posso solo dirti questo, il resto dovrai capirlo da sola… nessun’altro può all’infuori di te-  quelle parole le fecero gelare il sangue nelle vene.

- Come fai a dire tutto ciò? - una sensazione di angoscia le bloccò il respiro per una manciata di secondi, facendola tossire lievemente.
- Te lo leggo negli occhi, Loto Nero, molte volte loro ci dicono più di quanto noi stessi riusciamo ad esprimere. Capisci?  Il tuo problema è che ti trovi tra la luce e l’ombra, in  una sorta di Limbo, ma più resterai lì e più soffrirai. Ascolta il tuo cuore, Alice, ma ancor di più ascolta la tua anima- concluse  e si alzò, abbandonando il bicchiere semipieno. Alice deglutì mentre quelle parole le rimbombavano nella testa.
- Aspetta, dove stai andando?- le chiese.
- Dove vuoi che vada?- Sefia sorrise, prima di voltarle le spalle- Da Kikuri-

 
   
 
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