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Autore: Sundy    04/02/2005    1 recensioni
questo racconto è un po' fuori sessione, in quanto era nato come una fanfic sull'anime Last Exile, ma è cresciuto e si è sviluppato in una direzione completamente divergente, di modo che dell'idea originale non è rimasto che il nome del protagonista. Mi scuso con la Gonzo Entertainment intera per aver indebitamente plagiato il nome e i capelli arruffati del capitano della Sylvana per costruire il bambino, la proiezione di ogni uomo, in questo mondo, che almeno una volta nella vita abbia provato, vedendo un'isola sparire all'orizzonte, l'implacabile nostalgia della sua isola non trovata. Questa storia è dedicata alla vecchia cassetta di Guccini che ronzava nel registratore di cucina quando io avevo appena l'età del protagonista, all'Alex Rowe a cui ho rubato il nome e l'anima, e al Mediterraneo, il mare che da sempre giace al fondo dei miei viaggi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appare, a volte avvolta di foschia, magica e bella,

ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via,

tingendosi d'azzurro, color di lontananza.

G.Gozzano

 

Alex era nato sul mare.

Non lo seppe mai con certezza, ma quando si sentiva piccolo, insignificante, perduto, correva verso il mare, e al solo sentirne il rumore, la sua paura svaniva. Ne dedusse che c’era stato un tempo in cui la sua  vita era appartenuta al mare, e che al mare avrebbe sempre dovuto tornare per ritrovarsi un senso, qualora lo avesse, nel corso della sua esistenza, dimenticato.

Alexander Rowe lasciò la sua isola nel settembre del suo undicesimo anno di vita, e non vi fece più ritorno. I vecchi restarono a guardare il mare ritirarsi poco a poco, ma inesorabilmente, un unghia ogni mese, finché il mare scomparve oltre l’orizzonte, e i vecchi con lui.

Ma c’era stato un tempo in cui le case di pietra dentro cui cresceva la malerba e si moltiplicavano le formiche erano state abitate da persone reali, persone che riempivano le stanze e le strade di rumore, ogni mese, ogni ora, ogni giorno…. Poi il mare era diventato più caldo e i pesci si erano spostati a nord, seguendo le correnti fresche che amavano di più, e la gente, anno dopo anno, se ne era andata seguendo il pesce che gli dava da vivere. Alex camminava in mezzo ai vicoli, immerso nel silenzio denso del mezzogiorno. Era un silenzio così onnipotente e onnipresente, da permettergli di sentire lo schiocco delle pine che si schiantavano nel sole e il frusciare delle piume degli uccelli tra i rami secchi degli alberi lontani, i pigolii che salivano dai buchi in cui i rondoni costruivano i nidi.

Quel pigolio lo inquietava. Si immaginava i pulcini simili a vermi dalle lunghe, piccole bocche gialle che ogni tanto si affacciavano dai pertugi, gridando con le loro voci stridule la fame e la paura di essere stati abbandonati. Una volta si arrampicò sul muretto crollato di una casa un po’ discosta dalle vie principali, e infilò una mano dentro il pertugio. Ne uscì un corpicino maleodorante e caldissimo, che tremava sul suo palmo come gli intestini di un pesce appena pescato. Atterrito, Alex allontanò la mano e l’uccellino precipitò nel vuoto sottostante. Quando scese dal muretto era immobile sulla pietra, e poté osservarlo meglio. Così scoprì che gli uccelli non assomigliano a vermi, quando pigolano dentro i nidi bui, ma a minuscoli esseri umani senza braccia, e che al posto delle piume hanno bubboni neri sotto la pelle rossiccia, sottile come buccia di cipolla. Prese in mano l’uccellino, che non tremava più, e lo riportò nel suo buco.

Quella sera, sdraiato sul soppalco di legno, annotò la sua scoperta in un quaderno a quadretti che aveva trovato sotto i libri di conto di Santi.

Santi il pescatore non sapeva scrivere i numeri, per questo faceva un punto blu in un quaderno per ogni cassa di pesce venduto. In fondo al mese contava i punti e sapeva come erano andati gli affari.

Alex non sapeva dove andava a finire tutto il pesce che Santi pescava. A volte il Guardaboschi parlava di paesi vicini, sull’isola, ma Alex, che pur camminava molto, non li aveva mai visti.

