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Autore: _Princess_    16/11/2008    36 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Gustav era del sincero parere che chiunque avesse organizzato quel party meritasse un licenziamento in tronco, ma ora come ora gli importava veramente poco della festa. Lui e Fiona si erano allontanati dal salone, stanchi di dover gridare per riuscire a parlarsi, e si erano quindi sistemati nel corridoio deserto, trovandolo così confortevole e tranquillo che si erano stancati in fretta di parlare ed avevano finito per dedicarsi a passatempi più silenziosi.

Lei gli piaceva, sia in quanto a personalità che ad estetica: aveva ottimi gusti musicali, studiava scienze politiche e lavorava negli uffici dell’università, e per di più era anche discretamente attraente, con un bel fisico tonico e una fisionomia vagamente sovietica. Le teneva le mani sui fianchi morbidi, sfiorandole i pochi centimetri di pelle nuda tra la maglietta e i jeans mentre si baciavano con trasporto nella penombra del piccolo atrio. Fiona sapeva di menta, gli teneva le braccia avvolte attorno al collo, stringendoselo addosso, ed era più disinvolta di quel che Gustav avesse creduto all’inizio, ma la cosa non gli dispiaceva. Non era il genere di ragazzo che si abbandonava abitualmente ad effusioni di quel tipo, ma lui e lei si vedevano da un po’, ormai, e non ci aveva visto nulla di male quando lei, poco prima, gli si era avvicinata con palesi intenzioni. Forse non era spudorato come Tom, o come il Georg di un tempo, ma non era il santarellino che lo si dipingeva.

Morigerato, sì, discreto, certo, e sicuramente cauto, ma, all’occasione, anche lui sapeva cogliere la palla al balzo. Non sapeva ancora dire in che termini, esattamente, Fiona gli piacesse, però al momento andava bene così.

“A quanto vedo non hai solo il talento della musica.” gli sussurrò con compiacimento la voce roca di lei, interrompendo per un attimo il bacio, le mani che scendevano su di lui, dal collo alle spalle, dalle spalle al petto, dal petto alla schiena, e poi si insinuavano leggermente sotto alla maglietta.

Gustav sorrise lusingato, ma non disse nulla.

Stava per riprendere a baciarla, quando in fondo al corridoio una porta si spalancò di botto, sbattendo contro il muro, e un paio di voci esclamarono qualcosa una dopo l’altra.

Gustav non ci avrebbe nemmeno badato, non fosse stato che una di quelle due voci gli suonava stranamente familiare.

“Che succede laggiù?” si domandò Fiona, voltandosi per cercare di vedere qualcosa, ma le luci erano fioche e non si vedeva altro che delle sagome scure, una delle quali si stava avvicinando a velocità notevole.

Tom stava correndo verso di loro.

Ma che diavolo –?

Gustav capì subito che qualcosa non andava, perché l’amico aveva perso ogni colore in volto e la sua espressione era spaventosamente apprensiva. Quando però Tom fu giunto in sua prossimità, non si fermò, come invece lui aveva creduto, ma tirò diritto, sfrecciando via come se qualche cosa di minaccioso lo stesse inseguendo, e non lo guardò nemmeno.

“Tom!” gli urlò dietro Gustav, preoccupato. “Che diavolo è successo?”

Tutto ciò che gli tornò indietro, però, fu il tonfo sordo di un’altra porta che sbatteva in lontananza.

 

***

 

Tom non aveva idea di come si potesse guidare con in cervello staccato e i nervi in massima tensione che erano diventati tutt’uno con i muscoli. Aveva un ronzio sordo nelle orecchie, come se un immaginario rivestimento di ovatta lo isolasse acusticamente dal resto del mondo.

Non era mai stato particolarmente empatico, né sensibile, almeno ufficialmente. Di stampo basilarmente menefreghista e fedele fino in fondo al proprio egoismo, non aveva mai avuto l’abitudine di preoccuparsi troppo per il prossimo, da sempre impegnato a risolvere le proprie, di grane, e quindi poco disposto ad occuparsi anche di quelle altrui.

Ma adesso era diverso.

Sfrecciava a tutta velocità per le strade semideserte di Amburgo, sfiorando i limiti ma preoccupandosi di non oltrepassarli mai, non perché temesse multe salate o ritiri della patente, quanto piuttosto perché, se fosse stato fermato, avrebbe perso del tempo prezioso. Quello era il solo pensiero razionale che gli riuscisse, in quel momento, mentre tutto il resto era obliato dalla tensione.

Si sentiva accaldato e gelido al tempo stesso, come se fosse stato febbricitante, e le mani gli sudavano freddo, aggrappate al volante con forza eccessiva, per impedire loro di tremare.

Se veramente per disgrazia lo avessero fermato, avrebbero creduto che fosse sotto l’effetto di qualche sostanza, e lui non avrebbe potuto difendersi, perché in effetti aveva la sensazione di aver assunto una dose massiccia di cocaina, che ora lo stava mandando in tilt totale. Il sangue gli pompava violentemente alle tempie, causandogli un orribile senso di vertigine. Batteva le palpebre per schiarirsi la vista, si sforzava di mantenere un respiro regolare, quando invece tutto ciò che voleva era dare gas al motore e sfogare tutta la tensione in una corsa sconsiderata da un capo all’altro della città. Tutto ciò che lo tratteneva era la preoccupazione per Vibeke: fin da quando aveva richiuso quella chiamata, nella sua mente non c’era stato altro che lei. Lei e un’irrefrenabile bisogno di farla stare, se non bene, almeno meglio.

Passando azzardatamente il semaforo rosso di un incrocio deserto, Tom si rese conto che doveva trovare un modo per restare lucido, qualcosa su cui concentrarsi e che lo potesse calmare anche solo in minima parte.

Decise che la musica – la sua musica – era l’unica cosa a cui potesse appigliarsi. Allungò la mano nel portaoggetti e ne estrasse il primo CD che gli capitò tra le mani, lo inserì ciecamente nel lettore, senza distogliere per un solo istante gli occhi dalla strada, e premette qualche tasto a caso, fino a che la musica partì, e partì con le note di By Your Side.

‘You don’t know how you feel, no one there you’d like to see…’

Per un attimo Tom pensò di cambiare, perché era una canzone che sembrava voler girare crudelmente il coltello nella piaga, ma poi non lo fece. In fondo, era quella giusta: la canzone della speranza.

‘The day was dark and full of pain…’

Poteva solo immaginare come Vibeke si sentisse in quel momento, e il solo immaginarlo lo faceva stare male. Non faceva che pensare a come avrebbe reagito lui, se al posto di BJ ci fosse stato Bill, e sapeva che si sarebbe lasciato morire di paura, senza riuscire a fare nulla, senza parlare con nessuno, semplicemente consumandosi rapidamente nel proprio terrore.

Forse sarebbe riuscito a non impazzire, se avesse avuto qualcos’altro per cui vivere, al di fuori di Bill, ma tutto l’infinito bene che voleva alla propria famiglia e ai propri amici non sarebbe mai bastato a fargli rimanere qualche voglia di vivere, senza il proprio gemello.

Non mollare, BJ, si ripeteva, pensando a Vibeke e alla sua voce tremante. Non mollare…

L’ospedale distava normalmente quasi tre quarti d’ora dagli studi televisivi. Lui lo raggiunse in venticinque minuti.

Parcheggiò in malo modo la Escalade nel posteggio vuoto accanto al marciapiede, la chiuse in tutta fretta e si precipitò al pronto soccorso, pregando intensamente che nel frattempo tutto fosse filato liscio, o che almeno non ci fossero state complicazioni.

