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Autore: _Frame_    04/01/2015    1 recensioni
La giovane Cheshire rivive le memorie del suo primo trip allucinogeno attraverso le immagini registrate dalla telecamera del suo migliore amico durante un viaggio ad Amsterdam.
L’occasione perfetta per ripercorrere la serie di eventi che le hanno cambiato la vita.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dark Mushrooms








Primo Fungo

 

La schermata della telecamera rimbalza, una linea bianca attraversa il rettangolo nero, si gonfia in una minuscola sfera di luce che si espande nel riquadro. La mia figura china sulla bancarella di tulipani si alza, la mano avvolta dal guanto verde e blu – i miei preferiti – stringe una piccola cassetta di terriccio avvolta dalla plastica. Sghignazzo come una sciocca, la mano libera toglie i capelli che erano caduti davanti agli occhi e li sistema sotto il berretto di lana in tinta con i guanti.

“Ma dai, non è possibile.”

Sollevo la cassetta di terriccio e la mostro alla telecamera. Una foglia di marijuana ricopre l’intera pellicola sopra la scritta ‘Cannabis Seeds’.

“Cioè, guarda, vendono i semi tranquillamente qui, vicino a quelli dei tulipani.”

Strabuzzo gli occhi e li sollevo in cerca di quelli di Shiro. La telecamera sobbalza, si sente il rumore della mano di Shiro che preme sul lato, la pelle si sfrega sotto la cinghia di stoffa. Il suo polpastrello scivola, ha raggiunto la leva dello zoom, e l’inquadratura si restringe sulla confezione. Tornano a comparire le scritte sullo schermo. La batteria verde in alto a destra è ferma, il cerchio rosso con affianco la parola REC lampeggia a sinistra. Anche Shiro ride, però più piano, quasi uno sbuffo divertito. L’inquadratura traballa, mette a fuoco, e ora si vedono le venature scure che si espandono sulla foglia d’erba.

“Non credevo che fossero sfacciati fino a questo punto.” La mia voce è sorpresa. Ora che la risento sembra quasi un rimprovero.

“Non è che sono sfacciati.”

La telecamera stride, l’inquadratura si allontana e torna a riprendere il mio mezzo busto e lo sfondo della bancarella di tulipani. Il mio sguardo è ancora basso sulla vaschetta di terriccio. La giro, restringo le palpebre. Una coppietta passa alle mie spalle. Lei solleva la miniatura del mulino a vento e la fa vedere al compagno. Gli dice qualcosa. Lui annuisce ed entrambi spariscono dal riquadro.

“È così e basta, per loro è come vendere zucchero.” Shiro lo dice come se fosse ovvio.

Guardo la telecamera. Due fili di capelli sono usciti di nuovo dal berretto di lana e toccano la sciarpa. La luce della bancarella li rende color nocciola.

Le mie labbra si arricciano in una smorfia sbilenca. “Sì, però uno ci rimane di merda.”

“Mah, non credo visto che vengono qui per quello.”

Un bambino strilla qualcosa in una lingua che non conosco. Guardo la strada, a destra della telecamera tra l’insegna della batteria, la data e l’ora. 25 dicembre, 17:12. La folla continua a passare, il bambino ha smesso di frignare. Poso gli occhi sul retro della confezione e le palpebre si sgranano.

“No, guarda, ci sono anche le istruzioni!” Torno a mostrare il terriccio confezionato in vaschetta e indico il foglio che sta sotto la bustina contenente i pochi semi, incollata alla plastica. Il mio indice felpato batte più volte sulle colonne di testo e Shiro stringe l’inquadratura. “Stai riprendendo?”

“Sì, non vedi che è accesa?”

“Tienila più su.”

La telecamera traballa. Le bandierine che fiancheggiano le istruzioni sono sfocate. Gli ingranaggi stridono e i lineamenti della bandiera inglese sotto il mio dito si definiscono. L’immagine si scuote, Shiro riprende in basso di lato, sui tulipani gialli e rossi, vicino a quelli blu.

“Non mi va di farmi vedere mentre filmo, magari gli dà fastidio.”

Il mio braccio ripreso di fronte si muove, la mano rotea e mette a posto la vaschetta. “Per l’amor del cielo, questi vendono cannabis ai lati della strada.” Scuoto le spalle, infilo le mani nelle tasche della giacca. Cammino verso la strada e la telecamera torna alta, fissa sulla mia espressione di biasimo. “Perché dovrebbe dargli fastidio una telecamera?”

“Sulla guida c’era scritto che nel quartiere a luci rosse non puoi fotografare o riprendere le prostitute dietro le finestre.”