Pochi vecchi vivevano ancora in paese, nelle casupole vicino al porto, sfasciate dall’umidità e dai venti che soffiavano dal mare. C’era il Ciabattino, con la bocca senza denti che gli smuoveva un terrore antico, c’erano altri pescatori, con la pelle cotta dal sole e le schiene curve, le mani ruvide intarsiate di calli e vene sporgenti, e donne con le labbra seccate dal silenzio e gli occhi annebbiati dalla lanugine bianca dei capelli che spuntavano da sotto il fazzoletto. La Signora col Mantello Verde era vecchia come gli altri, ma era diversa. Lei non sembrava così stanca, infatti abitava sola nelle case del paese vecchio, in cima alla collina. Scendeva di rado in paese, ma più spesso di quanto le forze lo avrebbero permesso agli altri uomini che si trascinavano su quella terra. Quando lo incontrava nei vicoli evitati dai più, lo salutava con dei sorrisi pieni di sfumature che lui non sapeva cogliere, e ad Alex questo non piaceva.

C’erano anche altre persone, che arrivavano su barche più grandi di quanto fosse necessario a trasportarli tutti, quando il mare si faceva più caldo e il cielo più blu,  e avevano abiti di un bianco accecante e ombrelli aperti solo quando non pioveva. Si potevano descrivere i loro arrivi e le loro partenze con la stessa precisione con cui si calcolavano gli spostamenti degli uccelli migratori, ma le persone bianche non finirono mai sul quaderno in cui Alex registrava gli arrivi e le partenze delle oche e delle rondini di mare, e tante altri impercettibili mutamenti del suo mondo.

Non gli sfuggiva il minimo movimento del più piccolo degli insetti. Invece, le persone con gli ombrelli bianchi, i vestiti lunghi e i cappelli esagerati, punti luminosi sulle lingue di sabbia imprigionate tra il mare e le colline, per lui erano come invisibili. Forse perché non li capiva, o più probabilmente perché non gli interessavano. La sera appuntava con precisione maniacale ogni movimento di foglia, di vento, ogni gabbiano, pesce, granchio, formica avesse attraversato i suoi occhi sul quaderno a quadretti grandi, con la matita blu che Santi usava per fare i conti e che lui rubava di nascosto. Alex era sempre solo, ma neanche allora, probabilmente, se ne era mai reso conto. Di notte dormiva con la finestra semi aperta, per essere sicuro di sentire, prima di chiudere gli occhi, la voce del mare che lo cullava come il sussurro di una mamma.

  Si ricordava che un tempo, quando era più piccolo, c’era stata una donna  con delle mani lunghe e magre che gli spalmava  sulle spalle pallide un latte untuoso prima di lasciarlo correre verso l’acqua gelata, ma non ricordava né il volto né la voce  di lei, e mai l’aveva cercata nel groviglio di mani che incontrava sulla sua strada ogni giorno. Alex non lo ricordava ma forse c’era stato anche un padre una volta accanto a lui, ma di lui non aveva né volto, né voce, ne mani tese ad afferrargli le spalle. Quando tornava a casa, la sera, c’era Santi  ad aprirgli la porta, altrimenti la porta la trovava aperta. Santi non parlava con  lui, gli si rivolgeva a cenni, con parole smozzicate. Le uniche conversazioni che il vecchio teneva, nella sua casupola di pietra, erano le interminabili ninne nanne di bestemmie e preghiere con le quali accompagnava il rito irrinunciabile di sbrogliare le reti. Alex non si accorse mai  che per  tutta la sua infanzia non aveva parlato nessuna lingua conosciuta dagli uomini. Parlava con il canto delle cicale  sui pini secchi, con le foglie dei platani che cadevano silenziose sulle onde, col riverbero della sabbia e l’odore  di sale delle barche ormeggiate alla sera, con il profumo della sua pelle cotta dal sole, parlava con i suoi occhi di buio, e questo gli bastava.