L’atrio era affollato, e vi regnava un insopportabile odore pungente di disinfettante. C ’era gente seduta ed in piedi, tutti talmente occupati a tenersi polsi doloranti o a tamponarsi tagli sanguinanti da non accorgersi nemmeno di lui, che era entrato come una furia e si era immediatamente precipitato allo sportello delle informazioni.

“BJ Wolner,” Disse esagitato all’infermiere che stava al di là del vetro. “Dove lo posso trovare?”

Questi, un ragazzo sulla trentina dallo sguardo spento ed annoiato, non sollevò nemmeno lo sguardo dal computer.

“Lei è un parente?”

Tom si obbligò ad essere paziente, almeno entro i limiti del proprio possibile.

‘I don’t want to cause you trouble, don’t want to stay too long…’

“No,” rispose con urgenza. “Sono un suo amico. Bjørn Jesper Wolner, dev’essere arrivato un’ora fa circa, non so esattamente…”

L’infermiere continuò a trascrivere moduli sul computer, increspando impercettibilmente la fronte.

“Non posso farla passare se non è un parente,” gli disse in tono borioso. “Se vuole accomodarsi, gentilmente –”

“Stammi a sentire, pezzo d’idiota!” urlò Tom, sbattendo rabbiosamente due pugni contro al vetro. L’intera sala si zittì per guardare, ma non gliene importava niente. Guardò l’uomo con rancore, digrignando i denti. “C’è una mia amica che ha bisogno di me, qui da qualche parte, perché suo fratello è sotto i ferri in chissà quali condizioni, quindi,” Lanciò al suo interlocutore uno sguardo di sfida. “Tu adesso mi dici dove cazzo devo andare, o io faccio a pezzi prima questo maledetto vetro e poi anche te e tutto quello che hai lì dentro, va bene?!”

Dopo una frazione di secondo di silenzio assoluto, esplose uno scroscio di applausi da ogni singola persona presente. Tom guardò trionfante l’infermiere che impallidiva ed incassava il colpo con una nota di panico. Dopo un’esitazione riluttante, si mise a digitare rapidamente sulla tastiera e lanciò a Tom uno sguardo glaciale:

“Primo piano, sala operatoria dodici.”

Tom non ringraziò. Girò sui propri tacchi e sparì, infilando le scale.

Raggiunse il piano superiore in un baleno, salendo di corsa gli scalini a due a due. Appena sbucò nel nuovo atrio, col fiato corto, esplorò con gli occhi ogni singolo centimetro dell’ambiente, cercando indicazioni.

“La posso aiutare?” gli domandò una voce alle sue spalle. Lui si voltò: una giovane dottoressa dai capelli rossi gli sorrideva cortese ed ebbe un piccolo moto di stupore nel vederlo in faccia.

“BJ Wolner,” ansimò lui. “Sono un suo amico, mi hanno detto che è qui, sala operatoria –”

“Numero dodici,” completò la ragazza per lui, annuendo gravemente. “Stanno facendo il possibile per lui.”

Tom rabbrividì, mentre sentiva il proprio cuore sprofondare pesantemente in una voragine buia. ‘Fare il possibile’ suonava maledettamente male, come se in realtà ci fosse ben poco da fare, ma  fosse doveroso tentare per un principio etico.

“C’è sua sorella, di là,” Proseguì la dottoressa. “La conosce, signor Kaulitz?”

“Signor Kaulitz.”

Lo aveva riconosciuto, dunque.

“Sì!” replicò lui, avvertendo un soffio di sollievo. “Dov’è?” chiese poi, concitato. “La posso vedere?”

La ragazza annuì.

“Venga, la accompagno.”

“Grazie.”

La seguì verso una porta doppia ed attraverso il corridoio successivo. Lei gli lanciava qualche fugace occhiatina curiosa, ma la sua espressione solenne non mutò mai.

“La signorina Wolner è sotto shock,” lo avvertì. “Spero che lei riesca a tranquillizzarla un po’,” Aprì un’altra porta doppia e gli fece cenno di entrare. “La troverà appena svoltato l’angolo,” Gli comunicò in tono compassionevole. “Buona fortuna.”

Tom resse la porta con una mano ed attese che lei se ne fosse andata. Rimase lì per un attimo, a chiedersi cosa ne sapeva lui di come dare conforto alle persone. Era corso fin lì in fretta e furia, senza pensare ad altro che ad arrivare da lei, ma adesso che era lì… Cosa avrebbe potuto fare per lei?

Vai da lei e basta!, gli ordinò quel suo poco buonsenso superstite, e lui obbedì.

Si incamminò a passo incerto lungo il corridoio deserto, poi seguì la svolta a destra. Quando sollevò gli occhi dal pavimento, il suo cuore cessò di battere.

Vi…

‘I just came here to say to you…’

Lei era là, ad una decina di metri da lui, seduta immobile a capo chino su una delle panchine di plastica, lo sguardo fisso nel vuoto, bianca in viso come mai l’aveva vista, i capelli che le coprivano schiena e spalle come un velo nero di lutto.

“Vi!” la chiamò, la voce incrinata dalla preoccupazione.

‘Turn around…’

Lei si irrigidì visibilmente, poi, un nanosecondo dopo, sollevò la testa. Nell’incontrare gli occhi di Tom, i suoi si sgranarono, facendosi lucidi.

‘I am here…’

Le sua labbra esangui fremettero nell’articolare flebilmente il suo nome.

“Kaulitz…”

‘If you want, it’s me, you see…’

Tom corse da lei e le si inginocchiò di fronte, prendendole il viso tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.

“Vi,” sussurrò spaventato, accarezzandola con le dita. “Come stai?”

Lei deglutì con un brivido nervoso.

“Che domanda del cazzo è?!” esclamò aggressiva. “Mio fratello ci è quasi rimasto secco in una cazzo di rissa e hai anche il coraggio di chiedermi come sto?!” Strillò ancora. “Ma sei scemo?!”

Aveva un’aria distrutta, la stessa che Tom avrebbe avuto se a Bill fosse successo quello che era toccato a BJ, ma non aveva ancora versato una lacrima.

Le sedette accanto e le appoggiò un braccio sulle spalle.

“Avanti, urla, sfogati, vedrai che dopo starai meglio.”

“Se vuoi che io stia meglio, levati dai piedi, non ho bisogno di te! Non ti ho chiesto io di venire qui, lasciami in pace!” sbottò Vibeke, divincolandosi.

In un frangente normale, Tom avrebbe perso le staffe. Sarebbe scattato in piedi e l’avrebbe mollata lì con qualche parolaccia maleducata, dileguandosi alla velocità della luce. Adesso, però, non lo avrebbe fatto.

“Sì che hai bisogno di me,” insisté. “E non mi interessa se non lo vuoi ammettere, non ti lascio sola.”

Vibeke lo guardò intensamente. I suoi occhi erano due specchi arrossati e stanchi, così pieni di emozioni che Tom avrebbe potuto perdercisi ed annegarci dentro. Pensò che doveva essere insopportabile tenersi dentro tutto quel caos emotivo, e si chiedeva se lui, al suo posto, sarebbe riuscito a reggere la pressione.

“Perché lo fai?” gli chiese Vibeke ad un tratto. “Io ti detesto, tu detesti me…”

Tom rise silenziosamente.

