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Autore: Ariana_Silente    04/01/2015    0 recensioni
Storia scritta di mio pugno, che mi accompagna da qualche anno a questa parte. Versione nuova, rivista, corretta ed ampliata.
"Una rabbia autodistruttiva, pronta a esplodere e l'unico modo per gestirla è indirizzarla verso se stesso. Una perdita mai del tutto accettata e ancora senza un motivo valido.
Un uomo non del tutto fiorito, dibattuto tra passato e presente, tra morte e amore.
Una verità da scoprire ed accettare per poter tornare a vivere."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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II

 

 

Alle sette era seduto sulla panchina a tre passi dall'ingresso della struttura dove Greta svolgeva i suoi tirocini da infermiera. L'aria era fredda e una brina spessa ricopriva l'erba, sembrava una decorazione di Natale. Il traffico era in aumento sulla strada cui dava le spalle. Il suo respiro si condensava in piccole nubi, si sistemò meglio la sciarpa intorno al collo. Finalmente la vide uscire: totalmente nascosta da cappello, sciarpa e giubbotto, la sua immancabile borsa appesa alla spalla e si dirigeva con passo spedito verso la fermata dell'autobus. Doveva per forza passare davanti a lui. Sorrise sotto lo strato di lana che gli ricopriva la bocca.
«Buon giorno meraviglioso raggio di sole. Non pare anche a te una splendida giornata?» declamò in modo teatrale. Lei si fermò di botto e si girò. Lo guardò per parecchi attimi, prima di avvicinarsi.
Era stanca, l'espressione tirata.
L'abbracciò stretta e cercò la sua guancia sotto tutti gli strati che si era messa addosso per ripararsi dal freddo.
«Che ci fai tu qui? Non hai lezione?»
«No, ma tranquilla, sono felice anche io di vederti.»
«Buon giorno amore mio.» mormorò lei, la strinse più forte.
«Propongo cappuccio e brioches, che dici?» si avviarono, tenendosi per mano.
«Approvato.»
Scelsero il bar, salutarono il barista, un signore alto e magro, capelli e barba grigi, una sorta di cowboy nostrano, che chiese loro se volessero il solito.
«Bombolone alla crema per te e integrale per il raggio di sole, qui?» chiese ancora, mentre i ragazzi prendevano posto.
«Grazie Gio.» rispose Greta.
Si guardarono.
«Turno difficile?» chiese Elia, accarezzandole col pollice il dorso della mano. Lei scosse la testa e sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
«Veramente no, ma è un periodo un po' complicato.»
«Spero non sia tutta colpa mia.» lei gli lanciò un'occhiata intensa, ma arrivò la colazione.
«Con il miglior buon giorno della casa! Raggio di sole, vedi di non offuscarti troppo, lascia un po' perdere quei turni.»
«Cercherò di farne meno.» gli sorrise lei.
«E tu, cavaliere, non potresti portare la principessa in vacanza da qualche parte?» proseguì imperterrito il barista.
«Provvederò, lo prometto.» acconsentì Elia. Il barista, soddisfatto, se ne tornò al bancone e loro presero a godersi la colazione.
«Vado a passare sabato e domenica da una mia amica per studiare.» lo informò dopo i primi sorsi alla bevanda calda. Elia annuì.
«Mi dispiace solo che non vai a divertirti. Io invece lo passerò dai miei.» si guardarono.
«Non esserne troppo entusiasta o potrei pensare che fingi.» gli sorrise divertita.
«Non posso infilarmi in quella tua borsa? Vengo da voi e vi faccio da tuttofare, dai. Sono bravo a cucinare, stirare, lavare... Sono un perfetto uomo di casa!» Greta gettò indietro la testa e scoppiò a ridere e anche lui iniziò a ridere. La risata della ragazza era contagiosa e lui adorava sentire quel suono scrosciante e genuino.