   In luglio la sabbia si vestiva del luccichio madreperlaceo dei minuscoli  gusci di bivalvi strappati dalla corrente  al fondo sabbioso. Alex se ne riempiva le mani, e li riportava nell’acqua, restituendo al mare quella miriade di aborti di mollusco. Gli piaceva  guardarli cadere  come petali  di pesco attraverso l’acqua calma. Verso la fine di agosto, invece, raccoglieva le foglie dei platani che cominciavano ad accumularsi sui marciapiedi di pietra impallidita e correva a lanciarle  nel canale che portava le piccole barche verso il mare aperto, in un inconsapevole rituale di riconciliazione tra il cielo e la terra. Ma tutti i suoi sforzi erano vani: trascinato per i capelli grigi dal vento e dalle nuvole che sembravano alzarsi direttamente dal mare, l’inverno arrivava  comunque, a svuotare le sue spiagge dai colori pieni dell’estate  e dal fremito assordante delle cicale.

Insieme all’inverno arrivava il pesce, quello buono, quello che si salava e si mangiava per tutto l’anno a venire, e quando le spalle di Alex  furono diventate abbastanza larghe da reggere metà della rete e le sue gambe abbastanza forti da trattenerla, Santi cominciò a portarlo con se, in mare.

I giorni in cui si sentiva più vecchio e stanco, o quando sapeva che la pesca sarebbe stata particolarmente abbondante, svegliava il bambino che dormiva da appena qualche ora, impegnato sempre fino a notte fonda ad annotare le sue osservazioni, e lo guidava, servendosi solo di una minuscola lanterna fino alla sua barchetta ormeggiata nel canale. Alex seguiva la sagoma curva del vecchio reggendo il capo più leggero dell’ammasso di reti, mentre una leggera inquietudine si insinuava  sotto la sua pelle, attraverso il freddo pungente dell’alba. Il mare di notte era come un estraneo, non aveva la trasparenza familiare delle mattine d’estate, e sembrava profondo come un abisso anche nei punti in cui, sapeva, non arrivava neanche alle sue ginocchia sbucciate. Saliva sulla barca con sospetto, ed afferrava le reti puzzolenti dalle mani del vecchio, stringendo gli occhi per non vedere l’acqua nera che sembrava infilarsi nei sentirei del buio, e penetrare ogni cosa.

A Alex non piaceva pescare. Dovevi aspettare, e aspettare, senza fare nulla, che il pesce si venisse a infilzare sul tuo amo. Catturare la cavallette, quella sì che era una caccia, un duello di abilità, una sfida tra due creature con doti diverse, non una trappola per stupide bestie ingorde dagli occhi vacui.

Ma Santi non gli aveva mai chiesto se voleva seguirlo, semplicemente lo aveva portato con lui, e Alex non aveva mai neanche pensato alla possibilità di rifiutarsi. Rannicchiato sul fondo della barca, con la canna stretta tra le gambe, aspettava che il cielo si schiarisse, che sorgesse il sole a tagliarli la faccia con i suoi raggi obliqui, e a spogliarlo del freddo che gli aveva corroso le ossa e impiastricciato la pelle. Anche i pesci che salivano a galla, appesi alle reti con i loro corpi squamosi, o soffocati dall’amo che gli strappava il  fiato dalle bocche spalancate, gli provocavano un ribrezzo sordo, più profondo del normale, che gli si radicava nell’anima come un sopito senso di colpa.

Quando il sole si alzava, tutto cambiava di colpo colore, e trovarsi in barca era piacevole quanto stare seduti sulla spiaggia, con la differenza che non c’era la sabbia su cui stendersi, e non si poteva correre in nessuna direzione. Se non fosse stato per le bocche spalancate dei pesci in agonia, pescare col caldo e col tempo bello non era poi così tedioso. Gli piaceva guardare Santi mentre remava, con gli occhi rossi per lo sforzo e la barba bianca, scintillante nel sole, sembrava un demone delle vecchie ballate, e con la furia di un demonio colpiva l’acqua col remo, consumato dal tempo quasi più del suo padrone.

