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Autore: Snow_Elk    05/01/2015    4 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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A Black Lotus as Night

 

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Episodio V- Tentazione Subdola


Sedeva in silenzio su un vecchio trono decaduto, in una delle sue tante dimore , monumenti dimenticati di un lusso decaduto e fin troppo sfrenato. La sala, immersa nella penombra, si espandeva fin dove l’occhio poteva spingersi tra le decine di colonne, per essere semplicemente inghiottito dall’oscurità. La poca luce che entrava timida tra i drappeggi delle enormi tende non bastava ad illuminare tutto, ma quel tanto che bastava a far capire all’ospite di turno che quel luogo rispecchiava la stessa follia e lussuria del suo stesso padrone.
Sedeva in silenzio sul suo trono, assiso, a pensare, nella mano sinistra  una sigaretta che restava lì inerme a consumarsi da sola, bramando a se le labbra del suo detentore, e nella destra un bicchiere di whiskey mezzo pieno che serviva soltanto ad acquietare l’animo di colui che lo beveva, se non il contrario. La camicia sbottonata, la cravatta slacciata e infine la giacca giaceva abbandonata sul trono stesso, in un equilibrio irrequieto.
 
Una figura minuta fece capolino tra le colonne, muovendosi felina tra una e l’altra, quasi come se non si volesse far vedere da quel re decaduto che continuava a fissare il vuoto in silenzio, quasi non fiatasse.
La ragazza continuò ad avvicinarsi, un tintinnare  di ciondoli, catene, bracciali e strani fermacapelli che si perdevano nella sua folta chioma o in mezzo alle pieghe del grande vestito fatto di pizzi e merletti, rigorosamente nero.
Non appena giunse a pochi passi dalla breve scalinata che conduceva al fatiscente trono si inginocchiò, abbassando umilmente la testa per salutare il suo signore, non senza aver prima lanciato uno sguardo malizioso che avrebbe fatto impallidire anche la più lussuriosa delle donne.
 
- Mio signore Ze…- iniziò con la sua voce da ragazzina stranamente adulta, a tratti inquietante a tratti terribilmente seducente.
- Taci!- esclamò l’altro, sbattendo il  bicchiere con forza su uno dei braccioli, mandandolo in mille pezzi – Quante volte ti ho detto che devi chiamarmi Debran? Quante? Non devi mai e dico mai pronunciare il mio nome o te ne farò pentire. Sono stato chiaro?- continuò, ignorando la mano insanguinata e lo sguardo della ragazza, spaventato e preoccupato al tempo stesso.
- Sì, mio signore. Mi ha chiamato perché vuole dilettarsi con me e il mio corpo o per qualche altro motivo in particolare? Un solo cenno della sua mano e io mi spoglierò- nel porre quella domanda si lasciò dondolare lievemente e nel farlo la catena che penzolava appesa al collare tentennò. Debran la osservò con gusto.
- Il tuo desiderio irrefrenabile  di sesso riesce sempre a stupirmi, mia piccola Lico, sei davvero insaziabile lo sai? Passione, lussuria,  e quell’accenno di follia che rende il tutto più interessante. Non è questo che vuoi?- la catena si smaterializzò nelle sua mano destra e tirandola con forza costrinse la ragazza ad avvicinarsi, ignorando i suoi gemiti di piacere mentre opponeva una lieve resistenza.
- Sì, mio re, il mio corpo ti appartiene, io ti appartengo, fino alla fine- i suoi occhi rossi incrociarono  i rubini di Debran e per un attimo calò il silenzio, dopodiché l’uomo riprese a parlare:
- Avrai ciò che vuoi, la tua sete oscena verrà placata, a patto che tu faccia qualcosa per me- il suo tono di voce era suadente, la ragazza si avvicinò sempre di più, lasciandosi accarezzare, riversando la sua chioma rosa sulle gambe dell’uomo.
- Qualunque cosa…- sussurrò, facendo tentennare nuovamente la catena.
- La nostra piccola Alice è confusa, ha paura,  ma dentro di sé sente il desiderio di placare quella passione inumana che la sta consumando dall’interno. Non è abituata a tutto ciò, il suo mondo è il campo di battaglia, la sua ambrosia il sangue degli avversari, è spaesata, l’ho visto quella sera al Picchiere Nero e forse è proprio questo che mi piace di lei… una Dea della morte che dentro di sé è fragile ed innocente- un sorriso compiaciuto gli increspò le labbra mentre accarezzava la ragazza sulla nuca come se fosse stato un gatto addomesticato.
 