“Vi, dai, non è vero che ti detesto,” la contraddisse, spostandole i capelli dietro all’orecchio. “Tu mi piaci, anche se sei una saputella irritante ed altezzosa. Ci abbiamo provato ad andare d’accordo – forse non molto, ma ci abbiamo provato – e proprio non ce la facciamo, ma comunque,” Le sorrise furbamente. “Sarebbe davvero noioso tutto quanto, se non avessi te che mi distrai con qualche bastardata, ogni tanto.”

Vibeke si nascose il viso tra le mani.

“Quanto sei cretino.” Singhiozzò, senza riuscire a soffocare una risata sommessa.

Tom le passò una mano sulla schiena, sperando che questo potesse acquietarla almeno un poco.

“Allora,” le chiese dolcemente, avvolgendola con il proprio braccio. “Vuoi ancora che me ne vada?”

“No, resta,” Quasi passivamente, Vibeke si lasciò abbracciare ed abbandonò la propria testa contro la sua spalla. “Potrei aver bisogno di prendere a calci qualcuno.”

Per Tom era strano trovarla così remissiva. Era abituato a toccarla e sentirla quasi bruciare da quanto era energica e vitale, quotidianamente, e adesso che era così fredda ed inerme, così svuotata, non gli sembrava più lei.

“Andrà tutto bene, vedrai.” La rassicurò, appoggiandole il mento sulla testa. Avrebbe tanto voluto crederci lui, per primo.

Rimasero in silenzio per qualche minuto. Di tanto in tanto Vibeke tirava su con il naso, ma non piangeva. Tom aveva la sensazione che qualcosa la bloccasse, che fosse al limite della sopportazione ma non riuscisse ad oltrepassarlo e lasciarsi andare del tutto.

Non devi sempre essere forte, Vi, le sussurrò dentro di sé. Ti è concesso essere fragile, qualche volta. Puoi essere umana… Ne hai il diritto, in una situazione come questa.

“Kaulitz?” mormorò lei ad un tratto.

“Sì?”

Vibeke sollevò il viso verso l’alto, verso di lui, mordendosi il labbro inferiore.

“Scusa.” Soffiò, cacciando indietro una lacrima che lottava per cedere alla gravità.

Tom non capì.

“E per cosa?”

Vibeke chiuse gli occhi e si staccò da lui, tornando a fissare il pavimento..

“Per tutto.” Gli rispose atona.

“Sai che ti rimangerai tutto non appena ti sarà passato lo spavento, vero?” replicò lui, senza riuscire a reprimere un vago sorriso.

Vibeke gli diede un debole calcio su uno stinco.

“Devi imparare a capire quando è il momento di startene zitto!” Gli intimò acidamente.

Tom scosse la testa, divertito.

“Sì, è vero.” Ammise.

Vibeke aveva di nuovo il volto affondato tra le proprie mani, il capo chino, le spalle ricurve. Sembrava come svuotata di tutto quanto una persona potesse avere dentro, in senso fisico ed emotivo. Tom avrebbe creduto di poter vedere chiunque in quelle condizioni, ma non una roccia come Vi.

Provava una strana ed insolita tenerezza nei suoi confronti, e un improvviso istinto protettivo si accese dentro di lui.

“BJ è… È tutto, per me, e io sono tutto per lui,” la sentì mormorare, quasi inudibilmente. “Quando si sbucciava le ginocchia ero io a mettergli i cerotti, quando voleva i biscotti allo zenzero ero io ad arrampicarmi sulla credenza per recuperare la scatola, quando voleva imparare a nuotare gli ho insegnato io…” Un sospiro sofferto, che toccò Tom un soffio più a fondo di dove aveva sempre creduto che la propria anima finisse. “Mi sono sempre presa cura di lui, fin da piccoli…”

Le posò una mano sulla nuca, dolcemente, e lei si sollevò nell’avvertire quella carezza, il viso, più pallido che mai, solcato da sbavature nere. Tom la scrutò da vicino, leggendole la paura negli occhi, e comprendendo quella paura e quelle parole che le aveva appena sentito pronunciare più di quanto avrebbe creduto. Tutto ciò che lei era sempre stata per BJ, lui era sempre stato per Bill. Tutto ciò che BJ era sempre stato per lei, Bill era sempre stato per lui.

È un dolore anche mio, sai?

Le spostò la mano sulla guancia fredda, sfiorandogliela con il polpastrello ruvido del pollice, guardandola serio e un po’ triste negli occhi.

“E chi si prende cura di te?”

Nuove lacrime scesero a velare gli occhi stanchi di Vibeke, ma lei non permise a nessuna di cadere. Deglutì, tremante, e dischiuse appena le labbra malferme. La sua paura, lentamente, divenne smarrimento, lo smarrimento scivolò sulla malinconia, la malinconia si ruppe in fragilità, e in quella fragilità si nascondevano infinite altre sfumature di buio.

‘Doesn’t count, far or near…’

E Tom, che non aveva confidenza con il dare conforto alle persone, che non si era mai trovato in una situazione così e mai si augurava di trovarcisi, immaginò come si sarebbe sentito lui, se il proprio fratello si fosse trovato al posto di BJ, e fece l’unica cosa che avrebbe voluto che qualcuno facesse per lui in un momento simile.

‘I can hold you, when you reach for me…’

“Vieni qui, stupida.” Le disse con gentilezza. La avvolse con le proprie braccia e se la strinse al petto, docilmente assecondato.

‘I am by your side…’

La trovò terribilmente fredda e debole.

“Andrà bene,” le mormorò. “Andrà tutto bene.”

‘Just for a little while…’

Avrebbe voluto poter fare qualcosa di utile e concreto, avrebbe dato qualsiasi cosa, ma abbracciarla, per il momento, era tutto ciò che poteva fare per lei.

 

***

 

Georg guidava verso casa con un gran peso addosso, Gustav accanto e Bill sul sedile posteriore, entrambi taciturni e nervosi quanto lui.

Era l’una passata, Tom era svanito nel nulla da almeno due ore e nessuno aveva ancora avuto notizie di lui. Nessuna spiegazione, Cadillac sparita, cellulare irraggiungibile. Tutto ciò che si sapeva era che, stando alla bionda che aveva scaricato nello sgabuzzino, aveva ricevuto qualche strana telefonata che lo aveva fatto reagire così, e Georg aveva un’ipotesi abbastanza precisa circa la provenienza di quella chiamata.

Vibeke. Solo lei potrebbe farlo scattare così.

“Dov’è quell’idiota?!” stava domandandosi Bill retoricamente, sovrastando la musica della radio, per quella che Georg riteneva essere almeno la centesima volta da quando avevano lasciato la festa. “Io lo ammazzo, quel cretino! Andarsene così, senza dirci niente! Ma dove ce l’ha quella cazzo di testa?!”

Georg avrebbe riso, se non fosse stato a sua volta molto in pensiero.

“Si farà sentire,” disse Gustav in tono strano. “Dobbiamo solo avere pazienza e aspettare che si ricordi di noi che siamo qui a preoccuparci per lui.”

Era arrabbiato con Tom per quell’improvvisata che aveva rovinato la serata a tutti quanti, lui per primo. Era stato costretto a spiegare frettolosamente a Fiona la situazione e suggerirle di tornare a casa prima che il finimondo scoppiasse, per poi doversi sorbire un’ora di sfuriata da parte di Tobi e Saki, che non gli avevano perdonato di averlo lasciato scappare via così.

Al di là delle questioni di sicurezza, comunque, il fattore ansia era alto, anche per le loro guardie del corpo. Non era da Tom volatilizzarsi in quel modo, quindi era ovvio che ci fosse qualcosa di serio di mezzo.