Accadde sotto il sole di mezzogiorno. Fino a quel giorno Alex aveva vissuto col timore del buio e del freddo, ma non aveva mai incontrato persona, animale o cosa che fosse riuscita a risvegliare nel suo cuore la paura. Era un mezzogiorno d’estate, la Signora dipingeva  il mare  spruzzato di verde che vedeva dal balcone, il Ciabattino, seduto sulla porta della bottega, mangiava una cipolla e pesce sotto sale, il Guardaboschi era seduto nella sua capanna con gli occhi chiusi, ed ascoltava, come sempre, il frinire delle cicale. Santi si asciugò il sudore dalla fronte e cominciò a tirare su la rete. Alex pensò che Santi doveva essere stanco, così legò la sua canna al parapetto e si mise all’altro capo della rete per aiutarlo. Si sporse per raggiungere la cima, e gli parve di vedere un guizzo argentato più grande degli altri, nell’acqua verde e gelida dove la rete scompariva. Raschiandosi le piccole mani bianche con la fune ruvida, si sforzò di tirare più forte, vide il guizzo argentato salire, pian piano, finché con uno strappo il guizzo si aprì ed esplose fuori dall’acqua, aprendosi nelle fauci spalancate del barracuda. Il terrore gli paralizzò il corpo e gli stroncò ogni pensiero. Un colpo forte lo spinse sul fondo della barca, tremante, rantolante di un asma sconosciuta, incapace di comprendere ciò che vedeva. Il mostro aveva affondato i denti nella gamba di Santi, Santi aveva affondato l’arpione nella testa del mostro, il sangue dell’uomo e del pesce inzaccheravano la prua. Riuscì a sentire il rumore dei denti del mostro che laceravano la carne del pescatore, lo schiumeggiare del suo sangue che si mescolava alle onde spruzzate di verde, il pigolio degli uccelli nudi nei buchi e il frinire isterico delle cicale. Santi sollevò il corpo dell’animale, infilzato nella fiocina, e lo scaraventò sul fondo della barca. La rete, abbandonata a se stessa, precipitò sul fondo e si perse per sempre.

La mattina seguente, Santi non si alzò per andare a pescare. Alex rimase seduto nell’ombra del solaio, con le ginocchia strette al petto, incapace di scrivere ciò che aveva visto nel quaderno a quadretti grandi, il respiro stroncato sul nascere ogni volta che sollevava il petto. Quella bocca spalancata a tranciargli la testa continuò ad occupare i suoi incubi per molti, molti anni a venire, quando già si era fatto uomo ed era riuscito a convincere il mondo che Alex Rowe non aveva paura di niente, e l’asma continuò a tormentarlo, seguendo strisciante le emozioni forti, per tutto il resto della sua vita. Quando finalmente scese al piano di sotto, trovò un pezzo di pesce salato, del vino e un tozzo di pane sul tavolino. Santi continuava a dormire con la faccia verso il muro, e non districò quelle reti recitando bestemmie e preghiere quella sera. Il terzo giorno, quando trovò sulla tavola solo un bicchiere di vino e un pezzetto di pane duro come pietra, Alex si decise ad affrontare la paura. Scese fino al canale, inciampando sui sassi aguzzi dell’argine, con l’arpione ancora sporco in una mano e la canna da pesca nell’altra. Saltò dentro la barca e sciolse le cime, mentre sull’argine un gabbiano strappava via gli ultimi brandelli di carne dalla testa del mostro che Santi aveva troncato di netto con il suo coltello arrugginito. Tornò a casa al tramonto, con il cattivo odore del sudore, del sale  e dei due pesci che portava appesi alla canna appiccicato ai capelli neri. Santi era ancora sdraiato con la faccia rivolta alla parete, Alex gli premette un dito sulla spalla, e sollevò i pesci, due muggini piuttosto piccoli, per la coda, di modo che lui potesse vederli bene. Il vecchio sorrise e per la prima e unica volta nella sua vita gli fece una carezza, passandogli la mano ruvida tra i lunghi capelli stopposi, che puzzavano di sole e di pesca. Alex avvertì una specie di formicolio ai piedi e alle guance, e non capì di essersi sentito felice.