«Non chiedermelo un'altra volta o finirà che i tuoi genitori dovranno cavarsela da soli, perfetto uomo di casa.» la ragazza vide la solita ombra calare negli occhi di Elia all'accenno di disubbidire ai suoi. Era strano, di solito erano le ragazze ad avere cattivi rapporti col padre, non le era mai capitato di incontrare un ragazzo che invece ne aveva.
«Anche volendo non potrei rifiutarmi.» era un'ammissione che tutte le volte faceva con uno sforzo tremendo.
«Mamma mia Elia, che sarà mai. Su, sono solo due giorni e poi te ne ritorni qui.» lui la guardò con uno sguardo indecifrabile, poi le sorrise. Quel sorriso che non mostrava quasi mai, sincero e aperto.
Si salutarono poco dopo ed Elia si diresse in università. Seguì le lezioni della mattina e andò nel pomeriggio a discutere con il suo relatore del materiale che aveva trovato, di come impostare il discorso di tesi.
Quello che voleva affrontare era un caso particolare, aveva fatto scalpore ai tempi e lui era anche riuscito a recuperare vari articoli di giornale che ne parlavano, il caso era stato archiviato come fatalità. Anche se molte erano le domande a cui nessuno si era degnato di dare risposta, secondo lui.
Avrebbe fatto un'introduzione sulle leggi a tutela della persona, poi entrando nello specifico sui bambini, quindi avrebbe citato alcuni episodi in cui in un primo momento si era arrivati ad una conclusione che poi era stata ribaltata grazie a nuove indagini. Successivamente avrebbe sviluppato il suo caso.
«Ti sei scelto un tema tosto, sei sicuro di riuscire a sostenere la mole di lavoro?» non erano molte le cose per cui era sicuro, ma su quello non si sarebbe mai tirato indietro.
«Non l'avrei scelto altrimenti, le pare?» rispose secco.
«Ovviamente. Bene, puoi cominciare a scrivere qualcosa, il materiale per l'introduzione non manca, mi pare.»
«Perfetto. Nel weekend non sarò reperibile, ma risponderò alle e-mail eventualmente, professore.»
«D'accordo, Maffeis, non c'è problema. A settimana prossima.»
«Arrivederci professore.»
Lasciò l'università e tornò a casa nel tardo pomeriggio, fece una doccia e si mise vicino alla foto dei bambini. La guardò a lungo nel silenzio della casa.
Al piano di sopra qualche bambino stava giocando a rincorrersi, la tele a palla. I vicini di fianco ancora litigavano per chissà che cosa. Andò a bussare alla porta della signora Abis per andare a vedere la tapparella del bagno, ma Ben, il cane della signora, non si sentiva. Magari erano fuori a passeggiare.
Rimaneva sempre in pensiero quando si rendeva conto che non era nel suo appartamento. Rimaneva pur sempre una donna anziana. Tornò in casa e si soffermò un attimo davanti al suo tavolo.
«Verrò a trovarti.» disse alla piccola immagine ormai vecchia di anni. Passò le dita sulla superficie fredda del vetro e andò nel cucinino. Nell'attesa che venisse pronto chiamò Greta, per chiacchierare del più e del meno.
Sembrava che la crisi di inizio settimana fosse superata.
Dopo cena fece una chiamata a sua madre, quindi si preparò per quel tour de force di due giorni.
La mattina dopo prese il treno delle 7 che da Verona, dove studiava, lo riportava a Milano, dove era nato e cresciuto.
Frastornato dalla marea di persone che andavano e venivano, ciascuna presa dalla propria urgenza, guadagnò l'uscita, saltò sull'autobus per le cinque fermate che lo separavano dalla casa dei genitori e quindi si avviò a piedi, zaino in spalla fino al signorile condominio dove si erano trasferiti quando mamma aveva accolto il patrigno. Cercò di fare quel tratto di strada nel maggior tempo possibile, ma alla fine si ritrovò al portone d'ingresso.
Il portiere lo accolse con gioia.
«Finalmente di ritorno, signore. È passato più di un mese.»
«Sono felice di vederla, Mario. Come stanno i nipotini?» gli occhi dell'uomo brillarono.