“Questa roba mi ha rotto,” Gustav si sporse in avanti e cambiò stazione alla radio. “Ci fosse qualcosa di dece–”

Georg non comprese subito perché l’amico si fosse interrotto bruscamente. Si era già voltato verso di lui con fare interrogativo, quando realizzò:

… quando circa due ore fa, fuori dalla discoteca in cui era ospite speciale, DJ Djevel, ventidue anni, è rimasto coinvolto in una rissa, durante la quale un colpo di pistola lo ha colpito al petto. I tempestivi soccorsi tuttavia…

L’auto sbandò lievemente e Georg si affrettò a recuperarne il controllo, ma il suo shock non accennò a diminuire mentre la voce della giornalista radiofonica proseguiva.

… accorso in difesa di una ragazza molestata da due clienti ubriachi. Il popolare DJ si è accasciato al suolo davanti a decine di testimoni, sanguinando copiosamente…

Il silenzio che era calato all’interno dell’abitacolo era così gelido e pesante da fare sentire Georg come se la forza di gravità fosse appena raddoppiata.

BJ era stato ferito fuori da una discoteca. Tom era corso via dalla festa, nel bel mezzo di una sveltina con una bionda. Unico anello di connessione possibile: Vibeke.

Tutto tornava.

“NO!” esclamò Bill all’improvviso, scagliandosi in avanti tra i due sedili. “Dobbiamo andare all’ospedale, vedere come sta, come sta Vibeke, trovare Tom!” Sembrava fuori di sé e le sue frasi non erano del tutto logiche, seppur molto sensate. “Dobbiamo andare là! Dobbiamo –”

“Bill,” Gustav gli aveva chiuso la bocca con una mano. “Calmati, per favore.”

A Bill servì qualche secondo, ma alla fine, come se gli avessero staccatola spina, si ritrasse e si accasciò contro il sedile posteriore, fissano il vuoto con occhi sgranati.

“Non possiamo restare qui a fare niente…” cercò di protestare.

Georg scambiò con Gustav uno sguardo teso. Bill aveva ragione, ma in realtà c’era veramente poco che loro potessero fare, anche volendo.

“Ascolta,” Gustav si voltò con un sospiro. “Forse è meglio se aspettiamo domani ad andare a vedere come va. Tanto non avremmo comunque il permesso di passare, soprattutto vista la criticità della situazione.”

Georg lo trovò un approccio troppo duro e schietto verso la sensibilità di Bill. Pur comprendendo la necessità di contenere l’isteria, cercò di addolcire un po’ la pillola:

“Sono certo che Tom ci terrà aggiornati,” gli assicurò con tatto. “C’è lui con Vibeke, credo che la cosa migliore da fare sia aspettare che sia lui a chiamarci.”

Controllò la reazione di Bill attraverso lo specchietto retrovisore: era immobile e rigido, e apparentemente molto spaventato. Faceva paura, Bill, in quelle condizioni, fragile e sensibile com’era.

“Bill,” lo chiamò, ma lui non si mosse. “Bill, guardami,” insisté, e stavolta Bill obbedì. Georg gli stiracchiò un sorriso attraverso lo specchietto. “Lasciamoli soli, hanno bisogno di vedersela tra di loro, stavolta. Domani mattina, quando le acque si saranno calmate e BJ starà bene, andiamo anche noi.”

‘E come lo sai che BJ starà bene?’

Bill non lo disse, ma Georg glielo lesse negli occhi.

“Vedrai,” intervenne Gustav, che doveva aver interpretato nella stessa maniera l’espressione dell’amico. “Tom si farà vivo, e quando lo farà, saranno buone notizie.”

Bill si morse il labbro, ingoiò qualunque risposta avrebbe voluto dare ed annuì remissivo.

A quel punto Georg tornò a tenere gli occhi saldamente incollati alla strada, tormentato da un bruttissimo senso di inquietudine. Rassicurare Bill era una cosa, rassicurare se stesso un’altra, e non era poi così matematicamente certo che sarebbe tutto filato liscio.

Intercettò un breve sguardo di Gustav e lo ricambiò impotente. BJ era sempre piaciuto a tutti loro, era un tipo molto simile a loro, si erano trovati subito bene con lui e il suo carattere solare ed amichevole. Era un amico, un amico che adesso stava rischiando la vita. Georg non osava immaginare in quale tremendo stato dovesse essere Vibeke.

Tenete duro, ragazzi.

 

***

 

Mezzo secondo. Pochi minuti. Ore, forse. Forse un’eternità.

Forse non mi importa.

Vibeke non sapeva quanto a lungo era rimasta vigliaccamente nascosta tra le braccia di Tom, quanto a lungo lui le avesse parlato senza che lei riuscisse a sentire cose dicesse, ma gli era grata di questo. Di esserci e basta, senza aspettarsi che ci fosse anche lei, perché, no, lei non c’era.

Lei non era lì. Lei era in un altro mondo, persa nel suo mare di buio, annaspando disperatamente per tenersi a galla e non sprofondare nello sconforto.

BJ era in una sala operatoria, proprio oltre alla porta che lei aveva davanti e non riusciva a guardare. BJ era là dentro, con un foro di proiettile nel petto e chissà quali conseguenze. E quel che era peggio, era che non esisteva nulla che lei potesse fare.

Voleva morire, lì, subito, prima che potessero arrivare notizie dolorose a straziarla ad un punto tale da far cessare ogni sua volontà e razionalità.

C’erano milioni di persone orribili al mondo che meritavano di soffrire, di stare male… Perché proprio lui? Perché proprio il suo BJ?

Fratello, ti prego…

Lei era sempre stata la sorella manesca e violenta, la sociopatica che incuteva timore al prossimo, quella che lo difendeva a scuola e si prendeva la colpa di tutto in casa, spesso ingiustamente, ma per il suo fratellino biondo, dolce e delicato era sempre stata disposta a fare qualunque cosa. Lui era la sua forza, la sua sicurezza, il suo motivo per tenere duro di fronte ad ogni cosa, l’unica vera certezza della sua vita.

Una certezza che adesso si trovava di fronte ad un destino pericolosamente incerto.

“Quella volta ce la siamo vista proprio brutta, sai,” stava raccontando Tom, seguendo un filo logico di cui lei aveva perso l’inizio. “La mamma era furiosa con Bill, non faceva che ripetere che avrebbe potuto rimetterci un occhio o chissà che altro… Avresti dovuto vederla, urlava come un’ossessa…”

Vibeke adorava la voce di Tom, anche se, ovviamente, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di confessarglielo. Gli aveva chiesto lei di parlare – parlare e basta, di qualsiasi cosa – perché il suo timbro profondo aveva un incredibile potere rilassante, lenitivo, ed anche se la paura più feroce non accennava a diminuire, la sua tensione si era sensibilmente affievolita, disciolta e portata via da mille carezze silenziose, da un profumo indiscernibile ma unico e familiare che ormai per lei aveva già da tempo cominciato a sapere di benessere.

Nonostante fosse un irritabile ed irritante idiota che sguazzava nelle sue stupide favole di autocompiacimento, nella sua alogica e contraddicente complicatezza, Tom profumava di cose belle.

“Poi una volta io e Gustav abbiamo beccato Bill a dormire nella cuccetta di Georg, con Georg dentro, ovviamente,” proseguiva in tono ilare, mentre la sua mano faceva su e giù lungo il braccio di Vibeke. “Georg ci ha sentiti ridere e si è svegliato, e appena si è accorto di Bill lo ha buttato giù dal letto, ancora addormentato,” Inconsciamente, lei si ritrovò a ridere con lui. “Abbiamo ancora le foto, da qualche parte…”

Cazzate. Di quello Tom stava parlando: di pure, emerite stronzate. Eppure era proprio ciò che le serviva per non rimetterci il senno: cose stupide, quotidiane, banali, che però assumevano un valore completamente nuovo, in un momento così.