Faccio una piroetta, cammino all’indietro in mezzo alla folla, annegata nei bagliori dei negozi e delle bancarelle che brillano nella notte. Tiro fuori le mani dalle tasche, sollevo un indice e lo stringo mostrandolo a Shiro.

“Allora, primo: non siamo nel quartiere a luci rosse, secondo...” Sollevo anche il medio. Alzo le sopracciglia e sfodero un sorriso malizioso. La vocina diventa più sottile. “Domani vedremo se sarà così.”

“Dai, pervertita!” Shiro ride e la telecamera traballa.

“Dicono che ne vale la pena, sai?” Torno a camminare dritta, dandogli la schiena. Una mano torna nella tasca ed estrae un mozzicone di waffle ricoperto di crema bianca, avvolto da un fazzoletto di carta.

“Non voglio andare a vedere delle ragazze messe in vetrina come sfilacci di carne.” La voce di Shiro non ride più.

Addento il waffle, mi gonfio le guance e mi lecco le labbra. La mano libera sale e rotea.

“Parla il discendente del popolo degli hentai.”

“No, no, no, aspetta...”

La mano che non stringe il waffle si chiude a cono attorno alla mia bocca. Inclino il collo come stessi ululando. “Dei lolicon.”

“Dai, Cheshire, piantala.”

Alzo la voce. Qualche passante imbacuccato nel cappotto mi guarda storto e fila dritto. “Degli eroge, dei maid café.”

“Non ho mai giocato a un eroge in tutti i miei miseri vent’anni di vita.”

“Eeeh, va là!” Mi piego tenendomi la pancia e butto in bocca quel che è rimasto del waffle.

La telecamera si gira tra le mani di Shiro. L’immagine sfuma, vortica, e i suoni secchi delle sue dita coprono il brusio della strada dei mercatini. L’inquadratura si impenna. Il viso di Shiro compare davanti al cielo nero. Le sue labbra sbucano dal colletto della giacca tirato fino al mento, il riflesso tondo dell'occhiello della telecamera si riflette sulle lenti che gli coprono gli occhi dai lineamenti asiatici.

Shiro solleva una mano. L’inquadratura si assesta. “No, lo giuro sul serio. Le visual novel non contano.”

“Le visual novel sono eroge.”

Shiro leva lo sguardo su di me e l’occhio della telecamera lo segue. La mia immagine torna a occupare lo schermo.

“No, non lo sono.”

Annuisco decisa e mi scappa una risata. “Sì, lo sono.”

“Allora potremmo parlare di cosa Babbo Natale ti ha lasciato sotto l’albero a casa.”

Torno a camminare all’indietro. Due passanti mi evitano e finisco sotto la luce della vetrina di un negozio di formaggio. Tendo il braccio, indico la telecamera ma i miei occhi puntano Shiro. “Questo è un colpo basso e tu sei uno stronzo.” Sono rossa in viso, sghignazzo di nuovo.

La voce di Shiro mugugna. Mi sta facendo la linguaccia. “Fujoshi.”

Affondo le mani nelle tasche e mi chiudo nelle spalle. “Non sono una fojoshi.”

I passi di Shiro rimbombano, fanno tremare la telecamera. Corre verso di me.

“Questa disgraziata ha messo pornografia sotto l’albero di Natale! Andrà all’inferno!”

Io rido. Mi piego sulla pancia continuando a camminare e mi tappo le orecchie con i palmi guantati. “Non ti sento, non ti sento, non ti sento.”

“E se pensa che io le tradurrò delle doujinshi in lingua origi –”

Mi volto di scatto. “Stai zitto!” Ma sto ancora ridendo.

“Tanto non ci caga nessuno, e poi non ci capiscono.”

Mi tolgo una mano dalla testa e apro il palmo indicando la folla che ci passa di fianco, davanti e dietro. “Ma non hai visto che è pieno di italiani?” Scrollo le spalle, le braccia tornano nelle tasche.

“Alla fine non frega un cazzo a nessuno di te.”

Annuisco. “Mhm. Sì, giusto.”

Shiro stringe la telecamera sul mio viso. Sto guardando avanti, le guance e le labbra sono rosse per il freddo. Stridio. L’inquadratura si assesta e riprende un frammento di waffle incollato alla mia pelle.

“Ti è rimasta una briciola di waffle sulla guancia.”

Guardo Shiro. “Dove?”

“Qui, aspetta.” La sua mano libera si allunga, il pollice si posa sulla guancia e raschia via la briciola dal mio viso. Il campo si allarga. Io ritorno a mezzo busto, i miei occhi osservano il lato della telecamera – probabilmente la spia rossa – e poi di nuovo Shiro.