«Sono le solite pesti. Mai un attimo zitte o buone, ma che ci deve fare, sono bambini. Il grande ha iniziato le elementari.»
«Il primo passo di un lungo percorso.» annuì cordiale lui.
«Già e sembra ieri che lo tenevo fra le mie braccia, piccolo come un bambolotto.» ricordò l'uomo con una buona dose di nostalgia. Elia annuì ancora.
«Vola questo tempo.»
«Ha proprio ragione! Ma che sbadato, le faccio perdere il suo, di tempo. Desidera che avvisi i suoi genitori?» e aveva già sollevato la cornetta per fare il numero del loro appartamento.
«Non si preoccupi. Non è necessario.» l'altro si fermò e depose la cornetta del telefono poi andò a chiamargli l'ascensore.
«Resterà per molto tempo?» gli chiese, mentre Elia entrava nel cubicolo.
«Lunedì ho lezione di buon' ora.» disse serio.
«E' un peccato, vostra madre sente oltremodo la vostra mancanza.» gli confidò, guardandosi intorno, per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. L'espressione del ragazzo si fece triste.
«Lo so, gli rimanga vicino per quel che può, Mario.» gli sussurrò di rimando.
«Come sempre.» lo assicurò.
Le porte dell'ascensore si chiusero e rimase solo col suo riflesso. Cercò di stamparsi un'espressione meno cupa.
Sua mamma venne ad aprirgli e l'espressione si accese di sorpresa e gioia. Si abbracciarono e baciarono e presero a raccontarsi contemporaneamente, riuscendo a seguire l'una i discorsi dell'altro. Risero, era un gioco che non avrebbero mai abbandonato.
Era una donna minuta, sua mamma, un tempo i capelli lunghi, vellutati e neri come la notte, ora erano diventati grigio-argentei e sul viso portava numerose rughe, le prime Elia ricordava di averle viste dopo la tragedia. Era sempre stata energica e fiduciosa, ma dopo la morte della figlia qualcosa si era spento in lei: la luce che le illuminava lo sguardo era svanito e l'energia che la pervadeva, rendendo tutto ciò che faceva magico, era svanita.
Non si era abbandonata alla disperazione solo perché il bambino che le era rimasto aveva bisogno di lei. Ma nulla era più rimasto come prima. Elia l'aveva percepito chiaramente e aveva per lungo tempo patito quel vuoto che col tempo si era accresciuto.
«Potevi chiamarmi, caro. Papà sarebbe venuto volentieri a prenderti.» gli stava dicendo, mentre gli toglieva il borsone e lo faceva accomodare.
«Avevo voglia di fare quattro passi.»
«Come sta la signora Abis? » gli chiese, portandogli un piatto di dolcetti caserecci. Ne prese due o tre continuando a chiacchierare di Ben e della tapparella che non era ancora riuscito a sistemare.
Andarono avanti a chiacchierare, poi il ragazzo fece una doccia, quindi raggiunse la donna che stava riordinando alcuni documenti.
«Come hai fatto a capire che ho conosciuto una ragazza, ma'?» le chiese strofinando vigorosamente i capelli bagnati. Lei lo guardò con dolcezza.
«Sono tua mamma tesoro, certe cose a una mamma non c'è bisogno di dirle. Avanti, raccontami di lei.» si guardarono.
«Non c'è molto da dire. Ci stiamo ancora conoscendo, mamma.» parve che le bastasse come risposta. «Vuoi una mano?» propose.
«No, tranquillo, ho quasi finito. Volevo andare da Ari, vieni con me?» si lanciarono uno sguardo.
«Papà torna prima di cena?» volle assicurarsi.
«Quando finiscono col lavoro, abbiamo tutto il tempo per fare con calma.» e così dicendo recuperava la borsa.
Il viaggio in macchina non durò a lungo, Elia andò a prendere un mazzolino di margherite poi madre e figlio superarono le file di lapidi, fino ad arrivare a una piccola croce di legno che negli anni addietro era stata solitaria, invece ora era affiancata da tante altre lapidi e croci.