Sembrava sciocco, a pensarci, ma proprio quelle piccole cose stupide sarebbero state le prime di cui avrebbe sentito la mancanza, se…

Non ci sono se!, si interruppe Vibeke, riscuotendosi. Non c’è nessun cazzo di se, BJ starà bene!

Ad un tratto Vibeke udì l’inconfondibile rumore di una porta che si apriva, ed i suoi occhi si spalancarono di conseguenza: c’era un chirurgo in piedi al suo cospetto, che si stava scostando una mascherina dalla bocca, gli occhi scuri e solenni fissi su di lei.

Vibeke scattò in piedi, la testa che le vorticava, solo il rumore assordante delle palpitazioni accelerate del suo cuore nelle orecchie mentre muoveva un passo incerto verso l’uomo.

‘La prego!’ gli stava dicendo con gli occhi. ‘La prego, metta fine a questa agonia…’

“Signorina Wolner,” esordì lui, serio e composto, imperscrutabile. “Il danno al polmone sinistro di suo fratello era più grave di quel che pensassimo: il proiettile lo ha attraversato da parte a parte, ha avuto una brutta emorragia…”

Il vuoto in un istante.

Fratello…

L’urto violento con la realtà, il senso straziante di soffocamento, il sangue che le si ghiacciava nelle vene… Poi il nulla immediato.

BJ…

Vibeke si sentì mancare, ma, in qualche oscuro modo, riuscì a non cadere in ginocchio ai suoi piedi.

“Stia tranquilla,” riprese rapidamente il chirurgo, distendendo le labbra in un piccolissimo sorriso. “È stato molto vicino a non farcela, ma, mi creda, ha un fratello sorprendentemente tenace, nemmeno la complicazione peggiore è riuscita ad avere la meglio sulla sua voglia di vivere.”

Vibeke si accorse di non riuscire a respirare.

“Significa che... Che è fuori pericolo?” domandò in un sussurro.

Lui allargò il proprio sorriso.

“Gli dia qualche settimana per rimettersi in forze,” le rispose gentilmente. “E sarà anche più in forma di prima.”

Vibeke vacillò in un vortice di sollievo ed isterica euforia. Improvvisamente vedeva di nuovo, sentiva di nuovo, respirava di nuovo. Tutto il mondo era tornato e le sembrava più vivo e colorato che mai, più luminoso di quel che ricordasse e straordinariamente bello.

“Grazie!”

“Le confesso che è un ragazzo incredibilmente fortunato,” riprese l’uomo. “Se il suo cuore fosse stato a sinistra…”

“Non lo dica!” Lo zittì Vibeke, atterrita e risollevata al contempo. “Non lo dica, per favore.”

Lui annuì comprensivo.

“Lo terremo in osservazione, per stanotte,” le comunicò. “Per precauzione, s’intende,” specificò poi tempestivo. “Ma ormai non ha più nulla da temere.”

Vibeke si sfregò il viso, avvertendo il calore che lentamente ritornava a diffondersi nelle sue vene.

BJ sta bene, continuava a ripetersi, euforica. BJ sta bene. BJ sta bene. BJ sta bene…

“Lo posso vedere?”

Lui negò.

“Mi dispiace, ma adesso non è proprio possibile. Perché non va a riposarsi un po’? Può tornare domattina, quando –”

“Lei non può!” ringhiò Tom, scattando accanto a Vibeke come una furia. “Non può dirle che suo fratello è vivo per miracolo e poi non concederle nemmeno di vederlo per un momento, se ne rende conto?!”

Il medico lo fissò sbalordito e la sua austerità vacillò visibilmente di fronte a tanta determinazione.

“Sì,” confermò, abbassando lo sguardo. “Me ne rendo conto.”

Vibeke rimase attonita, cominciando a sperare. Il chirurgo la occhieggiò dubbioso, ma con inconfondibile pietà, sentimento che per principio lei detestava, ma se fosse servito per poter vedere BJ, allora era più che disposta a lasciarsi compatire.

“D’accordo,” acconsentì l’uomo dopo una lunga meditazione. “Le posso concedere un minuto, non di più. Per il bene di suo fratello.”

Vibeke non era una che regalava dimostrazioni di affetto, e solitamente i suoi abbracci erano un lusso che concedeva solo a tre fortunati eletti: BJ, Rogue e Gustav, ma ora non riusciva a non desiderare di ringraziare quell’uomo nel modo che più sentiva giusto: aprì le proprie braccia e lo abbracciò d’istinto, ringraziandolo nuovamente.

Dopo un attimo di esitazione, lui ricambiò il gesto con calore.

“Vada pure,” disse poi, indicandole la porta della sala operatoria. “E non si lasci spaventare dal sangue,” aggiunse con delicatezza. “Lui sta bene.”

Vibeke avvertì un fremito tiepido lungo la propria spina dorsale.

“Lui sta bene.”

Era l’unica cosa che aveva voluto sentirsi dire da ore a quella parte.

“Lui sta bene.”

Era vero, adesso, ci poteva credere senza dover temere delusioni.

“Lui sta bene.”

Non aveva aspettato altro che quello, di poterlo vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani. Per metà di quella notte terribile se n’era rimasta là fuori, reprimendo con la forza la voglia di entrare in quella stanza e vedere il proprio fratello, eppure, ora che poteva farlo, non riusciva a muoversi.

“Non si lasci spaventare dal sangue.”

Quanto aveva sofferto, BJ, prima di essere salvo? Quanto vicino era andato al non tornare più?

“Vi...”

Lei tornò in sé, avvertendo una presa calda e sicura tra le proprie dita. Abbassò lo sguardo e poi lo sollevò, incontrando un lieve sorriso incoraggiante.

Tom l’aveva presa per mano.

“Dai, vieni,” la esortò dolcemente. “Andiamo.”

E Vibeke, obbediente, si lasciò condurre oltre la porta.

Si trattò di pochi metri, non più di una decina di passi nella penombra, ma le parve di camminare all’infinito. Tutto era impregnato di un intenso odore di chimico, ma questo non riusciva comunque a coprire l’acre sentore ferroso del sangue.

La prima cosa che vide furono i due infermieri in camice azzurro che si affaccendavano ai due lati di quello che suppose essere il tavolo operatorio, spostando solertemente teli verdi e bianchi. C’erano altre persone, intorno, ma lei non le riusciva a distinguere. Vide solo una giovane infermiera che si avvicinava agli altri due, porgeva loro un lenzuolo pulito e se ne andava in silenzio.

Quando i due si fecero da parte per dispiegare il lenzuolo pulito, Vibeke vide.

BJ giaceva inerte sul tavolo, coperto solo fino all’addome dal lenzuolo che gli avevano appena adagiato addosso, ed altrettanto bianco. Lui e Vibeke erano sempre stati chiarissimi di carnagione, ma quello era un pallore preoccupante, malato, e fu con una lacerante fitta al cuore che lei lasciò la mano di Tom per avvicinarsi a lui, a passo malfermo. Medici ed infermieri le lanciavano qualche occhiata distratta, ma non abbandonarono le proprie occupazioni.

Vibeke si sentì male nel posare lo sguardo sul volto cereo di BJ, nascosto per metà da una mascherina di ossigeno. Non sapeva se fosse un effetto dei farmaci che gli avevano somministrato, ma era leggermente gonfio, e attorno ai suoi occhi c’erano spaventosi aloni lividi.