- Intende Loto Nero?  Cosa vuole che faccia?-  lo sguardo di Lico si era fatto complice del suo padrone e con esso il suo sorriso.
- Voglio che tu la seduca, mia piccola depravata, voglio che tu le faccia provare una nuova forma di piacere, che la mandi ancor di più in confusione e, infine, tra le mie braccia- fece un tiro dalla sigaretta ormai consumata e la lasciò cadere, ormai inutile e morente.
- Sarà fatto, mio signore , la sedurrò come solo io so fare – la ragazza si leccò le labbra nel pronunciare quella frase, sfiorandosi con la mano i seni coperti dai merletti.
- Brava, mia piccola Lico, presto ti dirò quando dovrai agire- Debran si piegò in avanti verso di lei e tirando la catena la attirò a sé, baciandola con forza – Ora va e aspettami nelle mie stanze… nuda- la ragazza sorrise tutta eccitata e rialzandosi si incamminò verso la fine della sala, scomparendo nell’oscurità, portandosi dietro il tentennio delle catene e  l’eco della sua risatina.
 
                                                               […]
 
Aveva trascorso gli ultimi tre giorni a riflettere sulle parole di Sefia, su ogni singola frase di quel discorso alla Tana del Drago, ma come suo solito non era riuscita a cavare un ragno del buco, anzi era più confusa di prima, tanto per cambiare. Non aveva più visto Sefia, né Xem, né tantomeno Debran.
Debran. Continuava a vedere quel maledetto spuntare dovunque, per poi sparire come se niente fosse e se non l’avesse conosciuto per davvero avrebbe potuto tranquillamente dire che era diventata pazza, più di quanto non lo fosse già. Ma lui era reale, riusciva ancora a sentire le sue dita sulla pelle.
Debran. Perché continuava a pensare a lui? Perché continuava a sentire quel desiderio irrefrenabile di rivederlo? Nonostante quello che le aveva fatto, nonostante quel sottile strato di paura che le aleggiava intorno come nebbia, voleva incontrarlo, di nuovo.
 
D’altro canto una parte di lei, forse quella più umana ed emotiva, avrebbe voluto rincontrare anche Xem, la sua gentilezza, il suo garbo e quel fascino distaccato e senza tempo che lo contraddistingueva. Che diavolo le era preso? Era passata dal decidere quale armatura o falce usare alle questioni di cuore.
Ridicolo, se sua sorella Elza avesse saputo di questo suo cambiamento,  di tutti i pensieri che si stava facendo per quei due uomini di cui sapeva poco o nulla, beh, probabilmente l’avrebbe spedita tra le rovine di Baiura a suon di calci, dopo averla pestata a sangue per tutta la Capitale Regia, poco ma sicuro.
Scosse la testa, ignorando gli sguardi dei passanti che, di sottecchi, tentavano di immaginare quali grazie nascondessero quel corsetto e quella gonna corta e frastagliata che dondolava ad ogni suo passo. Quel giorno era in versione “abiti civili” ed oltre al corsetto, che lasciava le spalle nude, e alla gonna aveva indossato un paio di calze lunghe che lasciavano intravedere solo una piccola striscia di pelle chiara, per poi perdersi sotto gli stivali pieni di cinte, il tutto rigorosamente scuro, un caleidoscopio di colori che andava dal nero al viola, dal blu notte al grigio opaco. Le faceva terribilmente caldo, nonostante fuori ci fossero solo un paio di gradi, e per questo aveva abbandonato il cappotto e tutti gli altri gingilli che di solito indossava una volta si e l’altra pure, ma non aveva rinunciato al grande fiocco viola con cui si legava i capelli.
 
