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Autore: wanderingheath    04/01/2015    4 recensioni
Jennifer, una problematica diciassettenne alternativa ed ermetica con una drammatica e dolorosa storia alle spalle, si è stancata di tutto e di tutti. Non prova più rispetto per alcuna regola, nemmeno se imposta da sua madre, l’unica persona appartenente al proprio passato che le è rimasta accanto.
L’unica fonte di gioia che restituisce un po’ di vitalità alla grigia esistenza di Jennifer è Tiffany Low, la ragazza dai corti capelli violacei e dagli occhi di un azzurro gelido, che allo stesso tempo le regala emozioni indescrivibili ed è capace di farla soffrire in modo atroce, portandola ad un abuso di alcool e droga.
Una sera, a seguito di un’overdose, Jennifer si ritrova morente in un buio vicolo lontano da casa, sola, inerme, indifesa e divorata da mille rimorsi. Vi sono persone che non ha più cercato, domande a cui non ha trovato una risposta, occasioni che ha miseramente sprecato e troppi momenti che ancora non ha vissuto.
Ma cosa accadrebbe se le fosse data una seconda possibilità? Cosa farebbe se si ritrovasse in un universo parallelo in cui nulla è come prima? Riscriverebbe la propria storia daccapo oppure commetterebbe gli stessi identici errori?
Genere: Drammatico, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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~~Capitolo 3.

Si era ormai alla fine di novembre e il gelido vento quasi invernale la stava facendo rabbrividire, mentre percorreva da sola la spiaggia deserta accanto al molo.
Era scappata da una festa in una casa non troppo distante da lì, perché non poteva più soffrire la presenza di Chloe e Tiffany insieme che ballavano, appiccicate, strusciandosi l’una all’altra, e si baciavano, facendo collidere i loro corpi perfetti.
Non poteva più trattenersi ormai e sapeva che se fosse rimasta anche solo un minuto di più, non avrebbe resistito: avrebbe parlato chiaramente a Tiffany, avrebbe lasciato che le parole facessero il loro corso, mettendosi a nudo davanti a lei come mai aveva fatto con nessun’altro. Non le importava più nulla della scuola, della propria famiglia, delle struggenti lezioni di danza classica, del fumo, dell’alcool ,dei voti scolastici, della droga, delle feste, degli amici. Non le importava più nulla nemmeno della figura di Chloe, onnipresente e onnisciente, che non si staccava mai dallo spirito libero di Tiffany Low.
Non le importava più niente di nessuno.
Quel giorno era il suo compleanno, ma non aveva ricevuto gli auguri nemmeno da parte di sua madre, che era uscita presto di casa, (nonostante fosse sabato), per andarsene al lavoro, senza lasciarle nemmeno un biglietto scritto in cucina, nemmeno un post-it sul frigo, nemmeno una chiamata in segreteria. Niente.
I suoi migliori amici si erano completamente dimenticati di lei e se l’avevano trascinata a quell’assurda festa a casa di Paul, ( un ragazzo della comitiva), quel pomeriggio, era solo perché volevano spassarsela e non per farle una sorpresa o cantarle tanti auguri.
Ora si sentiva meglio, sola con davanti a sé l’immensa distesa marittima dalla superficie increspata da qualche piccola onda. L’orizzonte era grigio e sopra di lei c’era una fitta coltre di nubi cineree che la minacciava silenziosamente, lanciando solo di tanto in tanto qualche debole lampo.
Si era tolta le scarpe con il tacco e passeggiava con svogliatezza sulla costa, lasciando che i piedi affondassero nel morbido strato di sabbia bagnata.
Sentiva le tempie doloranti e aveva la testa piena della rumorosa musica che Paul aveva messo alla festa.
Non aveva preso droghe, non aveva nemmeno bevuto un goccio d’alcool e adesso se ne stava amaramente pentendo, ma per nessuna ragione sarebbe tornata indietro, piuttosto avrebbe comprato da qualche parte dieci lattine di birra e se le sarebbe scolate da sola sulla spiaggia.