“Hai ancora la telecamera accesa?”

“Vuoi che la spenga?”

“No, no, tanto abbiamo caricato stamattina la batteria.” Mi sfrego la punta del naso arrossato e gli parlo attraverso la stoffa del guanto. “Di memoria ce n’è?”

“Ho messo la scheda da trentadue giga.”

Sollevo un pollice. “Oro.”

Faccio qualche passo, la telecamera si sposta e riprende altre bancarelle straripanti di fiori, scatole di latta decorate da dipinti di Van Gogh, ciondoli e portachiavi a forma di mulino a vento, e pantofole modellate a forma di zoccoli olandesi. Shiro ferma l’inquadratura su una farfallina finta che volteggia attorno a un tulipano di legno.

“Oh, guarda, magliette di dubbio gusto.”

La mia voce squillante gli fa voltare di botto la telecamera. Io fermo la corsa davanti a un negozietto sulla via, premo l’indice sulla vetrina illuminata e rivolgo il sorriso alla telecamera.

“Guarda, guarda.”

Shiro si avvicina a passo lento. La sua immagine che regge la telecamera si riflette sul vetro. Zooma tra una maglietta verde di Bob Marley strafatto di canna e una che ritrae la siluette rosa di una donna che fa lap dance. Shiro emette un lamento. La telecamera riprende la stampa della maglietta di una ragazza nuda piegata gattoni con Pinocchio sul retro. Due fumetti escono dalle loro bocche. ‘Tell me a lie’, ‘I’ve never been in the Red Light Distric’'.

“Mi vergogno per loro.”

Io sogghigno. “Tanto nel quartiere a luci rosse andiamo lo stesso.”

La telecamera si stacca e riprende me. Ho già ripreso a camminare e si sofferma sul mio zainetto.

“Se continui a parlare così sembra quasi che sia tu a volerti fare le prostitute.”

Rido di gusto, mi tengo la pancia. Mi volto verso Shiro e arriccio il naso in un’espressione divertita.

Shiro sistema la mano sul fianco della telecamera. “Sai, se tu fossi la mia ragazza probabilmente non insisteresti tanto.”

Sollevo le sopracciglia, distendo le labbra e sbatto le ciglia. “Allora ti consiglio di approfittare del fatto che non sono la tua ragazza.” Mi sfrego le spalle e torno a guardare in avanti.

Shiro si mette di fianco a me e mi riprende il profilo.

“Insomma, goditela anche tu un po’, no?” La mia voce è più calma e pacata.

Lasciamo passare qualche secondo in cui nessuno dei due ride o sghignazza. Si sente una donna che alza la voce, probabilmente una mamma che urla un rimprovero, e poi di nuovo il brusio e le vetrine che scorrono dietro di me.

Tossisco, chiudo il pugno davanti alla bocca. Guardo i miei piedi che avanzano e abbasso la voce. “Considerando che siamo qui solo per me...”

Shiro non risponde subito.

“Non è così che voglio godermi la vacanza.” Ora è lui che sembra rimproverare me. “Anzi, mi piacerebbe che anche tu pensassi a un’alternativa.”

Rivolgo un’occhiata seccata al di sopra dell'inquadratura della telecamera. Mi tolgo i capelli dal viso, li rimetto sotto la berretta di lana.

“Shiro, abbiamo speso trecento euro di viaggio praticamente solo per quello.” Mani di nuovo nelle tasche. “Sarebbe da coglioni non andare fino in fondo.”

“Credimi, non me ne pentirei.”

Il mio sguardo si ammorbidisce. “Tanto ci pensiamo domani, oggi mi sa che sono tutti chiusi.” Guardo avanti, la camminata accelera. Sollevo gli occhi al cielo nero e poi di nuovo in basso su Shiro. “Magari andiamo all’Hard Rock a prendere le bacchette per March Hare.”

“Sicura che sia aperto?”

Scuoto le spalle. “No, ma è qui vicino. Non costa niente dare un’occhiata.”

“Aspetta.” Shiro si ferma. Volta la telecamera e un turbine di colori riempie lo schermo. L’inquadratura si blocca su una bancarella, stringe sui ripiani della parete interna. “Non prendi qualcosa ai tuoi? Una cianfrusaglia, non so.” E si chiude su un piatto di ceramica dipinto con una piccola olandesina – bandana alla testa, grembiule, e zoccoli di legno – che coglie tulipani ai piedi di un mulino a vento.

Continuiamo a camminare. La telecamera si sposta e mi inquadra. Il volto rigido, più freddo dell’aria della notte, guarda per terra.