«Non mi ricordavo tutte queste tombe.» mormorò Elia, dopo aver posato il suo mazzetto.
«Pian piano si sono aggiunte le altre. Il tempo deve fare il suo corso.» gli rispose, con lo sguardo concentrato sulla piccola foto, una bimba ridente abbracciata a un cane due volte più grande di lei.
«Già.» Elia strinse a sé la mamma, in un abbraccio protettivo come i tanti che lei aveva riservato a lui. Rimasero in silenzio mentre i raggi del sole sfioravano il legno rovinato dalle intemperie.
«Dovremo pensare di sostituire il legno, mamma. Fra un po' non si capirà nemmeno più che cosa servivano le assi.» disse d'un tratto.
«Oh, caro, ma a che servirebbe?»
«Ho come l'impressione che Diego abbia espresso un parere contrario a riguardo.»
«Sai che non mi piace quando parli di tuo papà in questo modo.»
«E a me non piace quando lasci che sia lui a decidere su ogni cosa.»
«E' lui che ti garantisce i lussi che hai, Elia. Un po' di gratitudine dovresti dimostrarla. È ora di andare.» il ragazzo si morse il labbro.
«Perché lui trova una perdita di tempo stare qui?» le chiese, senza muoversi di un passo.
«Elia...»
«Vai se vuoi, ti raggiungo dopo.»
«Non ne vale la pena tesoro, tua sorella lo sa che...»
«Ho il diritto di stare con mia sorella tutto il tempo che desidero, visto che non posso nemmeno venire tutti i giorni. E lei non è qui a dire cosa vorrebbe.» non aveva alzato la voce, ma nel suo tono era espresso un bisogno così profondo che la donna non protestò oltre, anzi tornò indietro e si aggrappò al braccio del figlio, posandogli la testa sulla spalla.
«Venire qui da sola è così duro, a volte.» gli confidò. Elia sospirò.
«E' vero che non stai più da quegli amici di tuo padre?» gli chiese dopo un po'
«E' vero.»
«Hai rinunciato alla cifra che ti passava. Non so ancora il perché.»
«Finché non devo pensare anche a pagare l'università, me la cavo. E sto meglio così.»
«Non capisco dove nasca questa tua ribellione.»“Perché non hai mai voluto sapere la verità, mamma.” era la risposta vera e invece giocò ancora quella carta di dissimulazione.
«Non si chiama ribellione, mamma, si chiama indipendenza.» le rispose pacato, iniziando ad avviarsi per il ritorno dopo un ultimo sguardo alla tomba.
«E non ti va di raccontarmi nulla di questa misteriosa ragazza?»
«Mamma...» protestò con un sorriso.
«Ma dai, la mamma di Matteo ha già conosciuto sua futura nuora!» Elia rise divertito.
«Futura nuora? Non è che correte un po' troppo voi mamme con la fantasia? È più probabile che si lascino fra un mese che io superi l'esame.»
«Non scherzare su queste cose. L'università è importante e poi ti devi laureare, non sai nemmeno quanto ansioso sia tuo padre.» gli disse col suo tono serio.
«Immagino.» le rispose altrettanto seriamente, immaginando il giorno in cui avrebbe discusso la sua tesi.
«A cosa stai pensando?» Elia sbatté un attimo gli occhi, sorpreso.
«Cosa?»
«Stavi sorridendo un attimo fa, a cosa pensavi?» gli spiegò. Lui scosse la testa.
«Oh, niente. Mi è venuto in mente una volta quando il cane della signora Abis è riuscito a rubare l'ultima fetta di torta sul piano cottura della cucina.» ribatté scuotendo le spalle. Anche sua madre sorrise, senza essere del tutto convinta.
«E' tutto pronto per questa sera?» le chiese per cambiare argomento mentre salivano il macchina e si lasciavano alle spalle il cimitero.
«Sì, la sala hai visto è già pronta e aspetto la consegna degli antipasti e del dolce.»