I giorni trascorsero e Santi ricominciò ad alzarsi dal letto, e a sedersi sulla porta, con la rete sulle ginocchia, masticando preghiere sconsacrate e lavorando con la rete. Con grande sorpresa di Alex, cominciò a parlargli, e a parlare molto più di quanto non gli avesse mai visto fare con nessuno, neanche con il Ciabattino, quando il mare era troppo grosso per uscire a pescare. Gli disse che avrebbe voluto riparare una delle vecchie reti, che avevano buchi grandi come la testa di un uomo, ma erano sempre delle buone reti, che non lo aveva mai fatto perché gli mancava il tempo, ma che adesso di tempo ne avrebbe avuto, che era proprio bravo a portare del pesce a casa tutte le sere, che era davvero cresciuto bene…. A volte gli occhi del vecchio pescatore si assottigliavano tanto che Alex non riusciva più a capire se stesse parlando con lui o con se stesso, ma  in fin dei conti non gli importava. Anche se non aveva più tempo per scrivere e la pesca era noiosa, qualcosa, di quella sua nuova vita, lo faceva sentire bene. Per non essere costretto ogni giorno ad uscire in barca, il sudore gelato sulla schiena al ricordo del barracuda, era diventato estremamente abile nel cacciare  molluschi e crostacei tra gli scogli. Quella pesca gli piaceva, era più simile alla  lotta contro le cicale e le cavallette, c’era la sfida tra due esseri che si riconoscevano come predatore e come preda, e poi c’erano gli scogli, brulicanti di vita, di forme, di colori, così diversi da quel deserto verde e blu acceso di sinistri bagliori argentati che era il mare aperto.

Un pomeriggio, quando era seduto su uno scoglio, intento ad osservare un paguro che risaliva una corrente, apparve qualcosa di inusuale, bellissima e aliena macchia di colore e candore nel grigio frastagliato di quelle rocce. La bambina vestiva gli abiti bianchi e vaporosi degli uomini con gli ombrelli da sole, e si arrampicava sugli scogli ridendo, coi piedi incastrati in scarpette di vernice, e l’orlo della gonna che si imbeveva di acqua  di mare ad ogni ondata. Quando lo vide, un sorriso più acceso degli altri le colorò il viso, e gli rivolse un saluto con la voce squillante come mai Alex ne aveva udite in quella terra di gente che sussurrava tra sé e sé. Non seppe cosa risponderle: rimase immobile, a fissarla con lo sguardo torvo mentre staccava un altro mollusco dallo scoglio. Il bianco del vestito gli dava fastidio agli occhi. La bimba aveva lunghi capelli rossi che terminavano in un boccolo quasi artificiale, e luccicavano al sole come le onde, continuava a parlargli mentre si avvicinava, saltando di scoglio in scoglio. I capelli rossi si muovevano nell’aria cambiando direzione con il vento, Alex li fissava estasiato, avrebbe voluto toccarli.. stese la mano per raggiungerli, ma proprio quando credeva di averli afferrati, la bambina, forse spaventata, fece un passo indietro e precipitò, dallo scoglio, nel mare. Alex vide il bianco del vestito e il rosso dei capelli scomparire inghiottiti dall’acqua verde che ne spense i colori in un istante. Vide un guizzo argentato nell’acqua, sotto di lei, vide ancora aprirsi nel sole le fauci del mostro.

Veloce immerse il braccio nell’acqua a cercare quello della piccola, e quando sentì la pelle calda della bambina sotto la sue dita, tirò verso l’alto con tutte le sue forze, strappandola al mare.

La bimba piangeva, tremante e fradicia, con le braccia appese al suo collo. Gli occhi di Alex frugarono il mare alla ricerca del guizzo argenteo e della bocca spalancata, ma non vi era traccia alcuna del mostro, intorno. Pensò che la paura di vedere quella cosa così colorata scomparire di colpo nel verde e nel freddo doveva avergli fatto ricordare la sua paura più grande, e che il barracuda doveva averlo solo sognato, ma il gelo che gli era penetrato nelle ossa insieme a quel guizzo argentato era talmente intenso che non si accorse neanche dei suoi vestiti che si inzuppavano al contatto col corpo della bimba.

L’uomo che venne a ringraziarlo per aver salvato la vita di sua figlia aveva un cappello bianco diverso dagli altri, bordato di rifiniture d’oro. Gli chiese i nomi di suo padre e sua madre, ma Alex  che non li aveva mai conosciuti, si limitò a tacere, fissando l’orlo luccicante del suo copricapo con i grandi occhi scuri, cautamente riparati all’ombra delle sopracciglia corrugate. Gli parlò di uomini, navi, città, cose chiamate ‘collegio’ e ‘accademia’ della cui esistenza era totalmente allo scuro, lo salutò con una stretta di mano inadeguatamente forte e la sinistra  promessa che sarebbe tornato a prenderlo. Non vide più la bambina, che era stata tempestivamente riconsegnata  alle braccia ansiose della madre, cercò il riflesso ramato dei suoi capelli nella macchia bianca degli uomini con i capelli che si facevano sempre più lontani, sulla spiaggia bruciata, ma non fu capace di trovarla.