Svoltò a destra, lasciandosi alle spalle tutte quegli sguardi indiscreti e il vociferare che il suo abbigliamento aveva generato tra i presenti: l’ultima cosa che voleva fare era dimezzare la popolazione della Capitale a suon di falce.
Esattamente non sapeva nemmeno lei dove stava andando o perché, i suoi piedi sembravano conoscere il tragitto e lei si limitava a lasciarsi trasportare come dal vento, con la testa che affogava in quel mare di pensieri e il cuore che si dimenava come imprigionato in una gabbia di rovi.
Svoltò a sinistra, tagliando per un vicoletto dimenticato dagli Deì, tornando per alcuni minuti su una delle strade principali, spingendosi sempre di più verso i quartieri bassi, zona di perdizione e divertimento per chiunque vi si avventurasse. Dove stava andando? E perché? Quella strana sensazione di torpore, la stessa che ti ritrovi a provare non appena sveglio, non voleva abbandonarla in alcun modo e ci mancava poco che iniziasse a barcollare, attirando più sguardi di quanti ne potesse già sopportare.
 
Continuò a camminare, silenziosa e leggiadra come la morte, finché non giunse in un vicolo cieco, anch’esso ignorato e dimenticato da tutti, lontano dallo schiamazzo e dal fiume di gente che imperversava nella strada principale dei quartieri bassi, sede della maggior parte delle locande e delle bettole di Randall, un gran seguito di taverne, pub e luoghi di ritrovo per ricchi e borghesi.
Non c’era nessuno in quel vicolo e perfino la luce del sole sembrava avere paura ad addentrarsi nei suoi meandri, quasi l’oscurità fosse viva, come se respirasse, come se potesse vederti. Si sentiva a disagio in quel luogo, proprio lei che era la personificazione dell’oscurità.
 
- Sapevo che saresti venuta- quella voce, conosceva quella voce, aveva lo stesso effetto suadente e ammaliante di quella notte di pioggia e follia.
- Debran?- si guardò intorno, alla ricerca di quei rubini infuocati, di quegli occhi  che la bramavano e li trovò che la fissavano immersi nel buio del vicolo. Sentì un tonfo al cuore.
- In persona, mia piccola Alice- rispose l’altro, senza muoversi, perfino l’aria sembrava pendere dalle labbra di quell’uomo.
- Che cosa ci fai qui? Perché sono venuta qui? – quella sensazione di calore aumentò in modo inverosimile mentre avanzava lentamente verso di lui.
- Per aspettarti… sicura di non saperlo? Sei qui per me- perse un altro battito, senza riuscire a spiegare come quella voce potesse avere un effetto così forte su di lei.
- Per te… sono qui per te…- i suoi occhi si erano fatti opachi, come se si fossero spenti, ormai a pochi passi da quell’uomo che la stava già divorando con gli occhi.
- Esatto, nessuno verrà qui, ci siamo solo io e te – era abbastanza vicina da sentire quel profumo di petali calpestati e animanera che lo contraddistingueva, inconfondibile ed inebriante come la prima notte, mandava in estasi e confusione tutti i suoi sensi, in tumulto la sua anima.
- Fammi tua, ti prego…– disse con un solo sussurro, afferrando la mano dell’uomo  e poggiandola sul suo seno, il contatto con quelle dita forti le fece scappare un gemito di piacere. Cosa stava succedendo?
- Come vuoi - esordì Debran spingendola contro di sé, poggiando l’altra mano sul suo viso e baciandola prima delicatamente, poi sempre con più foga, mentre la mano prima poggiata sul seno si spingeva a toccare con desiderio quel corpo così caldo e suadente.
 
Alice sussultò e spinse le sue mani sotto la camicia dell’uomo, levandogli la giaccia con brama, toccando quel corpo che sembrava esser stato scolpito nel marmo, sfiorando con la punta delle dita una lunga cicatrice che solcava quel petto per quasi tutta la sua lunghezza, come un’immensa diagonale, uno sfregio che andava a infangare la bellezza astratta di quel corpo, ma che non faceva altro che farla eccitare ancora di più. L’uomo la spinse ancor di più contro di sé, abbandonando le sue labbra affamate di baci per spostarsi a baciare il collo, scendendo sempre più in basso, arrivando anche a mordere, e ognuno di quei gesti era un gemito in più, un altro passo sulla strada della perdizione.
 