«Hai preparato i gnocchi col ragù?»
«Sì e di secondo ci sono affettati e tartine.»
«Ti sei superata anche questa volta!» le sorrise.
«Sei troppo buono. Eccoci, ora dammi una mano che finiamo di sistemare le ultime cose.» parcheggiarono la macchina, quindi tornarono in casa e finirono di sistemare i dettagli e si cambiarono nell'attesa delle pietanze ordinate.
Fu Elia che scese a prenderle e a pagare, quindi con la madre sistemò sul tavolo gli antipasti e prepararono l'aperitivo. Si cambiarono e attesero il ritorno del padre e dei colleghi. Elia si era messo a sfogliare il giornale di quel giorno, passando distrattamente da un titolo all'altro.
«Papà non vede l'ora che tu diventa avvocato. È da quando hai finito il tirocinio che continua a ripetere che diventerai un grande difensore.» gli disse, senza sospettare quanta rabbia quelle parole gli suscitassero.
«Bene.» mormorò lui.
Sì sentirono voci nel corridoio e il campanello suonò.
Elia ripiegò il giornale e lo ripose con calma: le danze stavano iniziando.
Andò tutto bene fino al dolce e al caffè, dopo che tutti erano sazi di buon cibo e vino: suo padre non fece altro che metterlo in mostra, come si fa con le tecnologie di ultima generazione, a beneficio dei suoi soci e colleghi, ripetendo gli esami superati, la media, le sue brillanti prove e i tirocini negli studi di famosi e affermati suoi futuri colleghi e che stava per occupare un posto come avvocato difensore nello studio del vecchio avvocato Garbi, a Verona dove il ragazzo studiava.
Finché a un collega di suo padre non venne in mente la brillante idea di chiedergli su cosa stesse svolgendo la tesi. Elia si irrigidì.
«Riguarda la difesa di grandi società nelle controversie legali. Non è così?» rispose Diego e fu così, che per una volta gli venne in aiuto col suo modo di fare.
«Esatto, papà, hai una memoria eccellente, come sempre.» sorrise al collega del padre con aria soddisfatta, di chi ritiene di aver detto tutto, purtroppo l'altro non fu della stessa opinione.
«Hai preso un caso preciso in esame?» volle sapere.
«Al momento sto raccogliendo informazioni generali per l'introduzione. Penso poi che sarà il mio relatore a decidere.» riuscì a svicolare con lo stesso tono pacato e serio che usava durante le interrogazioni.
«Quindi non avete ancora deciso il titolo?»
«Non ancora in effetti.»
«Potrebbe essere “Difesa di una società”» si intromise suo padre. Lui scrollò le spalle.
«Lo deciderà al momento opportuno il relatore, immagino.» gli rispose Elia, assaporando sempre di più il gusto eccitante di quel suo personale gioco mancino.
«Tuo figlio si è lasciato sfuggire non una parola in più del necessario, Diego.» suo padre espanse il petto, come faceva tutte le volte che si sentiva orgoglioso – fin troppo spesso per Elia.
«L'ho notato anche io. È un'ottima qualità per un futuro avvocato, non trovi, Ennio?» gli rispose compiaciuto.
«Quando hai deciso di intraprendere questa strada?» tornò alla carica il signor Ennio che a Elia iniziava a piacere sempre meno.
«Beh, un ragazzo intelligente e volenteroso come può perdersi un lavoro sicuro e remunerativo come quello dell'avvocato? La scelta è stata praticamente obbligata.» Elia lasciò che sulle sue labbra si dipingesse il sorrisetto che aveva avuto anni per mettere a punto: una via di mezzo tra il ghigno e il sorriso vero e ciascuno poteva leggerci ciò che preferiva, risparmiando a lui di dover esprimere un parere chiaro e definitivo, che il più delle volte era contrario a quello del patrigno. Nel frattempo Diego era scivolato accanto alla moglie, la mamma di Elia, che stava chiacchierando tranquilla con una alcune mogli dei convenuti. Tuttavia il signor Ennio era ancora intento a parlare con Elia.