Jennifer prese seriamente in considerazione quell’ipotesi e decise che non era affatto una cattiva idea.
Dopo nemmeno dieci minuti, era seduta a gambe incrociate sulla sabbia bagnata, con i piedi inzuppati dall’acqua, il naso pieno dell’odore di salsedine, il dolore alla testa lenito dal dolce suono della risacca.
Era solo alla quarta birra e già era riuscita a zittire la voce della sua coscienza. Era decisa ad ucciderla completamente, facendola affogare nell’alcool. Per questo aveva comprato una birra con gradazione alcolica particolarmente elevata.
- Cazzo- sibilò ridacchiando:- Più che una birra è un vino. Tanti auguri a me!-.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, ma era ormai arrivata alla nona lattina quando sentì una voce baritonale alle sue spalle, che la fece letteralmente sobbalzare.
Per quanto fosse spaventata, non era in grado di alzarsi in piedi e non ne aveva la minima intenzione.
- Jennifer, sei tu?- chiamò la voce.
La ragazza gettò la testa all’indietro e riconobbe il viso familiare del professor Jackson, il supplente di chimica e biologia, con cui aveva ormai stabilito un ottimo rapporto.
Erano passate circa tre settimane da quando l’uomo era arrivato per la prima volta nel loro istituto, ma conoscendolo Jennifer aveva imparato ad apprezzarlo sempre di più, non solo per la sua professionalità e per la chiarezza nell’esporre, ma anche per la sua disponibilità ed apertura al dialogo con i suoi studenti.
- Professore- bisbigliò con voce ubriaca:- Cosa ci fa lei qui?-.
L’uomo lanciò una veloce occhiata alle numerose lattine di birra vuote che circondavano la ragazza e le domandò se potesse sedersi accanto a lei.
- Ma certo! C’è spazio per tutti! Vuole una birra?-.
- No grazie- rispose in fretta lui, alzano una mano in segno di diniego:- Sono astemio-.
- Bella roba- borbottò Jennifer, ormai non più lucida.
Jackson lasciò passare qualche minuto in silenzio e si limitò ad osservare l’orizzonte scuro, poi decise di iniziare a parlare per primo:- Cosa ci fai qui, Jennifer?-.
- Gliel’ho chiesto prima io- ribatté lei, sorridendogli appena.
- Hai ragione- annuì, abbassando lo sguardo a terra.
Si scoprì che il professor Jackson era un romantico di prima categoria ed adorava passeggiare in spiaggia, praticamente ogni sera, per godersi le ultime luci del tramonto e quel giorno aveva fatto il solito tragitto fino al vecchio molo.
- Sciocchezze- brontolò la ragazza, facendo un cenno in aria con la mano, come a voler allontanare una mosca fastidiosa.
- Come dici?-.
- Non le credo. Avanti, qual buon vento la porta qui?-.
L’uomo la osservò ammirato, ma si limitò a risponderle con un piccolo sorriso sulle labbra:- Secondo te perché sono qui, Jennifer?-.
Lei si strinse nelle spalle:-Magari qui vicino abita un suo amico. Se l’avessi saputo, non le avrei domandato nulla, no?-.
- E tu perché sei qui?- chiese il docente dopo una breve pausa di silenzio, senza rivelare la vera motivazione che lo aveva spinto fino alla spiaggia alle cinque di un sabato pomeriggio.
Jennifer abbozzò un sorriso, fissando gli occhi azzurri sull’orizzonte, proprio come aveva fatto il suo insegnante poco prima.
- Oggi è il mio compleanno-.
- Oh, tanti auguri!-.
- Ma la smetta-.
L’uomo le rivolse uno sguardo sinceramente stupito e confuso, che lo fece risultare non molto intelligente.
In quel momento si dipinse sul viso della diciassettenne un’aria profonda, che la invecchiò di molti anni.