Debran iniziò a sfilare i lacci del corsetto, con una lentezza che la stava uccidendo dentro, bramosa di essere posseduta da quell’uomo, dalle sue mani, dai suoi occhi, da tutto. Al tempo stesso lei sbottonò con calma la camicia, gustandosi quel momento come se fosse stato un buon bicchiere di liquore o l’ultima sigaretta di questa vita e dell’altra, il tempo sembrava essersi distorto come non mai e nella sua testa non c’era altro che lui e il desiderio che aveva di farlo suo, di concedergli il suo corpo, completamente.
Uno dopo l’altro i fiocchi si abbandonarono lungo i fianchi della donna, sciolti e inermi, mentre quelle mani avide proseguivano la loro opera di lussuria, alleate dissolute delle labbra che poco più in alto continuavano a riempire quella pelle ghiacciata e immacolata di baci. Ormai mancava poco, davvero poco, e dentro di sé sentiva la sua anima urlare di gioia e desiderio, pronta ad abbracciare quella passione insana che li stava avvolgendo tra le sue fiamme cremisi.
 
D’un tratto però Debran si fermò di colpo, come se quel fuoco che alimentava quei gesti licenziosi si fosse spento di punto in bianco.
- Che cosa c’è?- chiese lei, ansimando leggermente. Lui la guardò dritta negli occhi, mostrando il suo sorriso più sadico.
- Oggi non sarai solo mia, piccola Alice – quella frase la spiazzò, ma prima che potesse comprenderne appieno il significato sentì due mani affusolate e fredde che si posarono sulle sue spalle, facendola rabbrividire, e che la costrinsero a voltarsi.
C’era una ragazza poco più bassa di lei che la fissava con malizia: aveva i capelli rosa raccolti in due enormi boccoli ai lati, fermati da fiocchi neri,  un vestito tutto nero che arrivava quasi alle ginocchia, ornato di merletti e pizzi bianchi, tutta adorna di bracciali e ciondoli. Eppure, ciò che la inquietò di più furono i suoi occhi: rossi, infuocati come quelli di Debran.
Era minuta, sembrava quasi una ragazzina, ma con una forza disumana la spinse contro il muro dove poco prima c’era Debran, facendola sussultare per il dolore, e la bloccò lì col suo stesso corpo, impedendole di reagire in alcun modo, precludendole qualsiasi via di fuga. Si sentì mancare, non riuscendo a credere che tutto ciò stesse accadendo davvero.
- Debran! Che cosa sta succedendo? Dimmelo! – l’uomo era apparso alle spalle dalla ragazza dai capelli rosa e sorrideva sadico, braccia incrociate, camicia ancora sbottonata e sguardo intenso e spiazzante, sembrava essersi posizionato lì per gustarsi al meglio la scena.
- Non rivolgerti così al mio padrone – sibilò la giovane donna, aumentando la presa intorno ai polsi di Alice, spingendola ancor di più contro il muro, strappandole un altro gemito. Riusciva a sentire il seno dell’altra premere contro il suo, era una sensazione strana, dannatamente malata e… piacevole.
- E tu chi diavolo sei?!- sentiva ribollire dentro di sé la rabbia, la frustrazione la vergogna,  sentimenti che si alimentavano a vicenda generando fiamme nere e infime che bruciavano tutto e tutti. La ragazza sorrise.
- Chi sono io? Oh lo scoprirai molto presto…- disse, alzandosi sulla punte.
Alice non fece in tempo a rispondere che le labbra della ragazza si posarono sulle sue, erano morbide e calde, sentì la lingua cercare la sua e, ormai certa di non conoscere più chi fosse, ricambiò quel bacio infernale e senza alcun ritegno –… lo scoprirai molto presto -.
   
 
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