Sta bene, ricordò a se stessa, mentre la sua mano si posava fremente sulla sua fronte, quasi sorprendendosi di trovarla tiepida.

Gli carezzò i capelli con affetto, le labbra premute tra loro nello sforzo di non lasciarsi andare al bisogno di sfogare la sfiorente tensione attraverso il pianto.

Non mi fare più uno scherzo del genere, Bjørn Jesper Wolner, mai più!

Riusciva stranamente a percepire Tom, alle proprie spalle, e questo, assieme al respiro regolare di BJ, la fece sentire rasserenata.

Avrebbe voluto rimanere con lui fino a che si fosse risvegliato, ma poco dopo arrivarono i due infermieri di prima, accostandosi rispettosamente.

“Mi dispiace, ma adesso dobbiamo portarlo nella sua stanza.” Le disse uno di loro.

Con un sospiro, lei scrutò BJ per un ultimo momento, per poi annuire.

Ci vediamo domani, fratello. Riposati, si raccomandò, mentre lui veniva scrupolosamente trasferito su una lettiga.

Quando BJ fu portato via, Vibeke si rese conto di essere esausta.

“Vi…”

Un tocco sulla sua spalla la fece voltare.

“Kaulitz…” Incontrò lo sguardo di Tom, comprensivo e gentile. Senza un perché, Vibeke gli sorrise.

“Dai,” Di nuovo, lui le prese la mano e la tirò verso di sé. “Usciamo di qui, andiamo a mettere qualche cosa sotto i denti, che ne dici?”

Lei non rispose. Lo seguì e basta, ciecamente, e non si chiese dove la stesse portando o perché, né se fosse una buona idea. Qualsiasi cose che non fosse quell’ospedale le sarebbe andato bene.

Scesero nel vasto giardino e a piedi proseguirono verso il parcheggio dall’altro lato della strada, dove Vibeke scorse la Cadillac, e le venne in mente di non ricordare dove avesse lasciato la propria Golf. Nessuno di loro parlò, ma Tom non le aveva mai lasciato la mano e di tanto in tanto azzardava sguardi obliqui verso di lei, per poi tornare a fissare il marciapiedi avanti a sé.

Era taciturno, dopo aver parlato del più e del meno per ore per tenerla distratta, e lei gliene era profondamente riconoscente, ma le faceva uno strano effetto vederlo così pensieroso.

So che tutto questo ti ha toccato più di quanto tu sia disposto a dare a vedere.

Ed era vero, perché anche Tom aveva un fratello gemello di cui si era sempre preso cura, lui capiva davvero ciò che lei stava passando, e probabilmente ne era un po’ irrazionalmente affetto anche lui.

Comprensione a parte, comunque, per lei significava già molto che lui fosse lì.

 

 

***

 

Mentre percorrevano il marciapiede, a Tom sovvenne che aveva lasciato un fratello e due amici ad una festa senza dare loro nemmeno mezzo avvertimento. Probabilmente avevano già allertato la polizia di mezzo mondo perché indagasse sulla sua misteriosa scomparsa.

Prese quindi il proprio cellulare e si affrettò a mandare un messaggio di spiegazioni:

BJ è stato ricoverato d’urgenza in ospedale, domani vi spiego. Ora sta bene,” scrisse. “Sto io con Vi. Domani mattina saranno permesse le visite.” Poi, senza nemmeno rileggere il messaggio, lo inviò a Bill.

Mi ucciderai, domattina, pensò, immaginandosi un Bill fuori di testa che dava i numeri davanti a Georg e Gustav, altrettanto preoccupati.

“Ho detto ai ragazzi di non stare in pensiero,” comunicò a Vibeke, che gli camminava accanto fissando il cemento. “Che BJ sta bene e che possono venire domani.”

Lei fece un vago cenno del capo, le mani affondate nelle tasche del pesante cappotto, ma tacque.

Tom stentava a riconoscerla, in quello stato, eppure quell’istinto protettivo che ore prima era sgorgato dentro di lui non faceva che crescere ed intensificarsi. Voleva davvero aiutarla, solo che non aveva la più remota idea di cosa fare. La parte del buon samaritano non era il suo forte.

Quando ebbero raggiunto l’auto, la guardò incerto.

“Ti porto a mangiare qualcosa?” si offrì, aprendo con il piccolo telecomando.

Vibeke avvolse le braccia attorno a se stessa e scosse la testa.

“Non ho fame.”

“Ma sei a pezzi,” obiettò Tom, increspando la fronte. “Hai bisogno di –”

“Ho bisogno di mio fratello,” scattò lei con voce lievemente incrinata. “Nient’altro.”

Tom si rassegnò. La capiva, dopotutto.

“Allora ti porto a casa, devi risposare.”

Vibeke serrò le labbra, negando ancora.

“Non voglio andare a casa. Distruggerei tutto.”

“Vieni da noi, allora,” propose Tom, tentennante. “Puoi –”

“Tom,” Un sorriso riconoscente ma nervoso le piegò la bocca. “Davvero, voglio solo riuscire a sopravvivere fino a domani mattina,” Deglutì. “Tu va’ pure, se vuoi.”

Lo aveva chiamato per nome. Era la prima volta. Faceva un effetto stranissimo, come se soltanto ora si rendesse conto che lei lo conosceva davvero, e lui conosceva davvero lei. E se lei lo conosceva, doveva sapere che non la avrebbe certo lasciata lì ad aspettare da sola.

“Vibeke,” le disse allora, scrutandola serio. “Non ti lascio sola. Voglio solo che tu chiuda gli occhi almeno per qualche minuto,” Si allungò verso la portiera posteriore e la aprì. “Dai, sali, ti sdrai un attimo… Non ce ne andiamo, promesso.”

Lei sembrava toccata da quel ‘Vibeke’ inaspettato, così come lo era stato lui poco prima dal proprio nome. Si inumidì le labbra, sempre stringendosi convulsamente le braccia addosso, avvolta in quel cappotto nero che la faceva apparire eterea ed impalpabile, come un fantasma. A Tom non piaceva quella Vibeke quasi incorporea, era abituato alle lei grintosa e passionale, e gli faceva paura non riuscire più nemmeno ad intravederla. Occuparsi di lei in un momento così delicato era una grande responsabilità, ma poteva farlo. Voleva farlo.

“Su,” la esortò, prendendola per mano. “Fa’ la brava, solo per un po’.”

Lei si lasciò spingere all’interno spazioso dell’auto e si sedette rigida, le gambe coperte solo dai collant neri e un paio di Doctor Martens abbastanza consumate. Con la temperatura bassa che c’era, si sarebbe congelata. Senza pensarci due volte, Tom si sfilò il giubbotto e glielo porse.

“Prendi.”

Vibeke sollevò il mento e batté un paio di volte le ciglia, come se non capisse.

“E tu?”

Lui fece spallucce.

“Sopravviverò.”

Attese che lei lo prendesse, ma non accadde nulla.

Quanto sei dannatamente cocciuta!, imprecò mutamente, entrando nell’auto per coprirla con le proprie mani. Le sedette accanto e le appoggiò il caldo giubbotto sulle spalle, mentre lei rimase a guardare inerme. Era apatica, vuota, e Tom sperava che le sarebbe passata presto. Gli faceva male vederla così.

“Cerca di dormire,” la ammonì. “Il tempo passerà più in fretta.”