“Si fottano.” Mi stringo le bretelle dello zainetto sulle spalle e lo sguardo di ghiaccio punta davanti a me. “Prendo le bacchette a mio fratello e basta. Loro due che vadano al diavolo.”

L’inquadratura rimase sospesa, Shiro resta zitto. Gli ingranaggi si muovono e l’occhio della telecamera si avvicina alla toppa sulla mia giacca di pelle nera. ‘Hard Rock Café: London’.

Shiro ride. “Non puoi entrare all’Hard Rock di Amsterdam con la giacca dell’Hard Rock di Londra.”

Torna anche a me il sorriso, Shiro lo riprende.

“E in valigia ho pure la felpa di quello di Los Angeles!” Sollevo gli occhi al cielo, storco la bocca in un’espressione pensosa. “O era di New York?” Scuoto le spalle. “Boh... Dobbiamo solo stare attenti a non prendergli una fantasia che ha già, ma non so se mi ricordo tutte le bacchette che ha comprato.”

“Ti aiuto io. Quando ho visto la collezione mi ricordo che –”

“Wah! Shiro, guarda!” Stendo il braccio davanti a me. Palpebre spalancate, occhi scintillanti.

“Eh?”

Guardo la telecamera e insisto con l’indice puntato come premendo un pulsante invisibile sospeso per aria. “Là, là! Riprendi là, tira su la telecamera!”

Shiro segue il mio braccio. La telecamera si solleva, lo schermo si illumina, accecato da una luce bianca e rossa sospesa sul fianco di un edificio. Le linee si mettono a fuoco, definiscono la figura.

Shiro impreca. “Oh, merda.”

Smette di camminare e la telecamera non traballa più. L’insegna del funghetto disegnato con uno stile da cartone animato riempie l’intero schermo. Gambo tozzo e bianco, cappello ampio, di un rosso sgargiante maculato da candide chiazze in rilievo. Due occhi sulla cima del gambo guardano la folla, una bocca smagliante ci sorride.

“Ma porca miseria.” La voce di Shiro ha preso a borbottare.

Un rumore di carta che fruscia attira l’occhio della telecamera verso il basso. Le mie mani stendono la mappa sotto il mio sguardo che corre tra le vie, le palpebre si assottigliano e aggrotto le sopracciglia.

“Però non avevo segnato smart shop in questa zona.” Sollevo gli occhi. La luce rossa mi fa brillare la pelle del viso. “Forse non era nell'elenco di internet.”

Shiro non parla. Si limita a reggere la telecamera e a riprendermi il viso sognante che guarda l’insegna sopra le nostre teste. Abbasso gli occhi, piego il collo di lato fino a toccarmi la spalla con la testa. Distendo un sorriso da svampita e sbatto le ciglia due volte.

“Che c’è?”

Abbasso la cartina e indico il negozio con un gesto del capo. “Entriamo?”

Shiro prende un lungo e profondo sospiro. “Cheshire...”

“Dai!” Giungo le mani e schiaccio la cartina tra i palmi. L’espressione implorante.

Una mano di Shiro si allunga, sbuca da sotto lo schermo. “Aspetta solo un attimo, fammi dire una cosa.”

“Ti prego, ti prego, ti prego.” A ogni imploro faccio un piccolo saltello. Gli occhi sempre più annacquati, la vocina sempre più stridula.

“Avevi promesso domani.” Il tono di Shiro non demorde.

“No, avevo promesso che li avrei mangiati domani.” Ripiego la cartina e la rinfilo nella tasca. Il mio sguardo è tornato serio. “Lo so anch’io che adesso è troppo tardi, ma almeno li compro.”

“Non lo so, Cheshire.” La telecamera torna sul funghetto sorridente, si abbassa e si ferma sulla porta d’accesso. Due uomini si chinano per entrare e spariscono nella luce che si proietta sulla strada. “E poi secondo me non ti fanno nemmeno entrare. A guardarti sembra che tu abbia quattordici anni.”

“Ho i documenti e non c’è nessuno a sorvegliare l’entrata.” Faccio un passo verso lo smart shop. Lo torno a indicare piegando il collo. “Dai, mi accompagni e basta. Giuro che parlo e faccio tutto io, tanto so cosa chiedere, tu mi fai solo da ombra.”

Shiro sbuffa di nuovo. La mano si muove sul dorso della telecamera, le unghie tamburellano, fanno vibrare l’immagine e ovattare il suono.

“Uff, va be’, entra.”

Batto le mani e spicco un salto. “Evvai!”

L’inquadratura si abbassa. Le dita di Shiro la scuotono e l'immagine si taglia, lo schermo diventa nero.