Tornò a cacciare granchi sugli scogli, dimenticando la promessa dell’uomo in divisa e ricordando, con una punta di dolore che non comprendeva la voce acuta e il rosso della chioma della bambina, fino che, onda dopo onda, la litania sommessa del mare non strappo alla sua mente ogni granello di quel ricordo e di quel dolore, e allora si decise a tornare a casa.

Il tempo stava cambiando. Sempre più spesso, a ovest, si affacciavano le nuvole nere che precedevano l’arrivo di settembre, sempre più spesso lo spettro dell’autunno faceva capolino, tingendo le foglie dei platani di giallo spavento. I granchi, annusata con le loro antenne corte l’aria fredda, si nascosero nelle profondità degli scogli e Alex fu costretto a riprendere la barca, la rete che Santi aveva riparato  e rimpicciolito per lui e la canna da pesca, e ad uscire in mare. In poche settimane, l’acqua aveva perso la trasparenza turchese del mezzogiorno estivo per tingersi di un verde ombroso, di bosco e di bottiglia, che già ricordava l’inverno. Alex constatò con rammarico che, in quell’acqua scura, scorgere con sicuro anticipo l’avvicinarsi del mostro sarebbe stato pressoché impossibile, ma si armò lo steso della fiocina, confidando nella sua ferrea volontà di annientare tutti i barracuda del mondo. Con l’arrivo di settembre, Santi sembrava esser caduto vittima di una invincibile malinconia. Smise di alzarsi, smise di parlargli a vanvera, e di parlare alle reti, e di riparare le reti, visto che non c’erano più reti da riparare. Smise di complimentarsi con lui per la pesca, e di pulire il pesce che portava. Eliminato quel rituale a cui tanto si era affezionato, pescare sul mare freddo e scuro come una nuvola gonfia di pioggia era diventato per lui quasi una tortura, ma pescava lo stesso, mosso da un amore e una devozione che non capiva finché un pomeriggio, quando era  fuori in barca, Santi morì.

Alex non se ne accorse subito. Il vecchio teneva la faccia rivolta verso la parete, e pensò che dormisse, anche se, stranamente, non faceva rumore. Cenò da solo, nel solaio, e non dimenticò di annotare nel suo quaderno della vita degli animali, che le mosche avevano preso a volare in cerchio sulla testa del pescatore, e ogni tanto qualcuna gli si posava a lungo sulla barba e sui capelli, senza che lui facesse niente per scacciarla. La luce del mattino lo svegliò insieme ad un odore dolciastro, come di pane raffermo, di liquore versato. Si vestì dì fretta e nell’uscire lasciò la porta aperta, sperando che l’odore svanisse. Il pescatore era ancora rannicchiato con la testa coronata di mosche rivolta verso il muro e non lo salutò, ma Alex non si preoccupò, perché non lo aveva mai fatto.

Il mare quel giorno sembrava aver acquistato un riflesso dell’estiva trasparenza, e non si vedevano guizzi argentati né denti affilati all’orizzonte. Pescò quasi divertendosi due grossi pesci e una manciata di gamberetti  vicino a un grosso scoglio, tornò trotterellando verso casa che il sole era ancora alto sull’orizzonte. C’erano delle persone sulla via, vecchi del paese che gli rivolsero degli sguardi sottili, riarsi dal sale, di chi sa, ma sa che le parole sono inutili. Con i pesci stretti in mano spinse la porta che aveva lasciato aperta e guardò dentro. Fu come se ogni fibra del suo corpo si fosse congelata di colpo, le mani si inchiodarono sulle pinne aguzze dei pesci, gli occhi si dilatarono fin quasi a toccarsi. Sul tavolo grande e scuro, dove appoggiavano i piatti per mangiare e pulivano il pescato, era adagiato un lenzuolo bianco, e sopra il lenzuolo stava, rosso di sole, conciato dal vento e dalla pioggia, solcato dalle saette bianche delle cicatrici e cosparso di peluria irsuta, l’enorme corpo nudo del pescatore, gli occhi chiusi, le labbra tinte da un riflesso azzurro. Sulla gamba sinistra si apriva uno squarcio livido, gonfio e giallastro, che sembrava completamente estraneo al resto di quella immensa figura di legno antico. Alex si guardò intorno smarrito e incrociò, nella penombra, lo sguardo lontano e le labbra smagrite della Signora, piegate in un sorriso appena appoggiato su quella maschera di dignitosa nostalgia. Alex la odiò; avrebbe voluto cacciarla da casa sua battendola con la canna da pesca, ma quel gelo mostruoso che gli aveva incollato i piedi alla soglia e le labbra tra di loro non glielo permise. Vennero il Guardaboschi e il figlio del Ciabattino, con altri sei uomini del paese, più forti e meno vecchi degli altri, che sollevarono il corpo di Santi, avvolto nel lenzuolo, e lo portano fino alla spiaggia.