«La scelta è stata davvero obbligata?» domandò quello con una vena di malizia che ad Elia non sfuggì.
«Sì fa per dire. Quello dell'avvocato è un mestiere interessante sotto molti punti di vista.» rispose con fredda cortesia.
«Non hai mai preso in considerazione altre professioni?» gli chiese con un'espressione di stupore. «Ai ragazzi giovani come te capita spesso di cambiare idea.»
Elia lo squadrò, era un uomo di mezza età, magro e ben vestito.
«Se anche dopo il liceo ho preso in considerazione altri tipi di mestieri, alla fine la decisione è ricaduta su questo. Ormai sono alla fine, mollare tutto sarebbe da sciocchi.» gli rispose in tono ragionevole.
«Quindi mi stai dicendo che tuo padre non si è in alcun modo intromesso nella tua decisione?» Elia gli lanciò una penetrante occhiata ostile.
«Lei lavora col mio patrigno. Credo che sappia già la risposta. Mi perdoni ora.» e si dileguò in cucina, prendendo un po' d'acqua. Avrebbe voluto avere un po' di roba dietro in quel momento. La serata si stava protraendo un po' troppo per i suoi gusti e la sua pazienza si era esaurita già a metà cena.
Qualcuno entrò nella cucina, socchiudendo la porta.
«Oh Elia, sei qui. Pensavo fossi in bagno, stai bene?» gli chiese allegra sua madre.
«Ma certo, avevo bisogno di un bicchier d'acqua. Di là sembra esistano solo alcolici.»
«Hai ragione, ma ormai siamo alla fine, porta pazienza. Qualcuno si è già congedato. Però è meglio se vieni di là con me, papà vorrebbe farti conoscere una persona.» Elia chiuse gli occhi, sentendo una sensazione fastidiosa montargli dentro.
«E' quell'incantevole unica fanciulla, figlia del socio?» lei gli sorrise, senza cogliere l'ironia del figlio.
«Tesoro, hai sempre avuto questo intuito straordinario! È una ragazza incantevole, vedrai.»
«Significa che siete già sulla buona strada per stringere accordi di fidanzamento?» ribatté sollevando un sopracciglio.
«Elia, non fare così. Lei studia qui a Milano, come avresti mai potuto avere occasione di incontrarla?»
«E se io avessi già altri progetti?» buttò lì duramente.
«Mi hai detto più volte che non è una cosa seria con la tua fantomatica ragazza. Altrimenti me ne avresti parlato. E ora cerca di non fare lo zotico, tuo padre ci rimarrebbe molto male.» ribatté sullo stesso tono, indicandogli di tornare in sala.
Scuotendo la testa, Elia tornò in mezzo ai colleghi e soci e altri vari partner in affari del padre e lo cercò di malavoglia.
«Papà mi cercavi?» Diego si voltò e gli tese il braccio per stringergli le spalle.
«Finalmente Elia! Credevo fossero le principesse a farsi attendere.» fece la sua battuta strizzando l'occhio alla ragazza che gli stava davanti, vicino presumibilmente a suo padre. Elia la guardò, una ragazza normale, capelli castani corti, occhi attenti, dall'aria nervosa quasi quanto la sua.
«Ragazzo mio, vorrei presentarti Chiara Rogi, figlia del mio caro socio ed amico. Sai, è al terzo anno di medicina, diventerà un brillante chirurgo.» lui cercò di sorriderle e le porse la mano, lei allungò la sua, fu una stretta veloce e debole.
«E' un piacere. Complimenti, sono sicuro che sarai la migliore, ma spero di non dover mai finire sotto i tuoi ferri.» le disse simulando una cordialità che non provava.
Lei gli sorrise.
«Mi hanno raccontato che hai scelto di andare a studiare a Verona.» gli rispose lei, con scarso interesse.
«Mio padre conosceva alcuni avvocati che lavorano lì, così ho potuto subito tastare il terreno, come dire.»