 

 

Il rumore dello scuotimento fa traballare la telecamera. La schermata dai colori confusi e sfuocati si spalanca ma non si assesta, gli ingranaggi stridono.

“Tanto non ci vedono.”

Il brusio delle persone nel negozio cela la mia voce. La telecamera si ferma, riprende le mie gambe e si solleva. Il mio viso compare sopra la scritta dell’ora – 17:34 – e l’icona verde della batteria ancora piena. Sono davanti a una vetrinetta piena di flaconi.

“Tu tienila bassa e nemmeno si accorgono. Fai l’indifferente, muovila come se fosse spenta, e tieni coperta la lucetta rossa, tanto basta solo che registri il dialogo.”

Delle gambe camminano tra me e Shiro.

“Cheshire, è una cretinata. Se ci beccano a filmare...”

“Non ci beccheranno.” Guardo in basso, attirata dalla spia rossa e la indico sollevando il mento. “Tienila accesa, io vado a dare un’occhiata in giro.” Mi volto e mi addentro nel negozio, intrufolandomi tra i ragazzi accalcati.

Shiro sbuffa di nuovo, la telecamera bassa riprende le scarpe da ginnastica dei clienti che camminano. “Che palle.” I suoi piedi si muovono. Shiro si volta sulla vetrina più vicino, quella ricolma di flaconi. Solleva lentamente l’occhiello e si vede la sua immagine proiettata sui vetri. Zoom. Secondo ripiano. Una doppia scatola su cui è disegnato un cerchio rosa penetrato da una croce e uno azzurro da cui sbuca una freccia. Un numero sessantanove è marchiato tra i due simboli. “Sessantanove.” Shiro sorvola il flacone rosso e l’etichetta di un uomo muscoloso che corre. Si ferma su una busta fucsia con uno smile giallo che ricopre l’intera plastica. "Pillole della felicità, stimolanti, viagra. Dove diavolo mi hai portato, Cheshire?”

“Shiro!”

La mia voce richiama l’attenzione della telecamera. Il mio braccio spunta da sopra le teste di due ragazzi chini sulla vetrina alla parete opposta. La mano si scuote, chiama Shiro, e l’inquadratura abbassata si avvicina.

“Shiro, vieni qua!” Batto due dita sul vetro. Piccole valigette di acciaio imbottito contenenti fiale e siringhe sono deposte sul ripiano. “Guarda, le spore.”

Il braccio di Shiro cade su un fianco e la telecamera resta incollata alla mano ciondolante. Mi riprende il viso dal basso.

“Non vorrai mica portartele a casa?”

Lo guardo storto. “Non sono ancora diventata così scema. Lì sì che ci sarebbe da ridere, se mi trovassero con le spore di funghi allucinogeni in aeroporto.” I miei occhi vanno sulla vetrina. Carezzo la superficie con i polpastrelli. “Quando li cercavo su internet però ci avevo pensato, sai?” Sorrido e sollevo le spalle. “Poi potrei aprire la mia impresa di coltivazione e diventare spacciatrice di funghetti.”

“Così si avvererebbe davvero la profezia di Heart Queen.”

Inarco le sopracciglia e rivolgo uno sguardo interrogativo a Shiro.

La telecamera si muove leggermente. Avrà gesticolato.

“Quando ti ha letto la carta astrale, non aveva detto che tu sei una di quelle persone che potrebbero finire i loro giorni come spacciatori malfamati?”

Il mio sguardo si illumina. “Aaah, no!” Sghignazzo e sventolo la mano davanti al viso. “No, no, lei aveva detto che probabilmente sarei morta sul ciglio del marciapiede della stazione con un ago di eroina conficcato ancora nella vena del braccio.”

Rido di nuovo. Shiro non lo fa e mi risponde con voce piatta, con una punta di ironia sadica.

“Benissimo.”

“E pensare che non ho mai toccato droga in vita mia.” Ho l’aria pensosa. Un malinconico sorriso mi tiene incurvate le labbra.

“Vuoi provare i funghi solo per dar retta a Queen?”

“No, voglio provare i funghi per vedere fin dove riesce ad arrivare il mio cervello.” La mano si toglie dalla vetrina e rimescola l’aria. Gli occhi tornano su Shiro. “Sai, tipo che allucinazioni riuscirò a visualizzare, quali pensieri mi passeranno per la testa.” Affondo le mani in tasca e scuoto le spalle. “Robe così.”

Rimaniamo a fissarci, nessuno dei due dice niente. Le persone camminano, parlano in una brodaglia di lingue confuse e rimestate. Il mio viso non riesce a rimanere fermo e rigido. Gonfio le guance rosse e sputacchio una risata.