“Non ho sonno.” Disse lei, scossa da un brivido, eppure ce l’aveva scritto in faccia che più sfinita di così non poteva essere.

“E va bene,” disse lui risoluto, chiudendo la portiera. Scivolò più vicino a lei, prese un lembo del proprio giaccone e si coprì assieme a lei, poi le appoggiò un braccio lungo le spalle. “Facciamo i pinguini, mentre aspettiamo l’ora X, almeno non diventeremo ghiaccioli umani.”

Con discreto stupore di Tom, Vibeke non lo scacciò schifata, né fece commenti. Si lasciò invece attirare verso di lui e, dopo una brave esitazione, si ammorbidì, lasciandosi andare.

Tom sorrise nel sentirsi avvolgere la vita dal suo braccio.

“Spero che tu stia comoda, piccola lady, perché io sono in una posizione atroce.” Osservò, sperando di far sorridere anche lei, ma quando guardò in giù si accorse che si era già addormentata.

Meno male che non avevi sonno, eh?

Lui non dormì, quella notte. Tenne Vibeke stretta a sé, ascoltando il suo respiro, osservando il suo petto che si alzava e si abbassava lentamente.

Avevano fatto l’amore tante volte, ma non avevano mai dormito insieme, non la aveva mai vista così. Aveva un aspetto diverso, quando dormiva. Sembrava così dolce, così indifesa…

Niente maschere, nell’incoscienza dei sogni.

Tom non aveva mai avuto occasione, prima, di contemplarla così da vicino, così indisturbatamente, ma gli ci volle poco a capire che avrebbe anche potuto abituarcisi.

Che sensazione strana, però…

Si voltò a guardare il cielo che, pian piano, andava tingendosi di sfumature di viola e di rosa, mentre Vibeke, nel sonno, si accoccolava meglio contro il suo torace. Abbassò lo sguardo su di lei: fu lieto di trovare sul suo viso un’espressione serena, anche se si vedeva benissimo che, almeno fisicamente, era distrutta.

Tom percepì un sorriso che saliva a solleticargli le labbra e, senza un motivo preciso, nel momento stesso in cui il primo raggio di sole sbucava tra qualche nuvola grigia, si chinò per sfiorare con un bacio i capelli di Vibeke, per poi restare a guardarla sorridere inconsapevolmente di quel suo gesto.

Che lo accettasse o meno, la trovava una situazione piacevole. Molto piacevole, ma anche molto spaventosa.

In diverse occasioni gli era capitato di ritrovarsi una ragazza addormentata tra le braccia, ma non c’era mai stato nulla di straordinario, nulla che gli avesse mai fatto pensare che potesse esistere qualcosa di speciale nascosto in un semplice abbraccio. Ne aveva incontrate tante, ma il suo cuore si era sempre ritrovato a battere contro il vuoto, e così quello della fortunata di turno.

Adesso, per la prima volta, il battito di Tom riceveva una risposta tangibile.

Se ne stava lì, immobile, lasciandosi portare via da una nuova, incredibile sensazione: il cuore di Vibeke batteva in perfetta corrispondenza del suo.

“Prova a innamorarti.”

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Note: rullo di tamburi, ovazione di trionfo… Il capitolo sedici è qui! XD Voi non sapete che calvario mi è costato questo capitolo (no, qualcuno una vaga idea ce l’ha ^^), una fatica mostruosa per riuscire a tirare fuori un Tom dolce e sensibile, ma che non fosse un orribile mutazione genetica rispetto al Tom reale. Insomma, ho fatto del mio meglio per far emergere la parte di lui che lui si tiene ben relegata dentro, ma entro i limiti del suo carattere. A voi decidere se sia riuscito o meno. Siete liberissime di linciarmi a sassate, se ritenete che sia un Tom esageratamente premuroso, ma a me sembra di aver mediamente rispettato i canoni.

Devo un grazie, come sempre, a voi lettori che non mancate mai un appuntamento, alle 159 persone che hanno The Truth tra i loro preferiti e alle 84 che hanno me tra i preferiti, ma soprattutto a voi che fedelmente vi prendete quei due minuti per lasciarmi un commento, anche piccolo. Siete voi che mi aiutate a continuare ed è grazie a voi e al vostro sostegno ed entusiasmo che The Truth esiste, perché senza la vostra calda accoglienza per Lullaby, probabilmente non mi sarei presa così a cuore le fan fiction sui nostri Tokio Hotel.

Nello specifico ringrazio:

_Ellie_: me l’hai fatta sospirare questa recensione, ma l’attesa è valsa il risultato. Tu, mia piccola perla di scrittrice, sei sempre una delle più sveglie, quando c’è da percepire le sottigliezze che metto nelle mie storie, e ciò di fa molto onore. Hai una sensibilità che mi sorprende ogni giorno di più, ma è anche per questo che ti stimo tanto come scrittrice. Grazie, dal più profondo del mio cuore (a forma di G, come direbbe la Pao XD).

susisango: eccone un’altra che mi scarica addosso responsabilità! Insomma, è solo una storia! XD No, sto scherzando, mi pare ovvio, perché sarà anche solo una storia, ma anche io ci sono molto affezionata, e vedere che voi condividete con me tutto questo mi fa un gran piacere. Spero di averti soddisfatta almeno un po’. ^^

loryherm: tu sei sempre un’altra di quelle che fiutano tutto, e questo mi compiace sempre. Ogni volta tu, _Ellie_ e Lady Vibeke vi scazzottate a suon di recensioni chilometriche per deliziarmi, ma è inutile che io ti ripeta quanto felice mi fai con questi tuoi acuti accorgimenti! Ti ringrazio, davvero. <3

Purple Bullet: ed ecco la nostra Vi in incognito! Allora, ripresa dallo spavento per il bel BJ? Il tuo fratellone sta bene. XD Spero che il tuo pc sia abbastanza in forma da permetterti di leggere questo capitolo al più presto, attendo impaziente il tuo sospiro di sollievo. ;)

LadyCassandra: ti ringrazio per aver avuto il fegato di spararti questi quindici capitoli come un’endovena di morfina/adrenalina (a seconda di come li hai trovati tu, sei noiosi o interessanti XD). Sono felice di sapere che hai cambiato idea su Vi. È una ragazzaccia spinosa e scostante, è vero, ma ha i suoi pregi, ben nascosti dietro al suo pessimo carattere. Non è del tutto colpa sua, poverina, non ha avuto una bella vita, finora, ma sta provando a rimediare. ^^

RubyChubb: liebe! Ero emozionatissima quando ho letto che eri così entusiasta del capitolo! Ormai lo so che hai un po’ perso la vena Tokiohotellica, quindi so che è difficile farsi appassionare da qualcosa che non si ama più come una volta, e ti ringrazio di ogni parola. Ti liebo! XD

StellaMars: mi sono crogiolata nella tua recensione sguazzandoci come un Bill tra le caramelle gommose, o un Tom in un Sexy Shop, o un Gustav tra i Metallica, o un Georg tra le mie braccia… XD Insomma, più che un GRAZIE grosso così, non saprei che dire. Mi fa piacere che tu abbia notato che Vi non è certo la supergnocca fan dalle mirabili doti ammalianti, ma una qualunque che ha avuto la sfiga/fortuna di incrociare il sentiero della persona sbagliata/giusta (leggasi: Tom Kaulitz). Non è mia abitudine identificarmi con i miei personaggi: li considero come figli, li amo come tali, sono le mie creature e mi piace attribuire loro caratteri e caratteristiche molto diverse tra loro, e in futuro penso sarà sempre più evidente. Mi è piaciuta anche la tua osservazione sull’avere Vi come amica: pur involontariamente, hai anticipato una cosa che accadrà tra qualche capitolo. Non dico altro, solo occhi aperti, perché la vedremo in azione proprio in questi panni che hai descritto tu. ;)