«Venga, Rogi, le mostro quella collezione di sigari di cui si parlava.» disse suo padre e preso sotto braccio il socio, si allontanò con decisione.
Ormai nella sala rimanevano poche persone oltre a loro, Elia fece spostare la ragazza verso il caminetto.
«Ti trovi bene là?» gli chiese ancora la ragazza.
«Molto meglio di quanto mi troverei qui, fidati. Come mai sei qui?» si guardarono.
«Mio padre ha insistito molto affinché partecipassi a questa cena, ma vorrei non ti facessi idee strane.» gli disse francamente. La ragazza conquistò numerosi punti in più nella fiducia di Elia.
«Mi fa piacere sentirtelo dire. Vale lo stesso per me. Non so cosa ti abbiano raccontato e non voglio mancarti di rispetto assolutamente, ma ho già i miei progetti.» le disse altrettanto francamente e con tono d'urgenza, alcuni passi si stavano avvicinando. Si guardarono di nuovo, questa volta con una solidarietà che fino a poco prima non c'era.
«Come la mettiamo con i nostri genitori?» gli chiese con la stessa fretta.
«E' il mio patrigno, non il mio genitore. E in genere io lascio che creda quello che preferisce.» le disse sbrigativo. Cercando d'indovinare se avesse svelato troppo delle sue carte, ma ormai era fatta.
«Allora ragazzi, posso offrirvi qualcosa? Un ultimo dolcetto oppure da bere?» chiese gentile la mamma di Elia, la ragazza gli lanciò un'ultima occhiata come a sancire il loro accordo e le sorrise.
«Oh signora, non si preoccupi. Io sono piena da scoppiare e vista l'ora è il caso che vada, domani devo alzarmi per studiare.»
«Tuo padre sarà con Diego di là nel salotto, vai pure a chiamarlo.» la ragazza ringraziando andò nella stanza, mentre Elia iniziava a raccogliere bicchieri vuoti lasciati su ogni superficie che non fosse a livello del pavimento.
«Elia, non vieni a salutare gli ospiti?» lo richiamò suo padre e lui abbandonò di nuovo la sicurezza della cucina per andare ora verso l'uscio di casa.
«Perdonatemi, eccomi. Arrivederci signor Rogi, è stato un piacere averla come ospite.» si rivolse alla ragazza.
«Buono studio per domani, non voglio trattenerti oltre. È stato un piacere conoscerti.» e fece il gesto di baciarle le guance.
«Vale lo stesso per me. Grazie della serata.»
«Figurati, cara. Torna a trovarci quando preferisci.» rispose la mamma, arrivata in quel momento.
«E senza complimenti.» aggiunse Diego, che strinse la mano al socio prima di chiudere la porta di casa.
Tornarono in silenzio verso la sala.
«E' stata un'ottima serata.» concluse l'uomo. La mamma sorrise.
«Ne sono felice, so quanti ci tenevi.»
«Elia avresti potuto essere un po' più socievole stasera, non ti pare? Come hai trovato la nostra Chiara?» Elia sbadigliò vistosamente.
«Mi sembra una persona normale, ora scusatemi, ma sono molto stanco.»
«Su tesoro, non ci dici altro? Che impressione ti ha fatto, è carina no?» cercò di spronarlo la madre.
«Mamma che vuoi che ti dica, ci ho parlato forse cinque minuti. È una ragazza perbene.»
«Sicuramente più perbene di quella che frequenti adesso, altrimenti ce ne parleresti più apertamente. Vedi di non fare passi falsi e di approfondire la conoscenza di Chiara Rogi. Sarebbe un peccato che te la lasciassi scappare.» sentenziò il patrigno con quel suo tono autoritario che odiava tanto.
«Lo sai, caro, che questo genere di cose non si possono combinare, lascia tempo al tempo. Ha detto che gli ha fatto una buona impressione, se son rose fioriranno.» si intromise la madre, odorando che il figlio non sarebbe stato disposto a cedere tanto facilmente su quel punto.