“Dai, non fare quella faccia.” Ridacchio.

La telecamera si gira. Torna il nero.

 

 

La piccola sfera rossa di fianco alla parola REC lampeggia. L’immagine del mio busto chino sulle braccia incrociate al bancone compare tra l’icona verde della batteria ancora carica e l’insegna dell’ora in basso a destra. Sono le cinque e cinquantasette del pomeriggio. L’inquadratura rimane bassa. Il braccio di Shiro steso sul fianco. Shiro si spinge tra me e un ragazzo con i capelli rasati e un piercing al labbro, fermo in contemplazione davanti al barattolo dei lecca-lecca alla cannabis.

Tamburello le dita sul legno del banco. Sposto il peso da una punta di piede all’altra. Sollevo il mento e allungo il collo verso i ripiani appesi alla parete dietro il bancone. Torno a posare le suole delle scarpe. Abbasso gli occhi verso l’inquadratura della telecamera che mi scruta. Strizzo una palpebra. L’uomo mi si avvicina dall’altra parte del banco, io tiro un sorriso e gli parlo per prima.

Hi.”

Ricambia il sorriso. “Hello.” Ha una voce amichevole, mi ricordo che mi era subito piaciuto.

Arriccio un angolo della bocca, mi pizzico un labbro. Le mani posate sul banco gesticolano, i piedi tamburellano. Sto pensando in inglese.

“Ehm, excuse me, I was looking for magic mushrooms, but it is my first time, so I have no idea...” Una risata nervosa e impacciata finisce la frase. Gesticolo a mezz’aria e sghignazzo.

L’uomo annuisce senza far sbiadire il sorriso. “Yeah, of course.” Guarda anche Shiro. “Where are you from, guys?”

Rispondiamo in coro. “Italy.”

Il commesso fa un’espressione piacevolmente stupita. “Ah, okay.” Si indica il petto con entrambe le mani. “Io riesco un poco a parlare italiano. Sai già quello che vuoi?”

Mi scosto i capelli dalla guancia. La mano rimane dietro l’orecchia e gratta la tempia sotto la berretta di lana. “Mhm, diciamo qualcosa di leggero, non troppo forte, anche perché non l’ho mai fatto e non so proprio come dovrò..." Mi stringo le spalle e il viso avvampa. “Fare.” Lo dico con una risata liberatoria.

L’uomo si scosta di lato, annuisce, e toglie un braccio dal banco. “Okay, allora guarda ti posso dare questi.” La punta del suo indice preme su un foglio plastificato inchiodato al legno del banco. Io e Shiro ci avviciniamo ma la telecamera rimane bassa, non riesce a catturare le scritte. “E sono proprio per...” Il commesso schiocca due volte le dita e rotea la mano. “Uhm, beginners. Come dite voi in Italia?”

Io e Shiro ci guardiamo. Stropiccio la fronte. “Beginners? Uhm, sono quelli che hanno appena iniziato...”

Shiro borbotta. “Principianti?”

Il viso del commesso si illumina. “Yeah.” Indica Shiro annuendo. “Sì, ecco.”

“Ma come devo fare poi per...” La mia frase si perde in un mormorio. Gesticolo come se stessi tessendo un filo invisibile, il viso si stropiccia in un'espressione interrogativa che ha un che di patetico.

Chew them.” L’uomo chiude le punte delle dita come se avesse afferrato qualcosa. Si ficca il boccone invisibile tra le fauci e si riempie la guancia. “Li prendi in the mouth and chew.” Mastica con movimenti della mandibola ampi e sgraziati. “Chew and chew, then swallow.” Si prende la pancia con entrambe le mani. “E a stomaco vuoto. About two or three hours, altrimenti non funzionano.”

“Ah, d’accordo.”

“Ecco, guarda.” Si volta e si mette in punta di piedi allungando le braccia. La telecamera non ci arriva ma si sente il rumore di una scatola che si apre. “Io ti do dieci grammi.” Mi mostra una bustina di carta marrone. “Tu prendi tre quarti di dose.”

“E poi basta? Cioè, fanno tutto da soli?”

“E poi...” Il commesso si impenna sulla punta di un piede. Sbatacchia le braccia come fossero ali e i suoi occhi si sollevano, perdendosi nella beatitudine.

La telecamera traballa sulla gamba di Shiro. Forse ha riso.

Intreccio le mani davanti al petto, fisso il foglio plastificato con un sorrisetto tirato e balbetto per un attimo. Forse sono indecisa se parlare in italiano o in inglese.