Ladynotorius: anche tu ti sei fatta desiderare, eh? ^^ Non voglio che tu ti senta obbligata a recensire, ovviamente, ma non riesco a non intristirmi se una come te non trova nulla da dire su quello che scrivo. Lo so, sono strana, ma ti ringrazio tantissimo per aver fatto questo sforzo. <3 Adesso sarai in Sardegna, e magari leggerai questo capitolo assieme ad _Ellie_... Ricordati di picchiarla/baciarla da parte mia! ;)

_ToMSiMo_: Tom alle prese con Vi è tutto uno spettacolo, vero? Sono fatti l’uno per l’altra, devono solo riuscire ad ammetterlo. Grazie infinte per i complimenti, che spero di meritare ancora. ;)

Kaho_chan: la tua è un’altra di quelle recensioni che mi hanno fatto brillare gli occhi per ore e ore. Sono sempre felice di sapere che anche chi non ama particolarmente (o affatto) i Tokio Hotel riesca ad apprezzare le mie storie. Mi fa capire che forse riesco davvero a trasmettere qualcosa, al di là di una semplice trama con dei semplici personaggi, e questo significa molto per una scrittrice. Cerco sempre di essere critica nei confronti dei personaggi reali di cui tratto, faccio del mio meglio per essere coerente con le loro personalità per come le percepisco io, pregi e difetti inclusi in egual misura, e mi auguro sempre di fare un buon lavoro. Se ti piacciono quindi nella ff, c’è qualche discreta possibilità che ti piacciano anche nella vita reale, perché, te lo assicuro, la nostra adorabile Principessa non è semplicemente una Diva con la D maiuscola, ma anche un cucciolotto troppo cresciuto che in realtà non vuole saperne di crescere, e così anche per gli altri. Insomma, concludo dicendoti grazie mille e sperando vivamente di essere meritevole di altre tue recensioni splendide come quella dello scorso capitolo.

kikka_tokietta: grazie, grazie e ancora grazie! ^^ Come ti auguravi tu, ho continuato (anche se forse non così presto come speravi) e attendo impaziente di sapere come hai trovato questo aggiornamento. :)

Fashion_Girl: se il resto della storia ti ha fatto emozionare, questo capitolo, che è uno dei più intensi, dovrebbe avere toccato apici discreti di emozione, o così spero, altrimenti significa che ho miseramente fallito nel mio intento. XD Grazie mille anche a te.

juliet_: ed ecco un’altra recensione che mi ha riempito il cuore di orgoglio. Il mio amore per questi ragazzi è smisurato, me ne rendo conto, però mi rendi davvero felice e fiera se mi dici che grazie a quello che scrivo ti senti almeno un pochino riavvicinata a loro. Metterò una passione ancora maggiore nelle mie storie (è possibile? Più passione di così? XD), solo per cercare di non deludere le persone come te, che mi hanno fatto il grande regalo di lasciarsi trasportare da quello che metto nei miei scritti. Grazie.

sbadata93: sì, penso proprio che questa fosse la tua prima recensione, e oso sperare che sia anche la prima di molte altre. ;) Capisco i tuoi sentimenti contrastanti verso Tom e Vi: sono due testoni con due fette di salame grosse così sugli occhi, ma hanno bisogno di tempo, non sono abituati a provare un certo tipo di emozioni, devono imparare a conoscerle e gestirle, e ci vuole tempo e fatica. BJ è uno dei tuoi personaggi preferiti? Condivido pienamente! ^^ Come vedi, gli voglio così bene che non potevo certo lasciarlo morire. Ho grandi progetti per lui! ;)

kit2007: vedo che quel pezzo su Tom è piaciuto a molti, e me ne compiaccio, perché è vero che riassume perfettamente quello che c’è tra quei due. Vuoi mandare dei fiori a BJ, ora che sai che sta bene? Non c’è problema, sappi che presto avremo modo di notare che non sei l’unica ad aver avuto questo bel pensiero per lui! XD Però non scioperare, ti prego, guarda che brava che sono, ho postato! ^^

MARINA KAULITZ: grazie, cara, davvero. Eccoti accontentata, BJ sta bene (oddio, bene non proprio, con quello che ha passato, ma almeno è fuori pericolo ^^). Spero ti sia piaciuto il capitolo.

pIkKoLa_EmO: i pc-rottami sono un male diffuso, purtroppo, anche il mio è una scatola mal funzionante, ma si fa quel che si può. ^^ Moniek è un personaggio secondario, ma è una bella persona, che è in grado di capire quando qualcosa è inevitabile ed accade senza cattiveria. Siamo tutti lieti che abbia dato una bella scossa a Vi. Ora che hai letto, ti ho soddisfatta? Hai pianto? Fammi sapere! ;)

valux91: eheheh, la famiglia Mulino Bianco ne ha ancora tanta di strada da fare, l’appartamento è solo la pietra di base di tutto quanto. Ma diamo loro modo e tempo di costruire con la dovuta calma e vediamo cosa riusciranno a fare. :) Adesso puoi trarre un sospiro di sollievo anche tu, per quanto riguarda BJ. Non sarei mai stata così stronza da portarlo via alla sua sorellina cucciolina. ^^

Lady Vibeke: ti cito testualmente: penso tu sappia cosa intendo se dico che questa piccola serie di magiche parole sia il corrispettivo in prosa di […] un virtuosismo vocale di Tarja”. Questo non è un complimento. No, affatto. Questo è IL Complimento, pure con la C maiuscola. Dio, se solo tu sapessi quando ci ho riso su questa mezza eresia (eresia perché i virtuosismi canori della Divina sono incomparabili, non esiste nulla di paragonabile a Lei <3, ma apprezzo XD), e mi sono pure commossa. Ti ringrazio, soprattutto per i consigli e la pazienza. ;)

GaaRa92: grazie a te! ^^ Ti ho appena servito un altro bel concentrato di riflessioni abbastanza serie… Piaciuto anche questo?

layla the punkprincess: ce l’ho fatta, grazie per avermi ricordato del disegno! *__* Sì, i due cocciuti qualcosa lo stanno cominciando a realizzare… Ma non tutto, non ancora. Intanto però si stanno avvicinando sempre più senza nemmeno accorgersene.

CowgirlSara: tu! Tu, mia artista dalle manine d’oro! Grazie del disegno, della sopportazione e delle belle chiacchierate volte ad ideare nuove storie, che noi già amiamo in anticipo. XD Aspetto il disegno hot di chi sappiamo noi, sappilo! XD

NeraLuna: preghiere nuovamente accolte! Visto come sono compassionevole? ;) Spero di aver dato pace a tutte le tue ansie. ^^

mewmina__91: ho aggiornato più in fretta che potevo! Vedo che ti piacciono in biondini… Eh, anche a me! XD

_Kaay: grazie! Dopo il capitolo particolarissimo, ecco quello pucciosissimo (in un modo tutto suo). Mi auguro sia stato di vostro gradimento, madam. XD

 

P.S. lustratevi i lussuriosi occhi, gente, perché CowgirlSara ha fatto un altro dei suoi capolavori, e stavolta è abbastanza piccante: Tom & Vi

P.P.S. ovviamente la canzone citata nel capitolo è By Your Side, dei magnific Tokio Hotel. Non so se li conoscete... XD

Alla prossima! ^^

   
 
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