«Cara, perché non finisci di sistemare? Se no rimane tutto in disordine. Vieni con me, tu.» disse invece al ragazzo che lo seguì a due passi di distanza. Andarono nel salotto.
«Rogi ha una società molto ben avviata che tratta con l'estero, lo sapevi? Se riuscissi a convincerlo a fondere le nostre società sarebbe un grande guadagno. Capisci?» era appoggiato allo schienale della grande poltrona che guardava sulla finestra, un sigaro acceso in mano. Il fumo, per ironia della sorte, a Elio aveva sempre dato fastidio. La luce era spenta.
«Capisco.» disse freddamente.
«Non mettermi i bastoni tra le ruote ragazzo. Lo sai che non mi piace.»
«Ho sempre cercato di non farlo.»
«Vorrei che te la facessi piacere. Invitala domani per fare qualcosa.» era tornato al tono simpatico delle proposte.
«Ha detto che deve studiare e io pure e poi devo tornare a Verona.»
«Dove c'è il tuo momentaneo passatempo.» tirò una boccata al sigaro, Elia sentiva la testa ronzare per la rabbia, ma doveva trattenersi.
«Dove seguo delle lezioni per cui ho l'obbligo di frequenza, lo sai.»
«Cerca di chiuderla con quella sciacquetta.»
«Devo andare a dormire, a domani.» e senza lasciare al patrigno il tempo di ribattere era già avviato in camera sua che ormai era diventata la camera degli ospiti. Si tolse i vestiti e si infilò una vecchia maglia slavata, sciovalando poi nel bagnetto attiguo. Si sciacquò più volte il viso bollente con acqua fredda ed evitò di guardarsi allo specchio.
Aveva dannatamente bisogno della sua roba, ma non ne aveva portata nemmeno un po', maledizione.
Andò alla finestra e la spalancò, restando immobile a sentire l'aria gelida della notte sulla pelle nuda.
Sua madre dopo un'oretta bussò alla porta ed entrò in punta di piedi.
«Chiudi quella finestra, sei impazzito?» Elia si riscosse e chiuse i vetri.
«Stai bene?» le lanciò uno sguardo cupo.
«Ho la faccia di uno che sta bene?»
«Elia...»
«Smettila, mamma. Come hai potuto farmi una cosa del genere? Manca poco che il matrimonio è già combinato!» non c'era più rabbia in lui, il gelo della notte aveva preso il posto dell'ira.
«La stai prendendo nel modo sbagliato.»
«E quale sarebbe quello giusto?» volle sapere.
«Hai conosciuto una nuova amica.»
«Non sono suo amico e lei non è amica mia.»
«Sei un testardo ingrato.» lo accusò.
«Non credi che dovresti andare da lui? Il letto da solo non si riscalda.» tutti e due avevano gli occhi pieni di lacrime. A dividerli quell'amore difficile da comprendere per un uomo e il fantasma di una perdita atroce per cui nessuno dei due si era fatto una ragione.
La donna si asciugò le lacrime e uscì dalla camera del figlio, il ragazzo si infilò finalmente sotto le coperte, guardando il cellulare.
Visualizzò le email e una nuova attirò particolarmente la sua attenzione: grazie ai vecchi ritagli di giornale e ai dati forniti da un giornalista, era riuscito a risalire all'indirizzo di una donna che lavorava nel collegio dove era avvenuta la tragedia, e la signora aveva risposto che era disponibile per un colloquio. Immediatamente si mise a scrivere, chiedendo di concordare al più presto per un giorno e una data. La inviò con il cuore che batteva forte.
Guardò l'ora.
Erano le due. Decise che era meglio non scrivere a Greta, mise la sveglia e dormì un sonno agitato. Doveva andarsene da lì al più presto o sarebbe impazzito.
Pensò ancora a lei, quando si erano sdraiati sulla riva isolata dalla vegetazione di quel lago e per la prima volta si erano amati, con i raggi caldi del sole sulla pelle e l'alito delicato del vento tra i capelli.  

  
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