“C’è qualche, diciamo, controindicazione?”

L’angioletto sgraziato torna a posare i piedi a terra. L’uomo taglia l’aria con il fianco della mano. “Tu puoi stopparlo quando vuoi.”

And... how?” Mi strofino di nuovo la tempia sotto la berretta di lana. “Cioè, come?”

“Succo d’arancia.” L’uomo solleva un dito alla volta, stringendone la punta e scandendo bene le parole. “Vitamina C, tanta vitamina C, o cibo che contiene zucchero. Puoi anche prendere zucchero così.” E torna a farmi il gesto dell’ingollo. “Kiwi. I kiwi sono migliori, quelli fermano tutto subito. Venti minuti e stop.” Si colpisce il palmo con un pugno.

Annuisco più volte, ma sempre a testa bassa. “Ah, okay, venti minuti. Ma il trip...” Lo guardo, la mia voce si abbassa. “Quanto dura?”

“Cinque, sei ore.”

Mi sporgo verso di lui, stringo le mani a pugno sul banco e per poco non mi escono gli occhi dalle orbite. “Sei ore?”

Anche Shiro si è mosso, la telecamera trema. La batteria verde cala, lampeggia, e un minuscolo spazio si svuota.

“Quando vuoi stoppa.” Il commesso ripete il gesto del pugno sul palmo.

Faccio un respiro profondo. Guardo il foglio plastificato, lancio un’occhiata a Shiro. “Uhm, va bene, va bene.” Lo sguardo torna a volare sull’uomo dietro il banco. “Allora li prendo.”

“Okay?” Mi sorride e si rimette in punta di piedi sullo scaffale. “Allora faccio due.”

“No, no, no!” Io e Shiro lo fermiamo insieme. La telecamera si scuote e le nostre risate sono uno spadellare confuso. “Uno, uno!” Allunghiamo gli indici. “Solo uno!”

L’uomo ci guarda, sorpreso. “Solo una dose?”

“Sì, è solo per me.” Indico Shiro. “Lui guarda e tiene d’occhio.”

L’uomo strappa una linguetta di scotch. Fissa la bustina di carta marrone e mi rivolge un’occhiata saccente, solleva le sopracciglia e scuote la testa.

You don’t need a babysitter.”

Shiro ride. È una risata nervosa, come quando fanno battute sugli asiatici davanti a lui. “Vedremo.”

L’uomo spinge la busta rigonfia verso di me, ma il suo sguardo resta su Shiro. Gli indica il petto.

“Domani tu torni qui e vedi come chiedi anche tu.”

“Ah, lui proprio.” Infilo la mano nella cerniera dello zainetto ed estraggo il portafoglio. Premo i pollici e lo apro con uno scatto. “Quanto è?”

“Diciassette e cinquanta.”

“Okay, dovrei avere venti euro.” Muovo le dita tra le banconote fruscianti.

La telecamera si volta. L’inquadratura centra in pieno il viso sfocato di Shiro. Lui solleva le sopracciglia e annuisce. “Torno domani.” La mano resta ferma, l’occhio della telecamera stringe, si assesta, ma non si sposta. Shiro si guarda in giro ed emette un sospiro sconsolato. “Come no...”

Rumore di tasti. Buio.

 

 

La luce delle vetrine abbaglia lo schermo. L’assestamento della telecamera gira e ci impiega qualche secondo ad adattarsi al buio. Salto fuori dalle scale interrate e mi tuffo a braccia all’aria tra la folla.

“Ho dei funghi allucinogeni nello zaino!”

Faccio una giravolta sulle punte dei piedi e rido. L’immagine si schiarisce, inquadra il mio sorriso.

“Che bello.” La voce piatta e neutrale di Shiro è più limpida della mia, direttamente vicina ai fori dell’audio.

“Non ci posso credere.” Mi passo le mani sotto la cuffia di lana, le mani si intrecciano ai capelli. Faccio un passo verso Shiro e tendo il braccio in avanti. “Guarda.” Zoom sulla mia mano nuda che trema. “Sto ancora tremando.”

“Tanto qui è legale.”

Le mani traballanti finiscono affondate nelle tasche. “Lo so, ma il mio cervello non lo recepisce ancora.” Ridacchio. Guardo in giro, verso la folla che passa alle mie spalle.

“Ecco, bene.” Shiro mi supera. Abbassa la telecamera e l’immagine della bancarella di tulipani sbiadisce, è mezza storta. “Adesso noi andiamo al supermercato davanti all’ostello e lo svuotiamo di tutti i succhi all’arancia e di tutto lo zucchero che hanno.”