Una barca lo aspettava. La Signora sospinse Alex verso la barca, così lui poté vedere Santi adagiato sul fondo, e il Ciabattino cucire il lenzuolo che lo avvolgeva finché il volto duro del pescatore non fu coperto dalla stoffa. La barca prese lentamente il largo, e, arrivata ad una certa distanza dalla riva, si fermò. Alex vide gli uomini sollevare l’involucro che un tempo era stato Santiago Escobar e gettarlo in acqua, con un gran tonfo e un gran spruzzo di acqua iridescente. Pensò alle fauci del mostro aperte, sotto quell’acqua scura in cui avevano gettato il corpo del pescatore, e un senso di rabbia e di nausea si impadronirono del suo stomaco. Rimase a fissare la sabbia con gli occhi scuri pieni del buio che aveva invaso la sua mente, finché la Signora non lo prese per mano. Il contatto con la sua pelle lo fece trasalire e si liberò da quella stretta con uno scatto fulmineo. Allora la donna  gli sorrise e lo invitò a seguirla. Ubbidì, in mancanza di un'altra idea su che cosa fare, e passò la notte nella sua casa sulla collina, ma l’alba lo ritrovò ancora rannicchiato nel suo solaio, la penna blu, diventata ormai del tutto una sua proprietà, stretta tra le mani.

Il piroscafo arrivò sbuffando quando il vento gelido aveva strappato già molte foglie gialle e brune ai platani addolorati. Alex camminava indifferente tra i corpi morti delle foglie e delle vespe, fino agli scogli più lontani, dove pescava di malavoglia qualche pesce striminzito, da mangiare la sera.

Stava pescando sullo scoglio anche quando la nave bianca come i suoi marinai apparve all’orizzonte. Era grande, molto più grande delle navi dei pescatori, ma pur sempre una nave. Forse serviva a pescare pesci molto grossi, più grossi anche del barracuda. Una volta aveva visto da lontano delle focene che erano più lunghe della barca di Santi di tutta la coda.

Invece dalla barca scese l’uomo con il cappello dorato che aveva promesso di portarlo via. Lo trovò seduto su una delle tre sedie che stavano appoggiate attorno al grande tavolo di legno scuro, con i suoi pantaloni bianchi stretti attorno alle gambe come se gli fossero cresciuti addosso. Si guardò un po’ intorno con quello sguardo sicuro che Alex non comprendeva, poi prese un  sacco da dietro la porta e gli porse, dicendogli di raccogliere le sue cose, perché il momento era arrivato.

Alex prese il sacco e la canna da pesca, e senza chiedere nulla, perché non aveva idea di cosa chiedergli, lo seguì. Solo quando fu sul piroscafo e  vide la sua isola sparire nell’aria afosa del mezzogiorno, si accorse di aver dimenticato nel solaio il suo quaderno  a quadretti grandi su cui annotava la vita degli animali e delle cose. Allora prese la matita blu dalla sacca in cui aveva ammassato, perplesso, i suoi pochi averi, e la scaraventò con rabbia tra le onde. La matita galleggiò per alcuni istanti, ma la nave viaggiava veloce, e presto la perse di vista. Allora  si sedette sul ponte, con le ginocchia premute contro il petto, e pianse come mai aveva fatto prima.

 

  
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