- Non c’è proprio un cazzo da festeggiare- commentò amareggiata la ragazza:- Mio padre se n’è andato di casa quando avevo solo otto anni, dopo che mia madre lo beccò in compagnia di un’altra donna. A tredici anni, un pomeriggio nuvoloso come questo, sono andata a casa della mia migliore amica e quando siamo rientrate da una lunga passeggiata abbiamo scoperto che il fratellino minore di Karen, la mia amica, era scappato e non si trovava più. Avevamo tre ore per cercarlo, prima che i genitori di Karen tornassero a casa e fossero messi a parte della terribile notizia. Così iniziammo a cercare il piccolo moccioso…eravamo io, Karen e suo fratello gemello George. Tre ragazzini di tredici anni, che non sapevano da dove cominciare. Eravamo soli, spauriti, distrutti, ma a fine giornata l’abbiamo trovato. Stava giocando nel parco e nessuno l’aveva visto, nessuno l’aveva toccato, nessuno gli aveva fatto del male per fortuna. Così ci siamo rimessi in cammino verso casa, ma mentre dovevamo attraversare la strada, quel ragazzino si è imbizzarrito e si è lanciato senza motivo dal marciapiede. Karen lo ha rincorso, gli ha assestato una bella spinta e gli ha salvato la vita, ma lei è stata travolta in pieno da un dannatissimo autocarro, che non è riuscito a frenare-.
Il professore la ascoltava con attenzione, scioccato da quelle improvvise ed inaspettate rivelazioni. Non sapeva nulla del passato di quella studentessa e mai prima d’ora aveva pensato che Jennifer avesse una drammatica storia da raccontare, che si teneva dentro da troppo tempo.
- Avevo tredici anni quando ho perso la mia migliore amica. Le assicuro, professore, che è stato come perdere una sorella. Prima mio padre e poi mia sorella. Ero distrutta. Non avevo altre amicizie all’infuori di lei e di suo fratello George. Lui ha continuato, o almeno ha provato, a rimanere in contatto con me…ma io l’ho ripudiato, perché i suoi capelli rossicci, i grandi occhi verdi, i lineamenti delicati, il sorriso beffardo…tutto, tutto di lui mi ricordava sua sorella ed ogni volta che lo vedevo era una nuova tortura. Adesso si limita a mandarmi ogni anno i suoi auguri per il mio compleanno e a volte ricevo anche un regalo da parte della sua famiglia. Pensi che abitano a pochi isolati da casa mia, ma non ci incontriamo più ormai-.
Seguì una lunga pausa di silenzio in cui il professor Jackson pensò a cosa rispondere, ma non riuscì a trovare delle parole per rincuorare quella giovane diciassettenne dissestata.
Poi lei riprese a parlare improvvisamente:- Adesso sono sola, anche se alle feste sono circondata da un sacco di gente e i miei amici non mi fanno mai mancare nulla. Ho una migliore amica, ma vorrei che diventasse la mia ragazza…ho una madre, ma vorrei che si comportasse come una vera madre. Ho una vita schifosa e non c’è modo di uscirne se non perdere ogni tanto il lume della ragione. Mi dica, professore, che cazzo dovrei festeggiare oggi?-.
Si prese un po’ di tempo prima di rispondere, ma alla fine riuscì a tirare fuori qualcosa:- E’ il giorno in cui sei nata, Jennifer. Dovresti festeggiare questa ricorrenza, perché significa festeggiare te stessa, significa inneggiare alla vita e anche se adesso stai vivendo un periodo buio e non ti sembra di poterne uscire…vedrai che ci saranno tanti bei momenti in futuro che ti daranno gioia-.
Jennifer si limitò a fare un sorrisetto amaro:- Tutta la mia vita è un periodo buio. È un buco nero senza via d’uscita-.