Le mie gambe compaiono nello schermo. “Be’, io sinceramente spero di non averne bisogno.” Shiro solleva la telecamera. Mi riprende mentre mi sistemo i capelli sotto la berretta di lana. “Cioè, vorrei godermelo fino in fondo senza doverlo stopparlo, altrimenti sarebbe come aver sputtanato diciassette euro e cinquanta.”

“Noi li prendiamo lo stesso, Cheshire. Non vado a rischiare così.”

“Va bene, va bene.”

Marcio a testa bassa in mezzo alla luce e alle ombre dei passanti. Mi guardo i piedi, mi stringo nelle spalle. Le labbra si inarcano in un sorriso che scopre i denti e la mia voce trilla in una risata da svampita. La risata di una stupida ventenne con la sua prima dose di droga nello zaino.

“Perché ridi?”

Guardo Shiro, più in alto rispetto alla telecamera. “Oggi è il venticinque, no?” Saltello e torno a camminare. “Quindi è come se i funghi fossero il mio regalo di Natale.”

“E allora?”

Fisso la spia rossa della registrazione. Sollevo le sopracciglia un paio di volte guardando dritta in camera. “Quest’anno Babbo Natale mi ha portato pornografia e funghi allucinogeni.”

Shiro sbuffa un risolino. La videocamera trema, si ribalta e inquadra le sue scarpe da ginnastica che camminano sul marciapiede di pietra. Le mani di Shiro toccano qualcosa sul fianco di plastica.

“Dovrebbe cambiare lavoro.”

Scatto. Buio.

 

 

“Or dunque, il bottino.”

La mia voce arriva quasi prima dell'immagine. Sono seduta a gambe incrociate sul letto dell’ostello, buste e sacchetti colorati sono sparsi sulle lenzuola. L’ora sullo schermo è cambiata: 20:43. Il livello di batteria è sceso ancora, è diventato giallo.

“Abbiamo comprato succo d’arancia.” Indico il primo cartone rettangolare. Il dito si posa sulla fotografia di un’arancia tagliata in due, bagnata da una cascata d’acqua cristallina. Passo al cartone successivo: una pera verde stilizzata su sfondo nero. Il nome del prodotto è in olandese, non riesco nemmeno a pronunciarlo. “Succo alla pera, ma è per questa sera e per la colazione di domani.” Mi sporgo in avanti e agguanto la confezione di plastica trasparente. “Altri waffle.” Li mostro alla telecamera e li poso. Apro il palmo su un'altra busta decorata da ghirigori rosa, vicino a quella dei confettini al cioccolato. “Dei muffin alla fragola, un sacchetto di Smarties.” Cado all’indietro tenendo le gambe incrociate. Raddrizzo la schiena e sollevo una confezione quadrata di cartone rosso. “Dei fantastici biscotti allo zenzero e caramello.” Shiro restringe il campo sulla foto del biscotto rotondo immerso in uno spruzzo di caramello.

Mi sporgo ai lati del letto, affondo le mani dentro lo zainetto aperto e la carta fruscia assieme al tintinnare metallico delle chiavi. Guardo fissa l'inquadratura che mi sta riprendendo ed esibisco la busta marrone chiusa con la fettuccia di scotch.

“E poi ci sono questi.” Sventolo il pacchetto. Il rigonfiamento centrale si vede meglio.

“Sì, ma nascondi il cibo, va’.”

Sollevo un indice. “Ah, ecco, una cosa che non ho detto alla telecamera.” Rimetto in ordine i funghetti e unisco le mani sulle gambe incrociate. Acciglio l’espressione, imito la goffa caricatura di un professore pompato e annuisco alla videocamera. “In questo ostello ti puoi drogare quanto vuoi ma non puoi portare cibo in camera.” Stendo i palmi e indico il cibo. “Dunque noi non siamo in torto per i funghetti ma per questi gustosissimi waffle.”

“Disgraziati.”

Shiro ribalta la telecamera. Per un secondo si vede il riflesso dello strumento specchiarsi sui suoi occhiali.

“Che fai?”

La mia voce lo blocca. Rilassa le mani e lo schermo torna sulla mia immagine seduta, ma storta di lato.

“Spengo la telecamera.”

La indico e la mia voce assume una nota di protesta. “Ma no, dobbiamo documentare.”

“La batteria scende.”

“E mettila in carica stanotte, no? Tanto con la memoria dovremmo essere a posto.”

Sparisco di nuovo. Il viso di Shiro passa di striscio e l'immagine si ferma sul lampadario tondo del soffitto.

“Che utilità c’è a riprenderti mentre trangugi dei waf –”

Click.

Buio.


.


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