- Non essere così tragica. Intanto dovresti smettere di bere e di farti continuamente di droga. Dovresti darti da sola una seconda chance, lo sai? Inizia a prenderti cura di te stessa e vedrai che tutto andrà meglio-.
- Grazie per le belle parole, professore. Lo sa? Si vede proprio che lei è un sognatore. Forse la scusa dei tramonti che mi ha rifilato prima non era poi così falsa-.
Jackson fu tentato di tacere, ma la vista di quella ragazza sbandata con la mente confusa, offuscata dall’alcool, gli occhi celestiali persi nel vuoto, il viso bellissimo sciupato e rigato di lacrime, lo portò a risponderle con sincerità:- No. Non era la verità quella che ti ho detto prima, Jennifer. Vuoi sapere il vero motivo che mi ha spinto qui oggi pomeriggio?-.
Lei non si prese nemmeno il disturbo di guardarlo in faccia. Era come persa nel proprio mondo in quel momento e non le importava nulla delle finte parole di conforto del supplente sognatore.
L’uomo continuò imperterrito il suo discorso:- Sono venuto qui perché sto studiando un fenomeno molto particolare, Jennifer, e qui vicino c’è un mio amico (come avevi detto tu, ottima intuizione!) che collabora in questo strambo progetto-.
- Di che si tratta?-.
- Diciamo che noi studiamo, o proviamo ad esaminare, tutti quei campi che la scienza ancora non ha dichiarato validi. Mi esprimerò meglio: noi studiamo fenomeni paranormali e siamo fermamente convinti dell’esistenza di universi paralleli al nostro. E non sto parlando di altri MONDI, ma di altri UNIVERSI-.
Jennifer si prese qualche minuto di riflessione, per quanto riuscisse a pensare durante la sbronza:- Lei sta cercando di dirmi…che esistono degli universi paralleli? Cioè realtà parallele alla nostra?-.
Jackson annuì vigorosamente, sorridendo compiaciuto:- Esattamente, Jennifer-.
- Stronzate. Lei è solo un professore romantico che viene in spiaggia a godersi i tramonti-.
- No. Non è vero. Smettila di imbottirti di bugie. Io sono una specie di scienziato-.
- Ma i suoi esperimenti non hanno mai portato a delle conclusioni certe o sbaglio?-.
- Cosa intendi dire…?-.
- Intendo dire- riprese lei con una lucidità incredibile:- Che non ho mai sentito  parlare al telegiornale di mondi paralleli…-.
- Universi- la corresse immediatamente lui.
- Universi- ripeté Jenny infastidita:- E poi come dovrebbero essere questi universi?-.
- Esattamente identici al nostro. O meglio, simili al nostro, ma con delle piccole modifiche-.
- C’è la possibilità di passare da un universo ad un altro, professore?-.
Robert Jackson fissò quella studentessa con un’intensità unica e capì che tra loro si era stabilito un legame di tacita complicità che mai nulla avrebbe potuto spezzare.
- Vuoi vedere le nostre teorie?-.
- Dove?-.
- A casa del mio amico. Abita proprio qui vicino al molo-.
- Ma...posso vederle? Insomma, non dovrebbero essere segrete?-.
Il professore si strinse nelle spalle con indifferenza:- Non credo che tu abbia il coraggio di divulgare le nostre teorie ed essere presa sul serio. Ci vogliono dei pazzi come noi, per poter credere in cose come realtà parallele e quant’altro-.
- Allora sì-.
L’uomo le rivolse un’aria interrogativa:- Allora sì, cosa?-.
- Accetto il suo invito. Sarebbe un bellissimo regalo di compleanno, professore, essere messa a parte delle vostre ricerche, per quanto assurde ed improbabili possano risultare-.
Si alzarono entrambi in piedi. Jackson l’aiutò a raccogliere le lattine di birra gettate sulla sabbia ed attese che la ragazza si infilasse le scarpe ai piedi; dopodiché lasciarono insieme il molo.

 

   
 
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